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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    03/09/2010    1 recensioni
Minako non è destinata a diventare Geisha come tutte o quasi le ragazze della sua città, comprese le sue due sorelle. Per lei, suo padre, ha riservato un destino particolare: sin da bambina, infatti, ha ricevuto lezioni per diventare una perfetta arciera. Una volta cresciuta verrà inviata presso lo Shogun – un uomo austero, freddo e carismatico a detta di tutti - per diventare un’arciera del glorioso esercito imperiale. Ma, spesso il destino muta i piani. [4° Classificata al Contest "Le Sette Barriere Psichiche" di May8Rose - Storia Valutata da Bimba_Chic_Aiko, a cui va un sentito grazie di cuore!]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo


I giorni divennero mesi.
La primavera lasciò il posto alla calda estate, l’estate al malinconico autunno, e l’autunno al freddo inverno.
Ero tornata a casa in un giorno di primavera, arco e faretra a tracolla, e una sacca nella mano sinistra.
Così ero partita, così tornai.
Come nei miei più tristi sogni, la mia vista provocò un senso di profonda delusione negli occhi di mio padre. Vidi il suo sorriso scemare e farsi improvvisamente più vecchio. Mi guardò solo per qualche istante, uno sguardo che mi penetrò fin dentro l’anima e non avrei mai potuto dimenticare.
Avevo fallito, miseramente.
Mi fermai a pochi passi da casa e abbassai lo sguardo, mentre mio padre si allontanò, sgusciando all’interno e chiudendosi nella sua stanza.
Mia madre, invece, mi venne incontro e prese le mie mani tra le sue. Sollevò la mano destra a carezzarmi il viso e mi spinse a guardarla. In quel preciso momento in cui i nostri occhi, così simili e particolari, s’incontrarono, mi rivolse un caldo sorriso. Lei mi capiva, lo aveva sempre fatto.
Non occorsero parole, spesso gli sguardi dicono tutto.
Trattenni le lacrime a forza e deglutii. Lei mi strinse a sé. Una donnina piccola, in confronto alla mia altezza, che però emanava un calore profondo.
Solo in quel momento, accolta in un simile abbraccio, lasciai scivolare qualche lacrima, per sfogarmi con l’unica persona che non mi disprezzava, derideva, o altro.
« Forse è meglio non tornare a casa… non voglio fargli altro male. Posso trovare un posto dove vivere da sola… » proposi poco dopo, asciugandomi il viso, e guardandola negli occhi.
Lei scosse subito il capo e si accigliò.
« Sei mia figlia e non ti permetto di andare a vivere da sola, rischiando di essere beffeggiata da tutti. Lui capirà. Dagli solo un po’ di tempo. »
Seppur riluttante, acconsentii e scivolai all’interno della casa, dietro di lei.
Nei primi tempi mio padre mi guardava e parlava a malapena. Percepivo la sua sofferenza, oltre che la delusione. Ero la figlia che più amava e, non riuscire a parlarmi per puro orgoglio, gli faceva male.
Anch’io soffrivo.
Amavo mio padre e vederlo così, mi faceva male.
Il non aver realizzato il mio sogno, mi faceva male.
E soprattutto, nonostante la distanza che ora c’era tra me e la città imperiale, non smettevo di sognare lui. Lo Shogun che era entrato nel mio cuore. Ciò mi faceva male.
I giorni passarono ed io tornai ad aiutare i miei genitori nelle faccende più quotidiane.
Le mie sorelle, appreso il mio esito fallito, risero di me, ma non m’importava. Non avevo mai considerato le loro parole, e non lo avrei di certo fatto ora.
Nei pochi momenti di libertà, non restavo ad oziare, ma mi recavo in una piccolo boschetto ad esercitarmi con l’arco. Non aver realizzato il mio sogno non m’impediva di tenermi allenata e dimenticare ciò che avevo appreso sin da bambina.
Eppure, nonostante tutti i miei sforzi di concentrazione, nonostante tentassi con tutta me stessa di abbattere tutte quelle barriere psichiche e di entrare in perfetta sintonia con il mio spirito interiore, c’era sempre qualcosa che m’impediva di compiere il tiro perfetto.
Sentivo la sua voce nell’aria, imperiosa, seria… calda.
Vedevo il suo viso davanti a me. Vedevo il suo sorriso. Vedevo l’ultima immagine triste di lui, quell’uomo fragile che avrei voluto stringere tra le mie braccia.
No. Mi era impossibile dimenticarlo.
Quando l’amore ti pulsa dentro, scorre in tutto il tuo essere come un fiume e t’invade completamente, non riesci più a ragionare, ad opporti, a dire no.
E’ una forza troppo grande di fronte alla quale il più delle volte, se non sempre, sei costretto ad arrenderti.
Ma, quando l’amore che provi non può essere ricambiato e sei costretto a dimenticare, allora lì viene il difficile. E l’amore si confonde col dolore. Il calore con il gelo. L’abbraccio con la lama.
Una lama che colpisce in profondità, che ti ferisce più e più volte.



