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Autore: Shinalia    14/12/2010    5 recensioni
L'abitudine.
[estratto capitolo] Delle volte mi piacerebbe comprendere il perché molte cose accadono. Per alcuni ogni avvenimento ha un suo fine, una sua motivazione intrinseca, che forse non ci appare nella sua reale consistenza, almeno non subito, ma che comunque nonostante tutto esiste.
Per me il destino è solo un gran bastardo, si prende gioco di noi, sue marionette, ponendoci dinanzi agli eventi che non siamo in grado di affrontare e che porteranno con loro solo scompiglio.
Il mio incontro con Gabriele mi fece spesso pensare a tutto ciò. Mi chiesi se fosse incappato sulla mia strada come una qualche punizione, una tortura per una mia malefatta, una prova… qualcosa, un segno.
Talvolta penso fu solo sfortuna, o fortuna. Non saprei dirlo con precisione, forse perché nonostante tutto portò con sé quella ventata d’aria fresca di cui necessitavo, probabilmente se non fosse stato lui ci sarebbe stato un altro, più avanti, e le cose avrebbero preso comunque quella piega.
Forse…
Non tutti i mali vengono per nuocere.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salvee! Eccomi con il nuovo capitolo di questa storia grrr sono tre giorni che ci sto lavorando, ma per l'esasperazione lo sto postando anche se è letteralmente pietoso! *sospiro esasperato* ç__ç vi lascio alla lettura sperando non mi lanciate i pomodori sigh sob. Io e le originali abbiamo un rapporto decisamente conflittuale.

Capitolo 3

 
È strana, la vita è davvero strana.
Ci affanniamo per raggiungere un equilibrio, lavoriamo per dare alla nostra vita una parvenza di stabilità eppure anche se l’imprevisto ci spaventa, esso ci attrae.
Inesorabilmente.
 
Accompagnai Michele alla porta, aveva una relazione da preparare per il corso di calcolo ed io avrei trascorso probabilmente la serata con Luana. Si era ripetutamente scusato per essersi addormentato in quelle poche ore che avevamo a disposizione ed io, come al solito, avevo annuito tentando di dissipare le sue preoccupazioni.
Peccato che fossi contrariata, estremamente contrariata.
Nel tempo avevo però appreso come reprimere le spiacevoli emozioni, totalmente deleterie. Discutere avrebbe generato in lui sensi di colpa che non intendevo risvegliare, non quando non avrebbero condotto a nulla di buono.
Perché?
Perché io non ero una delle sue priorità.
 
Dopo aver recuperato una merendina dalla credenza avanzai trotterellando verso la camera della mia amica, bussando ed entrando, senza attendere risposta.
Pessima abitudine che avevo assimilato da lei, inizialmente per ripicca alla sua invadenza, in seguito mi ci ero adagiata per pura e semplice comodità.
Non di rado a causa delle cuffie nelle orecchie non percepiva alcun suono attorno a lei, oltre la musica. Se la casa ci fosse crollata sulla testa, probabilità che non mi permettevo di escludere, lei non si sarebbe accorta assolutamente di nulla.
« Lu!» salutai, notando la sua figura attorcigliata in un immenso accappatoio di spugna verde mela. La camera profumava del suo bagnoschiuma al muschio bianco, che aleggiava nella stanza mescolandosi all’essenza dell’incenso liquido che bruciava sul davanzale della finestra. Lei adorava quegli odori forti, io li detestavo.
Non riuscivo neanche a tollerare il profumo sulla mia pelle, a causa dell’emicrania cronica e non riuscivo a comprendere come lei potesse sopravvivere in quella cappa di odori che si creava.
Abominevole, per non dire disgustoso.
Mi schiarii la gola, arricciando il naso per limitare al minimo i respiri. «Esci?»
«Mi vedo con Marta.» spiegò tranquillamente, tirando fuori dall’armadio alcuni vestiti dopo quello che mi parve un accurato esame. Non che ne possedesse molti, al contrario.
Detestava lo shopping, era solito definirlo uno spreco di tempo, il risultato di una mentalità consumistica che stava logorando la nostra società fino a condurla progressivamente verso le soglie di un’implosione.
