La seconda oneshot è tutta dedicata al personaggio di
Zaraki!
Attenzione! La storia è ambientata sei
anni prima degli
avvenimenti narrati in Raining Stones (per ovvi motivi). I legami con
i personaggi dell'universo di questa serie ci sono, ovvio,
però in
qualche modo ho voluto mostrare l'incontro tra Yachiru e Zaraki
stesso. Come ultimo lascio gli avvertimenti: fondamentalmente questa
è una Zaraki centric/ZarazkixNuovo Personaggio ( OC a cui io
non ho
dato volutamente un nome ). Con presenza di lime di sottofondo.
Quindi io vi ho avvisati!
Per il resto spero facciate una buona lettura! Ditemi cosa ne pensate
^^
2°
Ho
conservato la tua cravatta
“Sei
sicuro di saper usare questo coso?!”
“Certo
che si, signore! Ma non è un coso, è un programma
di meeting
online. Sa, l'ho usato pure per Ikakku prima che andasse ad
arruolarsi in marina. Che poi, chissà come se la passa tra
uomini
più cappelloni di lui
e...”
“Va
bene Ayasegawa, lasciamo stare. Penso che metterò un
annuncio sul
giornale...”
Il
chiacchiericcio insistente di uno dei suoi uomini, portarono il capo
dei vigilantes Zaraki Kenpachi a chiudere li una discussione che
pareva a dir poco imbarazzante.
Erano
dieci anni che lui se ne lavorava li – nella grande azienda
farmaceutica nota in tutta la città come Las Noches
– a dare la
caccia agli incompetenti e ai teppisti. Ma questo non lo irritava
affatto per essere, magari, un lavoro un tantino umiliante per la sua
persona.
Non
era così quando si parlava di Zaraki.
Perchè
quel suo lavoro, i suoi uomini lo sapevano alla perfezione, se lo era
andato a cercare lui stesso senza lamentarsi minimamente.
Ma
questo non toglieva a Yumichika di indignarsi lievemente e fare una
faccia dispiaciuta di fronte al diniego di un intervento informatico.
La tecnologia era essenziale di quei tempi, perchè non
affidarsi al
suo portatile preferendo invece di un antiestetico pezzo di carta?
“Ma
signore, è davvero sicuro di voler adoperare un mezzo
così
antiquato? Nessuna donna...”
“Non
sono pratico di informatica, Ayasegawa. E gradirei che chiudessi il
becco”
Con
gesto teatrale ma del tutto genuino, l'interpellato si portò
una
mano alla bocca con lo stupore di essersi quasi dimenticato un
segreto importante. Soprattutto da non spifferare ad alta voce dati
altri due colleghi che, poco lontani da loro – erano
all'interno
della sala ristoro per le guardie della struttura – erano
intenti a
bere caffè davanti alla macchinetta.
“Mi
scusi – borbottò sottovoce, notando il lieve
disagio del suo
superiore – allora vada per il giornale, me ne occupo io.
Stia
tranquillo, eh!”
Tutta
quella confidenza da complotto ordito ai danni di un re, lui ai suoi
uomini non l'aveva mai data. Ne ci teneva a buffonate del genere.
La
fiducia e l'onore erano alla base del saldo rapporto che aveva con i
suoi uomini.
Solo
che, a pensarci bene, Yumichika gli era parso il più adatto
a
sbrigare una pratica alquanto noiosa e di mantenere comunque il
segreto.
Era un
ragazzo chiacchierone e narcisista. Ma oltre a questo era uno che era
sempre ben aggiornato su tutto e sapeva usare i cosi
di
comunicazione come lo era quel... Computer portatile o come diavolo
si chiamava.
Per di
più, nonostante la sua aria da pettegolo, avrebbe
sicuramente
mantenuto il segreto di un capitano non
più tanto disposto a
vivere la sua esistenza da solo.
Era un
pensiero un tantino imbarazzante, che lo portò a staccarsi
dall'uomo
seduto al candido tavolo da mensa con passi un po' insicuri, per
affacciarsi ad una finestra e li specchiarsi attraverso il riflesso.
Zaraki
si era fatto decisamente una vita avventurosa fin da ragazzo. Per
quanto mai voluta, alla fine della corsa quella della violenza e
della guerra era proprio la strada che più gli calzava.
