Capitolo
18: goodbye.
Quella stupida chitarra.
Gli scoppiava la testa da ore, stava sdraiato su
quel cazzo
di letto da neanche sapeva più quanto –si sa, Axel era famoso per la
sua poca
pazienza-, si era imbottito di farmaci a tal punto che si sentiva un
drogato e
Demyx insisteva ancora a suonare quella stupida
chitarra.
Fece un respiro profondo, continuando a guardare
il soffitto,
pregando di riuscire a mantenere la pazienza, perché si dà il caso che
avesse
un po’ di rabbia da sfogare; nonostante questo, non voleva che fosse
Demyx la
vittima del suo stress.
Non perché non se lo meritasse, datesi che quello
scemo del
suo migliore amico era stato il primo a dargli spago con la faccenda di
Roxas,
ripetendogli continuamente che era carino e che, secondo lui, Axel
doveva
provarci, perché cazzo, quello ci cascava sicuro e…beh, insomma, perché
non doveva
essere niente male scopare con quel biondino.
Ora: tralasciando per un istante l’istinto omicida
che Axel
si era costretto a reprimere dopo che Demyx aveva così palesemente
dimostrato
che lo considerava un sadico stupratore di minorenni, cercò davvero di
non
saltargli addosso, perché altrimenti lo avrebbe picchiato fino a
cambiargli la
faccia e avrebbe dato fuoco alla chitarra, senza averle prima tolto le
corde
una ad una.
Demyx, nel frattempo, continuava a fissare
l’amico, con
prudenza, senza farsi beccare.
Odiava ammetterlo, ma questo nuovo Axel in
versione depressa
proprio non gli piaceva.
Insomma, Axel era sempre stato un tipo euforico,
di quelli
che se stanno seduti per più di un attimo sullo stesso punto poi
saltano in
piedi dicendo che si stanno annoiando, e corrono a cercare un qualcosa
da fare
– qualsiasi cosa.
Certo, non era la prima volta che lo vedeva giù di
morale.
In fondo si conoscevano da una vita, e Demyx gli era stato accanto in
parecchie
situazioni scomode. Era abituato a tirargli su il morale, offrirgli una
birra
davanti a un bel porno e a fare battute squallide sulle tette della
protagonista. E ogni volta Axel restava impassibile per i primi cinque
minuti:
poi, sena riuscire a resistere, scoppiava a ridere, beveva un goccio di
quella
birra schifosa –che solo Demyx aveva ancora il coraggio di comprare- e
cominciava a fare la lotta con lui, il suo migliore amico, dimenticando
il
problema che lo aveva afflitto fino a poco prima.
Axel era così, senza mezzi termini: passava da un
sentimento
all’altro senza un apparente motivazione, quasi sembrasse che avesse
posto per
una sola emozione alla volta.
Ma ora era diverso.
La sera in cui si era lasciato con il piccolo
Roku, Axel
aveva buttato la birra, spento la tv e se ne era andato a dormire in
silenzio,
senza dire una parola.
Demyx per un momento aveva sentito il desiderio di
parlargli, avvicinarsi, dargli una pacca sulla spalla e dirgli che,
ehy, si
sarebbe aggiustato tutto, Roxas lo avrebbe perdonato, avrebbe capito
ogni cosa
e sarebbero tornati insieme.
Avrebbe voluto dirgli che lui era lì accanto, che
lo avrebbe
aiutato, sostenuto, perché gli voleva bene anche se non glielo
dimostrava
mai-non in modo palese, almeno- e che avrebbe potuto contare sempre su
di lui,
Demy, quello a cui amava dare dello ‘stupidotto canterino’.
E Demyx gli avrebbe anche promesso di non suonare
più la
chitarra, se questo lo infastidiva; gli avrebbe giurato eterna fedeltà,
perché
per lui Axel non era un ‘migliore amico’.
Per Demyx, Axel era un fratello. Non di sangue,
certo…ma,
sin da bambini, aveva sempre sentito che…era destino, che lui ed Axel
si
incontrassero.
E ne era convinto tutt’ora.
Rifletteva su questo, adesso, sulla loro amicizia,
su quanto
avrebbe voluto trovare le parole giuste da dirgli.
Ma poi Axel, da sotto le coperte, bofonchiò un
“Smettila con
questa cazzo di chitarra, mi stai facendo scoppiare la testa!” e lui
non poté
più trattenersi.
Ok, era durata fin troppo.
Axel non voleva e non aveva bisogno di essere
compatito.
Axel, come tutti quelli della sua specie, cocciuti e orgogliosi, doveva
essere
preso per le corna.
Lasciando che le parole gli uscissero spontanee
dalle
labbra, Demyx gettò sul letto la sua amata Camille (ebbene sì, la sua
chitarra
aveva un nome) per andare verso quello di Axel e strappargli la coperta
di
dosso.
“E va bene, piccola principessina ferita, ora mi
hai
veramente rotto le palle!”
