Prima di lasciarvi alla storia
Prima di lasciarvi alla storia, volevo ringraziare lo
staff di Fanworld per avermi proposto di scrivere una storia natalizia, è stato
veramente un piacere per me partecipare a quest’iniziativa così carina e
natalizia.
Poi un grazie alla mia beta Harry, che stavolta
stranamente ha fatto il suo sporco lavoro…
E ora vi blabblo un po’… fondamentalmente di cose
abbastanza inutili e che potete tranquillamente saltare.
Sono anni (seriamente.. ANNI) che non scrivo di Harry
Potter, i personaggi erano qua tutti arrugginiti nelle mie dita, spero comunque
di aver scritto qualcosa di degno. Ho deciso di scrivere di nuovo di Harry
Potter fondamentalmente perché fondamentalmente mi sono accorta che Harry e
Draco mi mancano, mi manca il cinismo e l’essere snob di Draco, mi manca il
coraggio di Harry. Mi mancano il loro odiarsi e il loro essere così diversi a
seconda della storia.
E quindi … ho scritto questa “cosa”.
Prima di smettere di blabblare, volevo ringraziare le
ragazze di
Fanworld, per avermi chiesto di scrivere una storia per il Calendario
dell’Avvento… avrei voluto mandar loro un qualcosa di più sdolcinato e natalizio
nel senso più classico del termine e sono stata dilaniata dai dubbi e dal senso
di colpa per aver sfornato invece questa fanfic, ma Shad è stata gentilissima a
tranquillizzarmi…quindi grazie.
Un ringraziamento alla mia "storica" betareader Harry,
che ha scelto il titolo di questa storia.
E un ringraziamento a Narcissa63 per la sua immancabile gentilezza.
Per le tematiche e il linguaggio di sconsiglia la
lettura a un pubblico troppo giovane o particolarmente sensibile.
Okay, credo di aver finito di blabblare…quindi vi lascio alla storia.
Buona lettura
Already gone
Allungò una mano chiudendo le dita attorno alla bottiglia.
“Lasciala qui”.
La voce che raschiava il fondo della sua gola come carta
vetrata. La barba lunga di giorni che gli adombrava le guance, facendolo
apparire più vecchio. Il giaccone invernale non ancora del tutto asciutto dalla
pioggia, che aveva formato un tappeto di goccioline sul pavimento.
Le dita irrequiete che continuavano a tamburellare sul
bancone. Le labbra sottili atteggiate a una smorfia traboccante di amarezza.
Il barista gli concesse una lunga occhiata, un misto di
compassione e disgusto, prima di allontanarsi. Non lo seguì con lo sguardo, a
malapena consapevole di quello che stava accadendo attorno a lui. Cristo, se
solo fosse riuscito a smettere di pensare.
Solo per cinque minuti… solo per il lungo istante di un respiro…
Harry tolse il tappo dalla bottiglia, versandosi un’altra
corposa razione di whisky. La voce calda di Leonard Cohen che proveniva dagli
altoparlanti, mentre la televisione muta rimandava le immagini dell’inviato
davanti all’albero di Natale del Rockfeller Center.
Un altro fottuto Natale.
Harry studiò per qualche istante i riflessi che si
inseguivano nel liquido ambrato, avvertendo un sapore metallico riempirgli la
bocca.
Calze appese al camino.
La signora Weasley che portava in tavola un vassoio su cui
troneggiava un tacchino farcito.
Capelli rossi, lentiggini, la voce di Hermione, il fuoco
che divorava ogni cosa.
Il marchio nero che inghiottiva l’orrore, sangue… l’odore
forte del sangue, degli intestini che si svuotavano nell’ultima vestigia di
vergogna mentre sopraggiungeva la morte.
Misericordiosa, nera come la sua stessa anima.
Chiuse gli occhi, ingollando una lunga sorsata di whisky.
Lo sentì scendergli giù dall’esofago, una colata di lava bollente che gli
incendiava lo stomaco, ripercuotendosi poi nel suo cervello. Fece una piccola
smorfia, prima di posare di nuovo il bicchiere sul legno levigato.