Sapeva essere maledettamente catastrofica, talvolta.
Sospirai, assorbendo con disappunto le sue parole. «Stasera?» domandai, lagnandomi con quel tono petulante che la mia amica detestava.
Bhe, io odiavo trascorrere le serate da sola in casa. Era deprimente.
Si voltò scoccandomi un’occhiata perplessa e, notando il mio broncio deluso, trasse immediatamente le ovvie conclusioni. Forse perché non era una novità o forse perché mi conosceva sin troppo bene. Probabilmente per entrambi i motivi. «Michele è andato via?»
Sbuffai annuendo. «Doveva studiare.»  addentando l’ultimo morso della merendina al cioccolato e arancia, spudorata imitazione della Fiesta.
Ci si potrebbe sorprendere da tutto quello che sono in grado di taroccare al giorno d’oggi.
 
«Quel ragazzo morirà giovane.»
Su questo non ho alcun dubbio.
Mi accomodai sul bordo del letto, giocando distrattamente con il pon pon del suo parka blu notte. «In fin dei conti credo che a lui piaccia molto studiare, quando termina uno dei suoi lavori sembra davvero felice.» mormorai sovrappensiero. Il sorriso soddisfatto che si dipingeva sulle sue labbra in quelle situazioni era impagabile, considerando i suoi successi accademici avrebbe dovuto essere ormai abituato. Eppure non esisteva nulla al mondo in grado di indurre in lui le medesime emozioni.
«Intendi che preferisce lo studio alla sua ragazza? Non credo sia così strano.» borbottò iniziando a vestirsi con un’accuratezza insolita per lei. Doveva essere una serata speciale per lei e per Marta.
Sospirai.
Delle volte mi sarebbe piaciuto avere accanto una persona come lei.
Caratterialmente ero sempre stata taciturna, restia alle relazioni e ai legami, chiusa e bhe, forse anche eccessivamente attaccata alla mia routine. Per tale motivo avrei dovuto affiancarmi a qualcuno diverso da me, capace di spronarmi a mutare quei miei atteggiamenti inadeguati.
Qualcuno ben diverso da Michele. Non era il suo corso di laurea ad imporgli quei ritmi, era lui a desiderarlo.
Era una sua scelta.
«Tu studi con lui, dovresti averlo notato anche più di me.» contestai, porgendole gli orecchini.
Mi scrutò con uno sguardo stranamente comprensivo, addolcendo leggermente il tono. « È un bravo ragazzo, solo un po’ ossessivo. Desidera farsi una posizione, ha quella strana fissazione di emulare le orme paterne.»
Già.
Voleva bene a Michele. Erano amici sin da prima del mio arrivo, compagni di corso e di studio. Talvolta ancora mi domandavo come fossero riusciti a stringere amicizia, viste le loro personalità tanto divergenti, ma ero consapevole dell’affetto che li legava.
Nonostante Luana fosse ormai la mia migliore amica, una parte di lei lo avrebbe sempre difeso, anche quando obiettivamente comprendeva i suoi eccessi e i problemi della nostra coppia.
Per questo generalmente evitavo di discutere con lei della mia relazione. Ma, talvolta, il bisogno di uno sfogo era tale da indurmi a porre da parte quella delicatezza, rivolgendomi ugualmente alla mia amica, pur consapevole che non avrei mai ottenuto quella consolazione di cui necessitavo.
« Lo so.» ammisi, indulgente. «Ti lascio agli ultimi ritocchi, buona serata e salutami Marta.» mormorai richiudendo la porta della sua camera alle mie spalle.
 
In cucina afferrai distrattamente una zuppiera in vetro di medie dimensioni, con l’intento di riempirla fino all’orlo di popcorn conditi con il burro fuso.
Intendevo uccidermi innalzando il mio colesterolo? No, ma il cibo era sempre un’ottima consolazione quando non avevo altro, almeno per me era sempre stato così.
Avrei rivisto il diario di Bridget Jones spaparanzata sul divano del minisalottino che avevamo abbozzato, ingerendo fino alla nausea quei burrosi concentrati di grassi.
Una seratina allegra.
