Ho
modificato il capitolo precedente, grazie alle indicazioni di Ely79, che
ringrazio molto per le indicazioni! Accidenti, per poco non mi pigliava
un colpo quando mi hai fatto notare la similitudine tra Gari Stuart e
Gary Stu: ti giuro che ho cacciato un urlo... e mi sono affrettata a
cercargli un altro cognome! Ho riletto il capitolo e corretto alcuni
strafalcioni. in effetti per i 'dislivelli regolari'... intendevo a
distanza regolare, ma la mia mente malata a semplificato il tutto in
una frase senza senso, ahimè... U.U Ti ringrazio ancora e se
trovi altri errori non farti remora a farmeli notare! mi serve
proprio...
Chiedo
scusa per l'enorme ritardo, ma non avevo ispirazione. Spero di poter
aggiornare il prima possibile e mi raccomando leggete e recensite
numerosi!
Eileen
Nel cuore della notte, una
ragazza urlò con tutte le sue forze.
George Ross si
svegliò di soprassalto, gettò di lato le coperte
e balzò in piedi, subito lucido; corse fuori dalla stanza,
mentre sua figlia continuava a strillare.
“Eileen!”
gridò, raggiungendo la sua stanza. Spalancò la
porta e trovò la ragazza che si agitava nel letto, lanciando
urla sempre più forti; si chinò su di lei e la
scosse chiamandola per nome, finché non si
svegliò.
Eileen aprì gli
occhi di scatto, il respiro spezzato dalla paura e
dall’angoscia.
“Tesoro, era solo un
incubo” la tranquillizzò George, accarezzandole la
fronte umida di sudore. “È finito,
adesso…”.
Ma Eileen non si calmava.
“È tornato!” gridò, facendolo
sussultare. “Neshfir è tornato!”.
George sbiancò.
“Che cosa stai dicendo?” mormorò.
“Neshfir…”
ripeté lei, tremando come una foglia.
“L’ho visto, è tornato! Non era un
incubo!”
George non smetteva di
fissarla, sconvolto. Non doveva accadere, non di nuovo…
Eileen si appoggiò
al petto di suo padre, singhiozzando e rabbrividendo, mentre lui la
stringeva forte.
***
George respirava appena, mentre
distoglieva lo sguardo dai due corpi martoriati. Non voleva
più guardare quello spettacolo orribile…
Nick Martin deglutì
e si chinò sulla donna distesa sul pavimento, cercando
eventuali segni di vita, ma anche se non fosse stato un medico, avrebbe
capito con un solo sguardo che non era più in questo mondo.
Trasse le stesse conclusioni anche per l’uomo riverso
disordinatamente sulle coperte. Entrambi i cadaveri presentavano
profonde artigliate e strane ustioni e solo una creatura poteva
lasciare segni del genere, a quanto ne sapeva. Ma com’era
possibile che si fosse ripresentato così presto?
“Dottore…?”
La voce di George era tesa, mentre tornava a guardare i coniugi
Armstrong.
“Non
c’è più nulla da fare”
confermò Nick, a disagio.
Il signor Ross
sospirò e si passò una mano sul volto.
“Eileen aveva ragione, non era un semplice incubo quello che
ha avuto stanotte”.
“George, se
lui… se lui è riapparso…”.
“Lo so, lo
so!” George fece un gesto stizzito. “Non serve che
mi ricordi ciò che è successo quattordici anni
fa! Mio figlio Jeb ne porta ancora i segni!”
I due uomini tacquero, pensando
al ragazzo e a tutto quello che aveva dovuto subire: anche per lui era
cominciato così, con una specie di sogno che lo aveva
svegliato nel pieno della notte e che si era rivelato solo
l’inizio di una disperata corsa contro il tempo per la
sopravvivenza sua e del mondo.
“Dovremmo
andarcene…” disse infine George, scacciando quei
pensieri. “Qui non possiamo fare nulla e se arrivasse la
polizia avremmo troppe cose da spiegare. E non voglio lasciare Eileen
da sola per troppo tempo”.
Nick assentì e
insieme uscirono dalla villa, mentre le prime luci dell’alba
rischiaravano il cielo.
George era ansioso di tornare
da Eileen, la sua secondogenita, che li stava aspettando nella macchina
lasciata a qualche chilometro di distanza. Al pensiero della sua
piccolina, gli si strinse il cuore: ciò che
l’aspettava era una lotta senza tregua, esattamente
com’era successo con Jeb. Eppure non riusciva a
capacitarsene: com’era possibile che Neshfir, distrutto solo
quattordici anni prima, fosse già rinato?