Quelle
ferite profonde sul suo volto spigoloso e mascolino, duro come la
roccia e conscio di una sofferenza squallida e crudele, erano le
uniche testimoni del suo passato da mercenario in
giro per il
mondo.
Dalla
giungla amazzonica fino al deserto dell'Iraq, da montagne innevate e
paludi salmastre, di cose ne aveva viste parecchie.
Cose
meravigliose contrapposte, a rovescio della medaglia, a cose che mai
avrebbe raccontato in vita. Ma che ancora lo tormentavano ogni qual
volta si coricava a letto la sera.
Questo
però, faceva parte del suo passato. Di Zaraki il mercenario
si erano
ormai perse le tracce da tempo, cioè da quando aveva deciso
di
cambiar vita o quantomeno di provarci.
Sia
per i troppi nemici che si era fatto, sia perchè ormai
assuefatto ai
limiti dell'esasperazione.
Che
cosa poi avesse spinto Aizen Sosuke ad accettare un curriculum come
il suo in una azienda tanto rinomata, lui non lo sapeva e poco gli
importava.
A
quanto pare, al signor Aizen piacevano le persone prive di scrupoli e
perfettamente genuine. Come un po' lo era lui in
persona.
Quindi,
alla base di tutto questo lieve pensiero sul suo passato burrascoso e
tetro, cosa ci sarebbe stato di male se finalmente si fosse pure
trovato una compagna di vita?
Dov'era
il pensiero sporco in ciò? Era dieci anni che
“rigava dritto”
quindi era anche giusto soddisfare un ben altro tipo di pensiero ed
esigenza.
Voltando
lievemente lo sguardo su Ayasegawa, lo vide chiaramente chiudere
quell'affare elettronico, alzarsi dalla sedia e iniziare a rovistare
nei giornali posti in un angolo della sala in cerca di una rivista
decente.
Quel
ragazzo aveva preso sul serio il desiderio del capitano di trovarsi
una donna. Solo che, con la poca praticità che aveva nel
comunicare
con femmine e con i mezzi di comunicazione moderni, aveva giusto
bisogno di una dannatissima mano.
Era
davvero imbarazzante per lui pensare di essersi fatto aiutare da uno
dei suoi uomini in questo, per quanto comunque, nessuno si sarebbe
dissociato dall'aiutarlo in modo serio ed efficiente.
Ma
solo Yumichika avrebbe tenuto la boccaccia chiusa, di questo,
nonostante il deglutire saliva per stemperare una certa tensione
nascosta, ne era perfettamente certo.
[…]
“Ahh...
Allora questo eri tu da giovane?”
“Ehm...
Si”
“Ahh...
Tranquillo, dai. Belli i capelli comunque, eh!”
Avrebbe
ucciso Ayasegawa, questo era sicuro.
L'appuntamento
alla fine era riuscito a concluderlo, questo grazie alle pagine
stampate e non a internet, tuttavia aveva sin dall'inizio della
serata il sentore di un disastro completo.
Per
carità, lei era una bella ragazza sorridente e solare
– forse un
tantino imbarazzata (tremava lievemente) ma qui la si poteva anche
capire, era di lui che si parlava – ma era giovane in
confronto a
lui.
Troppo
giovane – con i suoi trenta anni compiuti solo il mese scorso
– e
con lui che era già alla metà della sua
quarantina o forse di più.
Non aveva mai saputo quando era nato.
La sua
telefonata era arrivata inaspettata e quasi istintivamente
sgradita da un uomo non abituato a simili mezzi. Persino lei stessa
pareva titubante nel conoscerlo così, di punto e in bianco e
senza
quasi sapere nulla di lui. Tuttavia l'annuncio lei se lo era letto
bene e sapeva perfettamente di avere di fronte un uomo maturo. Uno
che poteva anche essere suo padre volendo.
Stranamente
incontrarsi al ristorante a cui si erano dati appuntamento non fu
difficile. Forse perchè entrambi erano due figure un po'
anomale in
quel locale comunque elegante.