Trafficai con le padelle, alla ricerca degli ingredienti e degli utensili necessari. Nella credenza c’erano ancora i resti di una scatola di popcorn dell’erboristeria che mia madre mi aveva costretta a portare durante il mio ultimo ritorno a casa. Non erano male, ma mi appariva quasi contro natura utilizzare uno dei suoi acquisti. Probabilmente li aveva pagati tre volte di più di una normale confezione del supermercato.
Diamine… i popcorn sono popcorn, che differenza può esserci?
Quello restava uno dei maggiori interrogativi della mia esistenza, esteso però a tutti gli altri alimenti che mia mamma si ostinava a farmi mangiare.
Donna bizzarra.
Canticchiando una canzone dal titolo ignoto, che avevo ascoltato alla radio quella mattina, iniziai a muovermi per la cucina, pronta a soddisfare il mio bisogno di cibo spazzatura.
Fu in quel momento che avvertii dei passi stranamente leggeri dietro di me, comprendendo immediatamente non fossero di Luana. I suoi erano equiparabili a quelli di un elefante, con quegli zoccoli in legno che si ostinava a portare e che erano divenuti l’incubo dei poveri inquilini al piano inferiore.
Il viso di Gabriele mi apparve accanto, portando con sé uno strano profumo, molto leggero e muschiato. « Popcorn!» esclamò afferrando la strana scatola, probabilmente a lui per nulla familiare, visto il suo tono sorpreso.
«Già.» asserii, senza neanche voltarmi.
Ignoralo.
Non intendevo dare inizio ad un’ulteriore scambio di opinioni, soprattutto considerando che quel mattino avevo abbondantemente esagerato, dando il meglio di me. Forse avrei dovuto porgergli le mie scuse, ma non intendevo farlo. Purtroppo era mia abitudine irritarmi a morte con chiunque tendesse in qualche modo a ferire il mio orgoglio, con una parola, un gesto, anche solo un sorriso di scherno.
In passato dinanzi ad un simile evento avrei chinato il capo, fingendo di non vedere o di non restarne ferita; la mia amicizia con Luana mi aveva invece insegnato che reagire ed esternare le mie emozioni, permettendomi di scoprire quanto ciò fosse meravigliosamente liberatorio.
Ovviamente non intendevo raggiungere i suoi livelli di sincerità estrema - come la definiva lei - mandando al diavolo le convenzioni sociali e il buon senso, in compenso non biasimavo più completamente il suo atteggiamento e tendevo ad emularlo, anche se nei limiti.
«Mi dispiace per stamattina, non era mia intenzione chiuderti fuori dall’ascensore.»
Scrollai le spalle, tentando di non palesare la mia sorpresa. «Scuse accettate.»
Uhm… forse non è uno sbruffone del cavolo, come immaginavo. Rimuginai tra me e me, indecisa. È pur vero che sono le prime impressioni quelle che generalmente quelle che contano, ma non di rado si rivelano errate.
Non particolarmente convinta, comunque, decisi di tacere per il momento, riservandomi per il futuro la possibilità di cambiare idea.
Peccato che lui non intendesse demordere. «Logorroica, e pensare che tu e la tua amica criticavate me.» tentò, schiarendosi la gola. In seguito avrei compreso che quello era un suo modo per provocarmi, per attirare la mia attenzione e cercare di rimediare a quella piccola defaillance mattutina; in quell’istante mi parve semplicemente un rompipalle strafottente. Il che poi non era del tutto inesatto.
Razza di…
Mi voltai ancorando le mani ai fianchi in una posa stizzita. «Senti, io e Luana non stavamo sparlando di te, stamattina. Non ho niente di cui scusarmi. Credo sia piuttosto logico chiedere informazioni con una persona con cui si dovrà dividere la casa.» sbottai infervorata, abbandonando le mie buone intenzioni.
«Io non stavo reclamando le tue scuse, hai la coda di paglia?» sorrise, mettendo in mostra una bella dentatura, quasi perfetta, se non fosse stato per un canino leggermente scheggiato.
Solo allora notai che si era rasato, indossava una tuta dell’adidas ed un’ampia felpa, di almeno una taglia più grande, ma nonostante ciò non aveva un aspetto trasandato. Appariva meno perfettino rispetto a quella mattina, con camicia e maglioncino, ma era ugualmente attraente.
