New
York, giorni nostri
Lindsay stava andando al lavoro a
piedi, come ogni mattina. Le cuffiette dell’mp3 erano al loro posto, e stavano
contribuendo a farle iniziare bene la giornata. Lindsay era una vera e propria drogata
di musica. Erano i Guns’n’Roses, quel mattino, ad imprimere ai suoi piedi il
ritmo giusto. Nel bel mezzo di Sweet Child O’Mine, Lindsay si fermò,
colta da una leggera fitta all’addome. Chiuse gli occhi e strinse i denti,
mentre Slash continuava nel suo assolo. Quando si fu ripresa dalla crisi,
Lindsay fermò la musica e si sfilò le cuffiette, riponendo tutto a casaccio
nella borsa. Si passò una mano sulla fronte, cercando di asciugarsi il sudore.
Non poteva andare avanti così. Non poteva continuare a vivere così. Doveva
decidersi a scoprire la verità.
Sull’ottantesima c’era una farmacia.
Non era distante da lì. Poteva fare una piccola deviazione e arrivare al lavoro
in orario. Usciva sempre con parecchio anticipo. Camminò spedita fino al
negozio, ma giunta sulla porta indugiò per qualche secondo. Che cosa avrebbe
pensato di lei, l’uomo dietro il bancone? Eccone un’altra che ha fatto sesso
con un uomo a caso, e che ora si trova un regalino. Ma Danny non era ‘uno a
caso’, e non avevano fatto soltanto del buon sesso. Quella notte di sette
settimane prima si erano amati, e il fatto che lei lo evitasse da quel momento
non cambiava le cose. Lei era innamorata di Danny, e molto probabilmente Danny
era innamorato di lei, e avevano fatto quello che ci si aspetta che facciano
due innamorati. Non avrebbe dovuto sentirsi giudicata, dopotutto non aveva
niente di cui rimproverarsi, però…
“Buongiorno. Che cosa posso fare per
lei?”
“Io vorrei… vorrei… vorrei delle
informazioni sul vaccino antiinfluenzale.”
Uscì dalla farmacia con un opuscolo
idiota infilato nella borsa, e in netto ritardo per il lavoro.
*
“Lindsay! Stavo per chiamarti, ero
preoccupato.”
“Scusa, Mac. C’era traffico.”
“Già. I marciapiedi di New York
possono essere davvero affollati, a volte” ribatté lui, osservandola con un
sopracciglio alzato.
Lindsay sospirò. Mac sapeva che
andava sempre al lavoro a piedi. Tutti lo sapevano. “Scusa, mi sono fermata per
sbrigare una commissione, e ci ho messo più del previsto.”
“Vaccino antiinfluenzale?” osservò
lui, indicando l’opuscolo che spuntava dalla sua borsa.
“Oh, non credo lo farò. L’anno
scorso sono stata piuttosto… comunque, mi parlavi di un nuovo caso?”
Mac decise di non porre l’accento
sul fatto che Lindsay stava cambiando discorso. “Sì, abbiamo una ragazza senza
vita nel bel mezzo di Central Park. Vuoi occupartene tu?”
“Certo.”
“Avverto Flack, sta andando sul
posto. Stella e Danny sono già lì.”
“O-ok” balbettò Lindsay, cercando di
nascondere il disagio. Se avesse saputo che Danny era stato assegnato al caso,
avrebbe cercato in ogni modo di tirarsene fuori. E invece, c’era finita dentro
fino al collo. “Prima di andare, posso… posso fare una telefonata?”
“Certo. Dirò a Flack di aspettarti
giù in garage.”
Lindsay controllò di essere sola e
si chiuse in bagno, poi compose il numero della dottoressa Walters. Aveva
sgraffignato il suo biglietto da visita dal bancone della farmacia, in un
momento di distrazione del farmacista. “Qui è lo studio della dottoressa
Walters. Come posso aiutarla?”
“Salve, io mi chiamo Lindsay Monroe.
Vorrei prenotare una visita.”
“Certo. Quando ha intenzione di
venire?”
“Questo pomeriggio, sarebbe
possibile?”
“La dottoressa è libera alle
diciotto.”
“Perfetto.”
“Monroe, ha detto?”
“Sì, è Monroe. Grazie, a stasera.”
Lindsay chiuse la comunicazione e
lasciò andare un sospiro, che nel vuoto del bagno sembrò rimbombare. Poi si
alzò. Flack la aspettava in garage.
*
Risolsero il caso entro quel
pomeriggio. La ragazza era stata uccisa dall’ex fidanzato, geloso del fatto che
si fosse rifatta una vita senza di lui, e l’aveva uccisa, lasciando però la
scena piena di tracce e indizi. Lindsay finì di compilare il proprio rapporto e
lo consegnò a Stella. “Ottimo lavoro, Lindsay, come sempre. Non so come
faremmo, senza di te.”
