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Autore: Maggie_Lullaby    30/08/2010    5 recensioni
Spin-off di "Under The Moonlight".
Questo è un finale alternativo che è nato quasi per caso della mia long (ormai conclusa), Under The Moonlight.
E se...
Lexi non avesse perdonato Joe per averla ferita e l'avesse allontanato irrimediabilmente dalla sua vita, trasferendosi in Francia non appena le è stato possibile e continuando la sua vita senza di lui?
E se...
Maggie non si fosse perdonata per aver tradito e avesse lasciato definitivamente Nick, senza più farsi sentire da nessuno della famiglia Jonas e scappando per andare all'università, finendo poi a Washington D.C.?
E se...
Maryl e Kevin non fossero riusciti a sopportare la distanza, si sono lasciati e ora lei vivesse a Tokyo con un altro uomo?
Questa è una storia su come sarebbe potuta andare a finire...
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Brothers&Sisters'
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Capitolo 3.

Ingiustissimo/Amor, perché sì raro/corrispondenti

fai nostri desiri?/onde,perfido, avvien che t'è sì caro/

il discorde voler ch'in due cor miri?

(Ludovico Ariosto; Orlando Furioso)

Maryl sorrise, bussando alla porta di casa Jonas, radiosa, la valigia appoggiata accanto alla porta. Non era nemmeno tornata a casa a poggiarla, era corsa immediatamente da Kevin. Era riuscita finalmente a prendersi un paio di settimane di pausa dall'apprendistato da Dior e aveva preso il primo volo per Los Angeles disponibile.

- Chi è? - domandò una voce femminile dall'altra parte della porta. Maryl sorrise riconoscendola.

- Denise, sono io, Maryl – fece la bionda, sprizzando felicità da tutti i pori.

Quasi non aveva finito di parlare che la donna aveva già aperto, un sorriso raggiante sul viso troppo giovane per una persona di quasi cinquant'anni.

- Maryl – sospirò Denise, stringendola quasi fosse una figlia per lunghi istanti. - Cara, ma come mai sei qui? Entra, entra.

La ventiduenne entrò nell'atrio a lei così familiare. Aveva passato intere giornate in quella casa e il profumo che vagava in ogni stanza le era mancato, suonava un po' come casa.

- Come mai sei qui? - ripeté Denise Jonas, allegramente, facendole strada sino alla cucina e versandole un bicchiere di aranciata.

La signora Jonas l'aveva sempre trattata bene, ma mai come in quel momento. Forse era perché finalmente era tornata da Kevin, forse perché era l'unica Campbell che non aveva ferito uno dei suoi figli.

- Mi sono presa una settimana libera – spiegò, scrollando le spalle. - Maggie e Lexi mi mancavano troppo, e anche i ragazzi – i suoi occhi si illuminarono immediatamente. - Starò una settimana qui e un'altra a Miami.

La mano di Denise, a sentire il nome delle sorelle minore della bionda, ebbe un tremito; cercò di mascherarlo con un finto sorriso, sperando che la ragazza non se ne accorgesse, ma non fu così.

Sospirò, abbassando il capo lentamente.

- Nick e Maggie continuano a non parlarsi? - chiese dispiaciuta, anche se sapeva perfettamente la risposta.

- Sì – rispose. - Non accennano a risolvere le loro divergenze. Maggie mi ha chiamata, però; è una brava ragazza... Mi ha spiegato come mai hanno litigato e come mai si sono lasciati. Credo sia stato per quanto le avevo detto quando Nick stesse male. Avevo seriamente pensato che lei fosse la persona giusta per... - la sua voce si ruppe. - Lasciamo perdere. Mi ha detto che suo padre sta tentando di farla ammettere ad Harvard per quel che penso la ammetteranno di sicuro.

Maryl annuì. Sapeva già tutto.

- E Lexi?

Sulla rossa, al contrario, non aveva notizie. Lexi non la chiamava mai, e rispondeva alle sue telefonate una volta ogni cinque, per poi chiudere dopo pochi minuti: diceva di essere impegnata e di dover studiare. Per quel poco che ne sapeva Maryl, erano tutte bugie.

- Dopo l'incidente non l'ho né più vista né sentita, mi spiace – commentò la signora Jonas. - Ho ricevuto solamente un suo messaggio in segreteria, una sola parola: grazie. Non so a cosa si riferisse.

- Io penso di saperlo... - la interruppe Maryl. - Per averla accolta quasi come una figlia, per essere stata a volte la madre che ci è mancata.