    Le stagioni cambiarono, ma la mia vita scorreva monotona. Il rapporto con mio padre rimaneva sempre freddo, sebbene a volte riuscisse a parlarmi un poco di più.
Io non mi permettevo di spingerlo a fare di più. Rimasi la figlia sottomessa e pronta ad aiutare e rispettare i suoi ordini. Lo amavo e avrei fatto tutto per lui, dopo ciò che gli avevo crudelmente – anche se involontariamente – arrecato.



    Fino a che non giunse l’inverno.
Era molto rigido, forse uno dei più rigidi che potessi ricordare.
Bianca neve ricopriva la terra, dove fino a poche settimane prima, vi era un bel manto erboso.
Mi trovavo sul retro della casa a prendere della legna, al fine di riscaldare un poco la casa, quando sentii delle grida di esultanza provenire dal paese. Mi fermai ad osservare lungo la strada che dalla mia casa portava al centro, curiosa di capire chi fosse arrivato di così importante da gettare tanto scompiglio.
Vedevo uomini ricomporsi per bene e uscire di fretta di casa, donne che, tenendo i propri pargoli tra le braccia, bisbigliavano sui nuovi arrivati.
Non riuscivo a percepire bene le loro parole: parlavano di diversi uomini armati e di una piccola bambina. Ma di più non potei comprendere. Anche se, avanzando di qualche passo, sentivo diversi sguardi rivolti verso di me e, subito dopo, altri bisbigli.
Storsi le mie labbra in una smorfia e lanciai loro un’occhiataccia. Ero arcistufa di sentire parlare male di me, dopo mesi e mesi.
Pensai di tornare a casa e lasciare quelle donne alle loro chiacchiere, ma, proprio nel momento in cui stavo per voltarmi, vidi… i nuovi arrivati.
Erano cinque uomini, armati di tutto punto, e tutti avevano almeno una katana, sintomo del loro essere Samurai. Ma l’uomo al centro, che teneva per mano una deliziosa bambina – che poteva dimostrare al massimo dieci anni – aveva un qualcosa di diverso.
Al suo avanzare, molti paesani s’inchinarono profondamente, come se fosse una persona di tutto rispetto.
Ero ancora distante e non potevo vedere con esattezza, ma il mio cuore iniziò a battere, nel momento esatto in cui quel pomposo gruppo si avvicinava a … me.
Il mio cuore lo aveva riconosciuto prima dei miei occhi.
Azumamaro Mushanokoji Watanabe, lo Shogun, era proprio lì. Ormai davanti a me.
Presa dall’emozione e dalla sorpresa lasciai cadere i pezzi di legna a terra, provocando uno strano trambusto.
Spalancai le labbra e mi vergognai della mia disattenzione e di come mi presentavo a lui:
il freddo difatti aveva reso la mia pelle un poco più screpolata, così come le labbra, rosate, rovinate su più punti. I miei lunghi capelli scuri erano scompigliati e lasciati sciolti. Il kimono che indossavo era di un verde scuro, ma molto semplice. Un abito quotidiano, in fin dei conti.
Dopo diversi minuti, riuscii a riprendermi da quella visione e mi chinai profondamente.
« Ve- venerabile Shogun… » riuscii appena a mormorare, con voce spezzata, mentre lacrime impertinenti affiorarono ben presto nei miei occhi, pungendomi a causa del freddo.
« Alzati Minako-san, non prostrarti a me, in tal maniera. » la sua voce era sempre austera, ma allo stesso tempo molto calda. Risposi subito al suo ordine e sollevai il busto, soffermando poi lo sguardo su di lui. Ma non riuscii a guardarlo troppo a lungo negli occhi.
« Lo Shogun infine è giunto. Come puoi vedere ha mantenuto la sua parola. » a quelle parole ne seguirono altre nella mia mente. Ricordi… guarda la strada, un giorno potrai vedere lo Shogun dietro di te.
Era giunto, sì. Ma cosa ci faceva lì? E soprattutto con quella bimba mai vista prima?
Non riuscii a dire una parola, ma spostai lo sguardo sulla piccola che mi mostrò subito un delizioso sorriso, con tanto di fossette sulle gote.
Era piccina, il viso paffutello, sul quale spuntavano due grandi occhi castani, che mostravano nel profondo una malinconia che non potevo comprendere; un nasino piccino all’insù, e due labbra a forma di bocciolo di rosa. I suoi lunghi capelli scuri erano raccolti in due codine, che la facevano sembrare forse più piccola. Indossava un elegante kimono giallo, con deliziosi fiorellini rossi, e un Obi arancione alla vita.