Un
uomo in giacca e cravatta dal volto tumefatto da vecchie cicatrici,
che incontra una ragazza dagli abiti forse un po' troppo succinti e
larghi per la sua minuta figura. Forse presi in prestito o forse
vecchi e datati dopo una dieta ferrea, fattostà che appena
lo vide
iniziò un costante balletto per impedire che la gonna si
alzasse
troppo sorridendogli imbarazzata e impacciata al contempo.
E ora
che erano seduti ad uno dei tavoli precedentemente prenotato, la
giovane donna osservava una vecchia foto del mercenario quando era
giovane, lasciandosi andare a risate ebeti nel vedere la sua vecchia
acconciatura a “porcospino”.
“No
dai, ssei... Sei carino anche qui. Acconciatura un po' punk
però mi
piace! N-non che tu stia male adesso con i capelli lunghi,
eh!”
“Ti
ringrazio”
“Ti
annoio forse? Cioè, se sto sbagliando qualcosa per favore dimm...”
“No,
no. Non stai sbagliando nulla – sospirò piano per
calmarsi lui
stesso – anche tu è la prima volta che ti affidi a
quei
giornaletti del cavolo?”
L'insicurezza
e il nervosismo isterico nella giovane si stemperò
nell'ultima
parola dettata da Zaraki, iniziando a ridere con la sua risata un po'
ebete e ancora da bambina.
“Ah,
ah... Cavolo! Comunque
si, anche io mi sono affidata a quella roba. C-cercavo un uomo maturo
per... Boh... – alzò lo sguardo dubbiosa in cerca
della parola
adatta – immagino per sentirmi sicura,
ecco”
prese
il bicchiere colmo di vino rosso e, senza neppure aspettare di
mettere qualcosa nello stomaco, lo sorseggiò tutto come una
intenditrice di alcoolici ben collaudata.
Non
avevano ancora portato loro da mangiare, solo da bere, che
già due
bicchieri belli colmi di vino erano finiti nello stomaco di lei.
Stupefacente
davvero, pensò Zaraki nell'osservarla –
lui non aveva ancora
toccato nulla – e notando le sue gote leggermente cosparse di
lentiggini, farsi lievemente arrossate per l'alto grado alcoolico del
vino.
Non
era il suo aspetto a preoccuparlo, quanto ciò che aveva
detto. Lo
aveva scelto con intento ben precisi, ed un chiaro indizio era per
sentirsi più sicura.
Sicuramente
era una ragazza fortemente insicura e forse un po' strana. Lo
dimostravano i suoi atteggiamenti e i tentativi di apparirgli aperta
e comprensiva.
Forse
era pure spaventata da lui... Oppure da tutta la situazione molto
più
probabile.
Zaraki
prese un appunto mentale di massacrare il povero Ayasegawa. Ma non
prima di essersi congedato gentilmente da lei a fine cena
ripromettendosi di non affidarsi più ad inutili inserzioni.
[…]
Zaraki
Kenpachi non aveva mai baciato una donna in vita sua.
Mai,
ne da ragazzino, ne da mercenario poi. Già la sua vecchia
professione impediva il divertimento con dolce compagnia, data la
costante vita in bilico tra vita e morte, tuttavia dopo quello per
altri dieci anni non si era adoperato a cercare una donna. Non se la
sentiva ecco.
Oltre
al fatto di non essersi mai accompagnato con una femmina, rimaneva il
fatto che, smesso di fare il soldato di ventura, i suoi istinti
assopiti si erano ad un certo punto risvegliati.
Ma più
che il sesso, cercava qualcosa di stabile e sicuro. Esattamente come
lo cercava lei.
Chi
gli avrebbe assicurato che una plausibile relazione con una donna
conosciuta solo da un paio d'ore, si sarebbe concretizzata nel tempo?
Ovviamente, nessuno.
Però
in quel preciso momento erano le sue labbra che stava baciando. Il
cui tocco, seppur principalmente semplice e solo dopo più
passionale, lo aveva fatto sciogliere come una candela. Lui che aveva
la durezza del granito più forte.
Si era
fatto tante promesse quella stessa sera.
Promesse
che poi, stranezza della vita, aveva buttato nel cesso una volta
riaccompagnata la donna nel suo appartamento.
Forse
un po' brilla, o forse con l'intenzione di non concludere con un buco
nell'acqua, in punta di piedi gli aveva cinto con le braccia il collo
muscoloso, per poterlo baciare anche solo in modo lieve.
