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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    23/08/2010    1 recensioni
Minako non è destinata a diventare Geisha come tutte o quasi le ragazze della sua città, comprese le sue due sorelle. Per lei, suo padre, ha riservato un destino particolare: sin da bambina, infatti, ha ricevuto lezioni per diventare una perfetta arciera. Una volta cresciuta verrà inviata presso lo Shogun – un uomo austero, freddo e carismatico a detta di tutti - per diventare un’arciera del glorioso esercito imperiale. Ma, spesso il destino muta i piani. [4° Classificata al Contest "Le Sette Barriere Psichiche" di May8Rose - Storia Valutata da Bimba_Chic_Aiko, a cui va un sentito grazie di cuore!]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terzo Capitolo



    Essere una recluta dell’esercito imperiale non significava rimanere a poltrire a lungo, anzi, ben presto dovetti svegliarmi e, dopo essermi preparata – indossando un kimono molto semplice e scuro, sopra delle braghe anch’esse scure - mi diressi verso la sala comune, dove si sarebbe tenuta la mia prima vera lezione.
Per essere la prima volta, non ero molto agitata. Dovevo dimostrare ciò di cui ero capace con l’arco e, essendo ormai diventato quasi il prolungamento del mio braccio, mi sentivo sicura.
Ciò che forse mi turbava un poco era lo Shogun, la potente aurea che aleggiava intorno a lui. Lo temevo ma allo stesso tempo ne ero fortemente attratta. Lo rispettavo profondamente e per lui avevo una totale ammirazione.
Giunta alla grande sala d’addestramento notai la presenza di molti soldati già nel pieno dell’allenamento: chi combatteva a colpi di spada o di lancia, altri che provavano a tirar con l’arco. In un’area vi erano degli esploratori esperti che si curavano di insegnare agli aspiranti tutte le varie tecniche per conoscere le strade, le trappole, i veleni e quant’altro ancora potesse servire per la loro corretta formazione.
Non sapevo bene come muovermi, fino a quando un soldato, dall’aria piuttosto austera, mi rivolse parola:
« Il Venerabile Shogun ti attende. Ti prego di seguirmi. » freddo, distaccato, come un soldato doveva essere.
M’invitò dunque a seguirlo e, senza attendere un solo attimo, raggiunsi il punto esatto in cui si trovava il Generale.
« Konnichiwa, Venerabile Shogun. » proferii, incrociando poi le braccia al petto, chinando il busto in un perfetto inchino.
« Konnichiwa, Minako-san. » replicò, guardandomi con sguardo neutro. « Se sei pronta, possiamo iniziare subito con la lezione ».
Annuii, sfilando l’arco che tenevo sulla spalla destra.
« Sono pronta, Venerabile Shogun. »
Sul suo viso non comparve nessun sorriso, ormai aveva visto quella scena fin troppe volte e non poteva concedersi a grandi emozioni.
« Bene. Dimostrami ciò che sai fare. » si fermò per un attimo, rivolgendo lo sguardo verso un manichino vicino a un muro, a pochi metri dal punti in cui ci trovavamo.
« Cerca di colpirlo al cuore. Immagina che sia un tuo nemico e ricorda tutte le regole che Michio-san ti ha insegnato. »
Il nome di mio padre mi diede un’ulteriore spinta a fare del mio meglio. Non risposi nulla, limitandomi a chinare appena il capo in segno di assenso. Poi, cercai di trovare la corretta concentrazione. I consigli di mio padre riaffiorarono nella mia mente per qualche istante, poi tacquero di colpo per lasciare il posto al silenzio più totale.
Immaginai di essere sola, con il mio arco, dinanzi al mio nemico. Intorno a me il rumore provocato dal cozzare del ferro e dell’acciaio delle armi, le voci autoritarie dei samurai, e le urla di altri soldati, si disciolsero nell’aria e da essa furono portate via, lontano, molto lontano, così da non deconcentrarmi minimamente. Sentivo addosso lo sguardo penetrante dello Shogun, tuttavia cercavo di non pensarci, consapevole di non dover lasciarmi distrarre assolutamente dal benché minimo sentimento, altrimenti il tiro non sarebbe stato perfetto.