Ok, vuoi controllargli anche la marca dei boxer e fargli una TAC, così da essere certa di averlo studiato a sufficienza?
Digrignai i denti, volgendomi nuovamente verso il fornello, scuotendo la pentola in modo tale da smuovere i popcorn sul fondo e permettere anche agli altri chicchi di aprirsi.
Restammo in silenzio mentre lo scoppiettio riecheggiava nella piccola cucina ed il profumo caratteristico e caldo dei popcorn si diffondeva nello spazio angusto, saturandone l’aria e tranquillizzandomi.
Mi piaceva, evocava nostalgici ricordi dei pochi natali passati con la nonna che tentava in ogni modo di viziarmi, per sopperire all’assenza dei miei genitori. Si rammaricava per il loro atteggiamento, per i viaggi con gli amici e colleghi organizzati all’ultimo istante, lasciando me a casa, perché troppo piccola. Personalmente ero più che lieta di quelle loro partenze, solo con la nonna il natale era realmente tale.
Solo con lei percepivo il tepore rassicurante e familiare.
«Cosa studi?»
Mi accigliai, scuotendo il capo per scacciare i pensieri malinconici evocati dal mio spuntino, rivolgendo nuovamente attenzione al mio interlocutore.
«Hai detto che è ovvio voler conoscere qualcuno quando sarai costretto a dividerci la casa… io sto solo cercando di fare conoscenza.» commentò tranquillamente, aprendo la credenza e tirando fuori miele e fette biscottate.
Increspai le labbra e annuii a malincuore. Il bastardo arrogante forse non aveva tutti i torti.
«Letteratura.»
«Io psicologia.» rispose mesto.
«Non hai l’aspetto di uno psicologo.» ribattei sovrappensiero, sistemando i fazzoletti di carta sul fondo della zuppiera di vetro.
«Lo so, mi dicono tutti che ho l’aspetto di un modello mancato. – sospirò teatralmente. – Ma il fatto che io sia bello non implica che sia stupido.»
Mi volsi verso di lui con un’espressione ironica dipinta in volto. Che razza di tipo… « Punto primo: alla faccia della modestia, punto secondo non ti ho dato dello stupido, al massimo del megalomane.»
«Io sono bello, ne sono consapevole e non apprezzo la finta modestia. Perché dovrei affermare che non mi piaccio o fingere che gli altri non trovino il mio aspetto gradevole?»
Increspai le labbra in una smorfia, osservando i suoi occhi divertiti che mi studiavano.  Non sembrava intenzionato a schernirmi e probabilmente una parte di lui adorava veder confermata la sua avvenenza. Forse era anche un modo per crearmi imbarazzo, per appurare se il suo aspetto mi facesse o meno effetto. Personalmente non intendevo concedergli una simile soddisfazione; era un bel ragazzo ed io ero tranquillamente capace di ammetterlo senza arrossire o imbarazzarmi… più o meno.
«Effettivamente non ne avresti motivo, ma affermarlo apertamente trasmetti l’immagine di un egocentrico.» sentenziai a capo chino, dedicando un’attenzione quasi maniacale alla cottura dei popcorn.
Si fa quel che si può…
«Lo sono.» sorrise addentando la fetta biscottata stracolma di miele, provocandomi uno spasmo allo stomaco, per il disgusto.
«Buono a sapersi.»
Restammo in silenzio per qualche minuto mentre lui completava il suo spuntino ed io mi premuravo di non bruciacchiare la mia cena, sistemando la fiamma, ma soprattutto di non farmi scoppiare un popcorn sulla fronte.
Lui ripulì il bancone, lentamente, riponendo tutto in ordine prima di voltarsi nuovamente verso di me. Qualcosa mi disse che aveva atteso invano un mio tentativo di fare conversazione, oppure io stavo diventando paranoica. In compenso non comprendevo perché non tornasse nella sua stanza, rinunciando a quel tentativo di conoscenza che per quella sera non mi premuravo di assecondare.
«Adesso tocca a te, quali sono i tuoi difetti?» incrociò le braccia al petto, adagiandosi con la schiena al frigorifero, a pochi passi da me, in una posizione che gli permetteva di scrutare facilmente il mio viso, anche se cercavo di dargli le spalle.