Non poté fare a meno
di provare un brivido nel ripensare al brusco risveglio che li aveva
colti impreparati quella notte; le urla di sua figlia, la corsa verso
la sua stanza e le parole che lei aveva gridato appena
sveglia:‘È tornato! Neshfir è
tornato!’.
A quel punto George aveva
capito che quello non era un semplice incubo: Eileen non aveva mai
saputo il nome della creatura contro cui Jeb aveva in precedenza
lottato, a malapena sapeva che fosse mai esistita. E allora, giusto il
tempo di chiamare Nick ed erano corsi fin lì, solo per
trovare una famiglia annientata.
“Pensi che lui lo
sappia?” chiese infine Nick.
“Non ne ho idea. Io e
lui non ci parliamo molto, ultimamente” ammise George,
abbassando lo sguardo. Non riusciva a pensare a suo figlio senza
provare dolore: si era sempre sentito in colpa per non essere riuscito
a proteggerlo, per aver lasciato che lo addestrassero a combattere
contro Neshfir; poi, da quando Jeb se n’era andato di casa,
tutto era precipitato. Ogni volta che provava a chiamarlo lui non
rispondeva, non voleva nemmeno sentire la sua voce, figurarsi vederlo
di persona; per questo, nonostante fosse sicuro che al momento abitasse
a Dublino, George non aveva mai provato ad andare da lui.
Per un periodo si era convinto
che, una volta sbollito il rancore, Jeb sarebbe tornato spontaneamente
a casa, ma ciò non era mai avvenuto: i mesi si erano
tramutati in anni e ora temeva che suo figlio non avrebbe mai smesso di
odiarlo. Non poteva dargli torto: non era mai stato un buon padre per
lui.
“Immagino…
che per una cosa del genere… mi avrebbe chiamato
immediatamente” disse poi, con la voce spezzata.
***
Eileen se ne stava
raggomitolata contro lo sportello dell’auto, stringendo il
cappotto sul suo corpo freddo come il ghiaccio. Aveva anche alzato il
riscaldamento, ma continuava a tremare. Aveva paura, era stanca e
provata da ciò che stava accadendo: solo il giorno prima era
una quattordicenne come le altre, forse con qualche problema in
più, visto che aveva perso la madre e suo fratello era
scappato di casa, ma queste erano cose che accadevano fin troppo spesso.
Invece non accadeva a nessuno
di svegliarsi nel cuore della notte e scoprire che quello che si
credeva un sogno molto vivo era la realtà. Nessuno aveva
visioni di morte, nessuno!
Eileen chiuse gli occhi e
singhiozzò, mentre brevi flash del suo incubo tornavano in
superficie: soprattutto una creatura umanoide, con le sembianze di un
ragazzo ma con orribili ali di una brutta sfumatura marrone e artigli
taglienti e letali. Una creatura che aveva ucciso due persone senza che
loro riuscissero a difendersi…
Sussultò quando la
portiera si aprì.
“Tesoro, calmati,
sono io” la tranquillizzò George. Lei lo
guardò con gli occhi pieni di lacrime, poi si
tuffò tra le sue braccia.
“Papà…”
mormorò singhiozzando. Il genitore la strinse a
sé e scivolò nel sedile accanto a lei,
accarezzandole i lunghi capelli color castano chiaro.
“Papà, era tutto vero? Li avete
trovati?” chiese mentre Nick saliva al posto del guidatore e
metteva in moto.
“Sì,
cucciola. È tutto vero”
Lei singhiozzò
più forte. “Cosa… cosa
accadrà adesso?”
“Shh…”
mormorò lui, nel tentativo di calmarla. “Ora pensa
a riposare. Ti dirò tutto quando saremo a casa”
Eileen annuì, ma
sapeva che non sarebbe riuscita a riposare, non dopo ciò che
aveva visto.
***
Nick posò una tazza
di camomilla di fronte alla ragazza, che subito la prese tra le mani
per riscaldarle.
“Grazie”
mormorò. Erano seduti nello studio di George e lei
attendeva, con gli occhi gonfi di pianto, che si decidessero a
raccontarle tutta quella storia, ma suo padre sembrava distratto e
fissava la parete senza vederla.
“Chi è
Neshfir? O meglio, cos’è? È contro di
lui che ha lottato Jeb, vero?” chiede quindi la ragazza.
