Ehm,
saaalve *saluta con la manina*
Lo
so, lo so, sono giusto,
solo un pochino, leggermente
in ritardo; vi chiedo umilmente perdono prostrandomi ai vostri piedi.
Purtroppo
tra il dodicesimo capitolo di I'm Only Me When I'm With
You, la scuola, gli allenamenti
troppo impegnativi di pallavolo e un provino di teatro a cui tengo
molto non ho avuto occasione – e ispirazione – per
mettermi buona a scrivere questo capitolo, che alla fine è
stato fatto in sole tre sere o.O
Sono
perdonata? *sorride a trentadue denti*
Senza
occupare altro del vostro tempo prezioso passo direttamente ai
ringraziamenti :)
Melmon:
per
tutte le tue domande troverai una risposta in questo capitolo, anche
se per Joe... Beh, mmh... Leggi, leggi u_ù Grazie mille per il
bellissimo complimento, un bacio a presto <3
Sheep:
ohoh,
mi aggiungerei a te *si mette a sbavare davanti a Nick leggermente
imbarazzato* Ahah, spero ti piaccia questo capitolo :D Un bacio <3
DalamarF16:
ooh,
grazie mille per i bellissimi complimenti *o* Grazie per l'appunto,
ho corretto :D Spero ti piaccia anche questo capitolo! Un bacio <3
She
Is Mari: ed
io chiedo umilmente perdono per il ritardo di questo capitolo >.>
Ahah, ma stai tranquilla e grazie mille per i bellissimi complimenti
*__* Grazie mille anche a te per l'appunto, ho corretto :D Un bacio,
e grazie ancora <3
Sbranina:
amoore
<3 Tesoro, non hai chance, Samantha e Nick sono altamente pucciosi
*ç* Non l'avrai franca anche sotto questo punto, no! uù
*convinta* T'amo, t'adoro, ti voglio bene e I loge you so much <3
jeeeeee:
waaa,
scusami te per il ritardo! Ahah grazie mille, spero ti piaccia questo
capitolo, a me è piaciuto scriverlo O.O Un bacio <3
eirene
eimi: Oh,
beh, grazie mille *-* Sono felice che questa fic ti piaccia così
tanto, ne sono davvero contenta, ci sto davvero mettendo l'anima.
Love you too. Un bacio <3
rosegarden:
scusami,
sul serio, per questo atroce
ritardo
ç.ç Non era mia intenzione, davvero c.c Spero che ti
piaccia anche questo capitolo, un bacio <3
Danger_Dreamer_93:
beh,
si può definire tecnicamente presto questo ritardo? O.O Mi
spiace ç.ç Sono molto contenta che ti sia piaciuto lo
scorso capitolo, spero sia lo stesso anche per questo, un bacio <3
Marta:
puzzi
<3 Ti amo <3
Minako_86:
ma
guarda, anch'io sono logorroica e credo che tra contorte ci si
intenda xD Grazie mille per i complimenti, i consigli e anche per gli
appunti, correggerò gli errori appena ho tempo ;) Ci credi se
ti dico che ti ho mandato a quel paese nemmeno una volta? xD Un bacio
<3
Capitolo
5.
«Qual'è
la persona a cui sei più grata per l'inizio di questa band?»
«Nick
Jonas, senza di lui non avremmo mai combinato nulla di buono»
Kevin
Jonas ripulì l'ultimo bicchiere in vetro, riponendolo sul
grosso mucchio che si era formato accanto a lui, e si scostò
un riccio ribelle dalla fronte.
Erano
le cinque del pomeriggio passate e quasi tutti gli studenti
dell'università si erano ritirati nelle proprie camere,
chiusi in biblioteca o tornati nelle proprie case, quindi era normale
che oltre a lui nel bar universitario ci fosse soltanto Randy, una
matricola che stava mettendo a posto le stoviglie ascoltando a tutto
volume i Rush.
In
teoria, Kevin avrebbe finito il proprio turno da tre ore, subito dopo
la pausa pranzo, ma poiché non aveva la minima intenzione di
restare in casa per delle ore prima di uscire con Danielle quella
sera aveva fatto gli straordinari. Di nuovo.
