Capitolo
3.
Ingiustissimo/Amor,
perché sì raro/corrispondenti
fai
nostri desiri?/onde,perfido, avvien che t'è sì caro/
il
discorde voler ch'in due cor miri?
(Ludovico
Ariosto; Orlando Furioso)
Maryl
sorrise, bussando alla porta di casa Jonas, radiosa, la valigia
appoggiata accanto alla porta. Non era nemmeno tornata a casa a
poggiarla, era corsa immediatamente da Kevin. Era riuscita finalmente
a prendersi un paio di settimane di pausa dall'apprendistato da Dior
e aveva preso il primo volo per Los Angeles disponibile.
-
Chi è? - domandò una voce femminile dall'altra parte
della porta. Maryl sorrise riconoscendola.
-
Denise, sono io, Maryl – fece la bionda, sprizzando felicità
da tutti i pori.
Quasi
non aveva finito di parlare che la donna aveva già aperto, un
sorriso raggiante sul viso troppo giovane per una persona di quasi
cinquant'anni.
-
Maryl – sospirò Denise, stringendola quasi fosse una
figlia per lunghi istanti. - Cara, ma come mai sei qui? Entra, entra.
La
ventiduenne entrò nell'atrio a lei così familiare.
Aveva passato intere giornate in quella casa e il profumo che vagava
in ogni stanza le era mancato, suonava un po' come casa.
-
Come mai sei qui? - ripeté Denise Jonas, allegramente,
facendole strada sino alla cucina e versandole un bicchiere di
aranciata.
La
signora Jonas l'aveva sempre trattata bene, ma mai come in quel
momento. Forse era perché finalmente era tornata da Kevin,
forse perché era l'unica Campbell che non aveva ferito uno dei
suoi figli.
-
Mi sono presa una settimana libera – spiegò, scrollando
le spalle. - Maggie e Lexi mi mancavano troppo, e anche i ragazzi –
i suoi occhi si illuminarono immediatamente. - Starò una
settimana qui e un'altra a Miami.
La
mano di Denise, a sentire il nome delle sorelle minore della bionda,
ebbe un tremito; cercò di mascherarlo con un finto sorriso,
sperando che la ragazza non se ne accorgesse, ma non fu così.
Sospirò,
abbassando il capo lentamente.
-
Nick e Maggie continuano a non parlarsi? - chiese dispiaciuta, anche
se sapeva perfettamente la risposta.
-
Sì – rispose. - Non accennano a risolvere le loro
divergenze. Maggie mi ha chiamata, però; è una brava
ragazza... Mi ha spiegato come mai hanno litigato e come mai si sono
lasciati. Credo sia stato per quanto le avevo detto quando Nick
stesse male. Avevo seriamente pensato che lei fosse la persona giusta
per... - la sua voce si ruppe. - Lasciamo perdere. Mi ha detto che
suo padre sta tentando di farla ammettere ad Harvard per quel che
penso la ammetteranno di sicuro.
Maryl
annuì. Sapeva già tutto.
-
E Lexi?
Sulla
rossa, al contrario, non aveva notizie. Lexi non la chiamava mai, e
rispondeva alle sue telefonate una volta ogni cinque, per poi
chiudere dopo pochi minuti: diceva di essere impegnata e di dover
studiare. Per quel poco che ne sapeva Maryl, erano tutte bugie.
-
Dopo l'incidente non l'ho né più vista né
sentita, mi spiace – commentò la signora Jonas. - Ho
ricevuto solamente un suo messaggio in segreteria, una sola parola:
grazie. Non so a cosa si riferisse.
-
Io penso di saperlo... - la interruppe Maryl. - Per averla accolta
quasi come una figlia, per essere stata a volte la madre che ci è
mancata.
Ricordò
le volte in cui le aveva viste ridere davanti a un bicchiere di thé
freddo, divertendosi raccontando aneddoti di Joe e, addirittura,
svelarsi qualche segreto.
Denise
sorrise commossa.
-
Se la senti, dille che le voglio bene, per favore.
-
Lo farò – promise. - Scusa, sai dirmi dov'è
Kevin? - era la domanda che voleva farle da quando era arrivata.
La
donna rise alla sua trepidazione.
-
È fuori, lo trovi nel parco dietro a casa. Usciva con
un'amica.
-
Oh, grazie mille – sorrise la bionda. Se c'era una cosa di cui
non si preoccupava era che Kevin la potesse tradire, non conosceva
persona più fedele e leale di lui.