Nick non smetteva di guardarla
addolorato. ‘Ha solo quattordici anni’
pensò. Del resto, Jeb ne aveva dieci quando tutto era
cominciato.
George si riscosse dai suoi
pensieri e tornò a contemplare la figlia.
“Neshfir…” mormorò, quasi
parlando a se stesso. “Bene. Neshfir è
un’entità difficile da definire. Alcuni lo
considerano un demone, altri uno stregone, altri uno spirito del
male…” cominciò, con voce
più sicura. “Io credo che sia tutto questo.
Comunque tu voglia definirlo, è una creatura del male il cui
fine ultimo è la distruzione completa del genere
umano“.
“Papà!
Papà, questa non è una lezione!” lo
fermò la ragazza. “Parli come un
professore!”
George abbassò lo
sguardo. “Lui è il male” riprese.
“È il male nella sua forma più pura.
Non ha sentimenti come l’amore, non prova pietà,
vive dell’odio e della paura delle persone. Vive per
distruggere e la tua visione dovrebbe dartene
un’idea”
Eileen rabbrividì al
ricordo di tutta quella violenza, ma attese paziente che il padre
continuasse il racconto. Bevve un sorso di camomilla, attenta a non
scottarsi.
“Nessuno è
mai riuscito a sconfiggerlo definitivamente. Forse è
impossibile: il male è insito nel mondo, non puoi scacciarlo
una volta per tutte. Certo, Neshfir può essere battuto,
almeno per il momento, ma torna sempre. Ci sono persone - come te, come
Jeb - che sono in grado di uccidere la forma di Neshfir che affrontano.
Di solito impiega qualche centinaio d’anni per rigenerarsi e
svegliarsi dal suo lungo sonno”. George fece
un’altra pausa e cercò lo sguardo di sua figlia.
“Eppure, questa volta, qualcosa è andato storto.
Quattordici anni fa, toccò a tuo fratello: lo sconfisse,
nonostante fosse così giovane. Fu molto coraggioso, non
risparmiò energie mentre combattevano. Neshfir sembrava
più forte, ma Jeb era instancabile: ogni ferita che
riceveva, la infliggeva a sua volta all’avversario. E alla
fine trionfò” sospirò. “Ma
ora, dopo soli quattordici anni, Neshfir è rinato”.
“Ma che aspetto
ha?” chiese Eileen dopo un po’. “Voglio
dire, presenta sempre la stessa forma?”
La pausa di suo padre fu
più lunga, questa volta. “Nei casi
documentati…” cominciò alzandosi e
andando a frugare in una libreria. Tornò con un grosso
volume rilegato. “…Neshfir si presenta sotto la
forma di un essere mostruoso, alto quanto un uomo ma molto, molto
più forte; la sua pelle non può essere scalfita
dalle armi comuni, solo pochi prescelti hanno la possibilità
di danneggiarlo in qualche modo. Tu sei una di queste
persone”.
Eileen guardò la
figura che campeggiava sulla pagina che suo padre le aveva aperto
davanti; era solo un disegno, ma riusciva a rendere tutta la
crudeltà e l’orrore che Neshfir emanava: era
orribile, una figura con due gambe e due braccia come un umano ma
dall’aspetto più possente, completamente glabra,
dalla schiena vagamente ricurva; possedeva lunghi artigli letali e un
volto allungato, con occhi completamente gialli e file di denti aguzzi
che non avevano nulla da invidiare a qualsiasi predatore.
“Ma io…
nella visione era tutto diverso…”
farfugliò Eileen.
“Tutto
diverso?” chiese Nick, stupito.
“Lui era…
non era così…” disse Eileen guardando
entrambi. I suoi occhi erano ancora gonfi di pianto. “Aveva
l’aspetto di un ragazzo alato, ma era sicuramente
lui… come se si stesse ancora trasformando”
concluse, pensierosa.
George si accigliò.
“Molte nozioni riguardanti questo essere non sono giunte fino
a noi, ci sono molte cose che non conosciamo. Devi sapere che nella
fase più avanzata Neshfir riesce a modificare il suo aspetto
per confondersi tra gli uomini, cosa che lo aiuta nel suo piano di
distruzione, ma non è mai accaduto che ottenesse questa
facoltà all’inizio. Penso piuttosto che abbia
trovato uno stratagemma per rinascere così
presto…” osservò.
Eileen boccheggiò.
“Intendi dire che forse ha usato un ragazzo per tornare in
vita?” chiese, con voce flebile.
“Il
ragazzo…” intuì Nick, aggrottando le
sopracciglia. Padre e figlia si voltarono confusi verso di lui.