Era
da mesi che Danielle e lui pensavano di affittare un appartamento e
andare a vivere insieme, d'altronde avevano raggiunto il loro terzo
anno di relazione, le cose andavano benissimo, senza contare che
Kevin, in casa sua, non resisteva più.
Era
da quando suo fratello Joe, sette anni prima, aveva iniziato il liceo
che le cose non andavano più tanto bene: tutto a un tratto
Joseph si era trasformato da un ragazzino divertente e spensierato a
un ragazzo arrogante, prepotente, persino con Nick che non solo era
suo fratello, ma anche un
migliore amico.
Nessuno dei due, in passato, sarebbe riuscito a sopravvivere senza
l'altro. Mai.
Infatti,
in pochi mesi, Nicholas – il ragazzo più vivace che
avesse mai conosciuto – si era pian piano spento,
come se una parte di lui fosse morta insieme al vecchio Joseph. Da
quattro anni Nick stava rinchiuso in camera sua e a casa a malapena
parlava con lui, con sua madre, con suo padre, con Frankie.
La
situazione era talmente degenerata a tal punto che il Reverendo Jonas
tentava, come Kevin, di restare a casa il meno possibile,
trattenendosi in chiesa, e Denise si dedicava assiduamente a Frankie.
Ora
toccava a Kevin andarsene e vivere serenamente, dopo anni, la sua
vita con la donna che amava.
Era
talmente immerso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse del rumore
di due persone che percorrevano il piccolo bar, fino a fermarsi
davanti al bancone dove si trovava.
«Ciao,
Kevin», disse Nick,
schiarendosi la gola secca, accennando a un saluto con la mano.
Il
ventitreenne alzò il capo, incrociando gli occhi con quelli
del fratello diciottenne e dopodiché con quelli castani di una
ragazza mora, i corti capelli spettinati.
«Ehi,
Nick», gli sorrise. «Che sorpresa».
Il
diciottenne abbassò il capo, dondolandosi da un piede
all'altro, indeciso se cominciare a parlare o meno.
«Nicholas,
ti muovi per favore?!», sibilò la ragazza, trafiggendolo
con un'occhiataccia dopo aver lanciato uno sguardo al grosso orologio
appoggiato alla parete.
Kevin
la squadrò bene, doveva avere la stessa età di suo
fratello, non era bellissima, ma aveva uno strano fascino magnetico,
probabilmente imprigionato nei suoi occhi castani, così
anonimi eppure con una strana luce.
«Kevin»,
si presentò il ventitreenne, accennando a un piccolo sorriso.
Liv
lo guardò qualche istante, prima di rispondere.
«Olive».
Un
flashback improvviso lo colse; ma certo, Olive, la compagna di banco
silenziosa da quattro anni, la ragazza a cui aveva accennato Nick
tanto, forse troppo, tempo prima.
Quel
ricordo lo rese ancora più incredulo a vederli insieme, per
quanto ne sapeva Nick non aveva mai frequentato nessuna se non una
certa Samantha al secondo anno.
«Kev...»,
iniziò Nick, riportando la sua attenzione su di lui, «ho
bisogno di te per un aiuto. Davvero, è molto importante».
Nei suoi occhi brillava, come non accadeva da tempo, una luce
luminosa di speranza, di eccitazione.
«Dimmi,
ti ascolto», disse il maggiore.
«Beh,
tu... Tu suoni la chitarra, no?», proseguì, incerto.
«Ovvio,
da sempre». La chitarra era una delle altre cose che l'aveva
salvato dalle giornate
in università.
«Vedi,
Liv ed io, insieme ad altri ragazzi... Insomma noi...».
«Oh,
cazzo, Nicholas, non ci vuole una laurea! Stiamo formando una band,
ci serve un chitarrista, ci stai o meno?!». Dritta e coincisa,
come ogni volta.
Nick
arrossì sino alla punta delle orecchie e quasi mancò
che cercasse di seppellirsi nella kefia che teneva stretta intorno al
collo.
