Salvee! Eccomi con il nuovo capitolo di questa storia grrr sono tre
giorni che ci sto lavorando, ma per l'esasperazione lo sto postando
anche se è letteralmente pietoso! *sospiro esasperato* ç__ç vi lascio
alla lettura sperando non mi lanciate i pomodori sigh sob. Io e le
originali abbiamo un rapporto decisamente conflittuale.
Capitolo 3
È strana, la vita è
davvero strana.
Ci affanniamo per
raggiungere un
equilibrio, lavoriamo per dare alla nostra vita una parvenza di
stabilità
eppure anche se l’imprevisto ci spaventa, esso ci attrae.
Inesorabilmente.
Accompagnai Michele alla
porta, aveva una
relazione da preparare per il corso di calcolo ed io avrei trascorso
probabilmente la serata con Luana. Si era ripetutamente scusato per
essersi
addormentato in quelle poche ore che avevamo a disposizione ed io, come
al
solito, avevo annuito tentando di dissipare le sue preoccupazioni.
Peccato che fossi
contrariata,
estremamente contrariata.
Nel tempo avevo però
appreso come
reprimere le spiacevoli emozioni, totalmente deleterie. Discutere
avrebbe
generato in lui sensi di colpa che non intendevo risvegliare, non
quando non
avrebbero condotto a nulla di buono.
Perché?
Perché io non ero una
delle sue priorità.
Dopo aver recuperato una
merendina dalla
credenza avanzai trotterellando verso la camera della mia amica,
bussando ed
entrando, senza attendere risposta.
Pessima abitudine che
avevo assimilato da
lei, inizialmente per ripicca alla sua invadenza, in seguito mi ci ero
adagiata
per pura e semplice comodità.
Non di rado a causa delle
cuffie nelle
orecchie non percepiva alcun suono attorno a lei, oltre la musica. Se
la casa
ci fosse crollata sulla testa, probabilità che non mi permettevo di
escludere,
lei non si sarebbe accorta assolutamente di nulla.
« Lu!» salutai, notando
la sua figura
attorcigliata in un immenso accappatoio di spugna verde mela. La camera
profumava del suo bagnoschiuma al muschio bianco, che aleggiava nella
stanza
mescolandosi all’essenza dell’incenso liquido che bruciava sul
davanzale della
finestra. Lei adorava quegli odori forti, io li detestavo.
Non riuscivo neanche a
tollerare il
profumo sulla mia pelle, a causa dell’emicrania cronica e non riuscivo
a
comprendere come lei potesse sopravvivere in quella cappa di odori che
si
creava.
Abominevole,
per non dire disgustoso.
Mi schiarii la gola,
arricciando il naso
per limitare al minimo i respiri. «Esci?»
«Mi vedo con Marta.»
spiegò
tranquillamente, tirando fuori dall’armadio alcuni vestiti dopo quello
che mi
parve un accurato esame. Non che ne possedesse molti, al contrario.
Detestava lo shopping,
era solito
definirlo uno spreco di tempo, il risultato di una mentalità
consumistica che
stava logorando la nostra società fino a condurla progressivamente
verso le
soglie di un’implosione.
Sapeva essere
maledettamente
catastrofica, talvolta.
Sospirai, assorbendo con
disappunto le
sue parole. «Stasera?» domandai, lagnandomi con quel tono petulante che
la mia
amica detestava.
Bhe, io odiavo
trascorrere le serate da
sola in casa. Era deprimente.
Si voltò scoccandomi
un’occhiata
perplessa e, notando il mio broncio deluso, trasse immediatamente le
ovvie
conclusioni. Forse perché non era una novità o forse perché mi
conosceva sin
troppo bene. Probabilmente per entrambi i motivi. «Michele è andato
via?»
Sbuffai annuendo. «Doveva
studiare.» addentando l’ultimo morso della
merendina al
cioccolato e arancia, spudorata imitazione della Fiesta.
Ci si potrebbe
sorprendere da tutto
quello che sono in grado di taroccare al giorno d’oggi.
«Quel ragazzo morirà
giovane.»
Su
questo non ho alcun dubbio.