Mai
provato un tocco simile.
Mai
sentito un simile brivido a contatto con un altro corpo umano. Che
fosse il seno di lei che premeva contro il suo petto, o il cadavere
di un nemico che gli scivolava addosso, era una sensazione unica.
Il
passo dall'ingresso dell'appartamento fino alla camera da letto fu
decisamente breve. Tanto che accolse quasi con spavento il colpo alla
schiena quando cadde all'indietro, colpendo il vecchio materasso con
le scapole e lei stessa sul ventre.
“Uff!”
uno
sbuffo gli fuoriuscì nell'attimo in cui le loro labbra si
separarono, nell'accogliere il lieve dolore alla pancia dovuta alla
ginocchiata involontaria della padrona di casa.
“Ah...
Oddio! Ti ho fatto male? Stai bene? Non volevo...”
“No,
è a posto. Non lo hai fatto apposta”
“Sicuro,
eh? Vuoi che ci fermiamo per... Non so – si
sistemò meglio sopra
di lui appoggiando ambo le ginocchia sul materasso – mi sa
che
forse stiamo correndo troppo”
“Non
mi sto lamentando”
Sinceramente
tra i due c'era un abisso. E non solo di età.
Zaraki
era decisamente poco loquace, mentre lei decisamente chiacchierona e
con la parlantina veloce. In tutta onestà, non sapeva
neppure lui
del perchè di quella risposta tanto spiccia nel suo
desiderio di
chiudere in bellezza la serata.
La
compagnia non gli dispiaceva affatto – e non solo
perchè era in
compagnia di una bella ragazza – e poi quei suoi stessi baci,
come
quelli che era ritornata a donargli dopo quella chiacchierata, lo
rendevano confuso al punto giusto.
Era
bello sentire quelle labbra e quella lingua – che ancora
sapeva di
vino e il cui tocco umido lo fece fremere – a contatto con la
sua.
Era bello sentire quelle manine gracili infilarsi dentro la sua
camicia per stuzzicarlo.
Si
sorprese però, quando la giovane dai lunghi capelli belli
come la
seta, si alzò a sedere a cavalcioni su di lui per sfilarsi
la
camicetta. Sorridendogli smagliante mentre sbottonava uno ad uno i
piccoli bottoncini bianchi.
Le
prime tette viste in vita sua, lo portarono a sgranare gli occhi
dalla sorpresa. E ciò allarmò la proprietaria di
tali tette di non
poco.
“Wow...”
“Cosa?
Che cosa c'è? – si ricoprì
immediatamente per quell'espressione
sorpresa – Ho fatto qualcosa che non dovevo? Le mie tette
sono
orribili? Oddio... Si vedono ancora i buchi dei percing sui
capezzoli?! È da un anno che non li porto, lo
giuro!”
“Eh...?
Ah, no tranquilla! Sono belle. È solo che non le avevo mai
viste
così... Da vicino”
La
sorpresa della sua piccola rivelazione portò la donna a
guardarlo
con un velo di dubbio negli occhi verde chiaro.
“No?
Mai una volta?”
“Eh
no – sbuffò stanco ma non mortificato da quella
rivelazione – ho
aspettato di incontrare la donna giusta...”
Era
una mezza stronzata, non gli andava ancora di raccontarle tutto del
suo passato. Dopotutto neppure lui conosceva quello che lei combinava
– o aveva combinato – in vita, per cui
perchè darsi tanta pena?
La sua
risposta però non portò irritazione o
ilarità nella giovane
seminuda, tutt'altro, abbassò lo sguardo e sorrise
dolcemente
nell'atto di stringersi meglio per coprire le proprie nudità.
“Che
dolce. Hai... Tu hai fatto bene ad aspettare il momento giusto. Non
come noi giovani che dobbiamo fare tutto e subito...”
Ennesima
risata ebete per concludere uno dei suoi tanti discorsi lasciati
aperti. A Zaraki dopotutto non dispiaceva quella risata, per quanto
ancora lo lasciasse decisamente perplesso.
“Ok,
quindi – si sistemò meglio nella posizione
sdraiata permettendo
così alla donna stessa di poggiarsi meglio a lui –
non ti spiace
se lascio fare tutto a te vero?”
