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Autore: ceciotta    13/08/2010    1 recensioni
Una mia nuova storia, spero che vi piaccia. secondo capitolo modificato
Gli occhi si riaccesero e il ragazzo annaspò per ritrovare aria, come dopo essere stato troppo sott’acqua. Regolarizzato il respiro, Neshfir rimase per un attimo immobile mentre la ferita si richiudeva del tutto. Infine si tirò su, guardandosi attorno: i suoi compagni lo fissavano immobili, tradendo apprensione.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ho modificato il capitolo precedente, grazie alle indicazioni di Ely79, che ringrazio molto per le indicazioni! Accidenti, per poco non mi pigliava un colpo quando mi hai fatto notare la similitudine tra Gari Stuart e Gary Stu: ti giuro che ho cacciato un urlo... e mi sono affrettata a cercargli un altro cognome! Ho riletto il capitolo e corretto alcuni strafalcioni. in effetti per i 'dislivelli regolari'... intendevo a distanza regolare, ma la mia mente malata a semplificato il tutto in una frase senza senso, ahimè... U.U Ti ringrazio ancora e se trovi altri errori non farti remora a farmeli notare! mi serve proprio...

Chiedo scusa per l'enorme ritardo, ma non avevo ispirazione. Spero di poter aggiornare il prima possibile e mi raccomando leggete e recensite numerosi!

Eileen

Nel cuore della notte, una ragazza urlò con tutte le sue forze.

George Ross si svegliò di soprassalto, gettò di lato le coperte e balzò in piedi, subito lucido; corse fuori dalla stanza, mentre sua figlia continuava a strillare.

“Eileen!” gridò, raggiungendo la sua stanza. Spalancò la porta e trovò la ragazza che si agitava nel letto, lanciando urla sempre più forti; si chinò su di lei e la scosse chiamandola per nome, finché non si svegliò.

Eileen aprì gli occhi di scatto, il respiro spezzato dalla paura e dall’angoscia.

“Tesoro, era solo un incubo” la tranquillizzò George, accarezzandole la fronte umida di sudore. “È finito, adesso…”.

Ma Eileen non si calmava. “È tornato!” gridò, facendolo sussultare. “Neshfir è tornato!”.

George sbiancò. “Che cosa stai dicendo?” mormorò.

“Neshfir…” ripeté lei, tremando come una foglia. “L’ho visto, è tornato! Non era un incubo!”

George non smetteva di fissarla, sconvolto. Non doveva accadere, non di nuovo…

Eileen si appoggiò al petto di suo padre, singhiozzando e rabbrividendo, mentre lui la stringeva forte.

***

George respirava appena, mentre distoglieva lo sguardo dai due corpi martoriati. Non voleva più guardare quello spettacolo orribile…

Nick Martin deglutì e si chinò sulla donna distesa sul pavimento, cercando eventuali segni di vita, ma anche se non fosse stato un medico, avrebbe capito con un solo sguardo che non era più in questo mondo. Trasse le stesse conclusioni anche per l’uomo riverso disordinatamente sulle coperte. Entrambi i cadaveri presentavano profonde artigliate e strane ustioni e solo una creatura poteva lasciare segni del genere, a quanto ne sapeva. Ma com’era possibile che si fosse ripresentato così presto?

“Dottore…?” La voce di George era tesa, mentre tornava a guardare i coniugi Armstrong.

“Non c’è più nulla da fare” confermò Nick, a disagio.

Il signor Ross sospirò e si passò una mano sul volto. “Eileen aveva ragione, non era un semplice incubo quello che ha avuto stanotte”.

“George, se lui… se lui è riapparso…”.

“Lo so, lo so!” George fece un gesto stizzito. “Non serve che mi ricordi ciò che è successo quattordici anni fa! Mio figlio Jeb ne porta ancora i segni!”

I due uomini tacquero, pensando al ragazzo e a tutto quello che aveva dovuto subire: anche per lui era cominciato così, con una specie di sogno che lo aveva svegliato nel pieno della notte e che si era rivelato solo l’inizio di una disperata corsa contro il tempo per la sopravvivenza sua e del mondo.

“Dovremmo andarcene…” disse infine George, scacciando quei pensieri. “Qui non possiamo fare nulla e se arrivasse la polizia avremmo troppe cose da spiegare. E non voglio lasciare Eileen da sola per troppo tempo”.