Axel, ritrovandosi davanti il suo migliore amico
con la
faccia scura e deformata dalla rabbia che gli aveva strappato via il
lenzuolo,
si alzò sui gomiti, contrariato.
“Ma che ti ha preso Dem, sei impazzito? E poi non
urlare, ti
ho già detto che ho mal di testa!”
“Oh, ma per favore! Quanto sei bugiardo!!” disse
l’altro,
senza accennare ad un abbassamento di voce, “Ti stai solo nascondendo
qui
dentro, a fare la vittima, mentre là fuori c’è Roxas che muore dalla
voglia di
fare pace con te!”
Axel, sentendo quel nome, cambiò improvvisamente
espressione. Si alzò del tutto a sedere sul letto, guardando Demyx
dritto negli
occhi, uno sguardo carico di tensione.
“Non parlare di cose che non sai, Demyx. Roxas non
mi vuole
più, chiaro? Quindi non vedo perché devo tornare da lui, implorando il
suo
perdono per una cosa che non ho fatto!”
Demyx sospirò, spazientito, senza il minimo timore
da quel
brusco cambio di atteggiamento.
Axel e i suoi sbalzi
d’umore gli erano abituali come i pugni di Narusegawa lo erano per
Keitaro*.
“Ascolta, baka** che non sei altro: Roku, Socchan
e gli
altri partono domani. Domani, comprendi?!”
Axel lo guardò perplesso, come se avesse un uovo
spiaccicato
sulla fronte.
“E allora? Cosa dovrei fare, chiedergli ancora di
ascoltarmi
stasera alla festa e poi seguirlo fino a Tokyo pur di riprendermelo?”
chiese,
ironico.
Ma il ghignetto sorridente di Demyx (che,tra
l’altro, era
abbastanza inquietante) gli mise addosso una strana sensazione.
“…tu sei pazzo.” Disse seccamente, diventando
paonazzo.
Stava per ributtarsi a letto, quando Demyx
sorrise,
divertito, e si alzò per tornare alla sua chitarra.
“Sì, scusami, hai ragione.” Esclamò, con uno
strano tono tra
il divertito e lo scherzoso, senza voltarsi a guardarlo “In fondo,
certe cose
si fanno solo se si è innamorati di qualcuno. E quindi, perché dovresti
farlo?
Roxas è solo uno dei tanti, per te. Lui tornerà a Tokyo, e ognuno di
voi
riprenderà la vita di sempre, lontani, senza vedervi mai più.”
Finalmente si voltò verso Axel, che lo stava
fissando
imbambolato e con la bocca semiaperta,
Sorrise, divertito davanti a quell’espressione.
“Un programmino fantastico per il futuro. Vero,
Akuchan?”
**
Il rumore della musica era assordante, e con tutta
quella
gente che gli girava intorno Roxas si sentiva un calzino vittima della
centrifuga della lavatrice.
Sorseggiò la sua bibita senza troppa voglia, più
che altro
per poi mordicchiare l’estremità della cannuccia, e
diede un’occhiata in giro.
Cavolo, c’era davvero
tutto il villaggio, proprio come aveva previsto Xaldin.
Non solo gli ospiti, ma anche tutti gli addetti ai
servizi.
C’era perfino Saix-sama, che di tanto in tanto
appariva
dietro qualche pianta, seminascosto, osservando i ragazzi che ballavano
sotto
le luci colorate o quelli che pomiciavano nascosti sotto il buio di
qualche
palma.
Roxas sorrise vedendo Demyx che scatenava tutta la
sua
grinta dietro al bancone da dj, agitando le braccia a ritmo di musica e
mixando
canzoni su canzoni, una più originale delle altre.
Gli invitati, più o meno duecento persone, erano
più
scalmanati che mai, e in mezzo a tutta quella confusione lui aveva
finito col perdere
gli altri di vista.
Rikku e Yuna erano, ovviamente, al centro della
pista,
intente a ballare con Tidus e un tipo che gli sembrava di non aver mai
visto, e
l’ultima volta che aveva visto Selphie si stava allontanando verso i
campi
sportivi mano nella mano con Wakka- cosa che non aveva stupito affatto
Roxas,
perché, diamine, era ora che succedesse, quel poveraccio le aveva
sbavato
dietro per anni.
Quanto agli altri, zero assoluto.
Certo, qualche minuto prima gli era sembrato di
scorgere una
chioma bionda tra la folla attorno al tavolo del buffet, ma si era ben
guardato
dall’idea di avvicinarsi.
Non poteva perdonare Naminè per una cosa del
genere.
Baciare Axel. Axel. Il suo Axel.
E lui, come un deficiente, che non gli aveva
creduto. Che
non lo aveva ascoltato.
Quando Naminchan gli aveva rivelato di essere
stata lei a
baciare Axel, il suo primo istinto era stato quello di correre da lui,
cercarlo, e trovarlo in qualsiasi modo, dicendogli che, diavolo, gli
dispiaceva, che avrebbe dovuto credergli.