Kevin
passò lo sguardo da quello serio, deciso di Olive a quello di
Nick, sempre con quella luce negli occhi castani.
Era
da sette anni che il ventitreenne non vedeva quella luce negli occhi
del fratello. Sette anni.
Ed ora Nick era convinto, finalmente interessato un progetto, a
qualcosa, e Kevin non avrebbe mai permesso a sé stesso di
fermare quel piccolo miracolo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Rispose
senza esitazioni, senza un'ombra di dubbio.
«Quando
iniziamo?».
Tell
me did you sail across the sun Did you make it to the Milky Way
to see the lights all faded And that heaven is overrated
(Drops
oj Jupiter; Train)
«Ma
che schifo», sbottò Jason, imitando un'espressione
disgustata, mentre Liv faceva di tutto per controllarsi e non
mandarlo a quel Paese.
«Beh,
proponi tu un nome
migliore, allora, Matthews», sbottò piccata, incrociando
le braccia al petto.
«L'ho
già detto, The Street
è fantastico», commentò il ragazzo, con tono
strafottente, ripetendo per l'ennesima volta il nome che trovava
assolutamente fantastico per la band.
«Sant'Iddio
come sei originale», grugnì la mora. «Abbiamo già
detto no, Jason, smettila».
«Ma
perché vi pare che The Sixth
sia meglio?!», sibilò lui.
«Fa
schifo pure questo, che pensi?!».
«Ehi!»,
intervenne Philip, offeso, creatore del nome.
«Ma
non sapete essere lievemente più
originali? Dio mio, ci vuole originalità nella
vita!», grugnì Kevin, seduto tra Nick e Amanda.
«Sante
parole», cinguettò quest'ultima, sbattendo le lunghe
ciglia verso di lui, facendogli levare gli occhi al cielo.
«Nick?»,
lo chiamò Jodie, colpendolo lievemente sulla spalla per
attirare la sua attenzione.
«Sì?»,
domandò, sbadigliando.
«Hai
qualche consiglio?», chiese Jodie, pazientemente.
«Mmh,
no, no, ve l'ho già detto», biascicò.
«Molto
utile», rise arrogantemente Jason.
«Cazzi
tuoi mai, eh?», inveì Olive contro quest'ultimo, senza
riuscire dominare i propri istinti, scostandosi i capelli dagli
occhi.
Kevin,
quando faceva così, non poteva fare a meno di ammirarla. Solo
il fatto che avesse incluso suo fratello nel progetto la riempiva di
stima da parte sua.
«90210»,
saltò su Amanda, eccitata per l'idea.
«Certo,
vuoi aggiungere anche Beverly Hills davanti
o ti accontenti?», chiese Olive.
«Io
almeno ho proposto qualcosa, tu no», si lamentò la
bionda.
«Piuttosto
che sparare stronzate potresti startene zitta un po', come me, no?»,
la riprese Liv, sempre con la
risposta pronta sulla punta della lingua.
Amanda
non trovo di che ribattere, ma guardò la gemella sperando
questa dicesse qualcosa in sua difesa. Non accadde.
«Scusatemi,
a questo punto tanto vale chiamarla The Band e
tanti saluti», si lamentò Philip, appoggiando la schiena
alla sedia.
Erano
chiusi da due ore in quel piccolo locale all'angolo della Fift Avenue
per scegliere i dettagli della band, come il genere di musica da
suonare e, cosa più difficile, il nome. Dopo aver votato ed
essersi rifiutati di fare del rap, come proponeva Jason, avevano
deciso di suonare musica pop-rock, remixando anche qualche vecchia
canzone dei Beatles o
dei Led Zeppelin.
«Drops
of Jupiter», mormorò Nick, talmente a bassa voce che
a sentirlo fu solo Jodie, che si illuminò sentendo quel nome.
«Ma
è bellissimo!», esclamò felice, facendogli un
gran sorriso. Nick ricambiò, impacciato.
«Cosa?»,
chiese Amanda. «Cosa?».
«Drops
of Jupiter. C'è una canzone che si chiama così, no? Dei
Train. Oh, Nick, ma sei un genio, secondo me va benissimo».