Un'altra
risata – stavolta meno stentorea – della donna si
levò per la
stanza dall'aspetto spartano, alle parole di un Zaraki si perplesso
ma comunque indisposto a tirarsi indietro.
Se si
prendeva la cosa alla leggera, allora ci si poteva anche divertire
senza pensare che lui era un emerito sconosciuto. Bastava non pensare
e ignorare la coscienza inquieta.
“Ahh...
Allora ok, eh! Inizio a sbottonarti i pantaloni per tirarti fuori il
pisello...”
[…]
Il suo risveglio poteva
essere considerato alquanto traumatico.
Era la stessa identica
sensazione che provava quando, da mercenario, si ritrovava a
svegliarsi in luoghi sconosciuti oppure a malapena notati come nel
suo caso.
Un senso di disagio misto
a lieve smarrimento, che ogni volta lo portavano – allora
come
adesso – a strofinarsi gli occhi con i palmi delle mani.
Mani ora rovinate dal
tempo e dalle cicatrici, stanche come tutte le sue membra dopo una
nottata che gli era parsa a dir poco interminabile.
No, non si sentiva più
l'età di certi movimenti audaci.
“Mm...”
Mugugnò incerto nel
muoversi in quel letto sfatto e caldo, cercando di guardarsi in giro
in una pesante penombra che era la camera della sua prima compagna di
vita.
Solo buio e un arredamento
spartano che si delineava tra le ombre rischiarite dai primi raggi
del sole. Che a malapena entrava tra gli scuri abbassati delle
finestre in stanza.
Con la schiena dolorante,
riuscì a mettersi a sedere e a osservare chi alla sua destra
dormiva
tranquillamente.
La padrona di casa era
avvolta e rannicchiata tra le coperte, come una bambina piccola presa
da un insolito freddo. Il suo respiro tuttavia, ad uno stanco
–
quanto ancora confuso – Zaraki, pareva rilassato e tranquillo.
Non era casa sua – e
questo gli dava un certo disagio istintivo – però
la voglia di
bere qualcosa ce l'aveva eccome. Uno stomaco che borbottava basso e
ancora intorpidito dal poco sonno, gli parlava forte e chiaro.
Per questo, stiracchiando
i possenti muscoli della schiena, volle alzarsi in piedi senza non
poca fatica.
Ne aveva provate di sfide
eccitanti in vita sua... Ma ciò che lo
aveva colto la notte
stessa forse le pareggiava. Sempre vero il vecchio detto de
“c'è
sempre una prima volta per tutto”. E lui sentendosi sepolto
sotto
tonnellate di calde ed umide sensazioni, si era sentito vivo come
quando entrava in battaglia.
Iniziò a camminare per
raggiungere il corridoio, ma dovette fermarsi una volta che si espose
alla luce proveniente da fuori la stanza.
“Ah no, così non va...”
Con un tardo arrivare di
riflessi non troppo svegli – dovuti al faticoso risveglio
– si
accorse di essere completamente nudo. E per tanto dovette fare marcia
in dietro e recuperare i suoi vestiti.
Con un po' di imbarazzo,
tornò in quella stanza che ancora sapeva di loro due
– un odore di
corpi mescolati tra loro simile a quello dei bordelli che aveva
assaltato in gioventù, senza però l'odore
pungente della droga –
trovandosi a rovistare tra gli abiti sparsi, fino a trovare i suoi
pantaloni.
Indossò solo quelli con
una certa goffaggine, prima di avviarsi verso il corridoio e
guardarsi attorno.
Giusto tre stanze –
contando anche la camera da letto – e un bagno.
Zaraki in quel momento
aveva una voglia disperata di caffè, per poter dimenticare
il forte
disagio di essere li e di aver fatto quello che aveva fatto.
“Che mi venga un colpo –
borbottò, scostando un poco il bordo dei pantaloni per
guardarsi il
membro rilassato – qui mi sa che per un mese non ci muoviamo
più... Eh?”
No. non dopo tutto il
movimento a cui lo aveva sottoposto. Non a tutto quello che lei gli
aveva fatto precisiamo, perchè lui proprio non sapeva dove
mettere
le mani.