Mi accomodai sul bordo
del letto,
giocando distrattamente con il pon pon del suo parka blu notte. «In fin
dei
conti credo che a lui piaccia molto studiare, quando termina uno dei
suoi
lavori sembra davvero felice.» mormorai sovrappensiero. Il sorriso
soddisfatto
che si dipingeva sulle sue labbra in quelle situazioni era impagabile,
considerando i suoi successi accademici avrebbe dovuto essere ormai
abituato.
Eppure non esisteva nulla al mondo in grado di indurre in lui le
medesime
emozioni.
«Intendi che preferisce
lo studio alla
sua ragazza? Non credo sia così strano.» borbottò iniziando a vestirsi
con
un’accuratezza insolita per lei. Doveva essere una serata speciale per
lei e
per Marta.
Sospirai.
Delle volte mi sarebbe
piaciuto avere
accanto una persona come lei.
Caratterialmente ero
sempre stata
taciturna, restia alle relazioni e ai legami, chiusa e bhe, forse anche
eccessivamente attaccata alla mia routine. Per tale motivo avrei dovuto
affiancarmi a qualcuno diverso da me, capace di spronarmi a mutare quei
miei
atteggiamenti inadeguati.
Qualcuno
ben diverso da Michele.
Non era il suo corso di laurea ad imporgli quei ritmi, era lui a
desiderarlo.
Era una sua scelta.
«Tu studi con lui,
dovresti averlo notato
anche più di me.» contestai, porgendole gli orecchini.
Mi scrutò con uno sguardo
stranamente
comprensivo, addolcendo leggermente il tono. « È un bravo ragazzo, solo
un po’
ossessivo. Desidera farsi una posizione, ha quella strana fissazione di
emulare
le orme paterne.»
Già.
Voleva bene a Michele.
Erano amici sin da
prima del mio arrivo, compagni di corso e di studio. Talvolta ancora mi
domandavo come fossero riusciti a stringere amicizia, viste le loro
personalità
tanto divergenti, ma ero consapevole dell’affetto che li legava.
Nonostante Luana fosse
ormai la mia
migliore amica, una parte di lei lo avrebbe sempre difeso, anche quando
obiettivamente comprendeva i suoi eccessi e i problemi della nostra
coppia.
Per questo generalmente
evitavo di discutere
con lei della mia relazione. Ma, talvolta, il bisogno di uno sfogo era
tale da
indurmi a porre da parte quella delicatezza, rivolgendomi ugualmente
alla mia
amica, pur consapevole che non avrei mai ottenuto quella consolazione
di cui
necessitavo.
« Lo so.» ammisi,
indulgente. «Ti lascio
agli ultimi ritocchi, buona serata e salutami Marta.» mormorai
richiudendo la
porta della sua camera alle mie spalle.
In cucina afferrai
distrattamente una
zuppiera in vetro di medie dimensioni, con l’intento di riempirla fino
all’orlo
di popcorn conditi con il burro fuso.
Intendevo uccidermi
innalzando il mio
colesterolo? No, ma il cibo era sempre un’ottima consolazione quando
non avevo
altro, almeno per me era sempre stato così.
Avrei rivisto il diario di Bridget Jones spaparanzata sul divano del
minisalottino
che avevamo abbozzato, ingerendo fino alla nausea quei burrosi
concentrati di
grassi.
Una
seratina allegra.
Trafficai con le padelle,
alla ricerca
degli ingredienti e degli utensili necessari. Nella credenza c’erano
ancora i
resti di una scatola di popcorn dell’erboristeria che mia madre mi
aveva
costretta a portare durante il mio ultimo ritorno a casa. Non erano
male, ma mi
appariva quasi contro natura utilizzare uno dei suoi acquisti.
Probabilmente li
aveva pagati tre volte di più di una normale confezione del
supermercato.
Diamine…
i popcorn sono popcorn, che differenza può esserci?
Quello restava uno dei
maggiori interrogativi
della mia esistenza, esteso però a tutti gli altri alimenti che mia
mamma si
ostinava a farmi mangiare.
Donna
bizzarra.
Canticchiando una canzone
dal titolo
ignoto, che avevo ascoltato alla radio quella mattina, iniziai a
muovermi per
la cucina, pronta a soddisfare il mio bisogno di cibo spazzatura.