Nick assentì e insieme uscirono dalla villa, mentre le prime luci dell’alba rischiaravano il cielo.

George era ansioso di tornare da Eileen, la sua secondogenita, che li stava aspettando nella macchina lasciata a qualche chilometro di distanza. Al pensiero della sua piccolina, gli si strinse il cuore: ciò che l’aspettava era una lotta senza tregua, esattamente com’era successo con Jeb. Eppure non riusciva a capacitarsene: com’era possibile che Neshfir, distrutto solo quattordici anni prima, fosse già rinato?

Non poté fare a meno di provare un brivido nel ripensare al brusco risveglio che li aveva colti impreparati quella notte; le urla di sua figlia, la corsa verso la sua stanza e le parole che lei aveva gridato appena sveglia:‘È tornato! Neshfir è tornato!’.

A quel punto George aveva capito che quello non era un semplice incubo: Eileen non aveva mai saputo il nome della creatura contro cui Jeb aveva in precedenza lottato, a malapena sapeva che fosse mai esistita. E allora, giusto il tempo di chiamare Nick ed erano corsi fin lì, solo per trovare una famiglia annientata.

“Pensi che lui lo sappia?” chiese infine Nick.

“Non ne ho idea. Io e lui non ci parliamo molto, ultimamente” ammise George, abbassando lo sguardo. Non riusciva a pensare a suo figlio senza provare dolore: si era sempre sentito in colpa per non essere riuscito a proteggerlo, per aver lasciato che lo addestrassero a combattere contro Neshfir; poi, da quando Jeb se n’era andato di casa, tutto era precipitato. Ogni volta che provava a chiamarlo lui non rispondeva, non voleva nemmeno sentire la sua voce, figurarsi vederlo di persona; per questo, nonostante fosse sicuro che al momento abitasse a Dublino, George non aveva mai provato ad andare da lui.

Per un periodo si era convinto che, una volta sbollito il rancore, Jeb sarebbe tornato spontaneamente a casa, ma ciò non era mai avvenuto: i mesi si erano tramutati in anni e ora temeva che suo figlio non avrebbe mai smesso di odiarlo. Non poteva dargli torto: non era mai stato un buon padre per lui.

“Immagino… che per una cosa del genere… mi avrebbe chiamato immediatamente” disse poi, con la voce spezzata.

***

Eileen se ne stava raggomitolata contro lo sportello dell’auto, stringendo il cappotto sul suo corpo freddo come il ghiaccio. Aveva anche alzato il riscaldamento, ma continuava a tremare. Aveva paura, era stanca e provata da ciò che stava accadendo: solo il giorno prima era una quattordicenne come le altre, forse con qualche problema in più, visto che aveva perso la madre e suo fratello era scappato di casa, ma queste erano cose che accadevano fin troppo spesso.

Invece non accadeva a nessuno di svegliarsi nel cuore della notte e scoprire che quello che si credeva un sogno molto vivo era la realtà. Nessuno aveva visioni di morte, nessuno!

Eileen chiuse gli occhi e singhiozzò, mentre brevi flash del suo incubo tornavano in superficie: soprattutto una creatura umanoide, con le sembianze di un ragazzo ma con orribili ali di una brutta sfumatura marrone e artigli taglienti e letali. Una creatura che aveva ucciso due persone senza che loro riuscissero a difendersi…

Sussultò quando la portiera si aprì.

“Tesoro, calmati, sono io” la tranquillizzò George. Lei lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, poi si tuffò tra le sue braccia.

“Papà…” mormorò singhiozzando. Il genitore la strinse a sé e scivolò nel sedile accanto a lei, accarezzandole i lunghi capelli color castano chiaro. “Papà, era tutto vero? Li avete trovati?” chiese mentre Nick saliva al posto del guidatore e metteva in moto.

“Sì, cucciola. È tutto vero”

Lei singhiozzò più forte. “Cosa… cosa accadrà adesso?”

“Shh…” mormorò lui, nel tentativo di calmarla. “Ora pensa a riposare. Ti dirò tutto quando saremo a casa”

Eileen annuì, ma sapeva che non sarebbe riuscita a riposare, non dopo ciò che aveva visto.

***

Nick posò una tazza di camomilla di fronte alla ragazza, che subito la prese tra le mani per riscaldarle.

“Grazie” mormorò. Erano seduti nello studio di George e lei attendeva, con gli occhi gonfi di pianto, che si decidessero a raccontarle tutta quella storia, ma suo padre sembrava distratto e fissava la parete senza vederla.

