Epilogo
I giorni divennero
mesi.
La primavera
lasciò il posto alla calda estate, l’estate al
malinconico autunno, e l’autunno al freddo inverno.
Ero tornata a
casa in un giorno di primavera, arco e faretra a tracolla, e una sacca
nella mano sinistra.
Così
ero partita, così tornai.
Come nei miei
più tristi sogni, la mia vista provocò un senso
di profonda delusione negli occhi di mio padre. Vidi il suo sorriso
scemare e farsi improvvisamente più vecchio. Mi
guardò solo per qualche istante, uno sguardo che mi
penetrò fin dentro l’anima e non avrei mai potuto
dimenticare.
Avevo
fallito, miseramente.
Mi fermai a
pochi passi da casa e abbassai lo sguardo, mentre mio padre si
allontanò, sgusciando all’interno e chiudendosi
nella sua stanza.
Mia madre,
invece, mi venne incontro e prese le mie mani tra le sue.
Sollevò la mano destra a carezzarmi il viso e mi spinse a
guardarla. In quel preciso momento in cui i nostri occhi,
così simili e particolari, s’incontrarono, mi
rivolse un caldo sorriso. Lei mi capiva, lo aveva sempre fatto.
Non occorsero
parole, spesso gli sguardi dicono tutto.
Trattenni le
lacrime a forza e deglutii. Lei mi strinse a sé. Una donnina
piccola, in confronto alla mia altezza, che però emanava un
calore profondo.
Solo in quel
momento, accolta in un simile abbraccio, lasciai scivolare qualche
lacrima, per sfogarmi con l’unica persona che non mi
disprezzava, derideva, o altro.
«
Forse è meglio non tornare a casa… non voglio
fargli altro male. Posso trovare un posto dove vivere da
sola… » proposi poco dopo, asciugandomi il viso, e
guardandola negli occhi.
Lei scosse
subito il capo e si accigliò.
«
Sei mia figlia e non ti permetto di andare a vivere da sola, rischiando
di essere beffeggiata da tutti. Lui capirà. Dagli solo un
po’ di tempo. »
Seppur
riluttante, acconsentii e scivolai all’interno della casa,
dietro di lei.
Nei primi
tempi mio padre mi guardava e parlava a malapena. Percepivo la sua
sofferenza, oltre che la delusione. Ero la figlia che più
amava e, non riuscire a parlarmi per puro orgoglio, gli faceva male.
Anch’io
soffrivo.
Amavo mio
padre e vederlo così, mi faceva male.
Il non aver
realizzato il mio sogno, mi faceva male.
E
soprattutto, nonostante la distanza che ora c’era tra me e la
città imperiale, non smettevo di sognare lui. Lo Shogun che
era entrato nel mio cuore. Ciò mi faceva male.
I giorni
passarono ed io tornai ad aiutare i miei genitori nelle faccende
più quotidiane.
Le mie
sorelle, appreso il mio esito fallito, risero di me, ma non
m’importava. Non avevo mai considerato le loro parole, e non
lo avrei di certo fatto ora.
Nei pochi
momenti di libertà, non restavo ad oziare, ma mi recavo in
una piccolo boschetto ad esercitarmi con l’arco. Non aver
realizzato il mio sogno non m’impediva di tenermi allenata e
dimenticare ciò che avevo appreso sin da bambina.
Eppure,
nonostante tutti i miei sforzi di concentrazione, nonostante tentassi
con tutta me stessa di abbattere tutte quelle barriere psichiche e di
entrare in perfetta sintonia con il mio spirito interiore,
c’era sempre qualcosa che m’impediva di compiere il
tiro perfetto.
Sentivo la
sua voce nell’aria, imperiosa, seria… calda.
Vedevo il suo
viso davanti a me. Vedevo il suo sorriso. Vedevo l’ultima
immagine triste di lui, quell’uomo fragile che avrei voluto
stringere tra le mie braccia.
No. Mi era
impossibile dimenticarlo.