“Il figlio degli Armstrong non era presente quando
c’è stato l’attacco: abbiamo pensato che
fosse a dormire da un amico, ma potrebbe essere andata
diversamente” si spiegò.
“Pensi che
lui…” cominciò George, ma Nick lo
bloccò con un gesto della mano.
“Prima di saltare
alle conclusioni, ho bisogno di fare alcune ricerche. Tieni conto che
il luogo in cui Jeb lo ha sconfitto non era lontano da quella
casa” disse il dottore. “Voi cercate di mettervi in
contatto con Jeb e preparatevi a patire. Io tornerò non
appena avrò idee più chiare
sull’accaduto”.
George annuì e
guardò l’amico uscire.
“Partire? E per
dove?” chiese Eileen, presa alla sprovvista.
George esitò,
voltandosi verso di lei. “Dobbiamo portarti in un luogo
sicuro, Eileen…” disse. “I tuoi poteri
non sono ancora sviluppati e, se Neshfir ti trovasse, non avresti
speranze, ora come ora. In un posto protetto, imparerai a
difenderti”.
“Quindi…
dovrò combattere? Non c’è altra
soluzione?” La voce di Eileen divenne più acuta.
“Sai che, se ci
fossero altre possibilità, non ti lascerei affrontare tutto
questo…” replicò lui. Il suo tono
riproduceva fedelmente tutta la frustrazione che provava e, alzando lo
sguardo, Eileen notò tutto il dolore che gli provocava.
“Lo so,
papà…” mormorò. Rimase in
silenzio, a lungo. “E dove andremo?”
“Prima di tutto,
passeremo da Dublino: dobbiamo parlare con tuo fratello e preferirei
farlo a voce” spiegò l’uomo.
“Poi, insieme, troveremo il luogo adatto”.
“Ma sei sicuro che io
abbia questi poteri di cui parli? E in cosa consistono?”
insistette lei. “Ci sono ancora tantissime cose che non mi
hai spiegato. E come farò ad imparare? Chi
m’insegnerà? Quanto tempo impiegherò a
padroneggiare i miei poteri?”
George indietreggiò,
travolto da tutte quelle domande. “Non abbiamo molto
tempo…” disse. “Molte cose
dovrò spiegartele in viaggio; comunque non sarai sola: ci
saranno persone che potranno insegnarti tutto ciò che devi
sapere e avrai degli alleati, ragazzi con dei poteri che ti aiuteranno
nell’impresa”
“Ci sono altri come
me, dunque?”
“Sì, ma
è più complicato di quanto pensi”
George si risedette, con un sospiro, e lanciò
un’occhiata grave alla figlia. “Devo raccontarti
una storia, una leggenda. Non so quanto ci sia di vero, ma contiene
qualche verità accertata”
Eileen annuì
meccanicamente.
“La leggenda narra
che, con l’evoluzione del genere umano, anche il male crebbe
con esso: fu così che venne generato Neshfir, una creatura
alimentata dall’odio e dalla crudeltà degli stessi
uomini; ma la prima volta che si manifestò, nessuno
sembrò in grado di fronteggiarlo. Lui e i suoi compagni
fecero strage di uomini, donne e bambini, scagliandosi con
crudeltà mai vista sulla popolazione più debole.
Le prime comunità che incontrò non poterono
opporvisi: per quanto i villaggi radunassero i guerrieri migliori,
quelle creature erano troppo forti e violente. Sembrò la
fine del genere umano. Fu allora che sette ragazzi sopravvissuti,
provenienti dalle diverse parti del mondo toccate da Neshfir, nello
stesso momento chiesero aiuto ai loro dei, per ricevere la forza per
combatterle: per vendicare le proprie famiglie uccise e per salvare chi
era ancora in vita. Il loro desiderio fu esaudito: i ragazzi si
scoprirono portatori di un potere in grado di contrastare quegli esseri
mostruosi che avevano messo in pericolo le loro vite e quelle dei loro
cari; tutti e sette erano diventati potenti, ma uno di essi prevaleva
come forza e come abilità e divenne la guida dei nuovi
Guerrieri. Affrontarono Neshfir e dopo una lunga battaglia lo
sconfissero. Con esso, anche gli altri demoni scomparvero e i giovani
Guerrieri tornarono alle loro case distrutte: ricostruirono i loro
villaggi o le loro tribù, e la storia riprese il suo corso.
Ma passarono i secoli e Neshfir fece di nuovo la propria comparsa e i
poteri dei Guerrieri rinacquero nei loro eredi”.