Era adorabile.
Lei continuò a sorridermi e poi disse.
« Così tu sei Minako. Sono tanto felice di conoscerti. » chinò appena la testolina, poiché con la manina sinistra ancora stringeva quella dello Shogun. « mio padre mi ha a lungo parlato di te, come l’arciera più eccelsa del suo esercito. Mi dispiace non averti mai vista prima, ma sono curiosa di vedere la tua abilità, tanto apprezzata e decantata dallo Shogun stesso. »
Il suo modo di parlare dimostrava una maturità insolita in una bambina così piccola, eppure la sua voce mostrava una tale dolcezza, che mi portava quasi a commuovermi ma anche ad arrossire a simili complimenti.
Le persone del paese erano tutte lì, ad interessarsi della situazione. Le donne che prima avevano bisbigliato qualcosa contro di me, ora spalancarono gli occhi di fronte a un simile discorso ed io mi sentii orgogliosa.
Prima che potessi rispondere, fu la volta, ancora una volta, di Azumamaro di parlare:
« Esatto Michiko-chan. Lei è Minako-san, l’arciera più promettente dell’esercito imperiale. » arrossii ancor di più « e lei è la mia bambina. Non siamo legati dal sangue, ma non deve essere per forza questo a legare due anime affini. » lo guardai notevolmente sorpresa di fronte al nuovo uomo che avevo dinanzi a me. Lui sorrise alla piccola e lei ricambiò. Erano profondamente legati e quel rapporto che si era creato, da un lato mi faceva tenerezza, dall’altro mi faceva provare una sorta di leggera gelosia.
Lo fissai ancora qualche istante e mi accorsi che il mio amore per lui non si era minimamente affievolito, anzi, di fronte a una scena del genere, il sentimento provato si rafforzò ancora di più e con sé anche il dolore tornò a torturarmi.
« Sono lieta di conoscerti piccola Michiko, e sono onorata anche di vedere te, Venerabile Shogun, proprio nel mio paese. Mio padre sarà felice di vederti, se ovviamente avrai tempo di rimanere. » mi rivolsi a loro con gentilezza e sottomissione. Rivolsi un sorriso delicato prima alla piccola, poi a lui.
Lui mi guardò intensamente e poi mostrò un altro sorriso che mi fece smorzare il fiato.
« Credo che resterò più di una semplice visita. » non riuscii a decifrare per bene le sue parole, o forse non volevo. Poi, aggiunse: « Sarò felice di vedere il mio caro amico Michio e sua moglie. Prego, facci pure strada, Minako-san. » chinai appena il capo e poi feci per prendere la legna, ma prima che potessi effettivamente farlo, lui diede ordine a uno dei samurai al suo servizio di prendere il tutto al mio posto. Non osai oppormi al suo volere e d'altronde ero anche contenta di non dover riprendere quel peso. Li condussi, infine, verso la mia casa, dietro gli sguardi sorpresi ed invidiosi dei membri del villaggio.
« Padre, madre, c’è una visita importante per voi. » i miei genitori si trovavano nella cucina: mia madre stava preparando un tè, mio padre era seduto semplicemente vicino a un basso tavolino di legno. Quando notarono la presenza di Azumamaro, della piccola e dei samurai si chinarono profondamente.
Io mi spostai di lato, permettendo agli “ospiti” di passare. Ancora una volta, lo shogun parlò:
« Michio-san, amico mio. Non devi inchinarti a me. Alza il tuo sguardo e mostrami il tuo volto. Abbiamo molto da dirci, molto da confidarci. »
Mio padre alzò lo sguardo e quasi piansi per la commozione nel vederlo con una tale gioia ed orgoglio sul suo viso, come non vedevo da mesi.
La delusione, la tristezza e il dolore erano come sfumati, lasciando il posto a un sorriso tale da illuminargli il viso.
Io rivolsi lo sguardo a mia madre e lei a me. Un sorriso increspò le nostre labbra, mentre guardavamo i due amici ritrovati che si abbracciavano, cosa che non avevo mai visto fare soprattutto dallo Shogun. La piccola Michiko guardò suo padre e sorrise contenta, per poi avvicinarsi a me. Mi sfiorò appena la mano e mi guardò intensamente. Non compresi subito il motivo di un tale atteggiamento nei miei riguardi, ma da quel momento quel leggero senso di gelosia nei suo confronti scomparve, e mi ritrovai incantata da una tale bambina.