Fu in quel momento che
avvertii dei passi
stranamente leggeri dietro di me, comprendendo immediatamente non
fossero di
Luana. I suoi erano equiparabili a quelli di un elefante, con quegli
zoccoli in
legno che si ostinava a portare e che erano divenuti l’incubo dei
poveri
inquilini al piano inferiore.
Il viso di Gabriele mi
apparve accanto,
portando con sé uno strano profumo, molto leggero e muschiato. «
Popcorn!»
esclamò afferrando la strana scatola, probabilmente a lui per nulla
familiare,
visto il suo tono sorpreso.
«Già.» asserii, senza
neanche voltarmi.
Ignoralo.
Non intendevo dare inizio
ad un’ulteriore
scambio di opinioni, soprattutto considerando che quel mattino avevo
abbondantemente esagerato, dando il meglio di me. Forse avrei dovuto
porgergli
le mie scuse, ma non intendevo farlo. Purtroppo era mia abitudine
irritarmi a
morte con chiunque tendesse in qualche modo a ferire il mio orgoglio,
con una
parola, un gesto, anche solo un sorriso di scherno.
In passato dinanzi ad un
simile evento
avrei chinato il capo, fingendo di non vedere o di non restarne ferita;
la mia
amicizia con Luana mi aveva invece insegnato che reagire ed esternare
le mie
emozioni, permettendomi di scoprire quanto ciò fosse meravigliosamente
liberatorio.
Ovviamente non intendevo
raggiungere i
suoi livelli di sincerità estrema - come la definiva lei - mandando al
diavolo
le convenzioni sociali e il buon senso, in compenso non biasimavo più
completamente
il suo atteggiamento e tendevo ad emularlo, anche se nei limiti.
«Mi dispiace per
stamattina, non era mia
intenzione chiuderti fuori dall’ascensore.»
Scrollai le spalle,
tentando di non
palesare la mia sorpresa. «Scuse accettate.»
Uhm…
forse non è uno sbruffone del cavolo, come immaginavo. Rimuginai tra me e me,
indecisa. È pur vero che sono le prime impressioni
quelle che generalmente quelle che contano, ma non di rado si rivelano
errate.
Non particolarmente
convinta, comunque,
decisi di tacere per il momento, riservandomi per il futuro la
possibilità di
cambiare idea.
Peccato che lui non
intendesse demordere.
«Logorroica, e pensare che tu e la tua amica criticavate me.» tentò,
schiarendosi la gola. In seguito avrei compreso che quello era un suo
modo per
provocarmi, per attirare la mia attenzione e cercare di rimediare a
quella
piccola defaillance mattutina; in quell’istante mi parve semplicemente
un
rompipalle strafottente. Il che poi non era del tutto inesatto.
Razza
di…
Mi voltai ancorando le
mani ai fianchi in
una posa stizzita. «Senti, io e Luana non stavamo sparlando di te,
stamattina.
Non ho niente di cui scusarmi. Credo sia piuttosto logico chiedere
informazioni
con una persona con cui si dovrà dividere la casa.» sbottai
infervorata,
abbandonando le mie buone intenzioni.
«Io non stavo reclamando
le tue scuse,
hai la coda di paglia?» sorrise, mettendo in mostra una bella
dentatura, quasi
perfetta, se non fosse stato per un canino leggermente scheggiato.
Solo allora notai che si
era rasato,
indossava una tuta dell’adidas ed un’ampia felpa, di almeno una taglia
più
grande, ma nonostante ciò non aveva un aspetto trasandato. Appariva
meno perfettino rispetto a quella mattina,
con camicia e maglioncino, ma era ugualmente attraente.
Ok,
vuoi controllargli anche la marca dei boxer e fargli una TAC, così da
essere
certa di averlo studiato a sufficienza?
Digrignai i denti,
volgendomi nuovamente
verso il fornello, scuotendo la pentola in modo tale da smuovere i
popcorn sul
fondo e permettere anche agli altri chicchi di aprirsi.
Restammo in silenzio
mentre lo
scoppiettio riecheggiava nella piccola cucina ed il profumo
caratteristico e
caldo dei popcorn si diffondeva nello spazio angusto, saturandone
l’aria e
tranquillizzandomi.