Quando
l’amore ti pulsa dentro, scorre in tutto il tuo essere come
un fiume e t’invade completamente, non riesci più
a ragionare, ad opporti, a dire no.
E’
una forza troppo grande di fronte alla quale il più delle
volte, se non sempre, sei costretto ad arrenderti.
Ma, quando
l’amore che provi non può essere ricambiato e sei
costretto a dimenticare, allora lì viene il difficile. E
l’amore si confonde col dolore. Il calore con il gelo.
L’abbraccio con la lama.
Una lama che
colpisce in profondità, che ti ferisce più e
più volte.
Le stagioni cambiarono, ma la mia vita scorreva monotona. Il rapporto
con mio padre rimaneva sempre freddo, sebbene a volte riuscisse a
parlarmi un poco di più.
Io non mi
permettevo di spingerlo a fare di più. Rimasi la figlia
sottomessa e pronta ad aiutare e rispettare i suoi ordini. Lo amavo e
avrei fatto tutto per lui, dopo ciò che gli avevo
crudelmente – anche se involontariamente – arrecato.
Fino a che non giunse l’inverno.
Era molto
rigido, forse uno dei più rigidi che potessi ricordare.
Bianca neve
ricopriva la terra, dove fino a poche settimane prima, vi era un bel
manto erboso.
Mi trovavo
sul retro della casa a prendere della legna, al fine di riscaldare un
poco la casa, quando sentii delle grida di esultanza provenire dal
paese. Mi fermai ad osservare lungo la strada che dalla mia casa
portava al centro, curiosa di capire chi fosse arrivato di
così importante da gettare tanto scompiglio.
Vedevo uomini
ricomporsi per bene e uscire di fretta di casa, donne che, tenendo i
propri pargoli tra le braccia, bisbigliavano sui nuovi arrivati.
Non riuscivo
a percepire bene le loro parole: parlavano di diversi uomini armati e
di una piccola bambina. Ma di più non potei comprendere.
Anche se, avanzando di qualche passo, sentivo diversi sguardi rivolti
verso di me e, subito dopo, altri bisbigli.
Storsi le mie
labbra in una smorfia e lanciai loro un’occhiataccia. Ero
arcistufa di sentire parlare male di me, dopo mesi e mesi.
Pensai di
tornare a casa e lasciare quelle donne alle loro chiacchiere, ma,
proprio nel momento in cui stavo per voltarmi, vidi… i nuovi
arrivati.
Erano cinque
uomini, armati di tutto punto, e tutti avevano almeno una katana,
sintomo del loro essere Samurai. Ma l’uomo al centro, che
teneva per mano una deliziosa bambina – che poteva dimostrare
al massimo dieci anni – aveva un qualcosa di diverso.
Al suo
avanzare, molti paesani s’inchinarono profondamente, come se
fosse una persona di tutto rispetto.
Ero ancora
distante e non potevo vedere con esattezza, ma il mio cuore
iniziò a battere, nel momento esatto in cui quel pomposo
gruppo si avvicinava a … me.
Il mio cuore
lo aveva riconosciuto prima dei miei occhi.
Azumamaro
Mushanokoji Watanabe, lo Shogun, era proprio lì. Ormai
davanti a me.
Presa
dall’emozione e dalla sorpresa lasciai cadere i pezzi di
legna a terra, provocando uno strano trambusto.
Spalancai le
labbra e mi vergognai della mia disattenzione e di come mi presentavo a
lui:
il freddo
difatti aveva reso la mia pelle un poco più screpolata,
così come le labbra, rosate, rovinate su più
punti. I miei lunghi capelli scuri erano scompigliati e lasciati
sciolti. Il kimono che indossavo era di un verde scuro, ma molto
semplice. Un abito quotidiano, in fin dei conti.
Dopo diversi
minuti, riuscii a riprendermi da quella visione e mi chinai
profondamente.
«
Ve- venerabile Shogun… » riuscii appena a
mormorare, con voce spezzata, mentre lacrime impertinenti affiorarono
ben presto nei miei occhi, pungendomi a causa del freddo.