“Chi è Neshfir? O meglio, cos’è? È contro di lui che ha lottato Jeb, vero?” chiede quindi la ragazza.

Nick non smetteva di guardarla addolorato. ‘Ha solo quattordici anni’ pensò. Del resto, Jeb ne aveva dieci quando tutto era cominciato.

George si riscosse dai suoi pensieri e tornò a contemplare la figlia. “Neshfir…” mormorò, quasi parlando a se stesso. “Bene. Neshfir è un’entità difficile da definire. Alcuni lo considerano un demone, altri uno stregone, altri uno spirito del male…” cominciò, con voce più sicura. “Io credo che sia tutto questo. Comunque tu voglia definirlo, è una creatura del male il cui fine ultimo è la distruzione completa del genere umano“.

“Papà! Papà, questa non è una lezione!” lo fermò la ragazza. “Parli come un professore!”

George abbassò lo sguardo. “Lui è il male” riprese. “È il male nella sua forma più pura. Non ha sentimenti come l’amore, non prova pietà, vive dell’odio e della paura delle persone. Vive per distruggere e la tua visione dovrebbe dartene un’idea”

Eileen rabbrividì al ricordo di tutta quella violenza, ma attese paziente che il padre continuasse il racconto. Bevve un sorso di camomilla, attenta a non scottarsi.

“Nessuno è mai riuscito a sconfiggerlo definitivamente. Forse è impossibile: il male è insito nel mondo, non puoi scacciarlo una volta per tutte. Certo, Neshfir può essere battuto, almeno per il momento, ma torna sempre. Ci sono persone - come te, come Jeb - che sono in grado di uccidere la forma di Neshfir che affrontano. Di solito impiega qualche centinaio d’anni per rigenerarsi e svegliarsi dal suo lungo sonno”. George fece un’altra pausa e cercò lo sguardo di sua figlia. “Eppure, questa volta, qualcosa è andato storto. Quattordici anni fa, toccò a tuo fratello: lo sconfisse, nonostante fosse così giovane. Fu molto coraggioso, non risparmiò energie mentre combattevano. Neshfir sembrava più forte, ma Jeb era instancabile: ogni ferita che riceveva, la infliggeva a sua volta all’avversario. E alla fine trionfò” sospirò. “Ma ora, dopo soli quattordici anni, Neshfir è rinato”.

“Ma che aspetto ha?” chiese Eileen dopo un po’. “Voglio dire, presenta sempre la stessa forma?”

La pausa di suo padre fu più lunga, questa volta. “Nei casi documentati…” cominciò alzandosi e andando a frugare in una libreria. Tornò con un grosso volume rilegato. “…Neshfir si presenta sotto la forma di un essere mostruoso, alto quanto un uomo ma molto, molto più forte; la sua pelle non può essere scalfita dalle armi comuni, solo pochi prescelti hanno la possibilità di danneggiarlo in qualche modo. Tu sei una di queste persone”.

Eileen guardò la figura che campeggiava sulla pagina che suo padre le aveva aperto davanti; era solo un disegno, ma riusciva a rendere tutta la crudeltà e l’orrore che Neshfir emanava: era orribile, una figura con due gambe e due braccia come un umano ma dall’aspetto più possente, completamente glabra, dalla schiena vagamente ricurva; possedeva lunghi artigli letali e un volto allungato, con occhi completamente gialli e file di denti aguzzi che non avevano nulla da invidiare a qualsiasi predatore.

“Ma io… nella visione era tutto diverso…” farfugliò Eileen.

“Tutto diverso?” chiese Nick, stupito.

“Lui era… non era così…” disse Eileen guardando entrambi. I suoi occhi erano ancora gonfi di pianto. “Aveva l’aspetto di un ragazzo alato, ma era sicuramente lui… come se si stesse ancora trasformando” concluse, pensierosa.

George si accigliò. “Molte nozioni riguardanti questo essere non sono giunte fino a noi, ci sono molte cose che non conosciamo. Devi sapere che nella fase più avanzata Neshfir riesce a modificare il suo aspetto per confondersi tra gli uomini, cosa che lo aiuta nel suo piano di distruzione, ma non è mai accaduto che ottenesse questa facoltà all’inizio. Penso piuttosto che abbia trovato uno stratagemma per rinascere così presto…” osservò.