Sia per timore di farle
del male, sia perchè... Preferiva così. E
sarà stata pure uno
scricciolo di ragazza, ma a fargli certi pompini o a cavalcarlo con
forza era indice di possedere una certa tempra.
A cosa stava
pensando...? Ah, si! Farsi del caffè. Meglio pensare a
quello.
Fece però giusto in tempo
a raggiungere la soglia della cucina, che marcati colpi di nocche si
fecero sentire sulla porta d'ingresso smaltata di bianco.
Colpi ripetuti e secchi,
tipici di una persona impaziente, attendevano che qualcuno andasse ad
aprire la porta.
“Ohi allora?! Ci sei?
Apri!”
Per fortuna della padrona
di casa c'era Zaraki sveglio, sennò con il sonno profondo
che aveva
nessuno sarebbe andato ad aprire all'esigente persona – una
donna
dalla voce – che aspettava da dietro quella squallida porta
bianca.
L'ex mercenario non rimase
deluso dalle sue aspettative. Davanti a lui, c'era effettivamente una
donna.
Anzi, data la divisa che
indossava, doveva essere una studentessa delle superiori. E tra le
braccia, aveva uno strano fagotto.
Incurante di essere mezzo
nudo, di avere i lunghi capelli in disordine e in generale un aspetto
tutt'altro che raccomandabile, Zaraki Kenpachi aveva aperto a quella
porta con assoluta indifferenza. Senza aver timore dello sguardo
della giovane – un misto di sorpresa allarmata e
perplessità –
che lo guardava da capo a piedi.
Se quella ragazzina aveva
dei problemi, poteva semplicemente andarsene dato che lui era li in
tutta legalità.
“Che vuoi?!” tagliò
corto lui.
Le sue parole neutre ma
pur sempre dure come la roccia portarono la ragazzina lentigginosa ad
assottigliare i grandi occhi azzurri e a fare un passo in dietro con
precauzione.
“Chi sei tu? Sei amico
di...”
“Si lo sono, che vuoi?
Che hai in braccio?!”
la giovane parve non
apprezzare il fatto di essere stata interrotta all'improvviso. Anzi,
di tutta risposta strinse a se un fagotto che iniziava a mugugnare e
ringhiò a bassa voce.
“Mostrami un documento o
chiamo la polizia! E se sei uno dei suoi amici tossici faresti
meglio ad andartene dal mio palazzo!”
Zaraki non lo poteva
sapere – ancora – ma quella
ragazzina, o meglio la sua
famiglia dato che era ancora minorenne, era la proprietaria di quel
condominio fatiscente.
Quindi per quella volta,
con una straordinaria pazienza dettata dal fatto che aveva di fronte
una donna – se fosse stato un uomo gli avrebbe tumefatto la
faccia
– frugò nella tasca destra dei pantaloni per
estrarre quello che
pareva un libretto nero.
In realtà, era sua
abitudine portarsi sempre dietro il distintivo d'ordinanza, anche
quando non lavorava.
E seppur era solo il
distintivo di una guardia giurata, fece una certa impressione alla
ragazzina. Era ancora giovane da potersi fidare ancora di un
distintivo.
Nel mentre che un
imbarazzante silenzio calava sui due – rotto solo dai mugugni
generati da quello, pensò dopo una attenta analisi, che
pareva un
bambino – dal fondo delle scale giunse una voce maschile
sgraziata
dall'ira.
“Hyori!
Dove hai
messo i miei pennelli?!”
seccata, la giovane di
nome Hyori sbuffò per sminuire la tensione, roteando gli
occhi e
consegnando il fardello borbottante – e ormai divenuto una
seccatura – al vigilantes mezzo nudo.
“Vabbè senti, tieniti
questa cosa e di alla madre di pagare l'affitto per
questo
mese...Di favori come questo non voglio farne più
– glielo
consegnò con una certa fretta voltandosi poi di scatto per
avviarsi
sulle scale e urlando poi – Shinji!
Deficiente di un cugino!
Te li ho buttati via i tuoi schifosissimi pennelli!!”
Zaraki non stette li a
guardare quella ragazzina velenosa scendere le scale e iniziare ad
urlare assieme al cugino per motivi futili, poiché decise
saggiamente di ritornare in casa e guardare dentro quella coperta.