«
Alzati Minako-san, non prostrarti a me, in tal maniera. » la
sua voce era sempre austera, ma allo stesso tempo molto calda. Risposi
subito al suo ordine e sollevai il busto, soffermando poi lo sguardo su
di lui. Ma non riuscii a guardarlo troppo a lungo negli occhi.
«
Lo Shogun infine è giunto. Come puoi vedere ha mantenuto la
sua parola. » a quelle parole ne seguirono altre nella mia
mente. Ricordi… guarda
la strada, un giorno potrai vedere lo Shogun dietro di te.
Era giunto,
sì. Ma cosa ci faceva lì? E soprattutto con
quella bimba mai vista prima?
Non riuscii a
dire una parola, ma spostai lo sguardo sulla piccola che mi
mostrò subito un delizioso sorriso, con tanto di fossette
sulle gote.
Era piccina,
il viso paffutello, sul quale spuntavano due grandi occhi castani, che
mostravano nel profondo una malinconia che non potevo comprendere; un
nasino piccino all’insù, e due labbra a forma di
bocciolo di rosa. I suoi lunghi capelli scuri erano raccolti in due
codine, che la facevano sembrare forse più piccola.
Indossava un elegante kimono giallo, con deliziosi fiorellini rossi, e
un Obi arancione alla vita.
Era
adorabile.
Lei
continuò a sorridermi e poi disse.
«
Così tu sei Minako. Sono tanto felice di conoscerti.
» chinò appena la testolina, poiché con
la manina sinistra ancora stringeva quella dello Shogun. «
mio padre mi ha a lungo parlato di te, come l’arciera
più eccelsa del suo esercito. Mi dispiace non averti mai
vista prima, ma sono curiosa di vedere la tua abilità, tanto
apprezzata e decantata dallo Shogun stesso. »
Il suo modo
di parlare dimostrava una maturità insolita in una bambina
così piccola, eppure la sua voce mostrava una tale dolcezza,
che mi portava quasi a commuovermi ma anche ad arrossire a simili
complimenti.
Le persone
del paese erano tutte lì, ad interessarsi della situazione.
Le donne che prima avevano bisbigliato qualcosa contro di me, ora
spalancarono gli occhi di fronte a un simile discorso ed io mi sentii
orgogliosa.
Prima che
potessi rispondere, fu la volta, ancora una volta, di Azumamaro di
parlare:
«
Esatto Michiko-chan. Lei è Minako-san, l’arciera
più promettente dell’esercito imperiale.
» arrossii ancor di più « e lei
è la mia bambina. Non siamo legati dal sangue, ma non deve
essere per forza questo a legare due anime affini. » lo
guardai notevolmente sorpresa di fronte al nuovo uomo che avevo dinanzi
a me. Lui sorrise alla piccola e lei ricambiò. Erano
profondamente legati e quel rapporto che si era creato, da un lato mi
faceva tenerezza, dall’altro mi faceva provare una sorta di
leggera gelosia.
Lo fissai
ancora qualche istante e mi accorsi che il mio amore per lui non si era
minimamente affievolito, anzi, di fronte a una scena del genere, il
sentimento provato si rafforzò ancora di più e
con sé anche il dolore tornò a torturarmi.
«
Sono lieta di conoscerti piccola Michiko, e sono onorata anche di
vedere te, Venerabile Shogun, proprio nel mio paese. Mio padre
sarà felice di vederti, se ovviamente avrai tempo di
rimanere. » mi rivolsi a loro con gentilezza e sottomissione.
Rivolsi un sorriso delicato prima alla piccola, poi a lui.
Lui mi
guardò intensamente e poi mostrò un altro sorriso
che mi fece smorzare il fiato.
«
Credo che resterò più di una semplice visita.
» non riuscii a decifrare per bene le sue parole, o forse non
volevo. Poi, aggiunse: « Sarò felice di vedere il
mio caro amico Michio e sua moglie. Prego, facci pure strada,
Minako-san. » chinai appena il capo e poi feci per prendere
la legna, ma prima che potessi effettivamente farlo, lui diede ordine a
uno dei samurai al suo servizio di prendere il tutto al mio posto. Non
osai oppormi al suo volere e d'altronde ero anche contenta di non dover
riprendere quel peso. Li condussi, infine, verso la mia casa, dietro
gli sguardi sorpresi ed invidiosi dei membri del villaggio.