Eileen ascoltava ammaliata.
“Quindi… io discenderei da uno di quei
ragazzi?” chiese. Il padre annuì. “Non
si conoscono i loro nomi?”
“No, non sappiamo
altro di loro, non sappiamo nemmeno quanto di questa leggenda sia
autentico, ma una cosa è assolutamente vera, ossia la
discendenza: nella storia, tutti i Guerrieri sono legati ai precedenti
in qualche modo” spiegò lui.
“Anche Neshfir ha dei
compagni…” mormorò
all’improvviso Eileen.
“Sì, sono
legati a lui indissolubilmente. Il loro numero cresce ogni volta che
lui ricompare: inizialmente erano solo tre…”
“E adesso? Quanti
sono, ora?” chiese la ragazza.
Lui rimase in silenzio a lungo.
“Dovresti andare a prepararti…” disse
poi. “Dobbiamo partire al più presto”
Eileen provò un
brivido e capì che la lotta sarebbe stata ancor peggiore di
quanto si aspettasse.
***
George non aveva mai parlato di
tutto quello a Eileen e ora si pentiva di non averlo fatto: se non
altro, sarebbe stata più preparata.
Ma, del resto, quando ancora
Jeb era a casa con loro, il ragazzo si rifiutava di parlarne e lui
rispettava la sua decisione. Quando poi se n’era andato, il
ricordo di quell’esperienza che li aveva allontanati faceva
troppo male per riaffrontare il passato.
Eileen a quel punto,
però, aveva cominciato a fare domande sul perché
il suo adorato fratellone non tornava a casa e aveva dovuto raccontarle
qualcosa sulla lotta che Jeb aveva affrontato, ma non tutto, solo lo
stretto indispensabile per spiegarle il comportamento del fratello: era
giusto che fosse Jeb a parlargliene, quando e se avesse voluto.
Sapeva che lui era in contatto
con la sorella, che un paio di volte le aveva fatto la sorpresa di
andare a prenderla a scuola; almeno di questo George poteva
rallegrarsi: il rapporto dei due fratelli, nonostante la notevole
differenza di età, era sempre stato molto buono e non voleva
che Eileen soffrisse troppo la mancanza di Jeb. Era per questo che non
aveva mai fatto domande, che aveva finto di non sentire quando aveva
scoperto Eileen, alle due di notte, a parlare al telefono con il
fratello. Non aveva mai guardato nella posta elettronica della figlia
per vedere cosa Jeb le scriveva. Se il figlio avesse saputo che il
padre tentava di spiarlo tramite Eileen, avrebbe rotto i ponti anche
con lei e questa era l’ultima cosa che voleva.
Sapeva che Jeb stava bene, che
se la cavava nel mondo esterno, e tanto gli bastava. Grazie a Nick,
sapeva che anche economicamente tirava avanti e che aveva un lavoro
fisso che gli consentiva di vivere abbastanza bene, forse con qualche
minimo sacrificio, ma quelli erano briciole in confronto a
ciò che aveva già affrontato. Non sapeva altro
della sua vita privata, non voleva spiarlo ulteriormente e Jeb non gli
avrebbe mai risposto, anche se si fosse degnato di parlargli.
Era sempre stato consapevole di
poter fare poco o nulla per riavvicinare suo figlio, ma ora Jeb doveva
sapere ciò che era accaduto quella notte; doveva fare
ciò che non aveva mai voluto fare: rientrare a forza nella
vita di suo figlio, obbligarlo ad ascoltare.
***
Eileen tirava su col naso
mentre riempiva la grossa valigia sgualcita che aveva aperto sul letto;
il rosso del bagaglio cozzava col violetto del piumone, ma lei nemmeno
lo notava. Ancora non riusciva a capacitarsi di tutto quello che le
stava capitando e già era costretta a partire.
Chissà quando
rivedrò questa casa, o quando uscirò di nuovo con
le mie amiche… rifletté, angosciata. Quasi le
venne da ridere: in un momento come quello pensava alla sua camera e
alle amicizie? Stava per affrontare un mostro! La aspettavano mesi di
combattimenti e dolore, come poteva perdere tempo ad essere
nostalgica?! Doveva smetterla di pensare a quelle frivolezze e
concentrarsi sull’obiettivo.