Jodie era esaltata, amava quella canzone da quando aveva dodici anni.
Amanda
annuì, abbastanza soddisfatta, mentre Kevin annuiva,
entusiasta quanto Jodie, sentiva spesso Nick cantare quella canzone
in camera prima che Joe gli gridasse di stare un po' zitto.
Olive
sorrise, il nome le piaceva, le suonava bene. Ecco a voi i Drops
of Jupiter!, si sentiva gridare nella testa prima di un concerto,
le Gocce di Giove. Giove, il grosso pianeta fatto di gas,
inconsistente. Come loro.
Sì,
le piaceva.
«Sei
grande Nick».
Il
diciottenne le fece un gran sorriso, era il secondo complimento che
gli faceva nell'arco di una giornata.
Philip
approvò, complimentandosi a sua volta con il riccio,
ammettendo che era di gran lunga meglio degli altri proposti.
Jason
non si espresse, preferì rimanere in silenzio, osservando
seccato il soffitto mentre tamburellava le dita sul tavolo.
Già
che non ribattesse Liv lo considerò un buon segno.
«Se
qualcuno non ha qualcosa in contrario, allora, io segno questo nome
per la band», disse la moretta, scostandosi i capelli dagli
occhi, guardando particolarmente Jason. Continuò a rimanere
nel suo stato di mutismo.
Olive
tracciò su un foglio, con la sua scrittura disordinata ma
sottile, Drops of Jupiter sopra ai nomi dei componenti,
affiancati dallo strumento che avrebbero suonato.
«Se
qui abbiamo finito io andrei a casa mia», chiarì Jason,
alzandosi con uno sbuffo.
«Vai
pure, ho i vostri numeri di telefono, vi avvertirò per dirvi
dove e quando dobbiamo incontrarci per le prove», spiegò
Liv, mentre uno alla volta si alzavano tutti ad eccezion fatta per
Nicholas, che rimase al suo posto.
«Va
bene», le sorrise Jodie, mentre Amanda era già andata
avanti. «Ci sentiamo presto, Liv, ciao, e grazie di tutto».
Liv
fece un cenno rigido alla mora riccia che si allontanava, non era
abituata ad essere trattata con così tanto calore.
«Io
Nick devo andare, esco con Dani», disse Kevin, dando una pacca
fraterna sulla spalla del fratello minore. «Ci vediamo 'sta
sera, okay? Non torno tardi e se sei ancora sveglio vengo in camera
tua, se vuoi».
«Certo,
okay», disse il riccio, con un piccolo sorriso timido,
stringendosi nelle spalle.
A
tavola rimasero solo lui ed Olive, che lo guardava con attenzione.
Rimasero
in silenzio, a spiarsi di nascosto, mentre una cameriera sulla
cinquantina, il viso paffuto e quasi senza collo li guardava con
un'occhiata maliziosa.
Liv
tamburellò le dita sul tavolo, lanciando un'occhiata alla
donna e facendole cenno di avvicinarsi.
Quella
li raggiunse quasi saltellando, con passo molleggiato e prese con due
dita la banconota da cinque dollari che le porgeva Liv, consegnandole
il resto e tornando indietro, lanciando ogni tanto delle occhiate a
quella che lei considerava una coppia.
«Nicholas,
ti sono grata», sussurrò la ragazza, penetrandolo con i
suoi occhi marroni.
Nick
si rizzò a sedere sulla sedia, un cipiglio confuso sul viso.
«Di
che?», chiese.
«Per
Kevin, ci... mi hai salvato la vita presentandocelo. Ora posso
davvero sentirmi sollevata. Grazie», disse seria, guardandolo
fisso.
Il
diciottenne arrossì.
«Beh...
mmh, prego», balbettò, tingendosi di bordeaux sino alle
orecchie.
Liv
fece un piccolo sorrisetto e si alzò.
«Io
vado, Nick, ci vediamo domani a scuola», disse.
