Terzo Capitolo
Essere una recluta dell’esercito imperiale non significava
rimanere a poltrire a lungo, anzi, ben presto dovetti svegliarmi e,
dopo essermi preparata – indossando un kimono molto semplice
e scuro, sopra delle braghe anch’esse scure - mi diressi
verso la sala comune, dove si sarebbe tenuta la mia prima vera lezione.
Per essere la
prima volta, non ero molto agitata. Dovevo dimostrare ciò di
cui ero capace con l’arco e, essendo ormai diventato quasi il
prolungamento del mio braccio, mi sentivo sicura.
Ciò
che forse mi turbava un poco era lo Shogun, la potente aurea che
aleggiava intorno a lui. Lo temevo ma allo stesso tempo ne ero
fortemente attratta. Lo rispettavo profondamente e per lui avevo una
totale ammirazione.
Giunta alla
grande sala d’addestramento notai la presenza di molti
soldati già nel pieno dell’allenamento: chi
combatteva a colpi di spada o di lancia, altri che provavano a tirar
con l’arco. In un’area vi erano degli esploratori
esperti che si curavano di insegnare agli aspiranti tutte le varie
tecniche per conoscere le strade, le trappole, i veleni e
quant’altro ancora potesse servire per la loro corretta
formazione.
Non sapevo
bene come muovermi, fino a quando un soldato, dall’aria
piuttosto austera, mi rivolse parola:
«
Il Venerabile Shogun ti attende. Ti prego di seguirmi. »
freddo, distaccato, come un soldato doveva essere.
M’invitò
dunque a seguirlo e, senza attendere un solo attimo, raggiunsi il punto
esatto in cui si trovava il Generale.
«
Konnichiwa, Venerabile Shogun. » proferii, incrociando poi le
braccia al petto, chinando il busto in un perfetto inchino.
«
Konnichiwa, Minako-san. » replicò, guardandomi con
sguardo neutro. « Se sei pronta, possiamo iniziare subito con
la lezione ».
Annuii,
sfilando l’arco che tenevo sulla spalla destra.
«
Sono pronta, Venerabile Shogun. »
Sul suo viso
non comparve nessun sorriso, ormai aveva visto quella scena fin troppe
volte e non poteva concedersi a grandi emozioni.
«
Bene. Dimostrami ciò che sai fare. » si
fermò per un attimo, rivolgendo lo sguardo verso un
manichino vicino a un muro, a pochi metri dal punti in cui ci
trovavamo.
«
Cerca di colpirlo al cuore. Immagina che sia un tuo nemico e ricorda
tutte le regole che Michio-san ti ha insegnato. »
Il nome di
mio padre mi diede un’ulteriore spinta a fare del mio meglio.
Non risposi nulla, limitandomi a chinare appena il capo in segno di
assenso. Poi, cercai di trovare la corretta concentrazione. I consigli
di mio padre riaffiorarono nella mia mente per qualche istante, poi
tacquero di colpo per lasciare il posto al silenzio più
totale.
Immaginai di
essere sola, con il mio arco, dinanzi al mio nemico. Intorno a me il
rumore provocato dal cozzare del ferro e dell’acciaio delle
armi, le voci autoritarie dei samurai, e le urla di altri soldati, si
disciolsero nell’aria e da essa furono portate via, lontano,
molto lontano, così da non deconcentrarmi minimamente.
Sentivo addosso lo sguardo penetrante dello Shogun, tuttavia cercavo di
non pensarci, consapevole di non dover lasciarmi distrarre
assolutamente dal benché minimo sentimento, altrimenti il
tiro non sarebbe stato perfetto.
Iniziai a
cercare la corretta posizione: gambe distanziate, piede destro poco
davanti al sinistro. Con le mani sfiorai l’arco, per poi
stringerlo con la dovuta decisione, non troppo piano per non farlo
scivolare, ma neanche troppo forte.
Trassi
profondi respiri, cercando di chetare ogni singola parte del mio corpo.
Lo Shogun
rimase per lo più silenzioso, perfettamente immobile al mio
fianco. Si limitò di tanto in tanto a dettar qualche piccolo
consiglio, che io prontamente adottai.