Aveva messo un oceano e mezza bottiglia di Jack Daniels tra
lui e i ricordi della guerra.
Ma non era servito a un cazzo.
Qualsiasi cosa avesse fatto non sarebbe servita a un cazzo.
Si sfilò dalla tasca il pacchetto di sigarette contorto
dall’umidità. Gli tremavano incontrollabilmente le mani per la voglia di
nicotina. Prese il filtro tra le labbra benedette dall’alcol e inspirò la prima,
benefica tirata di fumo. Lanciò un’occhiata attraverso la vetrina del bar,
abbracciando lo spicchio di strada riempito dai passi veloci di qualcuno.
Risate.
Gli ultimi ritardatari che si affrettavano per il cenone di
Natale.
Il traffico pressoché inesistente. Il bar deserto, colmo
solo della presenza di perdenti come lui.
Sarebbe potuto tornare nella gloriosa Inghilterra,
riabbracciare i sopravvissuti, ricostruire insieme a loro un’ipocrita
quotidianità. Accartocciò il pacchetto di sigarette, i tendini in evidenza sotto
la pelle pallida. Le unghie corte che gli si conficcavano nel palmo.
Avrebbe dovuto sposare Ginny, metterla incinta, farle
sfornare tanti bambini dai capelli rossi che non sarebbe riuscito ad amare.
Bevve un altro sorso di whisky, un altro chiodo nel suo
cervello incasinato.
Marcio, era soltanto marcio.
Chiuse gli occhi, ascoltando il rombo insistente del suo
mal di testa. Il sapore stantio del whisky incastonato in fondo alla bocca.
Alla fine l’aveva fatto. Era sopravvissuto alla fottuta
guerra, aveva ammazzato il fottuto Voldemort.
Aveva dato tutto ciò che aveva da dare e per cosa? Che
cazzo avrebbe fatto del resto della sua patetica vita?
Si sfregò le palpebre con i polpastrelli ruvidi. Puzzavano
di nicotina.
La soluzione più logica sarebbe stata diventare un Auror,
impalmare la giovane Weasley in modo da assicurarsi un posto di diritto nella
sua famiglia adottiva. E bambini. Tanti bambini.
Ci vogliono dei fottuti bambini a Natale giusto?
Dei piccoli frugoletti che sgambettano e strillano e
spacchettano i regali. Altrimenti che fottuto Natale del cazzo sarebbe?
Era questo che ci si aspettava da lui, giusto? Ci si
aspettava che restasse Harry Potter, paladino della giustizia e del bene
superiore. Amico, fidanzato, Auror, membro dell’Ordine… Siamo fieri di te,
Harry. Ce l’hai fatta, Harry. E’ finita, Harry.
Ma non era finita. Non era finita per un cazzo.
Non per lui. Non per un sacco di gente.
Il fondo vuoto del bicchiere. Le sue dita chiuse attorno
alla bottiglia.
E poi una mano, dita lunghe. Dita di uomo. Scarne, che conservavano solo l’ombra
dell’eleganza che potevano vantare anni addietro.
“Non dovresti bere così tanto, Harry”
Si liberò della stretta di quelle dita con uno strattone,
lottando per mantenersi in equilibrio sullo sgabello. Il mondo vacillò per
qualche istante prima di rassettarsi.
Forse stava semplicemente impazzendo. Non c’entrava un
cazzo l’alcol, era il fottuto cervello che era completamente andato.
“Non sei mio padre” ringhiò, versando dell’altro Jack
Daniels nel bicchiere. Strizzò gli occhi, emettendo un basso lamento quando il
whisky gli scese giù dalla gola.
Voleva solo bere fino a stordirsi.
Alla radio Johnny Cash aveva sostituito Leonard Coeh.
You can run on for a long time
Run on for a long time
Run on for a long time
Sooner or later God'll cut you down
Sooner or later God'll cut you down
Si passò il dorso della mano sulle labbra.
Già, Dio. Che si facesse vedere una volta quel maledetto
stronzo.
Aveva un conto in sospeso con Dio.
Aveva paura? Dio aveva paura di lui? È per questo non
passava a riscuotere? E’ per questo che l’aveva lasciato fottutamente vivo?