«Dovresti dirmelo tu, sei tu lo spettatore esterno, quindi per te sarebbe più facile una valutazione.»
Tolsi il coperchio dalla padella, inspirando a fondo il buon profumo con un sorriso e ne riversai lentamente il contenuto nella zuppiera, attenta a non spargerlo sul piano della cucina.
«Sei permalosa e petulante.»
Assimilai le parole indignata. «Grazie.» mormorai ironica, increspando le labbra in una smorfia. Detto da uno spaccone come lui…
«Mi hai chiesto tu i tuoi difetti. – ghignò divertito. – Io ti sto solo rispondendo.»
«Ci vai giù deciso, ed io che credevo che gli psicologi dovessero essere forniti di tatto.»
« Non sono ancora uno psicologo e con te non sto comunque parlando in quelle vesti. – mi corresse scherzosamente.  - Quel tizio che è venuto oggi, Michele mi pare, è il tuo ragazzo?»
«Non credo che la cosa ti riguardi.» ribattei velocemente, a disagio.
Michele.
Non era quel genere di argomenti di cui mi piaceva discutere, soprattutto in quei periodi nel quale quella relazione mi pesava particolarmente. Non era sempre così, però.
Talvolta riuscivo ad adeguarmi a quei ritmi con maggiore facilità, soffermandomi meno su quei suoi comportamenti particolari. Forse dipendeva dalla mia voglia di sopportare o dagli impegni che si accumulavano, o semplicemente dal riuscire a trascorrere con lui un po’ più di tempo senza che si addormentasse o si vedesse costretto a studiare.
Purtroppo però ultimamente erano più i periodi no, che quelli si, e ciò incideva inevitabilmente sul mio umore.
Stavo diventando nevrotica.
«Siete stati ore in quella stanza ma non ho sentito alcun rumore molesto e, considerando le mura così sottili, mi sono insospettito.»
Spalancai la bocca, senza parole. «Ma che diamine… sei una specie di maniaco?» domandai inorridita, lasciando perdere il condimento dei popcorn.
Perfetto, mancava solo il coinquilino depravato per completare il quadro della disperazione. Non bastava fosse maschio?
Alzò le mani sorridendo sornione. «No, ma devo pur premurarmi, la tua camera è vicina e se arriva il tuo ragazzo potrei accendere lo stereo.»
Arricciai il naso, in quel tic involontario che esprimeva il mio nervosismo.
«Io ti avviserò quando avrò compagnia, così potrai accendere lo stereo.» continuò con un tono tanto pacato ed indifferente che mi domandai se stesse o meno scherzando.
Non mi sta chiedendo di avvisarlo quando faccio sesso, vero?
«Grazie…» mormorai non propriamente convinta.
«Allora è il tuo ragazzo?»
Sospirai. Meglio stare al gioco e non fare la parte della sciocca. «Si, ma non sarà necessario accendere lo stereo ogni volta che lo vedrai.» ribattei titubante.
Ghignò. «A giorni alterni?»
«Sto per decidere di picchiarti con questa pentola vuota.» lo minaccia avvertendo l’imbarazzo prendere il sopravvento. Ok, non c’è il limite al peggio. Questa non era proprio il genere di conversazione che volevo intrattenere con un bel ragazzo che avrebbe vissuto nella mia stessa casa e che per tale motivo, per quieto vivere, dovevo imparare a vedere come asessuato.
« È anche calda, potresti ustionarmi.» ribattè scrutandomi fintamente accigliato.
Aveva un’espressione buffa, quella di chi non sa se scoppiare a ridere o preoccuparsi realmente.
«Un ulteriore punto a favore per l’idea di picchiarti con la pentola.»
Si alzò dalla sedia, sorridendo sornione. «Tre tocchi al muro e capiremo, sarà il nostro segnale segreto.»
Gli lanciai dietro una manciata di popcorn, mentre lui sgattaiolava fuori dalla cucina. «Basta!» urlai, scuotendo il capo divertita.
Forse non era tanto male come temevo.