Eileen boccheggiò. “Intendi dire che forse ha usato un ragazzo per tornare in vita?” chiese, con voce flebile.

“Il ragazzo…” intuì Nick, aggrottando le sopracciglia. Padre e figlia si voltarono confusi verso di lui. “Il figlio degli Armstrong non era presente quando c’è stato l’attacco: abbiamo pensato che fosse a dormire da un amico, ma potrebbe essere andata diversamente” si spiegò.

“Pensi che lui…” cominciò George, ma Nick lo bloccò con un gesto della mano.

“Prima di saltare alle conclusioni, ho bisogno di fare alcune ricerche. Tieni conto che il luogo in cui Jeb lo ha sconfitto non era lontano da quella casa” disse il dottore. “Voi cercate di mettervi in contatto con Jeb e preparatevi a patire. Io tornerò non appena avrò idee più chiare sull’accaduto”.

George annuì e guardò l’amico uscire.

“Partire? E per dove?” chiese Eileen, presa alla sprovvista.

George esitò, voltandosi verso di lei. “Dobbiamo portarti in un luogo sicuro, Eileen…” disse. “I tuoi poteri non sono ancora sviluppati e, se Neshfir ti trovasse, non avresti speranze, ora come ora. In un posto protetto, imparerai a difenderti”.

“Quindi… dovrò combattere? Non c’è altra soluzione?” La voce di Eileen divenne più acuta.

“Sai che, se ci fossero altre possibilità, non ti lascerei affrontare tutto questo…” replicò lui. Il suo tono riproduceva fedelmente tutta la frustrazione che provava e, alzando lo sguardo, Eileen notò tutto il dolore che gli provocava.

“Lo so, papà…” mormorò. Rimase in silenzio, a lungo. “E dove andremo?”

“Prima di tutto, passeremo da Dublino: dobbiamo parlare con tuo fratello e preferirei farlo a voce” spiegò l’uomo. “Poi, insieme, troveremo il luogo adatto”.

“Ma sei sicuro che io abbia questi poteri di cui parli? E in cosa consistono?” insistette lei. “Ci sono ancora tantissime cose che non mi hai spiegato. E come farò ad imparare? Chi m’insegnerà? Quanto tempo impiegherò a padroneggiare i miei poteri?”

George indietreggiò, travolto da tutte quelle domande. “Non abbiamo molto tempo…” disse. “Molte cose dovrò spiegartele in viaggio; comunque non sarai sola: ci saranno persone che potranno insegnarti tutto ciò che devi sapere e avrai degli alleati, ragazzi con dei poteri che ti aiuteranno nell’impresa”

“Ci sono altri come me, dunque?”

“Sì, ma è più complicato di quanto pensi” George si risedette, con un sospiro, e lanciò un’occhiata grave alla figlia. “Devo raccontarti una storia, una leggenda. Non so quanto ci sia di vero, ma contiene qualche verità accertata”

Eileen annuì meccanicamente.

“La leggenda narra che, con l’evoluzione del genere umano, anche il male crebbe con esso: fu così che venne generato Neshfir, una creatura alimentata dall’odio e dalla crudeltà degli stessi uomini; ma la prima volta che si manifestò, nessuno sembrò in grado di fronteggiarlo. Lui e i suoi compagni fecero strage di uomini, donne e bambini, scagliandosi con crudeltà mai vista sulla popolazione più debole. Le prime comunità che incontrò non poterono opporvisi: per quanto i villaggi radunassero i guerrieri migliori, quelle creature erano troppo forti e violente. Sembrò la fine del genere umano. Fu allora che sette ragazzi sopravvissuti, provenienti dalle diverse parti del mondo toccate da Neshfir, nello stesso momento chiesero aiuto ai loro dei, per ricevere la forza per combatterle: per vendicare le proprie famiglie uccise e per salvare chi era ancora in vita. Il loro desiderio fu esaudito: i ragazzi si scoprirono portatori di un potere in grado di contrastare quegli esseri mostruosi che avevano messo in pericolo le loro vite e quelle dei loro cari; tutti e sette erano diventati potenti, ma uno di essi prevaleva come forza e come abilità e divenne la guida dei nuovi Guerrieri. Affrontarono Neshfir e dopo una lunga battaglia lo sconfissero. Con esso, anche gli altri demoni scomparvero e i giovani Guerrieri tornarono alle loro case distrutte: ricostruirono i loro villaggi o le loro tribù, e la storia riprese il suo corso. Ma passarono i secoli e Neshfir fece di nuovo la propria comparsa e i poteri dei Guerrieri rinacquero nei loro eredi”.