Mi piaceva, evocava
nostalgici ricordi
dei pochi natali passati con la nonna che tentava in ogni modo di
viziarmi, per
sopperire all’assenza dei miei genitori. Si rammaricava per il loro
atteggiamento, per i viaggi con gli amici e colleghi organizzati
all’ultimo
istante, lasciando me a casa, perché troppo piccola. Personalmente ero
più che
lieta di quelle loro partenze, solo con la nonna il natale era
realmente tale.
Solo con lei percepivo il
tepore
rassicurante e familiare.
«Cosa studi?»
Mi accigliai, scuotendo
il capo per
scacciare i pensieri malinconici evocati dal mio spuntino, rivolgendo
nuovamente attenzione al mio interlocutore.
«Hai detto che è ovvio
voler conoscere
qualcuno quando sarai costretto a dividerci la casa… io sto solo
cercando di
fare conoscenza.» commentò tranquillamente, aprendo la credenza e
tirando fuori
miele e fette biscottate.
Increspai le labbra e
annuii a
malincuore. Il bastardo arrogante forse non aveva tutti i torti.
«Letteratura.»
«Io psicologia.» rispose
mesto.
«Non hai l’aspetto di uno
psicologo.»
ribattei sovrappensiero, sistemando i fazzoletti di carta sul fondo
della
zuppiera di vetro.
«Lo so, mi dicono tutti
che ho l’aspetto
di un modello mancato. – sospirò teatralmente. – Ma il fatto che io sia
bello
non implica che sia stupido.»
Mi volsi verso di lui con
un’espressione
ironica dipinta in volto. Che razza di
tipo… « Punto primo: alla faccia della modestia, punto secondo non
ti ho
dato dello stupido, al massimo del megalomane.»
«Io sono bello, ne sono
consapevole e non
apprezzo la finta modestia. Perché dovrei affermare che non mi piaccio
o
fingere che gli altri non trovino il mio aspetto gradevole?»
Increspai le labbra in
una smorfia,
osservando i suoi occhi divertiti che mi studiavano.
Non sembrava intenzionato a schernirmi e
probabilmente una parte di lui adorava veder confermata la sua
avvenenza. Forse
era anche un modo per crearmi imbarazzo, per appurare se il suo aspetto
mi
facesse o meno effetto. Personalmente non intendevo concedergli una
simile soddisfazione;
era un bel ragazzo ed io ero tranquillamente capace di ammetterlo senza
arrossire o imbarazzarmi… più o meno.
«Effettivamente non ne
avresti motivo, ma
affermarlo apertamente trasmetti l’immagine di un egocentrico.»
sentenziai a
capo chino, dedicando un’attenzione quasi maniacale alla cottura dei
popcorn.
Si
fa quel che si può…
«Lo sono.» sorrise
addentando la fetta
biscottata stracolma di miele, provocandomi uno spasmo allo stomaco,
per il
disgusto.
«Buono a sapersi.»
Restammo in silenzio per
qualche minuto
mentre lui completava il suo spuntino ed io mi premuravo di non
bruciacchiare
la mia cena, sistemando la fiamma, ma soprattutto di non farmi
scoppiare un popcorn
sulla fronte.
Lui ripulì il bancone,
lentamente,
riponendo tutto in ordine prima di voltarsi nuovamente verso di me.
Qualcosa mi
disse che aveva atteso invano un mio tentativo di fare conversazione,
oppure io
stavo diventando paranoica. In compenso non comprendevo perché non
tornasse
nella sua stanza, rinunciando a quel tentativo di conoscenza che per
quella
sera non mi premuravo di assecondare.
«Adesso tocca a te, quali
sono i tuoi
difetti?» incrociò le braccia al petto, adagiandosi con la schiena al
frigorifero, a pochi passi da me, in una posizione che gli permetteva
di
scrutare facilmente il mio viso, anche se cercavo di dargli le spalle.
«Dovresti dirmelo tu, sei
tu lo
spettatore esterno, quindi per te sarebbe più facile una valutazione.»
Tolsi il coperchio dalla
padella,
inspirando a fondo il buon profumo con un sorriso e ne riversai
lentamente il
contenuto nella zuppiera, attenta a non spargerlo sul piano della
cucina.
«Sei permalosa e
petulante.»