* * *



    Dopo l’inverno una nuova primavera arrivò: gli alberi di ciliegio si riempirono di una moltitudine di fiori bianchi e rosa che incantavano i sensi. Tornarono gli uccellini a cinguettare, mentre la bianca neve lasciò di nuovo il posto a uno splendido manto erboso. I bambini tornarono a correre per le strade, le donne a cantare, gli uomini a fare altre attività all’aperto.
Raggiunsi il piccolo bosco vicino alla mia casa, fino al punto dove sin da bambina ero solita andare per le lezioni con l’arco.
Ovviamente lo portavo con me, insieme a un’unica freccia.
Il mio scopo era riuscire a realizzare il tiro perfetto, ci sarei davvero riuscita?
Mi fermai a diversi metri di distanza da un albero e lo osservai con la più completa attenzione. Al centro del busto c’era una piccola crepa, dove la corteccia era stata tolta, lasciando il posto a una superficie più liscia e chiara di legno. Era poco lo spazio. Era difficile riuscirci, ma volevo dimostrare a me stessa di riuscire ad essere realmente un’arciera perfetta, e quello era il punto giusto.
Sfilai l’arco dalla spalla e distanziai i piedi, portando il destro un poco più avanti rispetto al sinistro e distribuendo il peso del mio corpo su entrambi.
Feci un profondo respiro, per poi espirare fuori tutta l’aria e continuai altre volte, al fine di trovare la più perfetta concentrazione. I miei occhi non smettevano di guardare il punto da colpire.
Con la mano sinistra presi l’impugnatura di legno dell’arco e con la destra posizionai la freccia, e la tenni fissa sulla corda.
Alzai l’arco quel che bastava per avere una corretta direzione.
Tesi la corda senza alcuno sforzo. Non dovevo metterci forza, non dovevo metterci ardore. Era come una recita teatrale, un ballo: dovevo seguire i perfetti movimenti e rilassarmi il più possibile. Svuotai la mia testa da ogni pensiero che potesse influenzare il mio tiro: non c’era gioia, non c’era dolore, non c’era ansia, non c’era paura. Nulla.
Entrai il più possibile in comunione con il mio spirito interiore: scrutai dentro di me, fino a trovare quella luce dapprima pallida e via via più intensa, e mi lasciai avvolgere completamente.
Solo a quel punto, scagliai la freccia.
La freccia venne rilasciata come il dischiudersi di un fiore. *
Sentii il suo sibilare, un suono acuto che tuttavia non destava fastidio. Seguii, immobile, la sua traiettoria, il mio spirito che accompagnava la freccia, fino al suo obiettivo: si fermò al centro esatto di quella piccola porzione liscia e chiara di legno.
Non c’era più dolore che potesse fermarmi.
Non mi colpiva più con sferzate violente.
Sorrisi, ritornando infine alla posizione iniziale e abbassando l’arco.
Il tiro perfetto, quello che a lungo avevo tanto cercato di compiere, infine era giunto.
« Mamma, ce l’hai fatta! Sei l’arciera più brava di tutti! » una vocina acuta, ma incredibilmente dolce mi fece tornare alla realtà. Mi voltai e, lasciato l’arco a terra, presi la mia piccola tra le braccia, la strinsi a me, e mi lasciai inondare dai suoi adorabili baci.
« Sì, piccola mia. Ma non ci sarei mai riuscita se non ci fossi tu, e… il tuo splendido papà. »
Un uomo si avvicinò a noi e posò una mano sulla mia spalla, mi rivolse un sorriso che come sempre mi fece sciogliere il cuore ed io sprofondai il capo sul suo petto, mentre la piccola ci sorrideva, felice.
Felice come lo ero io, ora che Michiko ed Azumamaro erano entrati a far parte della mia vita, divenendo mia figlia e mio marito.