Ma poi era rimasto lì dov’era, fermo, con Naminè
di fronte a
lui che riusciva solo a guardarsi i sandali, in lacrime, mentre a lui
veniva
voglia di gridare il nome di Axel.
Prima della festa aveva seriamente pensato di
cercarlo, ma
quando aveva chiesto a Larxene-san se per caso lo avesse visto da
qualche parte
lei gli aveva detto che, citando le esatte parole, “quel testa di
cazzo” era
sicuramente nel suo bungalow a dormire come un sasso, e che
probabilmente non
si sarebbe presentato neanche alla festa.
Teorie che, purtroppo, avevano trovato conferma.
Da quando era arrivato, Roxas non faceva che
cercarlo con lo
sguardo, e se avesse potuto si sarebbe messo a piangere lì, davanti a
tutti.
Cielo, era stato un idiota.
Axel gli aveva detto la verità, ma lui era così
arrabbiato,
così…spaventato dalla consapevolezza di essere stato ferito ancora una
volta da
qualcuno…da averlo allontanato.
E proprio ora che avrebbe voluto parlargli, Axel
non c’era,
non c’era.
Era arrabbiato, sicuramente, incazzato come una
bestia, e
non poteva dargli torto.
…con che faccia avrebbe potuto presentarglisi
davanti e dirgli
che era stato un coglione? Lui gli avrebbe riso in faccia, mostrando i
denti
perfettamente bianchi e mandandolo a quel paese, dicendogli “Ehy,
cagnolino dei
miei stivali, potevi pensarci prima.”
Si diede il palmo della mano in fronte, ormai al
limite
della sopportazione.
Avrebbe tanto voluto che ci fosse qualcuno lì,
seduto
accanto a lui.
Kairi, magari. Sì, Kairi avrebbe saputo cosa
dirgli, quale
consiglio dargli, e lui lo avrebbe seguito ciecamente, perché era così
disperato che si sarebbe aggrappato a qualsiasi cosa.
Ma Kairi non c’era,
aveva accompagnato Paine in infermeria dopo che un tizio le aveva fatto
cadere
un bicchiere di vetro addosso, facendola sanguinare.
Ora che ci pensava, Sora non era andato con lei.
Gli era sembrato di vederlo andare verso la
spiaggia con
Riku, ma…boh, quella sera stava talmente fuori che si sarebbe
immaginato anche
un tricheco che va in altalena.
Per un attimo desiderò con tutto sé stesso di
farsi un altro
giro per la festa, tra la gente in pista, per trovare Axel.
Ma poi scrollò le spalle, dandosi dell’idiota.
Certo, il malinteso del bacio era stato un cazzata.
Ma ormai, non c’era niente da recuperare.
Domani se ne sarebbe tornato a casa, avrebbe
dovuto comunque
dirgli addio, prima o poi.
…certo...gli sarebbe piaciuto almeno baciarlo
un’ultima
volta.
**
Da quanto stava
correndo, ormai?
La pesantezza sulle gambe gli suggeriva un tempo
abbastanza
lungo, calcolando anche il fiatone e i polmoni che sembrava gli fossero
usciti
dal corpo e ormai stessero girando per il villaggio, facendosi un
giretto a
parte.
Dannate sigarette del cazzo!
Si concesse un minuto di pausa, fermandosi e
riprendendo
fiato, e ne approfittò per fare mente locale.
Dunque, non era nel suo bungalow, né in quello
delle
ragazze; in cucina non lo avevano visto, e ai campi sportivi c’erano
solo
Selphie e Wakka intenti a pomiciare appoggiati alla rete del campo di
tennis.
La musica proveniente dalla festa gli ricordò che
c’era ancora
la speranza di trovarlo lì, o in spiaggia.
E se non lo avesse trovato neanche lì?
Per un attimo lo sconforto si impossessò di lui, accerchiandogli la
testa come
l’effetto di una droga.
Ma poi capì che perdersi d’animo non gli sarebbe
servito a
niente.
Lo avrebbe visto, abbracciato, gli avrebbe parlato.
A costo di cercarlo per tutta la notte, a costo di
chiedere
a ogni singola persona che si trovava in quello stupido villaggio, a
costo di
bussare a ogni singola porta dei clienti, anche quelli che dormivano da
un
pezzo.
Roxas. Il suo Roxas.
Roxas, che l’indomani se ne sarebbe andato.
…doveva dirglielo prima che se ne andasse.
**
“Cos’è questa faccia schifata?”
“Uh, niente, So, tranquillo.”
“Non è veroooo, Riku! Sembra che tu stia per
vomitare!”
Riku rise, mentre Sora, sdraiato accanto a lui
fino a un
istante prima, ora gli stava salendo letteralmente addoso, il musetto
imbronciato e dalla vaga aria offesa e le mani strette in pugni che lo
colpivano sul petto.
“Dài, So, stavo scherzando. Gnam gnam, che buono!”
lo
schernì lui, godendosi Sora che scalciava sopra di lui, alzando la
sabbia
tutt’intorno a borbottando come un matto, ripetendo che era uno scemo e
che non
lo sopportava, quando faceva così.