Assimilai le parole
indignata. «Grazie.»
mormorai ironica, increspando le labbra in una smorfia. Detto
da uno spaccone come lui…
«Mi hai chiesto tu i tuoi
difetti. –
ghignò divertito. – Io ti sto solo rispondendo.»
«Ci vai giù deciso, ed io
che credevo che
gli psicologi dovessero essere forniti di tatto.»
« Non sono ancora uno
psicologo e con te
non sto comunque parlando in quelle vesti. – mi corresse
scherzosamente. - Quel tizio che è venuto
oggi, Michele mi
pare, è il tuo ragazzo?»
«Non credo che la cosa ti
riguardi.»
ribattei velocemente, a disagio.
Michele.
Non era quel genere di
argomenti di cui
mi piaceva discutere, soprattutto in quei periodi nel quale quella
relazione mi
pesava particolarmente. Non era sempre così, però.
Talvolta riuscivo ad
adeguarmi a quei
ritmi con maggiore facilità, soffermandomi meno su quei suoi
comportamenti
particolari. Forse dipendeva dalla mia voglia di sopportare o dagli
impegni che
si accumulavano, o semplicemente dal riuscire a trascorrere con lui un
po’ più
di tempo senza che si addormentasse o si vedesse costretto a studiare.
Purtroppo però
ultimamente erano più i
periodi no, che quelli si, e ciò incideva inevitabilmente sul mio umore.
Stavo diventando
nevrotica.
«Siete stati ore in
quella stanza ma non
ho sentito alcun rumore molesto e, considerando le mura così sottili,
mi sono
insospettito.»
Spalancai la bocca, senza
parole. «Ma che
diamine… sei una specie di maniaco?» domandai inorridita, lasciando
perdere il
condimento dei popcorn.
Perfetto,
mancava solo il coinquilino depravato per completare il quadro della
disperazione. Non bastava fosse maschio?
Alzò le mani sorridendo
sornione. «No, ma
devo pur premurarmi, la tua camera è vicina e se arriva il tuo ragazzo
potrei
accendere lo stereo.»
Arricciai il naso, in
quel tic involontario
che esprimeva il mio nervosismo.
«Io ti avviserò quando
avrò compagnia,
così potrai accendere lo stereo.» continuò con un tono tanto pacato ed
indifferente che mi domandai se stesse o meno scherzando.
Non
mi sta chiedendo di avvisarlo quando faccio sesso, vero?
«Grazie…» mormorai non
propriamente
convinta.
«Allora è il tuo ragazzo?»
Sospirai. Meglio
stare al gioco e non fare la parte della sciocca. «Si, ma
non sarà necessario accendere lo stereo ogni volta che lo vedrai.»
ribattei
titubante.
Ghignò. «A giorni
alterni?»
«Sto per decidere di
picchiarti con
questa pentola vuota.» lo minaccia avvertendo l’imbarazzo prendere il
sopravvento. Ok, non c’è il limite al
peggio. Questa non era proprio il genere di conversazione che
volevo
intrattenere con un bel ragazzo che avrebbe vissuto nella mia stessa
casa e che
per tale motivo, per quieto vivere, dovevo imparare a vedere come
asessuato.
« È anche calda, potresti
ustionarmi.»
ribattè scrutandomi fintamente accigliato.
Aveva un’espressione
buffa, quella di chi
non sa se scoppiare a ridere o preoccuparsi realmente.
«Un ulteriore punto a
favore per l’idea
di picchiarti con la pentola.»
Si alzò dalla sedia,
sorridendo sornione.
«Tre tocchi al muro e capiremo, sarà il nostro segnale segreto.»
Gli lanciai dietro una
manciata di
popcorn, mentre lui sgattaiolava fuori dalla cucina. «Basta!» urlai,
scuotendo
il capo divertita.
Forse non era tanto male
come temevo.
______________________________
Quella mattina la sveglia
suonò alle
sette in punto, strappandomi brutalmente dal mondo dei sogni. Avevo
dormito più
di otto ore, eppure il desiderio di non alzarmi era talmente grande che
per un
istante pensai di mandare al diavolo lo studio e godermi il tepore
confortante
del letto.
Ovviamente le urla di
Cristina alla mia
porta ruppero l’idillio.
Io
la detesto!
Mi sciacquai il viso e a
passo pesante la
raggiunsi in cucina, scoccandole un’occhiataccia, mentre afferravo il
mio Sacro
Grall: il caffè.