________________________________________________
Ecco quindi la conclusione di questa storia.
Sfortunatamente non c'è stata ancora alcuna classifica nel contest, anche se spero che la giudice si faccia viva presto, visto che ho una gran voglia di sapere cosa ne pensa a riguardo.
Spero di aver scaturito in voi delle emozioni, che questa storia vi possa piacere. Da parte mia, mi sono divertita a scriverla, e ci tengo parecchio, giacché i personaggi delineati sono parte di me.

La frase seguita dal simbolo * è stata più o meno ripresa dal sito di tiro con l'arco giapponese di cui parlavo all'inizio della storia.

Per il resto, ringrazio tutti coloro che l'hanno letta, che hanno commentato e che l'hanno inserita tra le...


Ricordate:

1 - Human_  

Seguite:

1 - Ayumi Yoshida  
2 - ELPOTTER 
3 - kalaea 
4 - kuasta 
5 - SuxFrago1212



A presto :)


Ayumi Yoshida: Ti ho già scritto via mail, ma dopo aver visto i tuoi commenti non posso non aggiungere qualcosa anche qui. Come hai detto anche tu, le recensioni delle persone che leggono fanno davvero bene allo scrittore. E tu non sai quanto le tue parole mi abbiano scaldato il cuore. Sono una persona molto sensibile, che si commuove per poco, e ci sei riuscita anche tu. Ti ringrazio di cuore. Mi ha fatto piacere notare le frasi che più ti hanno emozionata, e che hai inserito la storia tra le preferite.
Grazie, grazie e ancora grazie di cuore.
In bocca al lupo anche a te per il contest, sono curiosa di leggere la tua :)







Risultati Contest, Giudicata da Bimba_Chic_Aiko

Correttezza Grammaticale: 9/10

Essenzialmente la grammatica è buona, ma non eccezionale.
Alcuni errori, qua e là, per quanto concerne la punteggiatura e soprattutto l'uso delle virgole.
Altri, poi, si presentano in alcuni periodi che si articolano in maniera complicata e rendono difficile la comprensione al lettore.

