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Autore: ElderClaud    20/12/2010    2 recensioni
Sette pietre, sette one shot per approfondire meglio una storia già iniziata.
Sette spaccati di vita per cinque personaggi in primis, più altre "comparse" che avranno da dire la loro in tutto questo turbine di eventi.
Perchè passare dal tragico al comico, nel grande percorso della vita, è una cosa davvero sottile.
prompt 1: [Nnoitra/Rukia];
prompt 2: [Zaraki Kenpachi centric][Zaraki/OC];
Prompt 3: [Szayel & Ulquiorra][Szayel centric];
prompt 4: [Szayel/Nemu][Szayel centric];
prompt 5: [Ichigo/Tatsuki][Ichigo centric]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nnoitra Jilga, Szayel Aporro Grantz, Zaraki Kenpachi
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raining Stones'
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La seconda oneshot è tutta dedicata al personaggio di Zaraki! Attenzione! La storia è ambientata sei anni prima degli avvenimenti narrati in Raining Stones (per ovvi motivi). I legami con i personaggi dell'universo di questa serie ci sono, ovvio, però in qualche modo ho voluto mostrare l'incontro tra Yachiru e Zaraki stesso. Come ultimo lascio gli avvertimenti: fondamentalmente questa è una Zaraki centric/ZarazkixNuovo Personaggio ( OC a cui io non ho dato volutamente un nome ). Con presenza di lime di sottofondo. Quindi io vi ho avvisati!
Per il resto spero facciate una buona lettura! Ditemi cosa ne pensate ^^


2° Ho conservato la tua cravatta


Sei sicuro di saper usare questo coso?!”
Certo che si, signore! Ma non è un coso, è un programma di meeting online. Sa, l'ho usato pure per Ikakku prima che andasse ad arruolarsi in marina. Che poi, chissà come se la passa tra uomini più cappelloni di lui e...”
Va bene Ayasegawa, lasciamo stare. Penso che metterò un annuncio sul giornale...”

Il chiacchiericcio insistente di uno dei suoi uomini, portarono il capo dei vigilantes Zaraki Kenpachi a chiudere li una discussione che pareva a dir poco imbarazzante.
Erano dieci anni che lui se ne lavorava li – nella grande azienda farmaceutica nota in tutta la città come Las Noches – a dare la caccia agli incompetenti e ai teppisti. Ma questo non lo irritava affatto per essere, magari, un lavoro un tantino umiliante per la sua persona.
Non era così quando si parlava di Zaraki.
Perchè quel suo lavoro, i suoi uomini lo sapevano alla perfezione, se lo era andato a cercare lui stesso senza lamentarsi minimamente.
Ma questo non toglieva a Yumichika di indignarsi lievemente e fare una faccia dispiaciuta di fronte al diniego di un intervento informatico. La tecnologia era essenziale di quei tempi, perchè non affidarsi al suo portatile preferendo invece di un antiestetico pezzo di carta?
Ma signore, è davvero sicuro di voler adoperare un mezzo così antiquato? Nessuna donna...”
Non sono pratico di informatica, Ayasegawa. E gradirei che chiudessi il becco”
Con gesto teatrale ma del tutto genuino, l'interpellato si portò una mano alla bocca con lo stupore di essersi quasi dimenticato un segreto importante. Soprattutto da non spifferare ad alta voce dati altri due colleghi che, poco lontani da loro – erano all'interno della sala ristoro per le guardie della struttura – erano intenti a bere caffè davanti alla macchinetta.
Mi scusi – borbottò sottovoce, notando il lieve disagio del suo superiore – allora vada per il giornale, me ne occupo io. Stia tranquillo, eh!”