Ricordò le volte in cui le aveva viste ridere davanti a un bicchiere di thé freddo, divertendosi raccontando aneddoti di Joe e, addirittura, svelarsi qualche segreto.

Denise sorrise commossa.

- Se la senti, dille che le voglio bene, per favore.

- Lo farò – promise. - Scusa, sai dirmi dov'è Kevin? - era la domanda che voleva farle da quando era arrivata.

La donna rise alla sua trepidazione.

- È fuori, lo trovi nel parco dietro a casa. Usciva con un'amica.

- Oh, grazie mille – sorrise la bionda. Se c'era una cosa di cui non si preoccupava era che Kevin la potesse tradire, non conosceva persona più fedele e leale di lui.

Uscì di casa più velocemente che potesse, ringraziando il cielo di aver avuto il buon senso di infilarsi un paio di scarpe da ginnastica, un sorriso raggiante sulle labbra rosee e perfette. Nella sua mente era fisso un solo pensiero: stava per rivedere Kevin, lo stava per riabbracciare, stringere, baciare.

Come gli era mancato...

Il parco era semivuoto, quella non era una delle zone più frequentate di Toluca Lake e faceva troppo caldo per uscire e stare al sole, e lo riconobbe subito. Era seduto su una panchina accanto a una bellezza mora, i capelli lunghissimi e lucenti. Maryl poteva vedere loro, ma non il contrario.

Il suo cuore accelerò i battiti quando scorse il profilo di Kevin, uguale a come si erano visti l'ultima volta, forse solo più pallido.

La ragazza parlava tenendo le mani in grembo e giocherellando, ogni tanto, con una collana posata sulla sua canottiera azzurra. Era proprio bella. Ma Maryl non se ne curò, anche se era così Kevin non l'avrebbe mai tradita. Kevin era suo.

Fece un passo avanti, già pronta a gridare il nome del suo ragazzo e iniziare a correre verso di lui per abbracciarlo, come in una scena di un classico film di serie B, quando vide Kevin passare, impacciato, un braccio intorno alle spalle della bellezza in canotta.

La ragazze non parve stupita, o meravigliata, o neanche offesa – doveva sapere di lei, di Maryl, no? - solo compiaciuta e si strinse più a lui, socchiudendo gli occhi e intrecciando una mano con la sua.

La bionda si pietrificò, trattenendo il fiato, mentre il suo cuore sembrava aver smesso di battere.

Non poteva essere possibile. Lei doveva essere un'amica, un'amica importante, magari una cugina, sì, una cugina stretta, magari in un momento difficile. Estremamente complicato.

La “cugina” alzò la testa e fece, pian piano, aderire le proprie labbra a quelle del ragazzo, ora più rigido, nervoso. Si separarono dopo pochi istanti.

Maryl non fece nulla, rimase impassibile ad osservare la scena, il viso una maschera di ghiaccio.

Kevin fece un sorriso nervoso e voltò la testa, incrociando gli occhi ambrati, e glaciali, di Maryl. Si alzò di scatto, chiamandola a gran voce, supplicandola di ascoltarlo, ma lei non ubbidì.

Fu l'ultima volta che si videro.


**


«No, no, Yasunari, ho detto che voglio che quelle benedette stoffe arrivino entro la prossima settimana e non si discute!», disse con tono fermo, parlottando velocemente in giapponese Maryl Campbell, un'affascinante ventinovenne dai ricci capelli biondi lunghi sino a metà schiena e gli occhi dorati.

«Beh, fai partire un nuovo aereo!», continuò implacabile alla risposta del collega oltreoceano. «Ti ho dato un budget, spendilo! E ti avverto, Yasunari, che se quelle stoffe non saranno qui entro lunedì prossimo potrai tranquillamente sgomberare la tua scrivania!», riattaccò prima che l'altro potesse aggiungere alcunché.

Appoggiò l'auricolare nuovo sulla scrivania in vetro e si lasciò cadere sulla sedia girevole in pelle nera, che dava le spalle a un'ampia finestra affacciata sugli alti grattacieli di Tokyo.

«Lavoro con un branco di incompetenti, ecco tutto», sibilò in inglese, grattandosi la punta del naso con un indice affusolato mentre con l'altra mano afferrava delle pratiche e iniziava a leggerle.

Qualcuno bussò alla porta con un tocco leggero.

«Sì?», chiese distratta. «Avanti».

Un uomo tarchiato, vestito con un elegante camicia bianca, una giacca nera in velluto e una cravatta scura fece il suo ingresso nell'ampio studio del suo capo.