«
Padre, madre, c’è una visita importante per voi.
» i miei genitori si trovavano nella cucina: mia madre stava
preparando un tè, mio padre era seduto semplicemente vicino
a un basso tavolino di legno. Quando notarono la presenza di Azumamaro,
della piccola e dei samurai si chinarono profondamente.
Io mi spostai
di lato, permettendo agli “ospiti” di passare.
Ancora una volta, lo shogun parlò:
«
Michio-san, amico mio. Non devi inchinarti a me. Alza il tuo sguardo e
mostrami il tuo volto. Abbiamo molto da dirci, molto da confidarci.
»
Mio padre
alzò lo sguardo e quasi piansi per la commozione nel vederlo
con una tale gioia ed orgoglio sul suo viso, come non vedevo da mesi.
La delusione,
la tristezza e il dolore erano come sfumati, lasciando il posto a un
sorriso tale da illuminargli il viso.
Io rivolsi lo
sguardo a mia madre e lei a me. Un sorriso increspò le
nostre labbra, mentre guardavamo i due amici ritrovati che si
abbracciavano, cosa che non avevo mai visto fare soprattutto dallo
Shogun. La piccola Michiko guardò suo padre e sorrise
contenta, per poi avvicinarsi a me. Mi sfiorò appena la mano
e mi guardò intensamente. Non compresi subito il motivo di
un tale atteggiamento nei miei riguardi, ma da quel momento quel
leggero senso di gelosia nei suo confronti scomparve, e mi ritrovai
incantata da una tale bambina.
*
* *
Dopo l’inverno una nuova primavera
arrivò: gli alberi di ciliegio si riempirono di una
moltitudine di fiori bianchi e rosa che incantavano i sensi. Tornarono
gli uccellini a cinguettare, mentre la bianca neve lasciò di
nuovo il posto a uno splendido manto erboso. I bambini tornarono a
correre per le strade, le donne a cantare, gli uomini a fare altre
attività all’aperto.
Raggiunsi il
piccolo bosco vicino alla mia casa, fino al punto dove sin da bambina
ero solita andare per le lezioni con l’arco.
Ovviamente lo
portavo con me, insieme a un’unica freccia.
Il mio scopo
era riuscire a realizzare il tiro perfetto, ci sarei davvero riuscita?
Mi fermai a
diversi metri di distanza da un albero e lo osservai con la
più completa attenzione. Al centro del busto c’era
una piccola crepa, dove la corteccia era stata tolta, lasciando il
posto a una superficie più liscia e chiara di legno. Era
poco lo spazio. Era difficile riuscirci, ma volevo dimostrare a me
stessa di riuscire ad essere realmente un’arciera perfetta, e
quello era il punto giusto.
Sfilai
l’arco dalla spalla e distanziai i piedi, portando il destro
un poco più avanti rispetto al sinistro e distribuendo il
peso del mio corpo su entrambi.
Feci un
profondo respiro, per poi espirare fuori tutta l’aria e
continuai altre volte, al fine di trovare la più perfetta
concentrazione. I miei occhi non smettevano di guardare il punto da
colpire.
Con la mano
sinistra presi l’impugnatura di legno dell’arco e
con la destra posizionai la freccia, e la tenni fissa sulla corda.
Alzai
l’arco quel che bastava per avere una corretta direzione.
Tesi la corda
senza alcuno sforzo. Non dovevo metterci forza, non dovevo metterci
ardore. Era come una recita teatrale, un ballo: dovevo seguire i
perfetti movimenti e rilassarmi il più possibile. Svuotai la
mia testa da ogni pensiero che potesse influenzare il mio tiro: non
c’era gioia, non c’era dolore, non c’era
ansia, non c’era paura. Nulla.