Ma in fondo questa era la mia
vita, prima che il destino si rivoltasse contro di me…
soppesò Eileen, sedendosi sul materasso. Sentendosi una
stupida, riprese a piangere e gli sembrò di non aver fatto
altro da quando si era svegliata; ma non singhiozzava più:
non era più un pianto disperato, piuttosto era
rassegnato… come se volesse sfogarsi una volta per tutte,
per poi riprendere in mano le redini di quella brutta situazione.
Voleva essere forte, voleva
alzarsi e finire la valigia, invece rimase seduta. Si limitò
a guardarsi attorno, mentre le lacrime le rigavano le guance: ogni
fotografia, ogni poster, ogni oggetto accatastato sulla scrivania o
sugli scaffali era un cimelio di una vita che ora le appariva lontana,
e che pure era durata fino al giorno precedente. Ad ognuno era
associato un ricordo e un volto, come il poster del suo attore
preferito che la sua migliore amica le aveva regalato due anni prima, o
i fumetti che il suo compagno di classe - Justin, quello carino, quello
con cui sperava di uscire proprio quel finesettimana, quello a cui
avrebbe dato buca dopo aver penato così tanto prima di
essere invitata ad un innocente ma promettente appuntamento al cinema -
le aveva prestato dopo che si erano scoperti appassionati della stessa
saga… erano i primissimi numeri, quelli che lei non era mai
riuscita a trovare.
Ora anche Justin le appariva
lontano, sfocato. Chissà, forse non l’avrebbe
più rivisto…
Si rialzò,
asciugandosi le ultime lacrime. No, lei doveva tornare! Quello non
poteva essere un addio, lei doveva vincere, anche se non sapeva ancora
come.
Mentre infilava gli ultimi
vestiti nella valigia, l’occhio le cadde sul portafoglio; con
un sospiro lo aprì e vide i suoi documenti, che la
identificavano come Eileen Ross. Fece una smorfia: il suo cognome non
era Ross, bensì O’Sullivan.
Ross era il nome della sua
nonna paterna da nubile; forse per il desiderio di voltare pagina, poco
dopo la perdita della moglie, suo padre aveva mollato tutto - il suo
posto d’insegnante in una scuola prestigiosa, le sue amicizie
- e si era trasferito in quel paesino nel nord della Scozia, nella casa
ereditata dalla madre di lui.
Chi ne aveva più
sofferto era stato Jeb, perché all’epoca Eileen si
rendeva a malapena conto di essere al mondo; ed infatti, quando se ne
era andato di casa, il fratello aveva ripreso il suo cognome ed era
tornato in Irlanda, la loro terra d’origine.
Eileen sapeva che, per il mondo
esterno, Jeb O’Sullivan non aveva famiglia:
nell’impeto d’odio che l’aveva spinto ad
andarsene, lui aveva persino negato di avere un padre e una sorella
ancora in vita. La ragazza era rimasta ferita da questo, quando Jeb
gliel’aveva confessato. Forse non lo aveva mai perdonato
davvero, ma non era riuscita a tenergli il broncio a lungo.
E adesso non vedeva
l’ora di rivederlo.
Forse, questa brutta situazione
porterà almeno qualcosa di buono rifletté:
magari, ora che Jeb era costretto a parlare con suo padre, il loro
rapporto si sarebbe risanato. Lei non credeva nei miracoli: sapeva che
nulla sarebbe stato più come prima, ma si poteva sperare in
una relazione civile tra i due.
Infilò il
portafoglio nello zaino, insieme a chiavi, cellulare, ipod e un libro,
poi controllò per l’ennesima volta di non aver
lasciato nulla d’importante: tutte le fotografie di sua madre
e dei suoi amici avevano abbandonato i loro abituali posti su scaffali
e scrivania e giacevano nella valigia, ma aveva rinunciato a portare
cose ingombranti anche se di gran valore per lei, come il peluche di
una foca a grandezza naturale che Jeb aveva vinto per lei poco prima di
abbandonarla; quello sarebbe stato al sicuro nell’armadio.
Aveva fatto una cernita di
vestiti, consapevole che solo nei cartoni animati e nei fumetti era
indispensabile un abbigliamento corretto e alla moda per salvare il
mondo.
Chissà che un giorno
non mi dedicheranno un manga? Eileen la guerriera…
scherzò tra sé, per tirarsi su di morale.
Richiuse la valigia di scatto,
sigillandovi la sua nuova vita.
“Tesoro, sei
pronta?” la chiamò George.
“Sì, ora
arrivo” rispose lei, guardandosi ancora una volta attorno.
Infine afferrò la
valigia e prese a trascinarla nel corridoio.
Continua....
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