Un fottuto zombie che era troppo stronzo per ammazzarsi e
liberare il mondo della leggenda di Harry Potter.
Mani che lo sorreggevano e lo facevano di nuovo appoggiare
al bancone. Per un attimo aveva perso l’equilibrio.
“Cosa vuoi”?
Un cupo brontolio che gli usciva dalle profondità del
petto.
Sirius fece un cenno al barista, indicandogli di portargli
un altro bicchiere. Lo battezzò con tre dita di whisky, che sparirono in fretta
nella sua bocca.
“Farmi un bicchierino con il mio figlioccio” rispose
l’uomo. I capelli lunghi gli sfioravano gli zigomi in evidenza. Lembi di pelle
che andavano a ricoprire un teschio umano.
“Che pensiero gentile” mormorò aspro Harry, sfilando
un’altra sigaretta dal pacchetto. Non si ricordava nemmeno di aver finito la
prima.
Voleva solo accasciarsi a terra e vomitare. E poi svenire
per un ammasso indecente di ore.
Rimase in silenzio, senza voltarsi quando la porta del
locale venne aperta per lasciare uscire un ubriacone.
Un porcellino in meno sul treno. Una lama di aria fredda
gli percorse la schiena prima di dissolversi. L’alito del fantasma dell’inverno.
“Ron e Hermione sono preoccupati per te. Hanno rivoltato
tutta l’Inghilterra per trovarti” aggiunse Sirius, dopo essersi scolato il
whisky. Se solo ci fosse stato del biasimo o peggio ancora della pena nella sua
voce, Harry l’avrebbe preso a pugni.
O almeno ci avrebbe provato visto che aveva difficoltà
anche solo a star seduto su un maledetto sgabello senza sfracellarsi sul
pavimento. “Si aspettavano almeno una telefonata o un biglietto via gufo”.
Harry piegò le labbra nella versione distorta di un
sorriso. Avrebbe voluto dire qualcosa di sentito verso i suoi amici di sempre,
ma non riusciva a cagare un dannato pensiero gentile verso nessuno.
Così si limitò a bere.
Quando vedi corpi fatti a pezzi nelle strade, tu bevi.
Quando sai che è una mera questione di o tu o lui, tu bevi.
Quando sei tra le cosce aperte di Ginny Weasley che aspetta
solo di essere montata e tu non riesci a fartelo venire duro nemmeno pensando di
ficcarlo nel culo a Oliver Baston, tu bevi.
Quando vedi il marchio sul suo cazzo di braccio, tu bevi.
Continua a bere, ragazzo. Ci darai delle belle
soddisfazioni.
Chiuse gli occhi, sfregandosi le palpebre con le dita. La
testa gli scoppiava. Aveva bevuto troppo, ma non era ancora abbastanza. Non era
mai abbastanza.
“Sono incazzato con te” sibilò. Avrebbe voluto gridarlo,
avrebbe voluto avere ancora la forza di urlare, di alzarsi in piedi, afferrarlo
per i vestiti e scuoterlo con violenza.
E invece gli era uscita solamente quella patetica frase
appena sussurrata.
Sono incazzato con te.
Era incazzato con Sirius perché si era comportato da
egoista bastardo.
Perché era morto per primo, perché si era risparmiato gli
orrori della guerra. Perchè gli aveva strappato via la speranza di…
“Lo so”
Harry annuì leggermente.
Non lo faceva sentire meglio.
Non lo faceva sentire meglio per un cazzo.
Fissò il bancone di legno, senza vederlo realmente. Il
sapore acre della sigaretta che ristagnava in fondo alla sua gola. “Sono tutto
sbagliato, Sirius” sussurrò. Gli occhi asciutti, le dita che tremavano in modo
violento mentre si portava la sigaretta alle labbra.
Nessuna traccia di commiserazione, solo la verità. La nuda
e cruda verità.
Quidditch.
Forse avrebbe dovuto dedicarsi al Quidditch.
Forse quella era la strada per rimettere a posto i patetici
cocci della sua vita. Fece cadere un po’ di cenere nel portacenere, il fumo che
saliva in spirali tortuose seguendo invisibili correnti d’aria.