Eileen ascoltava ammaliata. “Quindi… io discenderei da uno di quei ragazzi?” chiese. Il padre annuì. “Non si conoscono i loro nomi?”

“No, non sappiamo altro di loro, non sappiamo nemmeno quanto di questa leggenda sia autentico, ma una cosa è assolutamente vera, ossia la discendenza: nella storia, tutti i Guerrieri sono legati ai precedenti in qualche modo” spiegò lui.

“Anche Neshfir ha dei compagni…” mormorò all’improvviso Eileen.

“Sì, sono legati a lui indissolubilmente. Il loro numero cresce ogni volta che lui ricompare: inizialmente erano solo tre…”

“E adesso? Quanti sono, ora?” chiese la ragazza.

Lui rimase in silenzio a lungo. “Dovresti andare a prepararti…” disse poi. “Dobbiamo partire al più presto”

Eileen provò un brivido e capì che la lotta sarebbe stata ancor peggiore di quanto si aspettasse.

***

George non aveva mai parlato di tutto quello a Eileen e ora si pentiva di non averlo fatto: se non altro, sarebbe stata più preparata. 

Ma, del resto, quando ancora Jeb era a casa con loro, il ragazzo si rifiutava di parlarne e lui rispettava la sua decisione. Quando poi se n’era andato, il ricordo di quell’esperienza che li aveva allontanati faceva troppo male per riaffrontare il passato.

Eileen a quel punto, però, aveva cominciato a fare domande sul perché il suo adorato fratellone non tornava a casa e aveva dovuto raccontarle qualcosa sulla lotta che Jeb aveva affrontato, ma non tutto, solo lo stretto indispensabile per spiegarle il comportamento del fratello: era giusto che fosse Jeb a parlargliene, quando e se avesse voluto.

Sapeva che lui era in contatto con la sorella, che un paio di volte le aveva fatto la sorpresa di andare a prenderla a scuola; almeno di questo George poteva rallegrarsi: il rapporto dei due fratelli, nonostante la notevole differenza di età, era sempre stato molto buono e non voleva che Eileen soffrisse troppo la mancanza di Jeb. Era per questo che non aveva mai fatto domande, che aveva finto di non sentire quando aveva scoperto Eileen, alle due di notte, a parlare al telefono con il fratello. Non aveva mai guardato nella posta elettronica della figlia per vedere cosa Jeb le scriveva. Se il figlio avesse saputo che il padre tentava di spiarlo tramite Eileen, avrebbe rotto i ponti anche con lei e questa era l’ultima cosa che voleva.

Sapeva che Jeb stava bene, che se la cavava nel mondo esterno, e tanto gli bastava. Grazie a Nick, sapeva che anche economicamente tirava avanti e che aveva un lavoro fisso che gli consentiva di vivere abbastanza bene, forse con qualche minimo sacrificio, ma quelli erano briciole in confronto a ciò che aveva già affrontato. Non sapeva altro della sua vita privata, non voleva spiarlo ulteriormente e Jeb non gli avrebbe mai risposto, anche se si fosse degnato di parlargli.

Era sempre stato consapevole di poter fare poco o nulla per riavvicinare suo figlio, ma ora Jeb doveva sapere ciò che era accaduto quella notte; doveva fare ciò che non aveva mai voluto fare: rientrare a forza nella vita di suo figlio, obbligarlo ad ascoltare.

***

Eileen tirava su col naso mentre riempiva la grossa valigia sgualcita che aveva aperto sul letto; il rosso del bagaglio cozzava col violetto del piumone, ma lei nemmeno lo notava. Ancora non riusciva a capacitarsi di tutto quello che le stava capitando e già era costretta a partire.

Chissà quando rivedrò questa casa, o quando uscirò di nuovo con le mie amiche… rifletté, angosciata. Quasi le venne da ridere: in un momento come quello pensava alla sua camera e alle amicizie? Stava per affrontare un mostro! La aspettavano mesi di combattimenti e dolore, come poteva perdere tempo ad essere nostalgica?! Doveva smetterla di pensare a quelle frivolezze e concentrarsi sull’obiettivo.