 
______________________________
 
Quella mattina la sveglia suonò alle sette in punto, strappandomi brutalmente dal mondo dei sogni. Avevo dormito più di otto ore, eppure il desiderio di non alzarmi era talmente grande che per un istante pensai di mandare al diavolo lo studio e godermi il tepore confortante del letto.
Ovviamente le urla di Cristina alla mia porta ruppero l’idillio.
Io la detesto!
Mi sciacquai il viso e a passo pesante la raggiunsi in cucina, scoccandole un’occhiataccia, mentre afferravo il mio Sacro Grall: il caffè.
Senza, al mattino, posso diventare la peggior stronza acida dell’universo, dopo la prima tazza invece mi ammansisco con la velocità di un saluto. Inquietante, ma almeno chi mi conosce ha compreso che non è mai il caso di rivolgermi la parola prima di aver assunto la mia dose minima di caffeina mattutina.
«Com’è andata ieri sera?» mi domandò Luana, spalmando accuratamente la nutella su un paio di fette biscottate.
Scrollai le spalle indifferente, portando la tazza alle labbra ed inspirando il suo meraviglioso profumo. «Film e popcorn.»
«Allegria!»
Sorrisi. «A te?»
«Cinema e ristorante cinese.»
Sbuffai, avvertendo il mugugno del mio stomaco vuoto. «No, adesso ho voglia di involtini primavera.»
«Io preferirei un caffè, di prima mattina la cucina cinese non è il massimo.» Gabriele entrò in cucina a passo svelto, completamente sveglio e già perfettamente abbigliato. Una vera vergogna per me e Luana ancora in pigiama e con i capelli sfatti dal sonno.
Detesto avere un uomo per casa. Fosse stata una ragazza, come la nostra ex coinquilina, avrei appena notato quel dettaglio, ma con un ragazzo sorgeva il fattore imbarazzo, da non sottovalutare.
Yuppy! Pensai ironica, mordendomi la lingua, per evitare di ribattere sarcastica.
Bevi il tuo caffè, Cristina. Mi ammonii.
«I gusti sono gusti. – commentai, passandomi una mano tra i capelli tentando invano di conferirgli un garbo. Inutile spreco di energie, ovviamente. – Buongiorno, comunque.»
«Buongiorno. – replicò, versandosi del caffè, mentre un sorriso sfacciato piegava le sue labbra. - Stasera probabilmente busserò tre volte al muro della tua stanza.»
Oddio no… come diamine è possibile? Si è appena trasferito.
Increspai le labbra in una smorfia colma di disgusto. «Dannazione, che schifo, non voglio sapere quando farai sesso.»
«Meglio semplicemente saperlo che sentirlo, credimi.» replicò portando la tazza alle labbra, mentre si accomodava con noi attorno al tavolo.
Non replicai perché… cavolo, aveva decisamente ragione, ma personalmente avrei preferito evitare entrambe le cose. Quel problema con Luana non si era mai posto. Lei viveva con le cuffie alle orecchie e la musica a tutto volume, il che eliminava alla radice il problema. Non mi ero mai posta la domanda se quella sua abitudine fosse sorta per i medesimi motivi che portavano Gabriele a richiedermi di avvisarlo prima delle mie attività sessuali o fosse una sua abitudine pregressa.
Comunque non intendevo indagare.
Scossi il capo, decisa a soprassedere su quei discorsi inappropriati di prima mattina, quando il cervello non è ancora abbastanza sveglio per elaborare risposte pungenti. Quel pomeriggio avrei acquistato dei tappi per le orecchie.
Ovviamente avevo dimenticato un piccolo dettaglio. «Posso sapere di che state parlando?» intervenne Luana completamente all’oscuro del tema del nostro scambio, non avendo avuto modo di aggiornarla, non era informata sulla conversazione sera precedente.
«Il  nostro segnale pre sesso!» ammisi con una scrollata di spalle.
Fu il suo momento di restare spiazzata, evento decisamente raro che in quel momento non ebbi modo di godermi, troppo impegnata a dissipare le sue folli conclusioni. «Voi due fate sesso?»
«Ehi. – scattai imbarazzata. – Non io e lui! Che cavolo, Luana.»