“Non l’ho più visto” mormorò, gli occhi avvolti dai ricordi
lontani.
“Chi?” chiese Sirius, versando dell’altro whisky.
Harry non credeva che ci fosse un momento più adatto della
sera di Natale per prendersi una sbronza colossale con il fantasma del suo
padrino.
“Abbiamo iniziato a scopare nei bagni di Hogwarts. Negli
spogliatoi. Cristo, perfino nell’ufficio di Dumbledore. Mi scopavo quel suo
piccolo culo aristocratico… quella sua bocca impertinente…”
Harry si passò una mano tra i capelli, chiudendo il pugno
su una manciata di ciocche. Gli sembrava di avere uno stiletto infuocato
conficcato nelle tempie.
“E poi lui è venuto da me. Mi ha detto che aveva il
marchio. Gli ho detto che l’avrei aiutato”
“Ma non l’hai fatto”
Harry annuì, guardando le dita candide di Draco chiudersi
attorno alla bottiglia di whisky per versarsene una dose generosa. Volse un po’
la testa per osservarlo distorcere le labbra in un’espressione di disgusto.
“Hai sempre avuto gusti scadenti” commentò il ragazzo,
prima di riappoggiare il bicchiere sul ripiano di legno.
Harry distolse lo sguardo. Non voleva pensare a Malfoy. Si
stropicciò la faccia con le mani, desiderando solo lasciar uscire tutto quello
che aveva dentro. Dalla bocca, dal culo, dagli occhi. Non gli importava da dove.
Voleva solo non sentire più niente.
Si tastò la giacca alla ricerca delle sigarette, senza
ricordarsi di averle finite finché Draco non gli allungò le sue.
Tentennò solo un istante prima di prenderne una e
portarsela alle labbra.
Le sue fottute mani continuavano a tremare. Si fece
scorrere nuovamente le dita tra i capelli incasinati. Per strada risuonava un
jingle natalizio. Campane di morte che riempivano cieli lontani.
Chiuse gli occhi, affondando la fronte nei palmi. “Non ti
ho aiutato. Non ho voluto”
“Non hai potuto” lo corresse Draco atono, percorrendo il
bordo del bicchiere con un dito. “Alla fine è stato meglio così”
“Come puoi dirlo?” ribatté voltandosi per poter fissare il
suo viso. Gli orrori della guerra non sembravano altro che umida nebbia.
Avevano lasciato solo una vaga malinconia sui tratti del
viso di Malfoy.
Un viso d’angelo.
Così bello.
Così dannatamente bello.
Harry allungò un braccio, tutto il suo corpo tremava forte,
come se fosse febbricitante. Sfiorò appena la guancia di Draco con la punta di
un dito, mentre una lacrima gli rimaneva intrappolata tra le ciglia.
“Che cosa ho fatto…” fu il mormorio sommesso che gli sfuggì
dalle labbra inaridite. Caracollò giù dallo sgabello, andando a sbattere contro
il tavolo da bigliardo con il fianco. Un dolore acuto gli scoppiò al centro del
petto, mentre due occhi rossi gli perforavano il cranio e le sue stesse parole
gli rimbombavano nelle tempie.
“Harry”
Lontana, la voce di Malfoy era così lontana, intrappolata
in un altro tempo.
Un tempo da cui non riusciva a fuggire. Non del tutto.
Indietreggiò, scontrandosi contro la parete. Il respiro che
faticava a uscire dai polmoni contratti.
“Harry”
Mani. Mani familiari. Mani che aveva amato, chiuse sul suo
giaccone. Sulle sue guance. Un tocco leggero, così familiare eppure così
sconosciuto. Non si erano mai toccati in quel modo.
Non era questo che si aspettavano che facessero. Scopare.
Loro scopavano e basta.
Per questo si era imposto di non aiutarlo. Per questo non
aveva chiesto aiuto per Draco, non aveva interceduto per lui.