Uscì
di casa più velocemente che potesse, ringraziando il cielo di
aver avuto il buon senso di infilarsi un paio di scarpe da
ginnastica, un sorriso raggiante sulle labbra rosee e perfette. Nella
sua mente era fisso un solo pensiero: stava per rivedere Kevin, lo
stava per riabbracciare, stringere, baciare.
Come
gli era mancato...
Il
parco era semivuoto, quella non era una delle zone più
frequentate di Toluca Lake e faceva troppo caldo per uscire e stare
al sole, e lo riconobbe subito. Era seduto su una panchina accanto a
una bellezza mora, i capelli lunghissimi e lucenti. Maryl poteva
vedere loro, ma non il contrario.
Il
suo cuore accelerò i battiti quando scorse il profilo di
Kevin, uguale a come si erano visti l'ultima volta, forse solo più
pallido.
La
ragazza parlava tenendo le mani in grembo e giocherellando, ogni
tanto, con una collana posata sulla sua canottiera azzurra. Era
proprio bella. Ma Maryl non se ne curò, anche se era così
Kevin non l'avrebbe mai tradita. Kevin era suo.
Fece
un passo avanti, già pronta a gridare il nome del suo ragazzo
e iniziare a correre verso di lui per abbracciarlo, come in una scena
di un classico film di serie B, quando vide Kevin passare,
impacciato, un braccio intorno alle spalle della bellezza in canotta.
La
ragazze non parve stupita, o meravigliata, o neanche offesa –
doveva sapere di lei, di Maryl, no? - solo compiaciuta e si strinse
più a lui, socchiudendo gli occhi e intrecciando una mano con
la sua.
La
bionda si pietrificò, trattenendo il fiato, mentre il suo
cuore sembrava aver smesso di battere.
Non
poteva essere possibile. Lei doveva essere un'amica, un'amica
importante, magari una cugina, sì, una cugina stretta, magari
in un momento difficile. Estremamente complicato.
La
“cugina” alzò la testa e fece, pian piano, aderire
le proprie labbra a quelle del ragazzo, ora più rigido,
nervoso. Si separarono dopo pochi istanti.
Maryl
non fece nulla, rimase impassibile ad osservare la scena, il viso una
maschera di ghiaccio.
Kevin
fece un sorriso nervoso e voltò la testa, incrociando gli
occhi ambrati, e glaciali, di Maryl. Si alzò di scatto,
chiamandola a gran voce, supplicandola di ascoltarlo, ma lei non
ubbidì.
Fu
l'ultima volta che si videro.
**
«No,
no, Yasunari, ho detto che voglio che quelle benedette stoffe
arrivino entro la prossima settimana e non
si
discute!», disse con tono fermo, parlottando velocemente in
giapponese Maryl Campbell, un'affascinante ventinovenne dai ricci
capelli biondi lunghi sino a metà schiena e gli occhi dorati.
«Beh, fai partire un
nuovo aereo!», continuò implacabile alla risposta del
collega oltreoceano. «Ti ho dato un budget, spendilo! E ti
avverto, Yasunari, che se quelle stoffe non saranno qui entro lunedì
prossimo potrai tranquillamente sgomberare la tua scrivania!»,
riattaccò prima che l'altro potesse aggiungere alcunché.
Appoggiò l'auricolare
nuovo sulla scrivania in vetro e si lasciò cadere sulla sedia
girevole in pelle nera, che dava le spalle a un'ampia finestra
affacciata sugli alti grattacieli di Tokyo.
«Lavoro con un branco
di incompetenti, ecco tutto», sibilò in inglese,
grattandosi la punta del naso con un indice affusolato mentre con
l'altra mano afferrava delle pratiche e iniziava a leggerle.
Qualcuno bussò alla
porta con un tocco leggero.
«Sì?»,
chiese distratta. «Avanti».
Un uomo tarchiato, vestito
con un elegante camicia bianca, una giacca nera in velluto e una
cravatta scura fece il suo ingresso nell'ampio studio del suo capo.
«Signorina Campbell»,
disse in giapponese, con tono solenne. «Il signor Kawabata e il
signor Mizuki la attendono, signorina. E c'è una chiamata del
signor Jenkins sulla due».
«Faccia entrare il
signor Kawabata e il signor Mizuki tra cinque minuti», annuì
Maryl, congiungendo le mani. «Al signor Jenkins ci penso io».
L'uomo fece un breve cenno
d'assenso con la testa e si congedò, uscendo dalla stanza.
Maryl afferrò la
cornetta del telefono e pigiò il tasto 2, avvicinando
l'apparecchio all'orecchio.