“Già” sospirò la ragazza.
“Ehi, ti senti bene? Mi sembri
pallida…”
“No, è tutto ok. Accidenti, è tardi.
Devo andare. Ho un…”
“Tranquilla, non devi giustificarti
con me” la rassicurò il detective Bonasera, sorridendole.
Lindsay corse allo spogliatoio per
prendere le proprie cose. Mentre richiudeva l’anta, una voce familiare la fece
voltare. Danny, stranamente, l’aveva evitata per tutto il giorno, e ora se ne
stava lì, in piedi a un metro da lei, e la guardava fisso. “Lindsay, possiamo
parlare?”
“Danny, sono… ehi, ma tu non mi
chiami mai…”
“Lo so” la interruppe lui,
avvicinandosi un po’, senza staccarle gli occhi di dosso.
“Danny, io devo andare.”
“Prima parla con me. Che sta
succedendo?”
“Non… non capisco. A che cosa ti
riferisci?”
“Lo sai. A noi due. Da quando è
successo non hai fatto altro che evitarmi.”
“Danny, io sono un po’ confusa, e…”
“Sono passati quasi due mesi,
Lindsay.”
“Danny, io non…” iniziò, per
interrompersi quasi subito. Una fitta la colse all’improvviso, e un conseguente
conato di vomito la sorprese. Non faticò a distinguere il proprio pranzo nella
pozza verdastra che si era formata a terra. Una pozza che comprendeva anche le
scarpe di Danny. “Scusa. Devo andare.”
*
“La dottoressa Walters la riceverà
tra pochi minuti” la rassicurò una voce, probabilmente la stessa che aveva
sentito al telefono. Si trattava di una giovane ragazza afroamericana sui
venticinque anni, con un pancione di almeno sette mesi. Lindsay fece correre lo
sguardo lungo la sala d’attesa: tutte le donne sfoggiavano con orgoglio le loro
pance, di diverse misure. Lei doveva sembrare dannatamente magra, in confronto
a tutte loro.
“Di quanti mesi è?” si sentì
chiedere.
“Oh, io non… io non sono sicura di
essere incinta” rispose, voltandosi verso la donna con i capelli rossi che
l’aveva interpellata.
“Oh. Beh, io credo che lo sia. I
suoi occhi hanno qualcosa di speciale. Brillano.”
“Oh. Beh, grazie.”
“Monroe” disse la receptionist.
Lindsay sorrise e si alzò, camminando verso la dottoressa Walters, che
sorrideva.
“Dunque, Lindsay Monroe. Non l’ho
mai vista da queste parti.”
“E’ la prima volta che vengo qui. Ho
preso il suo biglietto da visita da un’amica.”
“Credo di sapere perché è qui. La
prego, si tolga il maglioncino e si stenda sul lettino.”
La voce di quella donna era
maledettamente rassicurante. Le ricordava la voce di sua madre. Chissà com’era
il Montana, in quel periodo. Lindsay si rilassò, mentre la dottoressa Walters
le ungeva il ventre con il gel – era davvero freddo, non era una balla da film!
– e iniziava a sondarla. Dopo alcuni interminabili secondi, la donna puntò
l’indice contro il monitor. “Eccolo.”
Lindsay si sollevò sui gomiti,
fissando lo stesso punto. “Come?”
“Quello è suo figlio.”
Avvertì una strana sensazione di
vuoto allo stomaco, e il desiderio di mettersi a piangere, ma non per la
disperazione. Era felice. Era contenta. Era disorientata. Non riusciva a
spiegarsi il perché di quegli stati d’animo così differenti tra loro. “Quel
puntino…”
“…diventerà un bambino. O una
bambina.”
Lindsay si ripulì, si rivestì e
prenotò una visita per la settimana successiva. Poi iniziò a camminare verso
casa sua, con le cuffiette dell’mp3 infilate nelle orecchie. La sola persona in
grado di calmarla era Sarah McLachlan. Ascoltò Angel per dieci volte
consecutive.
*
Salì le scale come un automa, senza
fissare altro che non fosse lo scalino successivo. I suoi passi erano attutiti
dalla moquette, ma tanto non avrebbe comunque fatto caso al loro rumore. Stava
per infilare la chiave nella serratura, quando si accorse che davanti alla
porta del suo appartamento c’era qualcosa.
“Danny! Che ci fai qui?”
“Sono venuto a farmi risarcire. Ho
dovuto buttare le scarpe.”
“Scusa” balbettò Lindsay, rendendosi
conto di avere ancora tra le mani la sua cartella clinica. La cartella clinica
che conteneva le immagini della sua prima ecografia.
“Montana, quella è una cartella
clinica?”
“Sì… no, è… di un’amica.”