«Signorina Campbell», disse in giapponese, con tono solenne. «Il signor Kawabata e il signor Mizuki la attendono, signorina. E c'è una chiamata del signor Jenkins sulla due».

«Faccia entrare il signor Kawabata e il signor Mizuki tra cinque minuti», annuì Maryl, congiungendo le mani. «Al signor Jenkins ci penso io».

L'uomo fece un breve cenno d'assenso con la testa e si congedò, uscendo dalla stanza.

Maryl afferrò la cornetta del telefono e pigiò il tasto 2, avvicinando l'apparecchio all'orecchio.

«Henry, non posso parlare», disse subito, senza salutare.

«Sì, lo so, volevo solo sentirti un attimo», fece paziente l'uomo dall'altra parte del telefono, con tono dolce.

«Mi fa piacere, ma ho un'importante riunione tra pochissimi minuti, è per l'uscita del nuovo numero della rivista quindi non posso parlare. Ci vediamo questa sera a casa», spiegò nervosamente la donna.

«Non lavorerai mica anche domani!», esclamò subito Henry, allibito. «È la vigilia di Natale!».

«Non lo so, Henry! Ora devo andare, ne parliamo 'sta sera. Ti amo», sussurrò velocemente e riattaccando nel momento stesso in cui la porta si apriva e due uomini, uno più alto e l'altro più basso, entrambi giapponesi ed elegantemente vestiti, varcavano la soglia.

«Signor Mizuki, signor Kawabata», li salutò Maryl nella loro lingua, chinando appena il busto in segno di benvenuto.

«Signorina Campbell», ricambiò il signor Mizuki, il più alto. «Siamo felici di essere qui».

«Sono contenta di sentirvelo dire», annuì rigidamente la bionda, indicando ai due soci di accomodarsi sulle due comode sedie davanti alla scrivania e sedendosi sulla propria.

«Se non vi spiace vorrei iniziare subito», aggiunse il signor Kawabata, muovendo concitatamente le mani. «È il giorno prima della Vigilia e ho da fare delle commissioni con la mia famiglia».

A quelle parole lo stomaco di Maryl si attorcigliò e il suo cuore si strinse dolorosamente: anche lei, fino a sette anni prima, andava ancora in cerca del regalo perfetto per i suoi amici il giorno prima della Vigilia di Natale con le sue sorelle, Lexi e Maggie.

«Naturalmente», rispose con un sorriso appena accennato. «Dunque, sto facendo importare da un mio collega della seta egiziana direttamente da Marshalam, dovrebbe essere qui la settimana prossima. Voi a cosa avevate pensato per il nuovo numero?».

Maryl era direttrice da un anno della sede giapponese di Vogue, carica che si era meritata dopo quattro pesanti anni di studio, una laurea in Moda&Design con il massimo dei voti e per aver anteposto la carriera al resto per i suoi primi due anni di studio nell'ufficio. Inizialmente era solamente un'assistente, poi pian piano aveva ricoperto tutte le cariche importanti sino a quella di direttrice. Era la prima persona che raggiungeva quel traguardo in così poco tempo.

«Dunque», iniziò il signor Mizuki, accomodandosi meglio sulla sedia. «noi avevamo pensato di inserire nella rivista almeno una ventina di pagine con gli scatti inediti della Settimana della Moda di New York; invoglierebbe i nostri lettori a comprare la rivista, senza dubbio».

Maryl si morse il labbro inferiore, appuntando quanto detto su un block-notes.

«Abbiamo fatto lo stesso due anni fa», gli ricordò con tranquillità. «Sarebbe utile fare qualcosa di nuovo, di innovativo... Un servizio fotografico, ad esempio, sarei felice di darvi qualche mio vecchio schizzo con dei nuovi abiti».

Era sempre stato il suo sogno quello di diventare stilista, e quando era arrivata in Giappone era sicura che dopo qualche anno di studio lì sarebbe riuscita a realizzare il suo sogno e sarebbe tornata a Los Angeles con una carriera pronta per cominciare e ottime referenziali.

Invece no. Dopo essersi lasciata con Kevin non era più riuscita a prendere una matita in mano per disegnare, ci aveva provato, ma senza successo, ed era stato così che alla fine era finita a fare un lavoro sempre incentrato con la moda, certo, ma a coordinare le pagine di una rivista. Tutto qui. Eppure ci metteva l'anima ugualmente.

«Grazie mille, signorina, ma non ci serve», ribatté seccamente il signor Kawabata. «Il mio collega ed io pensiamo che la scelta della Settima della Moda sia più che appropriata».