Perché se l’avesse fatto non sarebbe stato più solo sesso,
il loro piccolo sporco segreto. Sarebbe stato…
“Guardami”
Harry dischiuse le labbra, perdendosi nello sguardo
invernale dell’altro. I morti erano tornati. Gli chiedevano lo scotto per tutte
le sue colpe. Tentò di divincolarsi ma la sua presa era troppo forte.
“Avrei dovuto dirtelo” soffiò con un alito di voce. Le sue
mani che si chiudevano su quelle pallide di Draco. Fredde come la tomba. “Avrei
dovuto…capirlo”
La fronte di Draco premuta sulla sua, i loro respiri fusi
in uno.
“Avrei dovuto permetterti di dirmelo.” La voce di Malfoy
s’incrinò appena, minacciando di frantumarsi. “Avrei dovuto permetterti di
capirlo. Se solo tu mi avessi aiutato…” bisbigliò.
“Saresti scappato via” finì per lui la frase Harry,
lottando per risollevare le palpebre e non smarrirsi nello sguardo di Malfoy.
“Sì” sussurrò Draco, facendo passare le braccia attorno
alla sua vita per sostenerlo.
Harry chiuse gli occhi, lasciando che il profumo familiare
dell’altro gli annebbiasse i sensi. Quante volte l’aveva inspirato di nascosto,
vergognandosi di sé stesso. Quante volte aveva cercato quello stesso profumo sui
suoi vestiti… sulle sue mani… sulla sua pelle…
Si abbandonò contro di lui, senza riuscire a impedirsi di
sospirare lievemente. Un suono che aveva il sapore della stanchezza.
Il corpo di Draco era caldo e solido, nonostante la sua
apparente magrezza
“Che cosa ti hanno fatto?” chiese Harry in un basso
bisbiglio, aggrappandosi alle sue spalle.
“Non ha più importanza, Harry”.
Le labbra di Draco leggere sui suoi capelli. Le sue braccia
avvolte attorno al suo corpo.
E il suo profumo, una sensazione insistente che non
riusciva a cancellare nemmeno quando il buio lo accolse.
Sollevò le palpebre, tentando di mettere a fuoco la stanza
in cui si trovava.
Troppa luce, decisamente troppa luce per il suo mal di
testa martellante. Si passò una mano sulla faccia, mettendosi a sedere. Qualcuno
l’aveva spogliato e l’aveva fatto dormire in un letto incredibilmente morbido e
comodo.
Era piuttosto sicuro che non l’avessero portato lì per
assassinarlo o torturarlo.
E anche se ci avessero provato… beh buona fortuna.
Harry si guardò intorno, cercando i suoi vestiti.
Sorrise appena, guardando una vestaglia scura da uomo,
appoggiata al bracciolo della poltroncina.
Chiunque l’avesse raccolto probabilmente dal pavimento di
qualche bar, doveva essere un qualcuno con un gusto nel vestire molto raffinato
e vagamente snob.
La indossò sopra ai boxer, uscendo dalla stanza a piedi
scalzi. Il tessuto morbido lo avvolgeva come una seconda pelle, riscaldandolo
fin nel profondo, e il profumo di cibo gli fece contorcere dolorosamente lo
stomaco.
Non si ricordava il suo ultimo pasto decente. Scese con
calma le scale, osservando il grande albero di Natale che troneggiava nel
salone.
I pacchetti ordinatamente disposti sotto di esso. Il
tappeto folto, il camino acceso.
Aria fottutamente natalizia.
“Ti ho aspettato per aprirli” disse una voce, mentre il
padrone di casa appoggiava un libro sul tavolino e si alzava dalla poltrona
imbottita in cui era sprofondato. Indossava una vestaglia verde, molto simile a
quella che era stata lasciata in camera per Harry.
“Grazie” replicò, senza essere sicuro che fosse la risposta
giusta da dare.
Si fermò alla fine delle scale, osservando ora Draco Malfoy
ora l’albero di Natale.
Sembrava tutto così normale. Così sbagliato.
“E’ il 26” gli fece presente l’ex serpeverde dopo una
manciata di secondi, attirando di nuovo la sua attenzione. Harry aggrottò le
sopracciglia, passandosi poi una mano sulla mandibola ruvida di barba.