«Henry, non posso
parlare», disse subito, senza salutare.
«Sì, lo so,
volevo solo sentirti un attimo», fece paziente l'uomo
dall'altra parte del telefono, con tono dolce.
«Mi fa piacere, ma ho
un'importante riunione tra pochissimi minuti, è per l'uscita
del nuovo numero della rivista quindi non posso parlare. Ci vediamo
questa sera a casa», spiegò nervosamente la donna.
«Non lavorerai mica
anche domani!», esclamò subito Henry, allibito. «È
la vigilia di Natale!».
«Non lo so, Henry! Ora
devo andare, ne parliamo 'sta sera. Ti amo», sussurrò
velocemente e riattaccando nel momento stesso in cui la porta si
apriva e due uomini, uno più alto e l'altro più basso,
entrambi giapponesi ed elegantemente vestiti, varcavano la soglia.
«Signor Mizuki, signor
Kawabata», li salutò Maryl nella loro lingua, chinando
appena il busto in segno di benvenuto.
«Signorina Campbell»,
ricambiò il signor Mizuki, il più alto. «Siamo
felici di essere qui».
«Sono contenta di
sentirvelo dire», annuì rigidamente la bionda, indicando
ai due soci di accomodarsi sulle due comode sedie davanti alla
scrivania e sedendosi sulla propria.
«Se non vi spiace
vorrei iniziare subito», aggiunse il signor Kawabata, muovendo
concitatamente le mani. «È il giorno prima della Vigilia
e ho da fare delle commissioni con la mia famiglia».
A quelle parole lo stomaco
di Maryl si attorcigliò e il suo cuore si strinse
dolorosamente: anche lei, fino a sette anni prima, andava ancora in
cerca del regalo perfetto per i suoi amici il giorno prima della
Vigilia di Natale con le sue sorelle, Lexi e Maggie.
«Naturalmente»,
rispose con un sorriso appena accennato. «Dunque, sto facendo
importare da un mio collega della seta egiziana direttamente da
Marshalam, dovrebbe essere qui la settimana prossima. Voi a cosa
avevate pensato per il nuovo numero?».
Maryl era direttrice da un
anno della sede giapponese di Vogue, carica che si era meritata dopo
quattro pesanti anni di studio, una laurea in Moda&Design con il
massimo dei voti e per aver anteposto la carriera al resto per i suoi
primi due anni di studio nell'ufficio. Inizialmente era solamente
un'assistente, poi pian piano aveva ricoperto tutte le cariche
importanti sino a quella di direttrice. Era la prima persona che
raggiungeva quel traguardo in così poco tempo.
«Dunque», iniziò
il signor Mizuki, accomodandosi meglio sulla sedia. «noi
avevamo pensato di inserire nella rivista almeno una ventina di
pagine con gli scatti inediti della Settimana della Moda di New York;
invoglierebbe i nostri lettori a comprare la rivista, senza dubbio».
Maryl si morse il labbro
inferiore, appuntando quanto detto su un block-notes.
«Abbiamo fatto lo
stesso due anni fa», gli ricordò con tranquillità.
«Sarebbe utile fare qualcosa di nuovo, di innovativo... Un
servizio fotografico, ad esempio, sarei felice di darvi qualche mio
vecchio schizzo con dei nuovi abiti».
Era sempre stato il suo
sogno quello di diventare stilista, e quando era arrivata in Giappone
era sicura che dopo qualche anno di studio lì sarebbe riuscita
a realizzare il suo sogno e sarebbe tornata a Los Angeles con una
carriera pronta per cominciare e ottime referenziali.
Invece no. Dopo essersi
lasciata con Kevin non era più riuscita a prendere una
matita in mano per disegnare, ci aveva provato, ma senza successo, ed
era stato così che alla fine era finita a fare un lavoro
sempre incentrato con la moda, certo, ma a coordinare le pagine di
una rivista. Tutto qui. Eppure ci metteva l'anima ugualmente.
«Grazie mille,
signorina, ma non ci serve», ribatté seccamente il
signor Kawabata. «Il mio collega ed io pensiamo che la scelta
della Settima della Moda sia più che appropriata».
«Ma in questo modo i
nostri lettori vedranno cose già viste», sibilò
Maryl, infiammandosi. «Dobbiamo cambiare, o verremo
sorpassati!».
«Che cosa propone,
allora?», chiese acidamente Mizuki, guardandola con i suoi
occhietti acquosi.
La bionda resse lo sguardo
del collega senza tentennamenti.