Non appena
raggiunsi la corretta posizione del corpo e la perfetta concentrazione,
estrassi una freccia ponendola poi sull’arco, in modo da far
combaciare la punta con la parte in legno, tenuta con la mano sinistra
e la “coda” con la corda, tenuta con la mano destra.
Tesi la corda
quel tanto che bastava e cercai di focalizzare il mio bersaglio; ma poi
ricordai le parole di mio padre:
bisogna
mirare oltre il bersaglio…
…e
mi concentrai sul mio spirito. Il mio viso era completamente rilassato,
non una smorfia e neanche una leggera tensione sembrava esserci in me.
Quando mi sentii finalmente pronta, trattenni il respiro e lasciai
partire la freccia che, dopo una breve tratto nell’aria,
sibilante si conficcò nell’addome del manichino.
Non avevo colpito il cuore, ma era lo stesso un buon tiro, no? Allo
Shogun, ovviamente, spettava la decisione.
Mi voltai
verso di lui, e vidi il suo viso illuminarsi. Non compresi bene il
motivo, ma il mio cuore iniziò a martellare violentemente
nel petto.
Lui si
voltò verso di me, dopo aver osservato attentamente il
procedere della mia prestazione, e disse:
«
Complimenti! Non hai preso il cuore, ma hai un’ottima
tecnica. Hai davvero preso da tuo padre. »
Le sue parole
fecero pulsare con più foga il mio orgoglio. Avere un buon
giudizio dallo Shogun e migliorare per raggiungere la perfezione, era
sempre stato il mio scopo di vita. Mio e di mio padre, naturalmente.
Tornai a
rilassarmi e a riacquistare una posizione più normale,
riportando l’arco basso.
«
Ti ringrazio Shogun-sama. » chinai appena il capo.
« sono felice di sentire queste parole. »
«
L’arco non è mai stata la mia arma prediletta,
difatti è quella in cui forse pecco di più.
» ammise, lasciandomi un poco spaesata. « io
combatto con lei. » aggiunse, per poi sfiorare sia con la
mano destra sia con lo sguardo la Katana che teneva stretta alla vita.
La osservai con attenzione. Quelle armi erano di una bellezza
estasiante, eppure io amavo profondamente il mio arco. Semplice,
silenzioso ma letale, se saputo usare correttamente.
«
E’ una bellissima arma, la più nobile.
Sfortunatamente però, io non sono capace di usare
spade… e tantomeno un’arma così
superba. » ammisi, abbassando lo sguardo scuro con quelle
particolari sfumature viola.
Mi sorrise
lievemente, tornando poi ad interessarsi del bersaglio.
«
Osserva adesso come si usa una Katana allora. » detto
ciò, estrasse con agilità la katana dalla fodera,
roteandola più volte tra le mani. Si pose in posizione di
guardia, proprio di fronte al suo “avversario”,
l’arma ben salda tra le mani. Lo sguardo vigile. Il piede
destro era posto più indietro rispetto al sinistro, flesse
le ginocchia, e strinse ancor più forte quell’arma
superba. Uno strano spirito lo avvolse, e mi sembrò di
scorgere la forza e l’attacco di un leone, quando, nel
momento più opportuno balzò sulla sua
“preda”, alzando l’arma e facendola poi
scivolare rapidamente dall’alto in basso, tagliando il
manichino dalla spalla sinistra all’anca, al fianco destro.
Osservai il
tutto, mantenendo il più assoluto silenzio. Mi ritrovai
quasi a trattenere il respiro, notando con quale agilità lui
riuscì a mettere fuori gioco il suo avversario, seppure
immobile, e provai ad immaginarlo in un campo di battaglia. Lo Shogun
era formidabile. Il mio cuore prese di nuovo a battere con
più forza.
Preso da una
foga, iniziò a combattere contro un altro manichino,
scalfendolo sulle gambe, poi tornò ad avvicinarsi a me,
seppure il suo sguardo si perdesse ad ammirare la lama della sua
katana. Un sorriso trionfante e pieno di orgoglio sul volto. Poi, i
suoi occhi scuri, si soffermarono sui miei.
