Il tempo non era mai volato, così.
Sguardi, notti, giorni, sorrisi.
Tutto volava, tutto viaggiava a una velocità tale che spesso
il giorno dopo Amanda si ritrovava a chiedersi se era realmente
esistito il giorno prima e quello prima ancora e tutte le sensazioni
che si trascinava dietro.
Sensazioni che, giorno dopo giorno, ora dopo ora, si stampavano con
un’immensità allarmante dentro di lei.
Una sera, Luca la bendò e lei non riusciva a smettere di
ridere pensando a dove volesse portarla.
Era un ragazzo… incredibile.
Amava l’antico.
Si era laureato in archeologia e lavorava presso un centro di scavi
romano, guadagnando così la totale indipendenza dai
genitori, entrambi noti avvocati.
L’antico lo affascinava e i capelli rossi di mia madre, la
sua pelle lattea e quegli occhi verde bosco, gli avevano riportato alla
mente le caste sacerdotesse egizie che compievano riti lungo il Nilo.
Le descrisse quella immagine, quella sera, mentre l’aiutava a
scendere dalla sua moto e le slacciava il foulard che le copriva gli
occhi impazienti. Glielo disse per dominare la sua
curiosità, un tentativo non andato a buon fine.
Quando aprì gli occhi, dovette abituarsi a
un’oscurità leggera e bluastra che dominava una
piccola piazzetta circondata sui tre lati da mura abbastanza alte e da
un maestoso e antico portone che si apriva davanti a lei.
“Prendi la macchina fotografica, penso ti
servirà” le suggerì.
Poi, Luca avanzò verso il portone e lei, presa la macchina,
lo seguì silenziosa.
“Ordine dei cavalieri di Malta…” lesse
piano nella targhetta che affiancava la porta. “Luca, io non
capisco…
“Abbassati e dà un’occhiata dentro il
buco della serratura”
Amanda alzò il sopracciglio, titubante, com’era
solita fare quando qualcosa non la convinceva.
O forse, non riusciva a comprendere del tutto.
Ma fece quello che le aveva detto e, subito, appena mise a fuoco quel
che si vedeva oltre quel foro finemente lavorato, vide delinearsi da
lontano in modo perfetto e perfettamente inscritta entro i limiti della
piccola fessura, la cupola di S. Pietro.
“Straordinario” e dopo aver assaporato quella
finezza artistica, tentò di fotografare quella sorta di
magica burla.
“Questa chicca fotografica mi piace un sacco!” e si
divertì, come una bambina, a mettere a fuoco la cupola
inscritta nel buco della serratura.
”Sono contento ti sia piaciuto, ma… non ti ho
portata qui solo per questo” e ammiccò alla viuzza
che saliva verso la cima del colle, tra alti e folti alberi che, a
quell’ora, parevano, con quella fiera chioma bruna,
silenziosi e secolari guardiani di quel posto.
Camminarono fianco a fianco, assaporando la pace di
quell’ambiente, fino a quando non arrivarono a uno spiazzo
verdeggiante da cui si spalancava semplice e innocente Roma. Le luci in
lontananza punteggiavano palazzi, edifici, ville che pian piano
entravano nell’oscurità precoce di marzo.
Il silenzio che custodiva quel luogo, legava Luca e Amanda in una morsa
sempre più stretta, quasi palpabile.
Luca ruppe quel silenzio.
“Laggiù” e indicò una
graziosa villa a centro metri da loro
“c’è casa mia. In teoria, apparterrebbe
ai miei genitori, ma mia madre si è trasferita per un
po’ fuori città e mio padre preferisce stare in
centro per comodità. Diciamo che allora rimango io, come
padrone di casa” e si voltò a scrutare nel buio
l’espressione di Amanda.
Respirando ancora quell’aria fresca, spezzò anche
lei il suo silenzio e lo guardò.
“E’ bellissima. E’ bellissimo
quassù, ormai non so più trovare le parole per
ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me in queste
settimane…” e d’un tratto, da una casa
vicina partì “Following the river” e
rise perché qualche giorno prima si erano lanciati in una
contesa tra Beatles e Rolling stones.
Ovviamente, lei parteggiava per i primi.
Sorrise anche lui. “So come potresti
sdebitarti…” le disse malizioso avvicinandosi.
La prese delicatamente per la vita e le chiese, in inglese, di ballare.
Shall we dance?
In tutta risposta, si abbandonò al suo petto e si
lasciò cullare.
Una settimana prima di partire, come aveva fatto ogni giorno da quando
la conosceva, Luca si era diretto di prima mattina al suo albergo per
accompagnarla in giro per la città.
Ma, stranamente, lei lo aspettava già pronta davanti
all’ingresso lanciando continue e nervose occhiate attorno a
sé.
“Buongiorno!” e la baciò.
Amanda non si ritrasse, ma ricambiò quel bacio in modo
distaccato, come se la sua testa fosse da tutt’altra parte.
“Ciao, ho fame. Andiamo a far colazione?” e
ammiccò al bar di fronte, tirando in su gli angoli della
bocca, in un sorriso che non le riuscì bene.
Seduti davanti a due tazze fumanti di caffè, si osservavano
a vicenda.
Nessuno parlava.
“Amanda, che c’è?”
sbottò infine Luca, prendendole la mano.
Si decise a parlare. “Un… un imprevisto.”
Io ero l’imprevisto.
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