«Riunione aggiornata»,
grugnì infine, seccamente. «Ci vediamo il sette Gennaio
alla stessa ora e mi aspetto che ognuno di noi abbia delle idee nuove
e originali».
Mizuki e Kawabata si
alzarono, la salutarono chinando il busto e uscendo dallo studio con
andatura veloce.
Maryl scosse il capo e si
risedette, riprendendo in mano la pratica che stava leggendo prima
dell'arrivo dei due colleghi.
«Signorina Campbell»,
disse una voce femminile dopo quelli che alla ventinovenne sembrarono
pochi istanti.
Maryl alzò lo sguardo
e vide la sua segretaria.
«Dimmi Chieko»,
fece, disinteressata.
«Le volevo chiedere se
potevo andare a casa, signorina», disse la segretaria, con tono
insicuro.
«Alle cinque?»,
sbottò la bionda, irritata. Solo perché era quasi
Natale non significava che bisognasse tornare a casa sempre prima
anche nei giorni di lavoro!
«Sono le otto,
Maryl-san», la corresse Chieko.
«Come?!»,
impallidì la bionda. «Certo, vai Chieko...»,
aggiunse immediatamente, alzandosi. Si era distratta di nuovo,
maledizione!
La segretaria si inchinò
e si congedò, uscendo con piccoli passi veloci.
La ventinovenne afferrò
la pratica e la infilò nella sua ventiquattr'ore, afferrò
il suo giubbotto chiaramente firmato ed uscì anche lei
dall'ufficio, spegnendo le luci al suo passaggio.
Henry sarà stato
furioso.
Afferrò il suo iPhone
e digitò il suo numero, portandoselo poi all'orecchio.
«Maryl!», sbuffò
Henry, non appena rispose. «Dove diavolo sei?!».
«Ho perso la
concezione del tempo», ammise lei. «Arrivo a casa tra
mezz'ora, sto andando a prendere la metropolitana».
Ci fu un attimo di silenzio
pesante, poi Henry fece un verso d'assenso.
«Inizio a scaldare la
cena», disse. «A tra poco».
«Ciao», sussurrò
la riccia e riappese mentre scendeva elegantemente gli scalini
sporchi della metro.
Arrivata alla piattaforma
dove prendeva il treno per tornare a casa non dovette aspettare molto
prima che ne arrivasse uno.
Si infilò le cuffie
dell'iPod nelle orecchie e fece partire un pezzo dei Coldplay,
sedendosi un sedile freddo e duro.
Odiava prendere il treno, ma
usare la macchina a Tokyo, per di più sotto le feste,
equivaleva ad un suicidio.
Scese sette fermate dopo e
si trovò in una stazione della metropolitana quasi interamente
vuota.
Sarebbe riuscita ad arrivare
a casa anche un po' prima.
Salì la scalinata e
si ritrovò nel mezzo di una serata a Tokyo, piena di luci,
colori, rumori e odori.
Con una vecchia canzone di
Madonna che la accompagnava attraversò la strada trafficata e
si ritrovò davanti a un imponente grattacielo.
Cliccò il tasto del
citofono accanto al nome Jenkins – Campbell e aspettò
che Henry venisse ad aprirle.
«Sì?»,
disse la sua voce calma e pacata.
«Sono io»,
sorrise la riccia. Un rumore di una serratura che scattava ed entrò
nell'atrio del palazzo.
«Buongiorno signorina
Campbell», sorrise il portiere, chinando il busto in segno di
saluto.
Maryl ricambiò e
chiamò l'ascensore spegnendo la musica e rimettendo l'iPod in
borsa.
Lei e Henry vivevano in un
loft elegante al sedicesimo piano del grattacielo, che avevano
acquistato insieme due anni prima.
Stavano insieme da quattro
anni, e per Maryl era stato il primo ragazzo dopo Kevin. Con
Henry si trovava bene, era un bravo ragazzo, dolce, simpatico e la
amava. Un uomo a posto.
Si erano conosciuti a una
festa dell'azienda di lui a cui Maryl era stata invitata essendo
un'amica intima di una delle dipendenti.
Henry era inglese, era nato
e cresciuto in Inghilterra ma verso i vent'anni si era trasferito in
Giappone per le maggiori possibilità di lavoro che gli
proponevano.
La porta di casa era
socchiusa e si sentiva l'odore di carne già dal corridoio.
La casa era ricoperta, da
ogni parte, di fiori e candele profumate. Non c'era una luce accesa e
Maryl seguì la scia di candele, guardando attentamente a terra
per non inciampare in qualcosa lasciato a terra. L'odore della carne
di prima fu immediatamente sostituito dal profumo di rose fresche,
appena sbocciate.