“C’è il tuo nome, sopra. Non stai
bene?”
“No, Danny, io… io sono solo molto
stanca. Ci vediamo domani” tagliò corto lei, superandolo e infilando la chiave
nella toppa.
Approfittando di un attimo di
distrazione, Danny le sottrasse il fascicolo e lo aprì. In un modo o
nell’altro, avrebbe scoperto la verità su Lindsay. Lei, nel frattempo, aveva
aperto la porta e si era voltata, cercando di riprendersi la cartella. “Danny,
è una faccenda privata, e…”
“No” la interruppe lui, alzando gli
occhi azzurri su di lei. “Non è una faccenda privata. Qui dice che sei
incinta.”
“Danny, non…” iniziò lei, sentendo
che le lacrime iniziavano a salire.
“Lindsay, qui dice che sei incinta
di sette settimane. Sette settimane fa è quando noi…”
“Danny…”
“Perché non me l’hai detto, Lindsay?
Avevo il diritto di sapere che…”
“L’ho scoperto solo stasera, Danny.
E grazie per aver rovinato tutto!” Urlò le ultime parole, riprendendosi il
fascicolo e chiudendo la porta con un colpo secco.
Danny rimase in piedi dal lato
sbagliato della porta, incredulo. Incredulo, sì, ma non arreso. “Perché non mi
hai detto che stavi male, Montana? Perché mi eviti da quando siamo stati
insieme? Pensavo che mi amassi!”
“Danny, vai via.”
“Non dici sul serio, Montana. Lo
sai, non puoi mentirmi. Dimmi solo perché non hai voluto dirmi niente prima!”
“Perché non sapevo come avresti
reagito!”
“E che cosa aspettavi? Che ti
vedessi arrivare in ufficio con un neonato appeso al collo?”
“Spiritoso” bisbigliò lei dall’altra
parte della porta.
“Ti ho sentita, Montana.”
“Danny, sono stata innamorata di te
per un anno, e non te ne sei mai accorto.”
“Non è vero. Semplicemente non
sapevo come fartelo capire.”
“Danny, come faccio a sapere che non
consideri quella notte uno sbaglio?”
“Basta che tu me lo chieda.”
“Mentiresti.”
“Oh, Montana, vuoi smetterla di
credere di sapere tutto di me? Sei irritante, quando fai così.”
“Andiamo, Danny. Se anche
riuscissimo a mettere insieme una storia, per quanto credi che andrebbe avanti?
Un paio di mesi? Un anno, al massimo?”
Danny sentì dei rumori confusi
all’interno dell’appartamento. Probabilmente Lindsay stava calciando via le
scarpe e stava mettendo via il cappotto. E lui se ne stava lì in corridoio come
un cretino, con le mani appoggiate allo stipite della porta e i muscoli tesi. E
quella domanda che gli si attorcigliava sulla lingua, in modo molto fastidioso…
“Montana…”
“Che c’è?” ribatté lei, infastidita.
“E se fosse per sempre?”
Lei non rispose.
Lui non si mosse.
*
La porta si aprì di scatto, senza
preavviso, e Danny crollò come un sacco di patate. Lindsay strillò per lo
spavento. “Danny! Che ci fai qui?”
Il detective si stiracchiò,
alzandosi. “Non aprivi e non mi rispondevi, così ho aspettato.” Gettò
un’occhiata all’orologio: non riusciva a credere che fossero già le otto del
mattino.
“Danny, io…” iniziò lei, abbassando
gli occhi.
L’uomo la bloccò, appoggiando le
mani sullo stipite della porta. “Montana, rispondi alla mia domanda.”
“Quale domanda?”
“Lo sai.”
“Intendi…”
Danny annuì. “Se non fosse solo per
qualche mese? Se fosse per sempre?”
“Danny, nessuno mi assicura che durerà
per sempre. Potresti innamorarti di un’altra, e…”
“Montana, negli ultimi due mesi mi
hai trattato come non si tratta nemmeno un topo di fogna. Non mi hai parlato,
non hai risposto alle mie chiamate, non mi hai mai nemmeno guardato… se
fossi l’idiota che pensi, non ci avrei pensato due volte, prima di trovarmi
qualche altra donna con cui passare il mio tempo. Ma ormai… ecco, Montana, io
ormai ho scelto te.”
Lindsay avvertì un peso allo
stomaco. Il nodo alla gola si strinse. “Tu hai… cosa?”
“Io ho scelto te, Montana” sussurrò ancora lui,
prima di baciarla.
Lindsay si staccò presto da lui. “Io non…” iniziò,
prima di correre via.
Dal bagno arrivò il rumore dello
sciacquone. Danny entrò e si chiuse la porta alle spalle, sorridendo. In un
modo o nell’altro, ce l’avrebbero fatta.
Sarebbe durata per sempre.