“Insomma, sei cattivoRiku!” ripetè per la
millesima volta, col
fiatone, bloccando per un attimo il suo potentissimo attacco di pugni
(quanto
amo sfottere questo ragazzo, ohoh XD ndA).
Riku, che continuava a sorridere, ingoiò un altro
pezzo di
torta, finendo la fetta che Sora gli aveva portato.
Sora studiava la sua espressione, cercando un
elemento che
potesse tradirlo.
“Sei un ingrato.” Biascicò, dandgoli le spalle,
senza
veergognarsi di mostrarsi offeso, “ci ho messo un’ora per preparare
quella
roba. Un’ora con Xaldin! Ti rendi
conto?!” esclamò, esasperato, come se stesse parlando di combattere un
giaguaro
a mani nude.
Riku si trattenne dallo scoppiare di nuovo a
ridere, mentre
Sora, arrabbiato e ancora seduto sopra di lui, continuava a dargli la
schiena.
Sorrise, restando in silenzio, e alzandosi sui
gomiti avvicinò
le labbra al suo orecchio destro, così piccolo, immerso tra i ciuffi
castani
dei suoi capelli che, cristo santo, erano così
profumati da dargli alla testa.
“Mmmh…ma che piccolo chef, che abbiamo tra noi.”
Bisbigliò,
e sntendo il suo fiato sul collo Sora fu scoso da un brivido.
Riku ovviamente lo notò, ma non disse nulla
comunque; per il
momento, doveva farsi perdonare dal signor Mi Offendo Per Qualsiasi
Cosa.
Però, era così carino quando faceva così,
dannazione.
Vedendo che Sora non reagiva, gli leccò il collo,
veloce.
Solo una volta, che bastò a far voltare Sora, il cui volto ora era a
minima
distanza dal suo, anche se aveva ancora il busto verso il mare.
“Ti odio quando fai così.” Riuscì a dire, ancora
visibilmente irritato.
Riku lo osservò, sorridendo: “Dài, stavo
scherzando,
davvero. Era buona. E poi lo sai che mi piace la panna montata.”
“Quella è stata difficile da mettere” ammise Sora,
cambiando
umore improvvisamente, un po’ in imbarazzo. “Sì, cioè, volevo
assolutamente
guarnirci il sopra, ma non ruscivo a farlo in manera decente, e alla
fine è
venuto fuori solo un gran pasticcio. Era davvero brutta, quella torta,
a
vedersi.”
Restò in silenzio per un attimo, poi guardò Riku
negli
occhi.
“Però…è venuta buona, vero?” domandò con vispa
curiostà.
Riku non potè farea meno di accarezzargli la
testa, come se
fosse il più dolce dei cagnolini.
“Sì.” Disse, senza esitazone, “buonissima.”
Sora non lo ringraziò; eliminò la distanza tra
loro
baciandolo improvvisamente.
Riku rimase fermo mentre Sora studiava la sua
bocca, di
nuovo, come faceva sempre.
Ormai lui se l’era imparata a memoria, la sua.
Ma Sora no, ogni volta assaporava la lingua di
Riku con
attenzione, come se fosse la prima volta.
Riku, lentamente e senza staccarsi dalle labbra di
Sora, lo
abbracciò da dietro laschiena, accarezzandogli il petto languidamente.
Sora rimase fermo così, lasciando che Riku gli
lambisse i
pettorali praticamente inesistenti, mentre continuavano a baciarsi,
senza
fretta.
Erano riusciti ad appartarsi circa un’oretta
prima, e tra poco
se ne sarebbero dovuti tornare alla festa per non destare troppi
sospetti.
Sora lo sapeva che si stava facendo tardi, e
ricordandosene
all’improvviso si separò da Riku strattonandogli la maglietta.
“Do…dobbiamo tornare, Riku, o Kairi si accorgerà
che…non
siamo alla festa…”
“Mmmh…” mugugnò Riku, che, Sora lo capì, non lo
stva neanche
ascoltando, troppo preso a stampargli piccoli baci lungo il collo.
Sora avvrebbe voluto lasciarsi andare alle sue
attenzioni, a
quei gesti che lo facevano letteralente impazzire; ma preso com’era
dalla
preoccupazione che Kairi intuisse qualcosa, si voltò di modo da
trovarsi
nuovamente di fronte a Riku.
“Dài, Ri, alziamoci, dobbiamo tornare.”
Riku inarcò un spopracciglio, e in tutta risposta
lo baciò
ancora, stavolta con foga, lasciando che Sora si rilasssse solo per un
istante;
quest, di malavoglia, chiuse gli occhi, mentre Riku gli passava la
lingua sulle
labbra, succhiandole d tanto in tanto.
Sora lasciò condurre a Riku quello strano gioco, e
quando
lui iniziò a giocare con la lampo del suo giachetto…beh, ammise di non
volersi
ribellare più di tanto.