Ma in fondo questa era la mia vita, prima che il destino si rivoltasse contro di me… soppesò Eileen, sedendosi sul materasso. Sentendosi una stupida, riprese a piangere e gli sembrò di non aver fatto altro da quando si era svegliata; ma non singhiozzava più: non era più un pianto disperato, piuttosto era rassegnato… come se volesse sfogarsi una volta per tutte, per poi riprendere in mano le redini di quella brutta situazione.

Voleva essere forte, voleva alzarsi e finire la valigia, invece rimase seduta. Si limitò a guardarsi attorno, mentre le lacrime le rigavano le guance: ogni fotografia, ogni poster, ogni oggetto accatastato sulla scrivania o sugli scaffali era un cimelio di una vita che ora le appariva lontana, e che pure era durata fino al giorno precedente. Ad ognuno era associato un ricordo e un volto, come il poster del suo attore preferito che la sua migliore amica le aveva regalato due anni prima, o i fumetti che il suo compagno di classe - Justin, quello carino, quello con cui sperava di uscire proprio quel finesettimana, quello a cui avrebbe dato buca dopo aver penato così tanto prima di essere invitata ad un innocente ma promettente appuntamento al cinema - le aveva prestato dopo che si erano scoperti appassionati della stessa saga… erano i primissimi numeri, quelli che lei non era mai riuscita a trovare.

Ora anche Justin le appariva lontano, sfocato. Chissà, forse non l’avrebbe più rivisto…

Si rialzò, asciugandosi le ultime lacrime. No, lei doveva tornare! Quello non poteva essere un addio, lei doveva vincere, anche se non sapeva ancora come.

Mentre infilava gli ultimi vestiti nella valigia, l’occhio le cadde sul portafoglio; con un sospiro lo aprì e vide i suoi documenti, che la identificavano come Eileen Ross. Fece una smorfia: il suo cognome non era Ross, bensì O’Sullivan.

Ross era il nome della sua nonna paterna da nubile; forse per il desiderio di voltare pagina, poco dopo la perdita della moglie, suo padre aveva mollato tutto - il suo posto d’insegnante in una scuola prestigiosa, le sue amicizie - e si era trasferito in quel paesino nel nord della Scozia, nella casa ereditata dalla madre di lui.

Chi ne aveva più sofferto era stato Jeb, perché all’epoca Eileen si rendeva a malapena conto di essere al mondo; ed infatti, quando se ne era andato di casa, il fratello aveva ripreso il suo cognome ed era tornato in Irlanda, la loro terra d’origine.

Eileen sapeva che, per il mondo esterno, Jeb O’Sullivan non aveva famiglia: nell’impeto d’odio che l’aveva spinto ad andarsene, lui aveva persino negato di avere un padre e una sorella ancora in vita. La ragazza era rimasta ferita da questo, quando Jeb gliel’aveva confessato. Forse non lo aveva mai perdonato davvero, ma non era riuscita a tenergli il broncio a lungo.

E adesso non vedeva l’ora di rivederlo.

Forse, questa brutta situazione porterà almeno qualcosa di buono rifletté: magari, ora che Jeb era costretto a parlare con suo padre, il loro rapporto si sarebbe risanato. Lei non credeva nei miracoli: sapeva che nulla sarebbe stato più come prima, ma si poteva sperare in una relazione civile tra i due.

Infilò il portafoglio nello zaino, insieme a chiavi, cellulare, ipod e un libro, poi controllò per l’ennesima volta di non aver lasciato nulla d’importante: tutte le fotografie di sua madre e dei suoi amici avevano abbandonato i loro abituali posti su scaffali e scrivania e giacevano nella valigia, ma aveva rinunciato a portare cose ingombranti anche se di gran valore per lei, come il peluche di una foca a grandezza naturale che Jeb aveva vinto per lei poco prima di abbandonarla; quello sarebbe stato al sicuro nell’armadio.

Aveva fatto una cernita di vestiti, consapevole che solo nei cartoni animati e nei fumetti era indispensabile un abbigliamento corretto e alla moda per salvare il mondo.

Chissà che un giorno non mi dedicheranno un manga? Eileen la guerriera… scherzò tra sé, per tirarsi su di morale.

Richiuse la valigia di scatto, sigillandovi la sua nuova vita.

“Tesoro, sei pronta?” la chiamò George.

“Sì, ora arrivo” rispose lei, guardandosi ancora una volta attorno.

Infine afferrò la valigia e prese a trascinarla nel corridoio.


Continua....
   
 
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