«Tesoro?»,
chiese la bionda, incerta.
«Sono in cucina»,
rispose lui e come conferma si sentì un fornello che veniva
acceso.
La giovane donna appoggiò
il giubbotto sul divano ed entrò in cucina, venendo investita
immediatamente dalla luce tenue della candele.
Henry le sorrise con
dolcezza, fasciato in uno dei suoi abiti migliori.
«Ben tornata, amore»,
disse.
Maryl sorrise di rimando e
si avvicinò a lui baciandolo mentre lui avvolgeva le braccia
intorno alla vita sottile della fidanzata.
«Credevo non arrivassi
più», ammise lui. «Stavo per buttare il mio
suffle, devi farti perdonare in qualche modo».
«Oh, immagino che
avrai qualche idea...», disse la bionda, maliziosa.
«Esattamente»,
annuì il trentenne, baciandole il collo.
Maryl rise, lanciando la
testa indietro.
«Cos'è questa
storia?», domandò, perplessa, accennando alle rose e
alle candele.
Henry sorrise, mentre le
fossette gli incavavano le guance. I capelli scuri erano stranamente
spettinati, gli occhi con una strana luce.
«Sorpresa»,
mormorò nel suo orecchio.
Maryl si irrigidì.
«Odio le sorprese»,
sbuffò. Era a causa di una di queste che lei e Kevin
avevano rotto.
«Ho come l'impressione
che ti farò cambiare idea», gongolò Henry.
«Sbagli», ruggì
Maryl, trattenendo appena un tono di voce basso.
L'uomo la fissò
stranito, senza però eliminare il sorriso dal suo viso.
«Non ne sono sicuro»,
sussurrò. Si mise una mano in tasca e, lentamente, si
inginocchiò a terra.
«Henry...?»,
deglutì Maryl, basita.
«Maryl Campbell,
stiamo insieme da quattro meravigliosi anni, so che tu sei tutto ciò
che potrei mai desiderare da una donna e io ti amo. Mi faresti il
grandissimo onore di diventare mia moglie?», disse, con tono
fermo per controllare l'emozione.
Maryl lo guardò,
stranita, senza sapere che dire. Il momento, il luogo, la situazione
era perfetta. Era come aveva sempre desiderato, ogni cosa.
Fissò gli occhi
imploranti di Henry, che inginocchiato aveva estratto una scatolina
di velluto nero e aperta, mostrando un preziosissimo anello
d'argento, incastonato di pietre preziose colorate.
Spostò lo sguardo
fuori dalla finestra e sospirò.
{Fine}
*Prima
di tutto ringrazio Egg___s
per il bellissimo fotomontaggio di questo capitolo. Grazie <3*
Ebbene
sì, è finita già u.u
Questo
è un finale aperto: secondo voi, dopo il tanto tempo che è
passato, dopo quello che Maryl ed Hanry hanno vissuto - ma anche
Maryl e Kevin – lei accetterà di sposare il nostro
aitante aziendale? Sapete una cosa? Non lo so nemmeno io. Sul serio,
non ne ho idea, ma sono curiosa di sapere cose ne pensate :D
Grazie
per avermi seguito anche in questa avventura!
Ringraziamenti:
Melmon:
ooh, ma anch'io sono per gli
happy end! Solo che sono in un momento di depressione totale (aspetta
di leggere, se lo farai, una mooolto futura long su Joe *risata
sadica*). Beh, che dire, grazie per aver letto anche questa
fanfiction! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, un bacio <3
She
is Mari: ma noo, poveri Luc ed
Edward... Mmh, sì, in effetti Edward mi sta più
antipatico, uccidilo pure, ma Luc no *abbraccia Luc* lui è il
mio tesoro bello! Okay, sclero xD Ooh, avrai già compiuto gli
anni quindi AUGURI! *si mette a cantare happy birthday con Nick, Joe
e Kevin* Buon compleanno (in ritardo). Grazie per avermi seguita
anche qui
*-* Un bacio <3
_Kira_Perly_:
per prima cosa: come sono andati gli esami? Tutto bene? Spero
vivamente di sì! (: Ooh, credevo di avertelo detto *maledetto
Alzheimer* o.O Grazie di tutto, un bacio <3
AVVISO:
Ho deciso che inizierò a
postare I'm Only Me When I'm With You (se
internet me lo permette) lunedì 6 Settembre,
ovvero lunedì prossimo. Spero leggerete numerosi! Grazie, come
sempre, per ogni cosa <3
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