Si separarono, entrambi con il fiatone; Riku
continuava a
fare su e giù con la zip del giacchetto di Sora, ma questi lo fermò
mettendo
una mano sulla sua e guardandolo negli occhi.
“Riku…io non…non sono…scusami, è solo…che…”
L’altro lo fissò immobile per qualche istante, poi
sorrise e
gli baciò la fronte.
Sora rimase a guardarlo per un istante, ma quando
capì che
Riku non era arrabbiato ne fu così contento che lo baciò sulla bocca
come un
bambino.
Aveva capito…sul serio?
Avrebbe aspettato che lui fosse pronto…come poteva
non
perdere completamente la testa, dopo aver capito una cosa del genere?
**
“:..Namichan…sei sveglia?”
Naminè, nel buio, aprì gli occhi, restando con la
testa
affondata nel cuscino.
Kairi continuava a chiamarla già da qualche
minuto, e
finalmentesi decise a rispondere.
“Dimmi” bisbigliò, un po’ spazientita, ma Kairi
sembrò non
notarlo e riprese la voce basissima per non svegliare le altre. “…stai
bene,
Namichan? Ti vedo strana. E’ per la partenza?”
Naminè trattenne il fito. Avrebbe voluto
raccontarle la
verità, dirle che era stata per colpa sua, solo sua, se ora suo cugino
e il
senpai Axel stavano soffrendo, e tutto perché siera comportata come una
ragazzina.
Perchè …perché non era semplicemente andata da
Roxas a
dirgli che era gelosa di Axel?
Ok, Roxas probabilmente le avrebbe detto che aveva
seri
problemi mentali, e lei allora si
sarebbe trovata costretta a rivelargli tutta la verità.
Quella verità che gli nascondeva da parecchio
tempo, e che,
dopo quello che aveva combinato, avrebbe continuato a celare fino alla
morte.
“Sì.” Esclamò, cercando di non mostrare titubanza
e
sforzandosi di sorridere, nonostante fosse buio e Kairi non potesse
vederla.
Ma chissà, forse quel sorriso sghembo era rivolto
più a sé
stessa che all’amica, che a quelle parole si tranquillizzò.
Per fortuna, si trattava solo di nervosismo
pre-partenza…e
lei che aveva pensato che potesse essere successo qualcosa di grave!
Beh, avrebbe dovuto immaginarlo, in fondo. Stiamo
parlando
di Naminè, e si sa, non era una tipa che attirava a sé i guai.
“Oh, andiamo, non rattristarti Nacchan. Scommetto che Aku-san e gli altri senpai
verranno a trovarci a Tokyo. Ne sono più che certa!” disse, raggiante.
Naimnè rispose con un poco convinto “Sì…beh,
speriamo.”,
dopodichè le diede la buonanotte e chiuse nuovamente gli occhi.
Pochi minuti dopo, Kairi già dormiva
profondamente, lì
accanto. Poteva sentire il suo sospiro leggero e delicato.
Si sforzò di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa
che potesse
conciliarle il sonno, ma ogni volta che cercava di distrarsi le
appariva nella
testa il volto di Roxas che la guardava severo.
Avrebbe voluto scoppiare in lacrime al pensiero
che nonle
avrebbe più parlato, non si sarebbe pù confidato con lei. Non l’avrebbe
abbracciata, né accompagnata al cinema con la bici, e lei non avrebbe
più
potuto offrirgli il taiyaki*** al parco dopo la scuola, mentre insieme
tornavano a casa.
Una lacrima le rigò la guancia di traverso,
posandosi poi
silenziosa sul cuscino; Naminè si dedicò qualche altra goccia salata,
giusto
per sfogars un po’, senza singhiozzare, perché Kairi aveva il sonno
leggero e
sicuramente si sarebbe subito svegliata.
Poi, senza neanche asciugarsi gli occhi arrossati,
si addormentò
profondamente.
**
“…davvero non c’è?”
Tidus, in pigiama e con lo spazzolino da denti in
mano, fece
spalluce, con un’espressione mortificata in volto.
“Mi spiace, senpai,
se n’è andato via durante la festa e non è ancora rientrato. Non so che dirti.”
Axel sorrise, amareggiato.
“Non…non importa. Ticchan. Se dovesse tornare…puoi
dirgli
che lo sto cercando?”
“Certamente” disse l’altro, agitando la testa in
un gesto
che per un attimo lo fece assomgliare in maniera impressionante a Sora.
Axel lo ringraziò, e con un cenno della mano si
avviò verso
il vialetto.
Non poteva crederci. Davvrero. Eppure, lo aveva
cercato
ovunque.
Insomma, aveva
controllato il villaggio da cima a fondo più volte, e non lo aveva
incontrato
neanche una volta…com’era possibile?
Roxas sembrava essersi volatilizzato. E lui…lui si sentiva
tremendamente solo.
**
“Allora, fanciulle: una mano con i bagagli?”
Kairi inarcò un sopracciglio, scettica, mentre
trascinava
giù dal portico del bungalow i suoi bagagli.