Gabriele, dal canto suo, si limitò a ridacchiare decisamente divertito. Iniziava a darmi sui nervi quella sua capacità di non scomporsi mai. «Le nostre mura sono sottili e vorrei evitare di ascoltare rumori molesti durante la notte, o il pomeriggio o la mattina. Sinceramente non so a che ora tu faccia sesso gen…»
«Smettila! - esclamai avvilita. – Quando, come e perché faccio sesso sono cose che non ti riguardano! Eviterò di fare qualsiasi cosa qui in casa. Contento?»
« Il come non mi interessa, il perché mi pare ovvio… ma è il quando che preferirei sapere. – ribattè in tono conciliante. - Non vorrei impedirti di divertirti qui in casa tua, sarebbe scortese.»
«Non preoccuparti, tanto è un raro evento.» commentò innocentemente Luana, lasciandomi basita. -  Comunque ho lezione, vado a prepararmi. Voi non fate sesso sul tavolo, io qui ci mangio.»
Concluse la sua arringa alzandosi e allontanandosi tranquillamente dalla cucina, sotto il mio sguardo sbigottito.
Ero consapevole stesse scherzando, sia per la sua amicizia con Michele che l’avrebbe costretta ad ammonirmi se un simile pensiero mi avesse sfiorata, sia perché conoscendomi era consapevole dell’assurdità di una tale prospettiva. Almeno era quello che speravo…
Luana sapeva essere… indecifrabile.
« Che tipino… divertente.» commentò Gabriele, stiracchiando le braccia svogliatamente, con gli occhi chiusi e le labbra increspate. Con quel gesto mise inconsapevolmente in risalto il collo flessuoso ed i muscoli delle braccia avvolte in una maglia piuttosto aderente che sottolineava perfettamente ogni curvatura.
Oh porca miseria…
Mi schiarii la gola, stranamente a disagio, alzandomi e forzandomi a distogliere immediatamente lo sguardo. Sparecchiai velocemente la tavola con gli avanzi della colazione, perché quella mattina toccavano a me i piatti e stavo proprio per dedicarmi al contenuto del lavabo quando il campanello suonò.
Non mi scomposi, limitandomi semplicemente a chiudere l’acqua ed asciugarmi le mani. Gabriele si mosse per dirigersi verso la porta, ma lo bloccai. «Adesso entra.» spiegai, pacata.
«Non era chiusa a chiave?» borbottò con uno sguardo indignato.
Feci spallucce.«A quest’ora arriva Michele, quindi la lasciamo socchiusa così da non dover correre se ci stiamo vestendo.»
«Alla faccia della sicurezza, io in questo quartiere metterei sottochiave tutto.» contestò e, diamine, era stato uno dei primi pensieri quando mi ero trasferita in quella casa. Con il tempo avevo però compreso che in quella particolare zona, paradossalmente, i furti erano estremamente rari, per motivi a me ignoti.
«Fifone.» lo schernii.
«No, realista.»
«Buongiorno.» Michele entrò in cucina, interrompendo il nostro scambio, ostentando un sorriso che parve vacillare per un istante quando ci notò.
Luana fece capolino subito dopo di lui, ancora senza scarpe e con i capelli spettinati e gonfi. «Dammi cinque minuti.» borbottò in direzione del mio ragazzo, sbuffando come un treno a vapore, mentre correva verso il bagno, lì accanto.
Lui non parve quasi darle peso. Si limitò ad asserire con il capo, prima di avvicinarsi a me e  stamparmi un bacio a fior di labbra, con un atteggiamento quasi possessivo. «Buongiorno amore.» mormorò.
Un tipo di comportamento che gli era completamente estraneo. Mi parve quasi di essere uno di quegli irrigatori che i cani marcano al loro passaggio, per contrassegnare il territorio.
Sperai non iniziasse a fare pipì per casa. Vista la bizzarria della situazione sarebbe stato quasi normale, tralasciando il fatto che non aveva alcun motivo per agire in questo modo. Considerando i pettegolezzi che si erano diffusi sul mio conto, anche negli ultimi tempi, non comprendevo il motivo di un tale cambiamento.
Stamattina avrà dato una testata in un palo.
Mi accigliai palesando la mia perplessità. «’Giorno.»