Tutta quella confidenza da complotto ordito ai danni di un re, lui ai suoi uomini non l'aveva mai data. Ne ci teneva a buffonate del genere.
La fiducia e l'onore erano alla base del saldo rapporto che aveva con i suoi uomini.
Solo che, a pensarci bene, Yumichika gli era parso il più adatto a sbrigare una pratica alquanto noiosa e di mantenere comunque il segreto.
Era un ragazzo chiacchierone e narcisista. Ma oltre a questo era uno che era sempre ben aggiornato su tutto e sapeva usare i cosi di comunicazione come lo era quel... Computer portatile o come diavolo si chiamava.
Per di più, nonostante la sua aria da pettegolo, avrebbe sicuramente mantenuto il segreto di un capitano non più tanto disposto a vivere la sua esistenza da solo.
Era un pensiero un tantino imbarazzante, che lo portò a staccarsi dall'uomo seduto al candido tavolo da mensa con passi un po' insicuri, per affacciarsi ad una finestra e li specchiarsi attraverso il riflesso.
Zaraki si era fatto decisamente una vita avventurosa fin da ragazzo. Per quanto mai voluta, alla fine della corsa quella della violenza e della guerra era proprio la strada che più gli calzava.
Quelle ferite profonde sul suo volto spigoloso e mascolino, duro come la roccia e conscio di una sofferenza squallida e crudele, erano le uniche testimoni del suo passato da mercenario in giro per il mondo.
Dalla giungla amazzonica fino al deserto dell'Iraq, da montagne innevate e paludi salmastre, di cose ne aveva viste parecchie.
Cose meravigliose contrapposte, a rovescio della medaglia, a cose che mai avrebbe raccontato in vita. Ma che ancora lo tormentavano ogni qual volta si coricava a letto la sera.
Questo però, faceva parte del suo passato. Di Zaraki il mercenario si erano ormai perse le tracce da tempo, cioè da quando aveva deciso di cambiar vita o quantomeno di provarci.
Sia per i troppi nemici che si era fatto, sia perchè ormai assuefatto ai limiti dell'esasperazione.
Che cosa poi avesse spinto Aizen Sosuke ad accettare un curriculum come il suo in una azienda tanto rinomata, lui non lo sapeva e poco gli importava.
A quanto pare, al signor Aizen piacevano le persone prive di scrupoli e perfettamente genuine. Come un po' lo era lui in persona.
Quindi, alla base di tutto questo lieve pensiero sul suo passato burrascoso e tetro, cosa ci sarebbe stato di male se finalmente si fosse pure trovato una compagna di vita?
Dov'era il pensiero sporco in ciò? Era dieci anni che “rigava dritto” quindi era anche giusto soddisfare un ben altro tipo di pensiero ed esigenza.
Voltando lievemente lo sguardo su Ayasegawa, lo vide chiaramente chiudere quell'affare elettronico, alzarsi dalla sedia e iniziare a rovistare nei giornali posti in un angolo della sala in cerca di una rivista decente.
Quel ragazzo aveva preso sul serio il desiderio del capitano di trovarsi una donna. Solo che, con la poca praticità che aveva nel comunicare con femmine e con i mezzi di comunicazione moderni, aveva giusto bisogno di una dannatissima mano.
Era davvero imbarazzante per lui pensare di essersi fatto aiutare da uno dei suoi uomini in questo, per quanto comunque, nessuno si sarebbe dissociato dall'aiutarlo in modo serio ed efficiente.
Ma solo Yumichika avrebbe tenuto la boccaccia chiusa, di questo, nonostante il deglutire saliva per stemperare una certa tensione nascosta, ne era perfettamente certo.

[…]

Ahh... Allora questo eri tu da giovane?”
Ehm... Si”
Ahh... Tranquillo, dai. Belli i capelli comunque, eh!”