“Demy-san, con quelle braccine floscie non
riusciresti a
portare manco un cestino di vimini” osservò, provocando una risata
generale.
La ragazza sorrise di rimando, mentre il resto del
gruppo,
ognuno pronto per partire, aspettava lì davant l’ultima arrivata…che,
ovviamente, era Rikku.
“Ricchaaaaaan!” gridò Yuna, dall’esterno, mano
nella mano
con Tidus che sbadigliava senza il minimo contegno, “Ma quanto cazzo ci
metti?”
Tidus smise d’un botto di allargare la bocca per
lanciarle
un’occhiataccia infastidita.
“Te lo devi togliere, questo vizio delle
parolacce.”esclamò
soltanto, ricevendo in tutta risposta un bacio sulla guancia che lo
ammutolì
all’istante.
Finalmente, anche Rikku uscì dal bungalow, e dopo
aver
gettato ai propri appartamentini gli ultimi sguardi malinconici, la
comitiva
rumorosa si avviò verso l’ingresso del villagio.
Il pullmino, lo stesso che li aveva portati
all’andata, era
parcheggiato lì, in bella vista, con il motore spento.
Il conducente, notarono Rikku e Sora, era sempre
lo stesso,
e entrambi si diedero di gomito, capendosi all’istante.
Lentamente, di soppiatto, gli si avvicinarono
mentre era
ancora di spalle, accanto al pullman, intento a fumare, e con un sonoro
“Ehilààààààààààààààààààààààààà”
lo fecero sobbalzare a mezz’aria.
“…Oh, santo cielo, non è possibile…” disse il
pover’uomo,
disperato, riconoscendo all’istante quei due mocciosi. “Ditemi che è
uno
scherzo!”
Rikku gli si gettò letteralmente in braccio,
sbattendo le
ciglia “Ti sono mancata, my sweety loveeeeee??” chiese, con voce a
tremila
watt.
“Come uno spillo nell’occhio” disse quello, in
tutta
risposta, mollandola sul pavimento.
Poi, rivolgendosi al resto del gruppo, gridò: “Vi
concedo
cinque minuti per i saluti, chiaro? Dopodichè, tutti in sella. Ho un
orario da
rispettare, io.”
Recepito il emssaggio, e con l’aiuto di Xaldin,
Xigbar e
Marluxia, sistemarono le valigie nel retro del pullmino.
Mentre ognuno si concedeva agli ultimi saluti,
Roxas non
riusciva neanche a rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Ma di una cosa era sicuro: Axel…Axel non era
venuto.
Non era venuto a salutarlo, e non lo avrebbe visto
mai più.
Mai più.
Le lacrime, lentamente, iniziarono a scorrergli
sul volto,
raggiundeo le labbra umide e tremanti.
Senza salutare nessuno, perché sinceramente non
gliene importava
proprio niente, di tutti gli altri, salì sul pullman, accanto ad un
finestrino
aperto, sperando che il vento che si stava alzando gli asciugasse gli
occhi.
**
“Vi prego di scusarlo…” aveva biascicato Kairi
davanti agli
amici, che alla vista di Roxas che scappava sul pullamn senza degnarli
neanche
di un saluto erano rimasti visibilmente offesi.
“Oh, non fa niente, piccola caramellina” esordì
Marluxia,
baciando le guance a tutti, “spero vi siate trovati bene qui, Verremo a
trovarvi a Tokyo il prima possibile, vero ragazzi?”
“Oh, ma sicuro” intervenne Xaldin, che, voltandosi
verso
Sora, gli diede una tanto amichevole quanto dolorsa pacca sulla spalla
che a
momenti gli fece sputare un polmone.
“Ehy, mi mancheranno le tue idiozie, pulce.”
Sora fece al cuoco l’occhiolino, sollevando il
pollice “Anche
a me mancheranno le litigate con te, capo.”
Larxene osservava la scena assieme a Zexyon,
profondamente
disgustata, ma quando Yuna, Rikku, e Selphie la salutarono, a Paine
sembrò
quasi di vederla sorridere.
Demyx era più silenzioso che mai: aveva un muso
lungo tre
metri, gli occhi un po’ opachi e i capelli insolitamente liberi dal gel.
Salutò Sora però con particolare entusiasmo,
mentre con Riku
si limitò ad una fredda stretta di mano.
“…trattalo bene, Capelli Bianchi”gli sussurrò,
senza
cattiveria.
Riku sorrise di rimando; non era una minaccia,
quanto una
promessa.
In fondo, Demyx non si era dimostrato così male.
“Ehy, ma…dov’è Aku-chan?” chiese all’improvviso
Sora,
guardandosi attorno.
Demyx si limitò a mentire, odiandosi: “Non è
riuscito a
venire, Socchan. Ma vi saluta tutti, uno ad uno, e ha detto che verrà
il prima
possibile.”