«Ma in questo modo i nostri lettori vedranno cose già viste», sibilò Maryl, infiammandosi. «Dobbiamo cambiare, o verremo sorpassati!».

«Che cosa propone, allora?», chiese acidamente Mizuki, guardandola con i suoi occhietti acquosi.

La bionda resse lo sguardo del collega senza tentennamenti.

«Riunione aggiornata», grugnì infine, seccamente. «Ci vediamo il sette Gennaio alla stessa ora e mi aspetto che ognuno di noi abbia delle idee nuove e originali».

Mizuki e Kawabata si alzarono, la salutarono chinando il busto e uscendo dallo studio con andatura veloce.

Maryl scosse il capo e si risedette, riprendendo in mano la pratica che stava leggendo prima dell'arrivo dei due colleghi.

«Signorina Campbell», disse una voce femminile dopo quelli che alla ventinovenne sembrarono pochi istanti.

Maryl alzò lo sguardo e vide la sua segretaria.

«Dimmi Chieko», fece, disinteressata.

«Le volevo chiedere se potevo andare a casa, signorina», disse la segretaria, con tono insicuro.

«Alle cinque?», sbottò la bionda, irritata. Solo perché era quasi Natale non significava che bisognasse tornare a casa sempre prima anche nei giorni di lavoro!

«Sono le otto, Maryl-san», la corresse Chieko.

«Come?!», impallidì la bionda. «Certo, vai Chieko...», aggiunse immediatamente, alzandosi. Si era distratta di nuovo, maledizione!

La segretaria si inchinò e si congedò, uscendo con piccoli passi veloci.

La ventinovenne afferrò la pratica e la infilò nella sua ventiquattr'ore, afferrò il suo giubbotto chiaramente firmato ed uscì anche lei dall'ufficio, spegnendo le luci al suo passaggio.

Henry sarà stato furioso.

Afferrò il suo iPhone e digitò il suo numero, portandoselo poi all'orecchio.

«Maryl!», sbuffò Henry, non appena rispose. «Dove diavolo sei?!».

«Ho perso la concezione del tempo», ammise lei. «Arrivo a casa tra mezz'ora, sto andando a prendere la metropolitana».

Ci fu un attimo di silenzio pesante, poi Henry fece un verso d'assenso.

«Inizio a scaldare la cena», disse. «A tra poco».

«Ciao», sussurrò la riccia e riappese mentre scendeva elegantemente gli scalini sporchi della metro.

Arrivata alla piattaforma dove prendeva il treno per tornare a casa non dovette aspettare molto prima che ne arrivasse uno.

Si infilò le cuffie dell'iPod nelle orecchie e fece partire un pezzo dei Coldplay, sedendosi un sedile freddo e duro.

Odiava prendere il treno, ma usare la macchina a Tokyo, per di più sotto le feste, equivaleva ad un suicidio.

Scese sette fermate dopo e si trovò in una stazione della metropolitana quasi interamente vuota.

Sarebbe riuscita ad arrivare a casa anche un po' prima.

Salì la scalinata e si ritrovò nel mezzo di una serata a Tokyo, piena di luci, colori, rumori e odori.

Con una vecchia canzone di Madonna che la accompagnava attraversò la strada trafficata e si ritrovò davanti a un imponente grattacielo.

Cliccò il tasto del citofono accanto al nome Jenkins – Campbell e aspettò che Henry venisse ad aprirle.

«Sì?», disse la sua voce calma e pacata.

«Sono io», sorrise la riccia. Un rumore di una serratura che scattava ed entrò nell'atrio del palazzo.

«Buongiorno signorina Campbell», sorrise il portiere, chinando il busto in segno di saluto.

Maryl ricambiò e chiamò l'ascensore spegnendo la musica e rimettendo l'iPod in borsa.

Lei e Henry vivevano in un loft elegante al sedicesimo piano del grattacielo, che avevano acquistato insieme due anni prima.

Stavano insieme da quattro anni, e per Maryl era stato il primo ragazzo dopo Kevin. Con Henry si trovava bene, era un bravo ragazzo, dolce, simpatico e la amava. Un uomo a posto.

Si erano conosciuti a una festa dell'azienda di lui a cui Maryl era stata invitata essendo un'amica intima di una delle dipendenti.

Henry era inglese, era nato e cresciuto in Inghilterra ma verso i vent'anni si era trasferito in Giappone per le maggiori possibilità di lavoro che gli proponevano.

La porta di casa era socchiusa e si sentiva l'odore di carne già dal corridoio.