«Signori io mi dileguo, le lezioni mattutine mi attendono.» esordì Gabriele, riponendo la tazza di caffè ormai vuota nel lavabo, forse a disagio per la strana. Come dargli torto? «A più tardi, piacere di averti rivisto… ehm, Michele.»
«Piacere mio.» ribatté mesto, quest’ultimo.
Osservai Gabriele allontanarsi verso la sua camera, sotto lo sguardo del mio ragazzo. «Sei preoccupato? – mormorai incredula. – Si può sapere che ti è preso?»
«Tutto bene. – replicò, ignorando la mia domanda. - Stamattina hai lezione?»
«No, lo sai che il mercoledì è il mio giorno libero.»
«Vuoi venire all’università con noi? Potresti studiare in biblioteca? Noi abbiamo lezione fino alle sette.»
Fu allora che compresi, vagamente sorpresa.
«Temi di lasciarmi da sola in casa con lui?» fu più una domanda che un’affermazione, ma non me ne curai.
Sbuffò, passandosi una mano tra la massa di ricci, irrequieto. «Non sappiamo nulla di questo tipo, potrebbe essere uno stupratore, un serial killer…»
«… un semplice studente di psicologia. – sorrisi divertita. – Ti comunico che ieri sera sono stata sola in casa con lui e come vedi sono intera, viva e vegeta.»
Trasalì. «Mi avevi detto che avresti visto un film con Luana.»
«Credevo che avrebbe trascorso la serata con me invece aveva preso appuntamento con la sua ragazza. Ti sembrerà strano ma le persone normali non si chiudono in casa a studiare tutte le sere.» reagii sulla difensiva. Non mi piacque quel suo tono insinuante, non quando era stato lui a piantarmi in asso per l’ennesima volta.
Si incupì colpito probabilmente dalle mie parole, ed un po’ di dispiacque, benché fosse la verità. «Lo sapevi che avevo una relazione da fare.»
Fu il mio turno di sbuffare, stanca di udire sempre la solita solfa, le stesse giustificazioni. «C’è sempre una qualche relazione, un libro da studiare, un progetto da completare. È sempre così. Mi domando come possa Luana essere al tuo stesso corso di laurea, aver scelto i suoi stessi moduli e condurre una vita sociale dignitosa.»
«Lei si accontenta.» ribatté come se fosse ovvio, come se aspirare costantemente all’eccellenza potesse essere normale.
È bello porsi grandi obiettivi, ma è fondamentale comprendere quali sono i propri limiti ma soprattutto quali sono quelli che il mondo ci pone.
Non si può avere ogni cosa.
Bisogna combattere per ciò che si desidera e non dare mai nulla per scontato, ma anche comprendere quando si eccede e quando questo può incidere negativamente sul resto della nostra vita.
Bisogna raggiungere un equilibrio, o almeno tentare.
Gli esseri umani sono complessi, multidimensionali. Non possono accontentarsi solo dell’amore o solo del lavoro, o di un altro aspetto della loro quotidianità, perché quando questo accade percepiscono una sorta di incompletezza.
Purtroppo però quando si è certi, anche erroneamente, di possedere qualcosa la si trascura. La si pone da parte per dedicarsi a ciò a cui ancora si aspira. Almeno sino a quando non la si perde.
La mia presenza per lui era indiscutibile, nonostante non si desse la pena di accertarsi che io concordassi. Io ero lì per lui, sempre.
Lottava per crearsi un avvenire che potesse soddisfarlo tralasciando tutto ciò che restava al di fuori di esso, tutto ciò che pur essendo parte della sua vita non aveva per lui il medesimo valore.
Io non avevo valore. I compromessi, anche se piccoli, sono fondamentali in ogni relazione e, per quanto lui potesse essere dolce e probabilmente amarmi, non era realmente disposto a compierne.
La sua non era cattiveria, non lo era mai stata, ma io iniziavo ad essere stufa di aspettare.
«Certo… hai sempre ragione.» sentenziai alzandomi. « Adesso se non ti dispiace andrei a farmi una doccia e a studiare, nella mia stanza. Buona lezione amore.» mormorai ironicamente melliflua prima di allontanarmi.
   
 
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