“Ero…non dovrebbe essere…”
“Hai dormito per un giorno intero” disse Draco quietamente,
suonando poi un piccolo campanello. Il trillo trafisse le tempie di Harry,
facendogli distorcere i lineamenti del viso in una smorfia sofferente. “Ti ho
riportato a Londra”.
Dopo una manciata di secondi un elfo domestico comparve nel
salone. Aspettò che il padrone di casa gli ordinasse di servire la colazione,
prima di scomparire con uno schiocco.
Harry fece sprofondare le mani nelle tasche, avanzando di
qualche passo. Si sentiva stupido e impacciato. E aveva un colossale mal di
testa dopo sbornia.
“Credevo che…” mormorò, mordendosi l’interno della guancia.
Chiuse gli occhi per qualche istante, avvertendo le parole lottare per uscire
dalla sua gola. Inspirò a fondo, continuando a tenere le palpebre abbassate.
“Non sapevo nemmeno che cosa fosse reale e cosa…”
Percepì Draco muoversi nella sua direzione. L’ombra del
calore della sua mano sul suo braccio, sulla sua guancia. Soltanto quando Harry
fu sicuro di sentirla davvero si azzardò ad aprire nuovamente gli occhi.
“Io sono reale”
“Non dovresti esserlo” mormorò Harry, senza riuscire a
muoversi. “Dovresti essere morto. Io dovrei essere morto. Noi non…”
Avrebbe voluto aggiungere che loro non meritavano di
vivere, che erano solo consumatori di ossigeno abusivi. Che sarebbe stato meglio
se Voldemort li avesse ammazzati. Prima di tutti gli altri, prima che la guerra
dilaniasse le loro vite e le loro anime.
Ma Draco coprì la distanza che ancora li separava,
prendendogli il viso tra le mani e cancellando con il tocco delicato delle sue
dita anni di felicità negata.
Sospirò piano, avvertendo il suo corpo rabbrividire.
Il fantasma della bocca di Draco sulla sua.
“…non dovremmo essere ancora vivi” finì la frase in un
bisbiglio.
“Eppure lo siamo, Harry. Lo siamo” replicò l’ex serpeverde,
costringendolo a guardarlo. E Harry si sentì risucchiato nel suo sguardo,
precipitare dentro Draco.
Sentì qualcosa crescere e agitarsi nel suo petto,
un’emozione che non credeva di poter provare. O non credeva meritasse di
provare.
Tremò debolmente quando le labbra di Draco si posarono
sulle sue in un tocco leggero, delicato.
Un tocco che aveva lo stesso conforto di una vecchia
canzone natalizia.
Lasciò che Draco lo avvolgesse tra le braccia, lasciò che
lo baciasse, che lo spogliasse.
Lasciò che lo facesse coricare sul pavimento e poi che si
sistemasse su di lui.
Le vestaglie che cadevano con un fruscio, il calore del
fuoco del camino che si riverberava sui loro corpi.
Il respiro di Draco, il corpo di Draco così caldo, pulsante
di vita.
Lasciò che Draco facesse l’amore con lui, lì sotto l’albero
di Natale, lasciò che prendesse un po’ del suo dolore e lo sopportasse al suo
posto.
I capelli di Draco che gli sfioravano la fronte.
I suoi movimenti urgenti e brucianti.
Le sue dita conficcate nelle sue spalle.
E i suoi occhi invernali, cos profondi e disperati.
Le sue labbra umide di baci e lambite dal suono del suo
nome, mentre il piacere aumentava, cancellando ciò che era stato.
Lasciò che Draco lo amasse e lo salvasse, come lui non aveva avuto il coraggio
di salvarlo una volta.
E poi lasciò che gli accarezzasse i capelli, che si
stringesse a lui mentre i loro corpi vibravano ancora per il piacere provato.
La pelle candida di Draco sulla sua, i suoi capelli biondi,
sempre un po’ troppo lunghi, sparsi sul suo petto. Le loro dita mollemente
intrecciate.
“Buon Natale, Harry”
Harry sorrise, premendo le labbra sulla sua fronte. “Buon
Natale, Draco” rispose, anche se ormai Natale era passato.
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