Stile e Lessico: 9.5/10
Lo stile è semplice, pulito, sobrio.
Nessuna pomposità che non farebbe altro che rallentare la lettura.
Anzi, lo stile rende ancora più immediata la comprensione, se così vogliamo chiamarla, già molto accentuata dall'uso della prima persona.
Entrambe sono caratteristiche che “immettono” il lettore all'interno del racconto.

Caratterizzazione Personaggi: 9/10
Come avevo detto per la storia di CoryCory, dare un voto alla caratterizzazione dei personaggi non è mai facile. E' sempre molto difficile valutare il carattere dei personaggi che create e quindi devo limitarmi a farlo in base alle mie percezioni.
Devo ammettere che la figura di Minako mi ha affascinata, molto più di quella di chiunque altro.
Forse più che lei stessa, mi ha incantata l'aura di rispetto e reverenza, di orgoglio e dignità che Minako emana tra queste pagine anche nei piccoli gesti e nelle parole.
All'inizio forse è un po' “statica”, nel senso che sembra che si susseguano unicamente i soliti sentimenti: orgoglio, fierezza, coraggio che sono sì i tratti principali del suo carattere, ma che non sono comunque intervallati da nessun'altra emozione.
O meglio, è così fino a quando non se ne rende conto, fino a quando in sogno tutto le è chiaro: non è solo ammirazione, la sua.
Per il suo Shogun lei prova molto di più. Ed ecco che il personaggio di Minako si completa e oltre a quello di una guerriera diventa anche quello di una donna.
E' forse questo che rende davvero innovativa e migliore questa figura.

Originalità: 8.5/10
Come ho già accennato prima, la vera originalità di questa storia sta nella figura di Minako che è sia guerriera forte che donna.
Probabilmente il voto sarebbe stato più alto se Minako avesse accettato fin da subito i suoi sentiementi, senza le remore che le provacano la sua educazione e il suo desiderio di diventare una grande arciera.
Ecco, altro fattore positivo: l'idea di un arciere donna in una massa di soldati uomini. Non una cosa unica, ma all'interno della fic risulta comunque al di fuori dei normali canoni, soprattutto se si paragona questa scelta con quella delle sorelle Geishe.

Attinenza: 9/10
Si inizia a parlare di dolore e di intestino verso la 15esima pagina. Il che va benissimo per una long che, ovviamente, non può incentrarsi unicamente su questo argomento per tutta la durata del racconto, a meno di diventare ripetitiva.
E' stato bello vedere l'uso che hai fatto della barriera, usandola per unire la donna che c'è in Minako al soldato.
E proprio questa barriera crea come un conflitto interiore tra queste due parti, in un'espediente narrativo di grande intensità.

Voto personale: 4/5
Poi: voto personale.
Se c'è una cosa che mi ha profondamente colpita fin dall'inizio è la minuziosità delle descrizioni, la grande capacità e sapienza con cui hai indugiato su minimi particolari che dipingono lo scenario con sapienti tocchi.
Soprattutto mi ha colpita la descrizione delle “pose” assunte da Minako e della sua concentrazione assoluta di fronte al bersaglio.
C'è solo lei, il silenzio e quel manichino: il resto non è che vuoto.
Una cosa assolutamente fantastica che mi ha dato i brividi, tanto era intensa la scena.
Se devo essere sincera, la parte che ho preferito in assoluta è stata l'epilogo, forse perchè è la parte in cui Minako mette a nudo sé stessa e l'immenso mondo interiore che si nasconde dietro i suoi occhi così particolari.
Ed è forse in quest'ultima parte che il titolo assume il suo pieno significato e sembra modellarsi alla perfezione sulla storia.
Inoltre questo fantomatico epilogo è un susseguirsi di emozioni diverse che vanno dall'orgoglio paterno all'amore.
E devo dire che, a dispetto di tutto, sono perfettamente bilanciati.
Peccato solo per gli errori di punteggiatura che hanno rallentato un pochino la lettura, ma brava comunque.
Totale: 49 punti




Il Banner ovviamente sta nel Prologo. :)

   
 
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