Senza,
al mattino, posso diventare la peggior stronza acida dell’universo,
dopo la
prima tazza invece mi ammansisco con la velocità di un saluto.
Inquietante, ma
almeno chi mi conosce ha compreso che non è mai il caso di rivolgermi
la parola
prima di aver assunto la mia dose minima di caffeina mattutina.
«Com’è andata ieri sera?»
mi domandò
Luana, spalmando accuratamente la nutella su un paio di fette
biscottate.
Scrollai le spalle
indifferente, portando
la tazza alle labbra ed inspirando il suo meraviglioso profumo. «Film e
popcorn.»
«Allegria!»
Sorrisi. «A te?»
«Cinema e ristorante
cinese.»
Sbuffai, avvertendo il
mugugno del mio
stomaco vuoto. «No, adesso ho voglia di involtini primavera.»
«Io preferirei un caffè,
di prima mattina
la cucina cinese non è il massimo.» Gabriele entrò in cucina a passo
svelto,
completamente sveglio e già perfettamente abbigliato. Una vera vergogna
per me
e Luana ancora in pigiama e con i capelli sfatti dal sonno.
Detesto
avere un uomo per casa.
Fosse stata una ragazza, come la nostra ex coinquilina, avrei appena
notato
quel dettaglio, ma con un ragazzo sorgeva il fattore imbarazzo, da non
sottovalutare.
Yuppy!
Pensai
ironica,
mordendomi la lingua, per evitare di ribattere sarcastica.
Bevi
il tuo caffè, Cristina. Mi
ammonii.
«I gusti sono gusti. –
commentai,
passandomi una mano tra i capelli tentando invano di conferirgli un
garbo.
Inutile spreco di energie, ovviamente. – Buongiorno, comunque.»
«Buongiorno. – replicò,
versandosi del
caffè, mentre un sorriso sfacciato piegava le sue labbra. - Stasera
probabilmente busserò tre volte al muro della tua stanza.»
Oddio
no… come diamine è possibile? Si è appena trasferito.
Increspai le labbra in
una smorfia colma
di disgusto. «Dannazione, che schifo, non voglio sapere quando farai
sesso.»
«Meglio semplicemente
saperlo che
sentirlo, credimi.» replicò portando la tazza alle labbra, mentre si
accomodava
con noi attorno al tavolo.
Non replicai perché…
cavolo, aveva
decisamente ragione, ma personalmente avrei preferito evitare entrambe
le cose.
Quel problema con Luana non si era mai posto. Lei viveva con le cuffie
alle
orecchie e la musica a tutto volume, il che eliminava alla radice il
problema.
Non mi ero mai posta la domanda se quella sua abitudine fosse sorta per
i
medesimi motivi che portavano Gabriele a richiedermi di avvisarlo prima
delle
mie attività sessuali o fosse una sua abitudine pregressa.
Comunque non intendevo
indagare.
Scossi il capo, decisa a
soprassedere su
quei discorsi inappropriati di prima mattina, quando il cervello non è
ancora
abbastanza sveglio per elaborare risposte pungenti. Quel pomeriggio
avrei
acquistato dei tappi per le orecchie.
Ovviamente avevo
dimenticato un piccolo
dettaglio. «Posso sapere di che state parlando?» intervenne Luana
completamente
all’oscuro del tema del nostro scambio, non avendo avuto modo di
aggiornarla,
non era informata sulla conversazione sera precedente.
«Il
nostro segnale pre sesso!» ammisi con una scrollata di spalle.
Fu il suo momento di
restare spiazzata,
evento decisamente raro che in quel momento non ebbi modo di godermi,
troppo
impegnata a dissipare le sue folli conclusioni. «Voi due fate sesso?»
«Ehi. – scattai
imbarazzata. – Non io e
lui! Che cavolo, Luana.»
Gabriele, dal canto suo,
si limitò a
ridacchiare decisamente divertito. Iniziava a darmi sui nervi quella
sua
capacità di non scomporsi mai. «Le nostre mura sono sottili e vorrei
evitare di
ascoltare rumori molesti durante la notte, o il pomeriggio o la
mattina.