Nel mentre che si avviava
nello spoglio salotto, scostò quella coperta lievemente
incuriosito,
per trovare solo il volto di una bambina che lo guardava incuriosita
ma non spaventata.
Doveva trattarsi
sicuramente di una femmina, dato che tra i capelli chiari portava una
mollettina con un gatto disegnato ed era identica alla madre.
“Mm... Non sei
spaventata?!”
La guardò dubbioso e un
poco incerto. Lui che mai aveva preso in braccio una creatura, si
ritrovava ora, dopo decisamente troppi pochi secondi – gli
stessi
che lo avevano portato nel letto della donna – a portarne una
tra
le braccia.
“Non mi conosci, volendo
potrei farti del male sai?!”
Non voleva farle del male
per davvero, ci mancherebbe, però era curioso notare che con
lui –
rispetto alla ragazzina precedente – sembrava tranquilla
ammiccando
perfino un sorriso.
La creatura senza nome era
tranquilla, istintivamente fiduciosa dell'ex mercenario, azzardandosi
addirittura a stringergli il naso aquilino con una manina.
“Ah...
Ma dai! Te
l'hanno data...”
A interrompere quello
strano siparietto, ci pensò la madre della
creatura, vestita
di una semplice vestaglia azzurrina e armata nella mano destra di una
teiera di plastica colma di caffè freddo.
La mano che reggeva quella
brocca da due soldi, forse per il fatto che il compagno aveva
scoperto della bimba, tremava così violentemente da andare
quasi a
rovesciare l'oscuro contenuto sul pavimento.
Il tutto, incorniciato da
un sorriso teso e un po' disperato.
“Si... È stata una
ragazzina a darmela per...”
“Ah si! Hyori, la figlia
dei padroni di casa! Ahh... Mi ha fatto un piacere perchè
t-ti
dovevo incontrare, eh! Ha un anno sai? Mia figlia intendo... Ahh ero
più sbandata un anno fa! Adesso ho
voluto cambiare per...”
“Va tutto bene, non sono
arrabbiato”
Nell'interromperla piano
in tutto quel suo chiacchierare velocemente e nervosamente, parve
sorbire un effetto positivo.
Incredibilmente la donna
si calmò, sospirando percettibilmente e posando su di un
tavolino la
caraffa del caffè.
Zaraki comprese le
motivazioni che l'avevano spinta a nascondere quella creatura ai suoi
occhi. Non che lui fosse arrabbiato – piuttosto sorpreso come
del
resto era sorpreso di tutta quell'avventura – però
comunque
percepiva il disagio di lei e il dover affrontare una vita nuova con
tutti i drammi che ne conseguono.
In un certo senso, loro
due erano simili.
“Ce l'ha un nome?”
“Eh, cosa?” la donna
parve cadere dalle nuvole a quella sua nuova domanda.
“La bambina... Ha un
nome?”
“Ah ecco... –
improvvisamente il volto della giovane madre si fece serio. Tinto di
tristezza e disagio – N-no... Non le ho dato un nome ecco.
Non ho
avuto il coraggio di darglielo”
Perchè quando si è
consci di essere sporchi, si prova sempre timore
nel fare la
cosa più semplice del mondo.
Come dare il nome al
proprio figlio ad esempio, per timore che in tal modo il suo futuro
venga infangato dal passato del genitore.
Dio... Quanto lo capiva
bene lui quel dannato concetto.
A richiamarlo dai suoi
pensieri ci pensò la bimba stessa, che con una certa
noncuranza
aveva iniziato a strattonargli i capelli per avere attenzioni.
“Hm... – fece lui,
ignorando ancora la creatura e rivolgendosi alla madre dopo un mezzo
minuto di silenzio – non ti dispiace se le do io
il nome?”
Incredibilmente – nel
silenzio che ne conseguì a quella sua domanda sfacciata
– oltre ad
una espressione quantomeno sorpresa della donna, la sua risposta fu
incredibilmente insolita.
[…]
Il telefono dentro la sua
giacca vibrava sommessamente da circa cinque secondi, provocandogli
un certo fastidio nel muscolo pettorale.
Seccato per quella
vibrazione continua, volle staccare la mano dal palo argentato per
attingere all'interno del consueto indumento lavorativo.