«No,
aspetta», fece lui, incespicando, rovesciando indietro la sedia
nella fretta di alzarsi, attirando su di sé parecchi sguardi
divertiti e quello sfinito di Olive, corse dalla cameriera, le diede
due dollari e raggiunse la ragazza, che teneva le braccia incrociate
e un sopracciglio inarcato.
«Ti
posso accompagnare?», domandò. «A casa, beh, io...
da me... Non ho nulla da fare».
Liv
percepì nell'aria il nome di Joe e arricciò il naso,
facendo un brusco cenno col capo.
«Tu
sai dove abito io, Nicholas? Non è una bella zona»,
spiegò seccamente, scostandosi una ciocca di capelli dagli
occhi.
«Dove?».
«Bronx»,
disse lei. «E sta per fare buio; senza offesa, ma non voglio
essere responsabile di te».
«Ho
diciotto anni...», fece lui, piano. «So badare a me
stesso».
Liv
gli lanciò un'ultima occhiata.
«Lo
spero per te».
You
are not alone I am here with you Though we're far apart
(You're
not alone; Michael Jackson)
Per
arrivare solo nel Bronx ci misero mezz'ora, considerando le
metropolitane piene a causa dell'ora di rientro dal lavoro e altri
quindici minuti con i pullman per arrivare nella zona dove abitava
Liv.
Quando
scesero dall'ennesimo bus erano quasi le otto e il sole era calato.
In cielo non brillavano né stelle né c'era la luna,
sarebbe stata una nottata nuvolosa; Nick non si sarebbe stupito se il
giorno dopo avesse piovuto.
Le
strade erano stranamente semi vuote e l'unica presenza che
accompagnava i due adolescenti era qualche cane randagio.
«È
sempre così....», iniziò il riccio, alla ricerca
dell'aggettivo adatto.
«Inquietante?»,
lo aiutò Olive, con tono sbrigativo.
Nick
annuì imbarazzato.
«Oggi
mi pare una serata buona», sospirò lei, «di
solito è peggio. Fidati».
Il
ragazzo si fermò un secondo, guardandosi intorno con
un'improvvisa ansia in corpo, e quando riprese a camminare il cuore
gli batteva forte, il doppio di prima.
«Non
dirmi che hai paura?», scoppiò Liv, guardandolo a
bocca aperta a metà tra il divertito e lo scandalizzato.
«Io?
No». Scosse il capo con forza. «Assolutamente no».
Gli
occhi di Liv si fecero più grandi, illuminati dal
divertimento.
«Sei
un tipo strano, Jonas», proferì. Non lo disse come gli
altri che l'avevano inseguito con quella frase per tutto il liceo,
ridendo di gusto vedendolo sottomesso, ma con un tono pacato, di una
persona che sta semplicemente costatando la realtà.
Nick
le fu grato.
Camminarono
in silenzio qualche minuto, l'uno accanto all'altra, i gomiti che
quasi si sfioravano.
«Ehi,
bellezza!», gridò qualcuno alle loro spalle, facendo
improvvisamente irrigidire Nicholas. Lui e Liv si voltarono insieme,
Nick con espressione spaventata e lei fredda e calcolatrice. Dietro
di loro c'era un gruppetto di circa sei ragazzi, ormai oltre la
soglia dei venti, la voce biascicata di chi ha già bevuto
troppo, nonostante l'ora.
«Bellezza!»,
ripeté lo stesso ragazzo, al centro, reggendosi appena sulle
proprie gambe. Aveva un fisico scultoreo, i capelli corti quasi
rasati a zero. «Vuoi fare un giro con noi, bella donna? Lascia
stare il ragazzo e vieni con noi!», intimò.
Nick
non possedeva coraggio, o almeno credeva. Non aveva mai ribattuto a
un ordine o risposto male, ma come quel ragazzo iniziò ad
importunare Olive sentì dentro di sé montare una rabbia
nuova, sempre più crescente.
Fece
per aprire la bocca, ma Liv lo strattonò.
«Andiamo,
Nick, lascia stare». Nei suoi occhi non c'era traccia di paura,
si era trovato forse troppe volte in una situazione simile.