Sinceramente non so a che ora tu faccia sesso gen…»
«Smettila! - esclamai
avvilita. – Quando,
come e perché faccio sesso sono cose che non ti riguardano! Eviterò di
fare
qualsiasi cosa qui in casa. Contento?»
« Il come non mi
interessa, il perché mi
pare ovvio… ma è il quando che preferirei sapere. – ribattè in tono
conciliante. - Non vorrei impedirti di divertirti qui in casa tua,
sarebbe
scortese.»
«Non preoccuparti, tanto
è un raro
evento.» commentò innocentemente Luana, lasciandomi basita. - Comunque ho lezione, vado a prepararmi. Voi
non fate sesso sul tavolo, io qui ci mangio.»
Concluse la sua arringa
alzandosi e
allontanandosi tranquillamente dalla cucina, sotto il mio sguardo
sbigottito.
Ero consapevole stesse
scherzando, sia
per la sua amicizia con Michele che l’avrebbe costretta ad ammonirmi se
un
simile pensiero mi avesse sfiorata, sia perché conoscendomi era
consapevole
dell’assurdità di una tale prospettiva. Almeno era quello che speravo…
Luana sapeva essere… indecifrabile.
« Che tipino…
divertente.» commentò
Gabriele, stiracchiando le braccia svogliatamente, con gli occhi chiusi
e le
labbra increspate. Con quel gesto mise inconsapevolmente in risalto il
collo
flessuoso ed i muscoli delle braccia avvolte in una maglia piuttosto
aderente
che sottolineava perfettamente ogni curvatura.
Oh
porca miseria…
Mi schiarii la gola,
stranamente a
disagio, alzandomi e forzandomi a distogliere immediatamente lo
sguardo. Sparecchiai
velocemente la tavola con gli avanzi della colazione, perché quella
mattina
toccavano a me i piatti e stavo proprio per dedicarmi al contenuto del
lavabo
quando il campanello suonò.
Non mi scomposi,
limitandomi
semplicemente a chiudere l’acqua ed asciugarmi le mani. Gabriele si
mosse per
dirigersi verso la porta, ma lo bloccai. «Adesso entra.» spiegai,
pacata.
«Non era chiusa a
chiave?» borbottò con
uno sguardo indignato.
Feci spallucce.«A
quest’ora arriva
Michele, quindi la lasciamo socchiusa così da non dover correre se ci
stiamo
vestendo.»
«Alla faccia della
sicurezza, io in
questo quartiere metterei sottochiave tutto.» contestò e, diamine, era
stato
uno dei primi pensieri quando mi ero trasferita in quella casa. Con il
tempo
avevo però compreso che in quella particolare zona, paradossalmente, i
furti
erano estremamente rari, per motivi a me ignoti.
«Fifone.» lo schernii.
«No, realista.»
«Buongiorno.» Michele
entrò in cucina,
interrompendo il nostro scambio, ostentando un sorriso che parve
vacillare per
un istante quando ci notò.
Luana fece capolino
subito dopo di lui,
ancora senza scarpe e con i capelli spettinati e gonfi. «Dammi cinque
minuti.»
borbottò in direzione del mio ragazzo, sbuffando come un treno a
vapore, mentre
correva verso il bagno, lì accanto.
Lui non parve quasi darle
peso. Si limitò
ad asserire con il capo, prima di avvicinarsi a me e stamparmi
un bacio a fior di labbra, con un
atteggiamento quasi possessivo. «Buongiorno amore.» mormorò.
Un tipo di comportamento
che gli era
completamente estraneo. Mi parve quasi di essere uno di quegli
irrigatori che i
cani marcano al loro passaggio, per contrassegnare il territorio.
Sperai non iniziasse a
fare pipì per
casa. Vista la bizzarria della situazione sarebbe stato quasi normale,
tralasciando il fatto che non aveva alcun motivo per agire in questo
modo. Considerando
i pettegolezzi che si erano diffusi sul mio conto, anche negli ultimi
tempi,
non comprendevo il motivo di un tale cambiamento.
Stamattina
avrà dato una testata in un palo.
Mi accigliai palesando la
mia
perplessità. «’Giorno.»
«Signori io mi dileguo,
le lezioni
mattutine mi attendono.» esordì Gabriele, riponendo la tazza di caffè
ormai
vuota nel lavabo, forse a disagio per la strana. Come dargli torto? «A
più
tardi, piacere di averti rivisto… ehm, Michele.»