Avrebbe ucciso Ayasegawa, questo era sicuro.
L'appuntamento alla fine era riuscito a concluderlo, questo grazie alle pagine stampate e non a internet, tuttavia aveva sin dall'inizio della serata il sentore di un disastro completo.
Per carità, lei era una bella ragazza sorridente e solare – forse un tantino imbarazzata (tremava lievemente) ma qui la si poteva anche capire, era di lui che si parlava – ma era giovane in confronto a lui.
Troppo giovane – con i suoi trenta anni compiuti solo il mese scorso – e con lui che era già alla metà della sua quarantina o forse di più. Non aveva mai saputo quando era nato.
La sua telefonata era arrivata inaspettata e quasi istintivamente sgradita da un uomo non abituato a simili mezzi. Persino lei stessa pareva titubante nel conoscerlo così, di punto e in bianco e senza quasi sapere nulla di lui. Tuttavia l'annuncio lei se lo era letto bene e sapeva perfettamente di avere di fronte un uomo maturo. Uno che poteva anche essere suo padre volendo.
Stranamente incontrarsi al ristorante a cui si erano dati appuntamento non fu difficile. Forse perchè entrambi erano due figure un po' anomale in quel locale comunque elegante.
Un uomo in giacca e cravatta dal volto tumefatto da vecchie cicatrici, che incontra una ragazza dagli abiti forse un po' troppo succinti e larghi per la sua minuta figura. Forse presi in prestito o forse vecchi e datati dopo una dieta ferrea, fattostà che appena lo vide iniziò un costante balletto per impedire che la gonna si alzasse troppo sorridendogli imbarazzata e impacciata al contempo.

E ora che erano seduti ad uno dei tavoli precedentemente prenotato, la giovane donna osservava una vecchia foto del mercenario quando era giovane, lasciandosi andare a risate ebeti nel vedere la sua vecchia acconciatura a “porcospino”.
No dai, ssei... Sei carino anche qui. Acconciatura un po' punk però mi piace! N-non che tu stia male adesso con i capelli lunghi, eh!”
Ti ringrazio”
Ti annoio forse? Cioè, se sto sbagliando qualcosa per favore dimm...”
No, no. Non stai sbagliando nulla – sospirò piano per calmarsi lui stesso – anche tu è la prima volta che ti affidi a quei giornaletti del cavolo?”
L'insicurezza e il nervosismo isterico nella giovane si stemperò nell'ultima parola dettata da Zaraki, iniziando a ridere con la sua risata un po' ebete e ancora da bambina.
Ah, ah... Cavolo! Comunque si, anche io mi sono affidata a quella roba. C-cercavo un uomo maturo per... Boh... – alzò lo sguardo dubbiosa in cerca della parola adatta – immagino per sentirmi sicura, ecco”
prese il bicchiere colmo di vino rosso e, senza neppure aspettare di mettere qualcosa nello stomaco, lo sorseggiò tutto come una intenditrice di alcoolici ben collaudata.
Non avevano ancora portato loro da mangiare, solo da bere, che già due bicchieri belli colmi di vino erano finiti nello stomaco di lei.
Stupefacente davvero, pensò Zaraki nell'osservarla – lui non aveva ancora toccato nulla – e notando le sue gote leggermente cosparse di lentiggini, farsi lievemente arrossate per l'alto grado alcoolico del vino.
Non era il suo aspetto a preoccuparlo, quanto ciò che aveva detto. Lo aveva scelto con intento ben precisi, ed un chiaro indizio era per sentirsi più sicura.
Sicuramente era una ragazza fortemente insicura e forse un po' strana. Lo dimostravano i suoi atteggiamenti e i tentativi di apparirgli aperta e comprensiva.
Forse era pure spaventata da lui... Oppure da tutta la situazione molto più probabile.
Zaraki prese un appunto mentale di massacrare il povero Ayasegawa. Ma non prima di essersi congedato gentilmente da lei a fine cena ripromettendosi di non affidarsi più ad inutili inserzioni.