Il
riccio lanciò un'altra occhiata al gruppo dietro di loro e la
seguì. Liv lo prese a braccetto, come se fossero una coppia,
ma più probabilmente perché non voleva che a causa di
qualche strano impulso tornasse indietro per dire quattro parole a
quel branco di ubriaconi.
«Bellissima,
dai, non fare la preziosa, cos'ha quel ragazzetto più di noi,
eh? Vieni qui, ti faccio vedere io che cosa possiede un vero uomo!».
Nicholas
non si sarebbe stupito se, girandosi, l'avesse visto esporre la sua
eccitazione, come un'esibizionista.
Liv
lo strattonò più forte, aumentando il passo.
«Tu
sali a casa mia e ti fai venire a prendere da un taxi», gli
mormorò in un orecchio, sibilando irritata. «Mancano
ancora dieci minuti».
Nick
sentì un tuffo al cuore: dieci minuti sembravano troppi.
«Ehi,
ragazza, avanti, vieni a bere qualcosa con noi. Sul serio, vieni.
Cos'ha quel Jonas più di me, eh? Cosa?!», gridò
un'altra voce, più possente.
Sentendosi
nominare il diciottenne non poté fare a meno di voltarsi,
mentre Liv bestemmiava.
Gli
ci volle qualche istante per riconoscere l'ultimo ragazzo che aveva
parlato, dopodiché divenne semplice dare un nome anche alla
maggior parte degli altri.
Ed
eccezione del primo e di un altro, più esile, tutti gli altri
erano gli amici inseparabili di Joe, coloro che non andavano mai da
nessuna parte senza di lui.
«Eh,
Jonas, alla fine te la spassi con le belle donne, eh? EH?!»,
esclamò Kyle Woodrow, il secondo ad aver parlato, tra
l'arrabbiato e lo strafottente.
«Vai
avanti e non rispondere», gli intimò Olive, sentendolo
più rigido al suo fianco. «Sta' zitto, Nicholas, per
l'amor di Dio».
Il
riccio annuì e si rimise a camminare, aumentando ancor di più
il passo.
Anche
i ragazzi dietro di loro, però, li imitarono, e prima che Nick
o Liv potesse fare qualcosa James, un ragazzo con l'orecchino,
afferrò la ragazza per le spalle, strappandola alla presa di
Nicholas, facendola gridare d'indignazione.
Il
viso di James era talmente vicino a quello di Olive che la ragazza
poteva sentire il suo alito puzzare di alcool e sigarette. Scostò
il capo verso Nick, che stava fronteggiando Kyle e Lucas, un altro
della compagnia di Joe.
«Lasciatela
andare», ordinò, con tono fermo. «Subito!».
«Allora
non sei balbuziente, vero Jonas? Hai sempre b-b-balbettato con noi».
Lucas scoppiò in una pesante finta risata.
Se
non ci fosse stata di mezzo Olive probabilmente Nick sarebbe
scappato, ma lei era lì e lo fissava con quei suoi occhi
castani, quasi supplicandolo. Probabilmente fu solo un'impressione di
Nick, Liv non supplicava.
James
strinse ancora di più la presa al braccio di Liv, facendole
scappare un gemito.
Nick
non ci vide più dalla rabbia.
«Ho
detto di lasciarla andare!», urlò, tentando di spingerli
da parte. Un pugno, non seppe di chi, se di Lucas o Kyle, gli si
piantò sul naso; il mondo si mise improvvisamente a macchie
per qualche istante mentre Nicholas indietreggiava e si portava una
mano al naso, ritraendola grondante di sangue.
«Maledetti
figli di puttana», grugnì Olive, senza riuscire a
staccare gli occhi da Nicholas.
«Che
linguaggio colorito», biascicò James. «Sai, sei
molto sexy quando ti arrabbi...».
Olive
gli diede un calcio a un piede a approfittò del momento per
sfuggire dalla presa del ragazzo e per avvicinarsi a Nick, ancora
disorientato.
«Piccola
bastarda», la maledì James. «Aspetta solo che...»,
fece per tirare su un braccio, la mano destra aperta, pronto a
tirargli uno schiaffo, quando si udì un'altra voce.