La casa era ricoperta, da ogni parte, di fiori e candele profumate. Non c'era una luce accesa e Maryl seguì la scia di candele, guardando attentamente a terra per non inciampare in qualcosa lasciato a terra. L'odore della carne di prima fu immediatamente sostituito dal profumo di rose fresche, appena sbocciate.

«Tesoro?», chiese la bionda, incerta.

«Sono in cucina», rispose lui e come conferma si sentì un fornello che veniva acceso.

La giovane donna appoggiò il giubbotto sul divano ed entrò in cucina, venendo investita immediatamente dalla luce tenue della candele.

Henry le sorrise con dolcezza, fasciato in uno dei suoi abiti migliori.

«Ben tornata, amore», disse.

Maryl sorrise di rimando e si avvicinò a lui baciandolo mentre lui avvolgeva le braccia intorno alla vita sottile della fidanzata.

«Credevo non arrivassi più», ammise lui. «Stavo per buttare il mio suffle, devi farti perdonare in qualche modo».

«Oh, immagino che avrai qualche idea...», disse la bionda, maliziosa.

«Esattamente», annuì il trentenne, baciandole il collo.

Maryl rise, lanciando la testa indietro.

«Cos'è questa storia?», domandò, perplessa, accennando alle rose e alle candele.

Henry sorrise, mentre le fossette gli incavavano le guance. I capelli scuri erano stranamente spettinati, gli occhi con una strana luce.

«Sorpresa», mormorò nel suo orecchio.

Maryl si irrigidì.

«Odio le sorprese», sbuffò. Era a causa di una di queste che lei e Kevin avevano rotto.

«Ho come l'impressione che ti farò cambiare idea», gongolò Henry.

«Sbagli», ruggì Maryl, trattenendo appena un tono di voce basso.

L'uomo la fissò stranito, senza però eliminare il sorriso dal suo viso.

«Non ne sono sicuro», sussurrò. Si mise una mano in tasca e, lentamente, si inginocchiò a terra.

«Henry...?», deglutì Maryl, basita.

«Maryl Campbell, stiamo insieme da quattro meravigliosi anni, so che tu sei tutto ciò che potrei mai desiderare da una donna e io ti amo. Mi faresti il grandissimo onore di diventare mia moglie?», disse, con tono fermo per controllare l'emozione.

Maryl lo guardò, stranita, senza sapere che dire. Il momento, il luogo, la situazione era perfetta. Era come aveva sempre desiderato, ogni cosa.

Fissò gli occhi imploranti di Henry, che inginocchiato aveva estratto una scatolina di velluto nero e aperta, mostrando un preziosissimo anello d'argento, incastonato di pietre preziose colorate.

Spostò lo sguardo fuori dalla finestra e sospirò.


{Fine}


*Prima di tutto ringrazio Egg___s per il bellissimo fotomontaggio di questo capitolo. Grazie <3*

Ebbene sì, è finita già u.u

Questo è un finale aperto: secondo voi, dopo il tanto tempo che è passato, dopo quello che Maryl ed Hanry hanno vissuto - ma anche Maryl e Kevin – lei accetterà di sposare il nostro aitante aziendale? Sapete una cosa? Non lo so nemmeno io. Sul serio, non ne ho idea, ma sono curiosa di sapere cose ne pensate :D

Grazie per avermi seguito anche in questa avventura!

Ringraziamenti:

Melmon: ooh, ma anch'io sono per gli happy end! Solo che sono in un momento di depressione totale (aspetta di leggere, se lo farai, una mooolto futura long su Joe *risata sadica*). Beh, che dire, grazie per aver letto anche questa fanfiction! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, un bacio <3

She is Mari: ma noo, poveri Luc ed Edward... Mmh, sì, in effetti Edward mi sta più antipatico, uccidilo pure, ma Luc no *abbraccia Luc* lui è il mio tesoro bello! Okay, sclero xD Ooh, avrai già compiuto gli anni quindi AUGURI! *si mette a cantare happy birthday con Nick, Joe e Kevin* Buon compleanno (in ritardo). Grazie per avermi seguita anche qui *-* Un bacio <3

_Kira_Perly_: per prima cosa: come sono andati gli esami? Tutto bene? Spero vivamente di sì! (: Ooh, credevo di avertelo detto *maledetto Alzheimer* o.O Grazie di tutto, un bacio <3


AVVISO: Ho deciso che inizierò a postare I'm Only Me When I'm With You (se internet me lo permette) lunedì 6 Settembre, ovvero lunedì prossimo. Spero leggerete numerosi! Grazie, come sempre, per ogni cosa <3

  
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