Iniziai a cercare la corretta posizione: gambe distanziate, piede destro poco davanti al sinistro. Con le mani sfiorai l’arco, per poi stringerlo con la dovuta decisione, non troppo piano per non farlo scivolare, ma neanche troppo forte.
Trassi profondi respiri, cercando di chetare ogni singola parte del mio corpo.
Lo Shogun rimase per lo più silenzioso, perfettamente immobile al mio fianco. Si limitò di tanto in tanto a dettar qualche piccolo consiglio, che io prontamente adottai.
Non appena raggiunsi la corretta posizione del corpo e la perfetta concentrazione, estrassi una freccia ponendola poi sull’arco, in modo da far combaciare la punta con la parte in legno, tenuta con la mano sinistra e la “coda” con la corda, tenuta con la mano destra.
Tesi la corda quel tanto che bastava e cercai di focalizzare il mio bersaglio; ma poi ricordai le parole di mio padre:
bisogna mirare oltre il bersaglio…
…e mi concentrai sul mio spirito. Il mio viso era completamente rilassato, non una smorfia e neanche una leggera tensione sembrava esserci in me. Quando mi sentii finalmente pronta, trattenni il respiro e lasciai partire la freccia che, dopo una breve tratto nell’aria, sibilante si conficcò nell’addome del manichino. Non avevo colpito il cuore, ma era lo stesso un buon tiro, no? Allo Shogun, ovviamente, spettava la decisione.
Mi voltai verso di lui, e vidi il suo viso illuminarsi. Non compresi bene il motivo, ma il mio cuore iniziò a martellare violentemente nel petto.
Lui si voltò verso di me, dopo aver osservato attentamente il procedere della mia prestazione, e disse:
« Complimenti! Non hai preso il cuore, ma hai un’ottima tecnica. Hai davvero preso da tuo padre. »
Le sue parole fecero pulsare con più foga il mio orgoglio. Avere un buon giudizio dallo Shogun e migliorare per raggiungere la perfezione, era sempre stato il mio scopo di vita. Mio e di mio padre, naturalmente.
Tornai a rilassarmi e a riacquistare una posizione più normale, riportando l’arco basso.
« Ti ringrazio Shogun-sama. » chinai appena il capo. « sono felice di sentire queste parole. »
« L’arco non è mai stata la mia arma prediletta, difatti è quella in cui forse pecco di più. » ammise, lasciandomi un poco spaesata. « io combatto con lei. » aggiunse, per poi sfiorare sia con la mano destra sia con lo sguardo la Katana che teneva stretta alla vita. La osservai con attenzione. Quelle armi erano di una bellezza estasiante, eppure io amavo profondamente il mio arco. Semplice, silenzioso ma letale, se saputo usare correttamente.
« E’ una bellissima arma, la più nobile. Sfortunatamente però, io non sono capace di usare spade… e tantomeno un’arma così superba. » ammisi, abbassando lo sguardo scuro con quelle particolari sfumature viola.
Mi sorrise lievemente, tornando poi ad interessarsi del bersaglio.
« Osserva adesso come si usa una Katana allora. » detto ciò, estrasse con agilità la katana dalla fodera, roteandola più volte tra le mani. Si pose in posizione di guardia, proprio di fronte al suo “avversario”, l’arma ben salda tra le mani. Lo sguardo vigile. Il piede destro era posto più indietro rispetto al sinistro, flesse le ginocchia, e strinse ancor più forte quell’arma superba. Uno strano spirito lo avvolse, e mi sembrò di scorgere la forza e l’attacco di un leone, quando, nel momento più opportuno balzò sulla sua “preda”, alzando l’arma e facendola poi scivolare rapidamente dall’alto in basso, tagliando il manichino dalla spalla sinistra all’anca, al fianco destro.
Osservai il tutto, mantenendo il più assoluto silenzio. Mi ritrovai quasi a trattenere il respiro, notando con quale agilità lui riuscì a mettere fuori gioco il suo avversario, seppure immobile, e provai ad immaginarlo in un campo di battaglia. Lo Shogun era formidabile. Il mio cuore prese di nuovo a battere con più forza.