Gli altri gli lanciarono uno sguardo alquanto scettico: tutti ad
eccezione di
Sora, che ovviamente cretino com’era non aveva minimamente sospettato
che fosse
una menzogna.
Il conducente li chiamò all’improvviso,dicendogli
che era
ora di andare; mentre tutti correvano verso il pullman, fecero in tempo
a
voltarsi un’ultima volta verso il villaggio, verso i loro nuovi amici,
agitando
le mani in esuberanti cenni di saluto.
“A prestoooo!” gridò Sora, con tutto il fiato che
aveva in
gola.
E mentre Riku gli ripeteva di salire su quel
dannato
pullman, Sora sentì una morsa allo stomaco.
Quell’estate aveva cambiato ogni cosa.
E quel villaggio racchiudeva molti momenti che
lui, ne era
certo, non avrebbe mai dimenticato.
Sentiva che nessun altro luogo al mondo, neanche
il più
bello o elegante, gli avrebbe dato la stessa magia del Natsu Club.
Sospirò, capendo che, una volta salito, quel
pullman non lo
avrebbe portato più indietro.
Ormai, il mondo degli adulti lo aveva accolto
definitavemnte
tra le sue braccia.
E lui, anche se con qualche difficoltà…ne era
entrato a far
parte.
Certo, c’erano ancora parecchie cose in sospeso:
la scuola, la
relazione con Riku, il rapporto con Kairi…ma, pian piano, avrebbe
superato ogni
cosa.
Oh, sì.
Ogni cosa.
**
“Bene, ragazzi, non cominciate a far casino, per
favo..”
Ma l’autista non riuscì neanche a terminare la frase che Rikku, in
piedi con
Yuna e Selphie, si era già impossessata del microfono.
“Oh, coraggio, my love, non vuoi sentire come
canto bene l’opening
di Kodocha??****” chiese, con entusiasmo, e neanche quel poveraccio
potè
rispondere che la bionda, saltellando que là – e fregandosene
ampliamente del
cartello su cui era scritto ‘vietato stare in piedi’ accanto al
conducente-
iniziò a cantare a squarciagola.
Tutti, nonostante stessero tornando a casa,
sembravano aver
mantenuto un tono abbastanza allegro; il lavoro era finito, i soldi li
avevano
guadagnati e si erano divertiti come pazzi.
Perfino Riku non faceva che sorridere a tutti,
anche se in
quel caso la natura della sua allegria risideva in…come dire…altri
motivi.
Kairi era seduta accanto a Paine, e Sora, vicino a
lui,
rideva come un pazzo assieme agli altri davanti a Rikku e al suo
spettacolino.
E le loro mani…le loro mani erano intrecciate,
ancora una
volta.
**
Roxas piangeva.
Piangeva come non aveva mai fatto in tutta la sua
vita.
Senza il minimo pudore, ma al tempo stesso
nascosto tra gli
ultimi posti.
Sentire che gli altri attorno ridevano euforici,
mentre a
lui sembrava di avere un coltello conficcato nel petto, lo stava
rendendo
pazzo.
Osservò la strada che, fuori del finestrino,
cominciava a
correre, prima piano, poi semrpepiù veloce.
Basta, non ce la faceva più.
Voleva morire.
Anzi, non morire…sarebbe stato troppo.
Ma, sicuramente, voleva andarsene a casa.
Sì…a casa…
“Ehy, quello la fuorì non è Axel?!”
La voce di Yuna che guardava fuori dal finestrino
del
conducente gli fece sbarrare gli occhi di colpo.
Tutti si affiacciarono, guardandosi indetro.
Roxas portò fuori anche lui il capo, ad occhi
chiusi.
“Ti prego, Signore. Ti prego…fai che ci sia
davvero…”
Raccolto tutto il suo coraggio, finalmente aprì
gli occhi.
Dietro il pullman, in sella ad una patetica
bicicletta
arrugginita, con capelli rossi che
sfrecciavano contro il cielo limpido…c’era.
C’era davvero…
Mio Dio..c’era…Axel…
AXEL!
“Axeeeeeeeeeeel!” gridò, portandosi fuori dal
finestrino il
più possibile, mentre il vento gli batteva doloroso contro la schiena.
Il più grande, da sopra la bici, lo guardò per un
istante;
poi, sorridendo raggiante, un sorriso che non avrebbe motrato mai più a
nessuno, affrettò il movimento delle gambe.
Sentiva i muscoli dolergli, fargli un male cane,
ma non
avrebbe mai rallentato per nessuna ragione al mondo.
Con un ultimo sforzo, riuscì ad arrivare sotto il
finestrino
di Roxas, e finalmente…finalmente si guardarono negli occhi.
“Roxas…sono…qui, Roxas. Sono venuto per te.”
Disse,
affannato, cercando di mantenere quella distanza.
Roxas sorrise, e senza che potesse opporsi versò
altre
lacrime.
Ma stavolta…stavolta non erano lacrime di dolore.
Per la prima volta nella sua vita…quelle lacrime
non gli
bruciavano la pelle.