Kenpachi non aveva una
macchina, ne aveva mai fatto la voglia di averne una. Al massimo in
città si spostava a piedi o, come in quel caso, usava la
metro per
andare al lavoro.
Non stette neppure a
guardare il numero sul display verde, che immediatamente
alzò la
cornetta del vecchio cellulare. Non era mai stato molto avvezzo alle
tecnologie, andando così a rischiare di rispondere a dei
perfetti
sconosciuti.
Se avesse avuto la premura
di guardare lo schermo del telefonino tuttavia, si sarebbe
risparmiato un mezzo colpo al cuore.
“Ehmm... Ehi, ciao!
Disturbo? Sei impegnato? Vuoi che metto...”
Era lei.
“Va tutto bene, sto
andando a lavorare”
“Ah ecco! Lo sapevo, sto
disturbando! Riattacco poi ti... Ti telefono stasera per...”
“Sono sulla metro –
sospirò mettendosi a sedere su di una panchina del vagone in
movimento – non mi rechi disturbo. E sono solo al
momento”
Non erano che passate
ventiquattro ore dalla loro serata. Un tempo interminabile dopo aver
fatto due cazzate in contemporanea. Ossia: aver perso la
verginità
con una ragazza di neanche trenta anni (e poteva essere sua figlia);
e aver dato un nome alla figlia di tale donna.
Aveva per lei, scelto un
nome che a lui era sempre piaciuto. E che in un certo modo era anche
il nome di una persona che gli sarebbe piaciuto essere quando era
solo un ragazzo.
Era un ricordo strano.
Opaco e reso lontano con lo scorrere degli anni.
Incredibilmente doloroso
da portare sulle spalle, ogni qual volta che rimembrava anche solo
quella foschia lontana.
Ma in tutti quei ricordi
istintivamente soppressi, c'era quel nome che gli piaceva veramente.
“Ah... Ti volevo
ringraziare per il nome della bambina... Yachiru
è un nome
bellissimo”
Ascoltando distrattamente
le parole della giovane, l'ex mercenario arricciò
leggermente le
labbra fino a formare un abbozzo di sorriso.
“Mh... Non c'è
problema...”
“Ah... Poi volevo dirti
un'altra cosa. Forse non te ne sei accorto perchè avevi
fretta eh!
Comunque io...
–
parve indugiare come imbarazzata dall'altra parte della cornetta,
cercando di trovare le parole adatte senza arrossire troppo –
Io...
Ho conservato la tua cravatta. Si
ecco, te la sei
dimenticata. E se per caso la rivuoi... T-te la posso portare al
lavoro!”
Francamente? Era stato
bene con lei.
Era stato bene per
davvero, non solo per averci fatto del sesso e basta. Non era andato
a letto con una ragazzina arrapata.
Non aveva commesso una
vigliaccheria andando con una prostituta, ne un azzardo andando con
una donna pronta ad “incastrarlo” in un matrimonio
forzato – e
ciò era testimonianza come lei avesse cercato in tutti i
modi di
occultare la piccola.
Lui era semplicemente
stato bene e basta.
Gli era piaciuto
ascoltarla parlare velocemente, farsi possedere da lei con passione
ed infine – cosa non da meno – aver preso in
braccio quella
marmocchia.
Per la prima volta in vita
sua si era sentito una persona normale, a discapito
di quello
che la sua persona stessa comunicava al mondo.
Qualunque uomo avrebbe
rinunciato a quel siparietto traballante. Con una donna con figlia a
carico e senza soldi per pagare in tempo l'affitto. Sarebbe scappato
da bravo codardo perchè fondamentalmente privo di
spermatozoi nei
testicoli, lasciandole al loro destino incerto.
Ma lui, che ci aveva fatto
l'amore con quella donna, e che aveva per giunta dato un nome alla
piccola, non era autorizzato
a fregarsene di loro.
Zaraki non era un
vigliacco e qualunque impegno lui, ne era sicuro come quando da
ragazzo scendeva sul campo di battaglia, l'avrebbe preso e portato a
termine.
Sorrise ampiamente –
come non faceva dai tempi del suo servizio da soldato mercenario
–
prima di risponderle sicuro delle proprie, prossime, parole.
“Non
scomodarti,
passo io a prenderla. E anzi... Mettiti un bel vestito che stasera
offro io”