Entrai il
più possibile in comunione con il mio spirito interiore:
scrutai dentro di me, fino a trovare quella luce dapprima pallida e via
via più intensa, e mi lasciai avvolgere completamente.
Solo a quel
punto, scagliai la freccia.
La freccia venne rilasciata come
il dischiudersi di un fiore. *
Sentii il suo
sibilare, un suono acuto che tuttavia non destava fastidio. Seguii,
immobile, la sua traiettoria, il mio spirito che accompagnava la
freccia, fino al suo obiettivo: si fermò al centro esatto di
quella piccola porzione liscia e chiara di legno.
Non
c’era più dolore che potesse fermarmi.
Non mi
colpiva più con sferzate violente.
Sorrisi,
ritornando infine alla posizione iniziale e abbassando
l’arco.
Il tiro
perfetto, quello che a lungo avevo tanto cercato di compiere, infine
era giunto.
«
Mamma, ce l’hai fatta! Sei l’arciera più
brava di tutti! » una vocina acuta, ma incredibilmente dolce
mi fece tornare alla realtà. Mi voltai e, lasciato
l’arco a terra, presi la mia piccola tra le braccia, la
strinsi a me, e mi lasciai inondare dai suoi adorabili baci.
«
Sì, piccola mia. Ma non ci sarei mai riuscita se non ci
fossi tu, e… il tuo splendido papà. »
Un uomo si
avvicinò a noi e posò una mano sulla mia spalla,
mi rivolse un sorriso che come sempre mi fece sciogliere il cuore ed io
sprofondai il capo sul suo petto, mentre la piccola ci sorrideva,
felice.
Felice come
lo ero io, ora che Michiko ed Azumamaro erano entrati a far parte della
mia vita, divenendo mia figlia e mio marito.
________________________________________________
Ecco quindi
la conclusione di questa storia.
Sfortunatamente
non c'è stata ancora alcuna classifica nel contest, anche se
spero che la giudice si faccia viva presto, visto che ho una gran
voglia di sapere cosa ne pensa a riguardo.
Spero di aver
scaturito in voi delle emozioni, che questa storia vi possa piacere. Da
parte mia, mi sono divertita a scriverla, e ci tengo parecchio,
giacché i personaggi delineati sono parte di me.
La frase
seguita dal simbolo * è stata più o meno ripresa
dal sito di tiro con l'arco giapponese di cui parlavo all'inizio della
storia.
Per il resto,
ringrazio tutti coloro che l'hanno letta, che hanno commentato e che
l'hanno inserita tra le...
Ricordate:
1
- Human_
Seguite:
1
- Ayumi Yoshida
2 -
ELPOTTER
3 -
kalaea
4 -
kuasta
5 -
SuxFrago1212
A presto :)
Ayumi Yoshida:
Ti ho già scritto via mail, ma dopo aver visto i tuoi
commenti non posso non aggiungere qualcosa anche qui. Come hai detto
anche tu, le recensioni delle persone che leggono fanno davvero bene
allo scrittore. E tu non sai quanto le tue parole mi abbiano scaldato
il cuore. Sono una persona molto sensibile, che si commuove per poco, e
ci sei riuscita anche tu. Ti ringrazio di cuore. Mi ha fatto piacere
notare le frasi che più ti hanno emozionata, e che hai
inserito la storia tra le preferite.
Grazie, grazie e ancora grazie di cuore.
In bocca al lupo anche a te per il contest, sono curiosa di leggere la
tua :)
Risultati Contest, Giudicata da Bimba_Chic_Aiko
Correttezza Grammaticale: 9/10
Essenzialmente la grammatica è buona, ma non eccezionale.
Alcuni errori, qua e là, per quanto concerne la
punteggiatura e soprattutto l'uso delle virgole.
Altri, poi, si presentano in alcuni periodi che si articolano in
maniera complicata e rendono difficile la comprensione al lettore.
Stile e Lessico: 9.5/10
Lo stile è semplice, pulito, sobrio.
Nessuna pomposità che non farebbe altro che rallentare la
lettura.