Preso da una foga, iniziò a combattere contro un altro manichino, scalfendolo sulle gambe, poi tornò ad avvicinarsi a me, seppure il suo sguardo si perdesse ad ammirare la lama della sua katana. Un sorriso trionfante e pieno di orgoglio sul volto. Poi, i suoi occhi scuri, si soffermarono sui miei.
« Ora facciamo una prova. » aggiunse, rinfoderando la katana, per poi prendere due spade di legno, usate per le reclute, e donarne una a me. Prontamente lasciai con cura l’arco a terra, afferrando la spada. La osservai con attenzione, prima di stringere l’impugnatura saldamente, con entrambe le mani. Ma qui, la paura e l’insicurezza mi avvolsero. Ero in un ambito diverso dal mio. Non avevo mai usato una spada.
« Mettiti dinanzi a me, distanziata di alcuni passi. E poi osserva attentamente i movimenti che faccio io, ed esegui » aggiunse.
Mi sentivo un po’ impacciata, tuttavia, osservai con assoluta meticolosità i suoi movimenti e feci altrettanto: piede destro dietro al sinistro e più aperto, ginocchia flesse, spada ben salda tenuta con entrambe le mani e rivolta verso l’avversario.
Mi guardò, annuendo nel vedere che avevo eseguito, seppure con un po’ di incertezza, quanto detto, e poi aggiunse:
« Colpiscimi. » freddo. Tagliente. Spalancai occhi e bocca di fronte a quell’ordine. Dovevo davvero colpirlo? Ma come dovevo fare? E poi, proprio contro di lui? Sentivo la paura avvolgermi, ma poi lui continuò:
« Non verrai valutata per questo, è solo per saggiare da che punto dobbiamo partire. »
Non potevo ritirarmi. Se volevo diventare un perfetto soldato, dovevo iniziare da qualche parte, ed imparare ad usare tutte le armi, pur prediligendo il mio caro amato arco. Annuii, e cercai di studiare per bene il mio avversario. Sentii il mio cuore battere più forte, e trassi dei profondi respiri come per chetarlo. Dovevo rilassarmi. Nel momento in cui mi sentivo più calma, avanzai di un passo, cercando di colpirlo con il primo colpo che mi venisse in mente: un affondo, un colpo dritto sullo Shogun, davanti a me.
Lui sembrò sorridere, come capendo perfettamente ciò che volessi fare. Ruotò sul piede destro, e alzò la spada, in modo tale da frenare il mio colpo e deviarlo, con mio avvilimento.
« A quanto pare dovrò insegnarti molte cose. Ma, so che ce la faremo insieme. Tu vuoi imparare? » domanda retorica la sua. Ero perfettamente consapevole che la risposta era solo una. Tornai ben dritta, e risposi:
« Voglio imparare, ovviamente. Voglio saper usare tutte le armi, e trarre ogni genere d’insegnamento da te, Venerabile Shogun. » proferii sicura.
« Bene, ora posa pure la spada, e vieni con me. » mi ordinò, ed io prontamente eseguii il tutto.
Si diresse in un angolo della gran sala, laddove erano posti vari generi di armi.
« Ti consegno il Tanto imperiale, l’arma delle reclute, e quindi la tua arma. Non appena sarai promossa, potrò consegnarti la Naginata, e quando sarai una perfetta arciera, avrai uno degli archi imperiali, tutto per te. »
Spostai lo sguardo da lui, alla nuova arma, che presi tra le mani, osservandola con attenzione. Non sapevo bene che dire e quindi preferii rimanere in silenzio per alcuni attimi.
« Ti ringrazio Shogun Sama. »
« Ora puoi riposarti, domani continueremo l’addestramento. Sono sicuro che riuscirò a farti diventare un’ottima combattente. »
« Mi impegnerò molto per diventarlo. » Chinai il capo, stringendo nella mano destra il tanto, come una nuova reliquia, oltre al mio arco. « Grazie per la lezione. »
Subito dopo prendemmo strade diverse. La prima lezione era stata fatta e, nonostante la stanchezza e il primo esito negativo con la spada, mi sentivo soddisfatta.
Un senso di spossatezza mi colse e, non appena mi sdraiai sul mio futon, sprofondai in un sonno profondo.




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Ringrazio tutti coloro che leggono, e quei pochi che l'hanno inserita tra le seguite e le ricordate :)

   
 
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