«Ho
preso altra birra!», gridò Joe Jonas, comparendo nel
mezzo della rissa con un sorrisetto e due casse piene di bottiglie
tra le mani.
Gli
ci volle un istante per riconoscere il fratello minore, sanguinante,
piegato in due, e ancor meno a vedere che ad avere una mano schizzata
di sangue era Lucas.
«Che
cazzo è successo?!», sibilò, appoggiando a
terra con uno scatto le bottiglie di birra.
«Joe,
Nicholas qui... Mi ha provocato... Io...», iniziò a
balbettare Lucas, indietreggiando all'occhiata penetrante e assassina
di Joseph.
«Ora
non fai più tanto lo strafottente, eh?», lo riprese Liv,
preda di un odio cieco.
Joe
guardò il fratello, che aveva finalmente lo sguardo e lo
vedeva come se fosse solo un'apparizione e nulla di reale.
«Andate»,
ordinò il ventunenne, indicando i suoi amici.
«Joe...».
«ORA!»,
gridò con tutta la voce che aveva, facendo scattare
sull'attenti James, e allontanare tutti quanti, ad eccezione di Kyle
che si fermò a recuperare la birra a terra prima di
raggiungere gli altri.
Joe
aspettò di vederli girare l'angolo prima di voltarsi verso il
fratello, che si era retto solo in quel momento sulla schiena, il
naso che continuava a sanguinare copiosamente.
«Sei
un idiota, Nicholas», sibilò Joe, avvicinandosi verso di
lui e lanciandogli con disprezzo un pacchetto di fazzoletti che
teneva nella borsa. «Che cazzo ci fai qui, eh?».
«Stava
accompagnando a casa me», rispose al posto di Nick Liv, con
voce punta dall'acidità.
Joe
inarcò un sopracciglio, squadrandola.
«E
tu sei?».
«Olive»,
fece la mora, seccamente.
«Beh,
Olive, portati a casa anche questo qui e chiamagli un taxi,
non credo che la gente sarà molto contenta se si metterà
a spargere sangue per tutta la metropolitana», le disse,
spostando lo sguardo dalla diciottenne al fratello e viceversa.
Nick
fu scosso da un brivido di dolore, ma non era per il naso che, ci
avrebbe giurato, era probabilmente rotto, ma piuttosto per le parole
di Joe. Anche in una situazione simile lui rimaneva lo sfigato della
famiglia.
«Tutto
qui? “Chiamagli un taxi”?! È tuo fratello!»,
esclamò la ragazza.
«In
che modo dovrebbe importarmi?».
Liv
fece un passo avanti e gli sputò in faccia, sotto lo sguardo
strabiliato di Nicholas.
«Mi
fai schifo», sibilò lei, prima di tornare dal minore.
Joe
si asciugò il viso, disgustato, prima di lanciarle un'occhiata
piena di disprezzo.
«Piccola
stronza...».
«Oh-oh,
che paura», lo scimmiottò Liv.
Il
ventunenne fu preso dall'istinto di prendere a calci qualcosa, o
qualcuno, ma si trattenne e si limitò ad imprecare ad
alta voce.
«Andiamo,
Nicholas», disse il suo nome come se fosse una
parolaccia. «Ti porto a casa».
Nick
fece un sorriso, raggiungendolo ma rimanendo comunque due passi
dietro di lui.
«Ci
bediamo dobani, allora», biascicò, rivolto
alla ragazza.
Olive
fece un segno con la mano, come se stesse scacciando una mosca
fastidiosa.
«Fatti
mettere a posto quel naso, piuttosto», disse.
Nick
le sorrise ancora e seguì Joe, che si era già
incamminato verso un parcheggio.
Liv
li seguì con lo sguardo; pochi minuti dopo notò una
macchina nera, non ne riconobbe la marca, lasciare lo spiazzo in
cemento. Probabilmente la loro.
Liv
sospirò, iniziando ad incamminarsi ma piuttosto che tirare
dritto, verso casa, girò a sinistra, in direzione di un bar.
Aveva
bisogno di una vodka.
Continua...
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