Anzi, lo stile rende ancora più immediata la comprensione,
se così vogliamo chiamarla, già molto accentuata
dall'uso della prima persona.
Entrambe sono caratteristiche che “immettono” il
lettore all'interno del racconto.
Caratterizzazione
Personaggi: 9/10
Come avevo detto per la storia di CoryCory, dare un voto alla
caratterizzazione dei personaggi non è mai facile. E' sempre
molto difficile valutare il carattere dei personaggi che create e
quindi devo limitarmi a farlo in base alle mie percezioni.
Devo ammettere che la figura di Minako mi ha affascinata, molto
più di quella di chiunque altro.
Forse più che lei stessa, mi ha incantata l'aura di rispetto
e reverenza, di orgoglio e dignità che Minako emana tra
queste pagine anche nei piccoli gesti e nelle parole.
All'inizio forse è un po' “statica”, nel
senso che sembra che si susseguano unicamente i soliti sentimenti:
orgoglio, fierezza, coraggio che sono sì i tratti principali
del suo carattere, ma che non sono comunque intervallati da
nessun'altra emozione.
O meglio, è così fino a quando non se ne rende
conto, fino a quando in sogno tutto le è chiaro: non
è solo ammirazione, la sua.
Per il suo Shogun lei prova molto di più. Ed ecco che il
personaggio di Minako si completa e oltre a quello di una guerriera
diventa anche quello di una donna.
E' forse questo che rende davvero innovativa e migliore questa figura.
Originalità:
8.5/10
Come ho già accennato prima, la vera originalità
di questa storia sta nella figura di Minako che è sia
guerriera forte che donna.
Probabilmente il voto sarebbe stato più alto se Minako
avesse accettato fin da subito i suoi sentiementi, senza le remore che
le provacano la sua educazione e il suo desiderio di diventare una
grande arciera.
Ecco, altro fattore positivo: l'idea di un arciere donna in una massa
di soldati uomini. Non una cosa unica, ma all'interno della fic risulta
comunque al di fuori dei normali canoni, soprattutto se si paragona
questa scelta con quella delle sorelle Geishe.
Attinenza: 9/10
Si inizia a parlare di dolore e di intestino verso la 15esima pagina.
Il che va benissimo per una long che, ovviamente, non può
incentrarsi unicamente su questo argomento per tutta la durata del
racconto, a meno di diventare ripetitiva.
E' stato bello vedere l'uso che hai fatto della barriera, usandola per
unire la donna che c'è in Minako al soldato.
E proprio questa barriera crea come un conflitto interiore tra queste
due parti, in un'espediente narrativo di grande intensità.
Voto personale: 4/5
Poi: voto personale.
Se c'è una cosa che mi ha profondamente colpita fin
dall'inizio è la minuziosità delle descrizioni,
la grande capacità e sapienza con cui hai indugiato su
minimi particolari che dipingono lo scenario con sapienti tocchi.
Soprattutto mi ha colpita la descrizione delle
“pose” assunte da Minako e della sua concentrazione
assoluta di fronte al bersaglio.
C'è solo lei, il silenzio e quel manichino: il resto non
è che vuoto.
Una cosa assolutamente fantastica che mi ha dato i brividi, tanto era
intensa la scena.
Se devo essere sincera, la parte che ho preferito in assoluta
è stata l'epilogo, forse perchè è la
parte in cui Minako mette a nudo sé stessa e l'immenso mondo
interiore che si nasconde dietro i suoi occhi così
particolari.
Ed è forse in quest'ultima parte che il titolo assume il suo
pieno significato e sembra modellarsi alla perfezione sulla storia.
Inoltre questo fantomatico epilogo è un susseguirsi di
emozioni diverse che vanno dall'orgoglio paterno all'amore.
E devo dire che, a dispetto di tutto, sono perfettamente bilanciati.
Peccato solo per gli errori di punteggiatura che hanno rallentato un
pochino la lettura, ma brava comunque.
Totale: 49 punti
Il Banner ovviamente sta nel Prologo. :)
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