“Sì…” riuscì solo a dire, cercando di resistere
alla
tentazione di gettarglisi addosso. “Sì, lo so…”
Mentre tutti restavano ad osservare la scena (la
maggior
parte dei quali completamnete sconvolti), Kairi si alzò in piedi e
raggiunse il
conducente.
“Salve, emh…signor autista.”
Il tipo non la degnò neanche di un’occhiata,
limitandosi a
borbottare.
Ma Kairi, sorridendo imbarazzata, ci riprovò:
“Stavo
pensando…emh…potrebbe fermare l’autobus solo per un istante?”
Il conducente, stavolta, la guardò, con
un’espressione tutt’altro
che accomodante.
“Oh, certo, signorina, e magari ci facciamo pure
un bel
pic-nick nei boschi qui vicino, vero?”
A quel punto, non le bastò che una mossa: con
decisione, e
sotto gli occhi sconvolti dei presenti (tranne Roxas, troppo preso
dalla sua
scena da film per rendersi conto di cosa gli accadeva intorno), mise
con
decisione un piede sulle aprti basse del conducente, facendo pressione
un poco
che bastava per farlo impallidire.
In tutta risposta, mostrò uno dei suoi sorrisi più
sgargianti.
“Se non fermi subito questo ferrovecchio, ti
stritolo le
palle. E non sto scherzando.”
Il pullman frenò all’istante, facendo sbattere
tutti contro
il sedile davanti.
“Cuginetto…perché non prendi un po’ d’aria?”
Roxas rientrò completamente dentro, sentendo la voce di Kairi al
microfono.
Non se lo fece ripetere due volte; scese dal
sedile, e
correndo si diresse evrso l’uscita.
Ma un istante prima di scendere, fece marcia
indietro e
tornò davanti a Kairi, guardandola negli occhi.
“…ti voglio bene.” riuscì solo a dirle, per poi
abbracciarla.
Kairi si godette quel calore per un attimo, poi si
separò da
lui.
“Coraggio,” gli disse, strizzando un’occhio, “Axel
ti
aspetta.”
Roxas, finalmente, sceseda quel pullman, e si fermò.
Axel, davanti a lui, fermo immobile su quel
vialetto
ombrato, lo guardava.
Alle sue spalle, il villaggio abbastanza lontano,
ma ancora
visibile in collina.
“…ho perso la scommessa, Rox.”
Roxas si avvicinò, finendo a poca distanza dal suo
viso.
“Ma davvero? Non mi dire…” esclamò, ironico.
Axel inarcò un sopracciglio, spavaldo.
“Beh, mica è colpa mia se mi hai fatto perdere la
testa.” Fece
un istante di pausa “..ho perso. Alla fine sei stato tu,
conquistare me.”
”Già, beh, diciamo che è stata una parità.” Concesse Roxas,
avvicinandosi
ancora.
Axel si chinò di un poco, a ormai pochi millimetri
dalla sua
bocca.
“…sai, credo proprio che mi ci troverò benone, a
Tokyo.”
Roxas trattenne il fiato per un attimo, restando
completamente sconvolto e privo di qualsiasi parola.
Ma poi capì che non serviva una risposta: con un
salto gli
circondò il collo con le braccia e lo baciò.
Ancora una volta.
E, mentre tutti alle loro spalle fischiavano e
applaudivano,
entusiasti come se stessero guardando il finale felice del loro
telefilm
preferito, Roxas sorrise contro le labbra di Axel, il suo
Axel.
Quando si separarono, Axel gli sorrise ancora,
guardandolo
dritto negli occhi.
Roxas gli baciò il naso, mettendosi a ridere, e
poi lo
abbracciò, tuffandosi nella sua t-shirt di seconda mano, che sapeva di
fumo, di
mare e di cioccolato.
Che era pregna di Axel.
“…oh, sì, “concluse, sognante, “…il meglio deve
ancora
arrivare.”
Fine.
Note dell’autrice:
Ce l’ho fatta.
Mio Dio, non psso credere di avervi fatti
attendere un anno.
UN ANNO, cristo santo. Sono mortificata, ma ho avuto mille problemi, e
poi è
ricominciata la scuola e tra un impegno
e l’altro…beh, insomma, non ce la facevo proprio, a scrivere.
Ad ogni modo, sono qui.
Sono tornata, e Summer Time ha visto la conlusione.
Santo Cielo, questa storia è stata così importante
per me
che ora non so neanche dirvi come mi sento.
Ma in fondo c’è ancora Winter Time da scrivere, e
credetemi,
i guai arriveranno anche lì.
Sapete, avevo il terrore che non riuscissi a
scrivere un
finale decente, perché è stata una storia che ha riscosso parecchio
successo, e
per questo sono grata ad ognuno di voi.
Allora..che ne pensate della conclusione? Vi
aspettvate di
meglio? Fatemi sapere, mi raccomando, e ancora…perdonatemi, dico
davvero.
Un abbraccio a tutti, alla prossima ficcy ^__-
MagikaMemy
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