«
Ora facciamo una prova. » aggiunse, rinfoderando la katana,
per poi prendere due spade di legno, usate per le reclute, e donarne
una a me. Prontamente lasciai con cura l’arco a terra,
afferrando la spada. La osservai con attenzione, prima di stringere
l’impugnatura saldamente, con entrambe le mani. Ma qui, la
paura e l’insicurezza mi avvolsero. Ero in un ambito diverso
dal mio. Non avevo mai usato una spada.
«
Mettiti dinanzi a me, distanziata di alcuni passi. E poi osserva
attentamente i movimenti che faccio io, ed esegui » aggiunse.
Mi sentivo un
po’ impacciata, tuttavia, osservai con assoluta
meticolosità i suoi movimenti e feci altrettanto: piede
destro dietro al sinistro e più aperto, ginocchia flesse,
spada ben salda tenuta con entrambe le mani e rivolta verso
l’avversario.
Mi
guardò, annuendo nel vedere che avevo eseguito, seppure con
un po’ di incertezza, quanto detto, e poi aggiunse:
«
Colpiscimi. » freddo. Tagliente. Spalancai occhi e bocca di
fronte a quell’ordine. Dovevo davvero colpirlo? Ma come
dovevo fare? E poi, proprio contro di lui? Sentivo la paura avvolgermi,
ma poi lui continuò:
«
Non verrai valutata per questo, è solo per saggiare da che
punto dobbiamo partire. »
Non potevo
ritirarmi. Se volevo diventare un perfetto soldato, dovevo iniziare da
qualche parte, ed imparare ad usare tutte le armi, pur prediligendo il
mio caro amato arco. Annuii, e cercai di studiare per bene il mio
avversario. Sentii il mio cuore battere più forte, e trassi
dei profondi respiri come per chetarlo. Dovevo rilassarmi. Nel momento
in cui mi sentivo più calma, avanzai di un passo, cercando
di colpirlo con il primo colpo che mi venisse in mente: un affondo, un
colpo dritto sullo Shogun, davanti a me.
Lui
sembrò sorridere, come capendo perfettamente ciò
che volessi fare. Ruotò sul piede destro, e alzò
la spada, in modo tale da frenare il mio colpo e deviarlo, con mio
avvilimento.
« A
quanto pare dovrò insegnarti molte cose. Ma, so che ce la
faremo insieme. Tu vuoi imparare? » domanda retorica la sua.
Ero perfettamente consapevole che la risposta era solo una. Tornai ben
dritta, e risposi:
«
Voglio imparare, ovviamente. Voglio saper usare tutte le armi, e trarre
ogni genere d’insegnamento da te, Venerabile Shogun.
» proferii sicura.
«
Bene, ora posa pure la spada, e vieni con me. » mi
ordinò, ed io prontamente eseguii il tutto.
Si diresse in
un angolo della gran sala, laddove erano posti vari generi di armi.
«
Ti consegno il Tanto imperiale, l’arma delle reclute, e
quindi la tua arma. Non appena sarai promossa, potrò
consegnarti la Naginata, e quando sarai una perfetta arciera, avrai uno
degli archi imperiali, tutto per te. »
Spostai lo
sguardo da lui, alla nuova arma, che presi tra le mani, osservandola
con attenzione. Non sapevo bene che dire e quindi preferii rimanere in
silenzio per alcuni attimi.
«
Ti ringrazio Shogun Sama. »
«
Ora puoi riposarti, domani continueremo l’addestramento. Sono
sicuro che riuscirò a farti diventare un’ottima
combattente. »
«
Mi impegnerò molto per diventarlo. » Chinai il
capo, stringendo nella mano destra il tanto, come una nuova reliquia,
oltre al mio arco. « Grazie per la lezione. »
Subito dopo
prendemmo strade diverse. La prima lezione era stata fatta e,
nonostante la stanchezza e il primo esito negativo con la spada, mi
sentivo soddisfatta.
Un senso di
spossatezza mi colse e, non appena mi sdraiai sul mio futon, sprofondai
in un sonno profondo.
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Ringrazio tutti coloro che leggono, e quei pochi che l'hanno
inserita tra le seguite e le ricordate :)
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