«Piacere mio.» ribatté
mesto,
quest’ultimo.
Osservai Gabriele
allontanarsi verso la
sua camera, sotto lo sguardo del mio ragazzo. «Sei preoccupato? –
mormorai
incredula. – Si può sapere che ti è preso?»
«Tutto bene. – replicò,
ignorando la mia
domanda. - Stamattina hai lezione?»
«No, lo sai che il
mercoledì è il mio
giorno libero.»
«Vuoi venire
all’università con noi?
Potresti studiare in biblioteca? Noi abbiamo lezione fino alle sette.»
Fu allora che compresi,
vagamente
sorpresa.
«Temi di lasciarmi da
sola in casa con
lui?» fu più una domanda che un’affermazione, ma non me ne curai.
Sbuffò, passandosi una
mano tra la massa
di ricci, irrequieto. «Non sappiamo nulla di questo tipo, potrebbe
essere uno
stupratore, un serial killer…»
«… un semplice studente
di psicologia. –
sorrisi divertita. – Ti comunico che ieri sera sono stata sola in casa
con lui
e come vedi sono intera, viva e vegeta.»
Trasalì. «Mi avevi detto
che avresti
visto un film con Luana.»
«Credevo che avrebbe
trascorso la serata
con me invece aveva preso appuntamento con la sua ragazza. Ti sembrerà
strano
ma le persone normali non si chiudono in casa a studiare tutte le
sere.» reagii
sulla difensiva. Non mi piacque quel suo tono insinuante, non quando
era stato
lui a piantarmi in asso per l’ennesima volta.
Si incupì colpito
probabilmente dalle mie
parole, ed un po’ di dispiacque, benché fosse la verità. «Lo sapevi che
avevo
una relazione da fare.»
Fu il mio turno di
sbuffare, stanca di
udire sempre la solita solfa, le stesse giustificazioni. «C’è sempre
una
qualche relazione, un libro da studiare, un progetto da completare. È
sempre
così. Mi domando come possa Luana essere al tuo stesso corso di laurea,
aver
scelto i suoi stessi moduli e condurre una vita sociale dignitosa.»
«Lei si accontenta.»
ribatté come se
fosse ovvio, come se aspirare costantemente all’eccellenza potesse
essere
normale.
È bello porsi grandi
obiettivi, ma è
fondamentale comprendere quali sono i propri limiti ma soprattutto
quali sono quelli
che il mondo ci pone.
Non si può avere ogni
cosa.
Bisogna combattere per
ciò che si
desidera e non dare mai nulla per scontato, ma anche comprendere quando
si
eccede e quando questo può incidere negativamente sul resto della
nostra vita.
Bisogna raggiungere un
equilibrio, o
almeno tentare.
Gli esseri umani sono
complessi,
multidimensionali. Non possono accontentarsi solo dell’amore o solo del
lavoro,
o di un altro aspetto della loro quotidianità, perché quando questo
accade
percepiscono una sorta di incompletezza.
Purtroppo però quando si
è certi, anche
erroneamente, di possedere qualcosa la si trascura. La si pone da parte
per
dedicarsi a ciò a cui ancora si aspira. Almeno sino a quando non la si
perde.
La mia presenza per lui
era
indiscutibile, nonostante non si desse la pena di accertarsi che io
concordassi. Io ero lì per lui, sempre.
Lottava per crearsi un
avvenire che
potesse soddisfarlo tralasciando tutto ciò che restava al di fuori di
esso,
tutto ciò che pur essendo parte della sua vita non aveva per lui il
medesimo
valore.
Io non avevo valore. I
compromessi, anche
se piccoli, sono fondamentali in ogni relazione e, per quanto lui
potesse
essere dolce e probabilmente amarmi, non era realmente disposto a
compierne.
La sua non era
cattiveria, non lo era mai
stata, ma io iniziavo ad essere stufa di aspettare.
«Certo… hai sempre
ragione.» sentenziai
alzandomi. « Adesso se non ti dispiace andrei a farmi una doccia e a
studiare,
nella mia stanza. Buona lezione amore.» mormorai ironicamente melliflua
prima
di allontanarmi.
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