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Autore: Daphne Chasseur    18/08/2010    2 recensioni
Ma intanto, in quel lontano 23 ottobre, eri semplicemente un ragazzo, come me, sotto la pioggia avida di bagnarti. E tu, incurante delle sue gocce senza pudore, con lo sguardo perso e insicuro dall’altra parte della strada.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Il tempo non era mai volato, così.
Sguardi, notti, giorni, sorrisi.
Tutto volava, tutto viaggiava a una velocità tale che spesso il giorno dopo Amanda si ritrovava a chiedersi se era realmente esistito il giorno prima e quello prima ancora e tutte le sensazioni che si trascinava dietro.
Sensazioni che, giorno dopo giorno, ora dopo ora, si stampavano con un’immensità allarmante dentro di lei.
Una sera, Luca la bendò e lei non riusciva a smettere di ridere pensando a dove volesse portarla.
Era un ragazzo… incredibile.
Amava l’antico.
Si era laureato in archeologia e lavorava presso un centro di scavi romano, guadagnando così la totale indipendenza dai genitori, entrambi noti avvocati.
L’antico lo affascinava e i capelli rossi di mia madre, la sua pelle lattea e quegli occhi verde bosco, gli avevano riportato alla mente le caste sacerdotesse egizie che compievano riti lungo il Nilo.
Le descrisse quella immagine, quella sera, mentre l’aiutava a scendere dalla sua moto e le slacciava il foulard che le copriva gli occhi impazienti. Glielo disse per dominare la sua curiosità, un tentativo non andato a buon fine.
Quando aprì gli occhi, dovette abituarsi a un’oscurità leggera e bluastra che dominava una piccola piazzetta circondata sui tre lati da mura abbastanza alte e da un maestoso e antico portone che si apriva davanti a lei.
“Prendi la macchina fotografica, penso ti servirà” le suggerì.
Poi, Luca avanzò verso il portone e lei, presa la macchina, lo seguì silenziosa.
“Ordine dei cavalieri di Malta…” lesse piano nella targhetta che affiancava la porta. “Luca, io non capisco…
“Abbassati e dà un’occhiata dentro il buco della serratura”
Amanda alzò il sopracciglio, titubante, com’era solita fare quando qualcosa non la convinceva.
O forse, non riusciva a comprendere del tutto.
Ma fece quello che le aveva detto e, subito, appena mise a fuoco quel che si vedeva oltre quel foro finemente lavorato, vide delinearsi da lontano in modo perfetto e perfettamente inscritta entro i limiti della piccola fessura, la cupola di S. Pietro.
“Straordinario” e dopo aver assaporato quella finezza artistica, tentò di fotografare quella sorta di magica burla.
“Questa chicca fotografica mi piace un sacco!” e si divertì, come una bambina, a mettere a fuoco la cupola inscritta nel buco della serratura.
”Sono contento ti sia piaciuto, ma… non ti ho portata qui solo per questo” e ammiccò alla viuzza che saliva verso la cima del colle, tra alti e folti alberi che, a quell’ora, parevano, con quella fiera chioma bruna, silenziosi e secolari guardiani di quel posto.
Camminarono fianco a fianco, assaporando la pace di quell’ambiente, fino a quando non arrivarono a uno spiazzo verdeggiante da cui si spalancava semplice e innocente Roma. Le luci in lontananza punteggiavano palazzi, edifici, ville che pian piano entravano nell’oscurità precoce di marzo.
Il silenzio che custodiva quel luogo, legava Luca e Amanda in una morsa sempre più stretta, quasi palpabile.
Luca ruppe quel silenzio.
“Laggiù” e indicò una graziosa villa a centro metri da loro “c’è casa mia. In teoria, apparterrebbe ai miei genitori, ma mia madre si è trasferita per un po’ fuori città e mio padre preferisce stare in centro per comodità. Diciamo che allora rimango io, come padrone di casa” e si voltò a scrutare nel buio l’espressione di Amanda.
Respirando ancora quell’aria fresca, spezzò anche lei il suo silenzio e lo guardò.
“E’ bellissima. E’ bellissimo quassù, ormai non so più trovare le parole per ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me in queste settimane…” e d’un tratto, da una casa vicina partì “Following the river” e rise perché qualche giorno prima si erano lanciati in una contesa tra Beatles e Rolling stones.
Ovviamente, lei parteggiava per i primi.
Sorrise anche lui. “So come potresti sdebitarti…” le disse malizioso avvicinandosi.
La prese delicatamente per la vita e le chiese, in inglese, di ballare.
Shall we dance?
In tutta risposta, si abbandonò al suo petto e si lasciò cullare.

Una settimana prima di partire, come aveva fatto ogni giorno da quando la conosceva, Luca si era diretto di prima mattina al suo albergo per accompagnarla in giro per la città.
Ma, stranamente, lei lo aspettava già pronta davanti all’ingresso lanciando continue e nervose occhiate attorno a sé.
“Buongiorno!” e la baciò.
Amanda non si ritrasse, ma ricambiò quel bacio in modo distaccato, come se la sua testa fosse da tutt’altra parte.
“Ciao, ho fame. Andiamo a far colazione?” e ammiccò al bar di fronte, tirando in su gli angoli della bocca, in un sorriso che non le riuscì bene.

Seduti davanti a due tazze fumanti di caffè, si osservavano a vicenda.
Nessuno parlava.
“Amanda, che c’è?” sbottò infine Luca, prendendole la mano.
Si decise a parlare. “Un… un imprevisto.”
Io ero l’imprevisto.
   
 
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