[…]

Zaraki Kenpachi non aveva mai baciato una donna in vita sua.
Mai, ne da ragazzino, ne da mercenario poi. Già la sua vecchia professione impediva il divertimento con dolce compagnia, data la costante vita in bilico tra vita e morte, tuttavia dopo quello per altri dieci anni non si era adoperato a cercare una donna. Non se la sentiva ecco.
Oltre al fatto di non essersi mai accompagnato con una femmina, rimaneva il fatto che, smesso di fare il soldato di ventura, i suoi istinti assopiti si erano ad un certo punto risvegliati.
Ma più che il sesso, cercava qualcosa di stabile e sicuro. Esattamente come lo cercava lei.
Chi gli avrebbe assicurato che una plausibile relazione con una donna conosciuta solo da un paio d'ore, si sarebbe concretizzata nel tempo? Ovviamente, nessuno.
Però in quel preciso momento erano le sue labbra che stava baciando. Il cui tocco, seppur principalmente semplice e solo dopo più passionale, lo aveva fatto sciogliere come una candela. Lui che aveva la durezza del granito più forte.
Si era fatto tante promesse quella stessa sera.
Promesse che poi, stranezza della vita, aveva buttato nel cesso una volta riaccompagnata la donna nel suo appartamento.
Forse un po' brilla, o forse con l'intenzione di non concludere con un buco nell'acqua, in punta di piedi gli aveva cinto con le braccia il collo muscoloso, per poterlo baciare anche solo in modo lieve.

Mai provato un tocco simile.
Mai sentito un simile brivido a contatto con un altro corpo umano. Che fosse il seno di lei che premeva contro il suo petto, o il cadavere di un nemico che gli scivolava addosso, era una sensazione unica.
Il passo dall'ingresso dell'appartamento fino alla camera da letto fu decisamente breve. Tanto che accolse quasi con spavento il colpo alla schiena quando cadde all'indietro, colpendo il vecchio materasso con le scapole e lei stessa sul ventre.
Uff!”
uno sbuffo gli fuoriuscì nell'attimo in cui le loro labbra si separarono, nell'accogliere il lieve dolore alla pancia dovuta alla ginocchiata involontaria della padrona di casa.
Ah... Oddio! Ti ho fatto male? Stai bene? Non volevo...”
No, è a posto. Non lo hai fatto apposta”
Sicuro, eh? Vuoi che ci fermiamo per... Non so – si sistemò meglio sopra di lui appoggiando ambo le ginocchia sul materasso – mi sa che forse stiamo correndo troppo”
Non mi sto lamentando”
Sinceramente tra i due c'era un abisso. E non solo di età.
Zaraki era decisamente poco loquace, mentre lei decisamente chiacchierona e con la parlantina veloce. In tutta onestà, non sapeva neppure lui del perchè di quella risposta tanto spiccia nel suo desiderio di chiudere in bellezza la serata.
La compagnia non gli dispiaceva affatto – e non solo perchè era in compagnia di una bella ragazza – e poi quei suoi stessi baci, come quelli che era ritornata a donargli dopo quella chiacchierata, lo rendevano confuso al punto giusto.
Era bello sentire quelle labbra e quella lingua – che ancora sapeva di vino e il cui tocco umido lo fece fremere – a contatto con la sua. Era bello sentire quelle manine gracili infilarsi dentro la sua camicia per stuzzicarlo.
Si sorprese però, quando la giovane dai lunghi capelli belli come la seta, si alzò a sedere a cavalcioni su di lui per sfilarsi la camicetta. Sorridendogli smagliante mentre sbottonava uno ad uno i piccoli bottoncini bianchi.
Le prime tette viste in vita sua, lo portarono a sgranare gli occhi dalla sorpresa. E ciò allarmò la proprietaria di tali tette di non poco.
Wow...”
Cosa? Che cosa c'è? – si ricoprì immediatamente per quell'espressione sorpresa – Ho fatto qualcosa che non dovevo? Le mie tette sono orribili? Oddio... Si vedono ancora i buchi dei percing sui capezzoli?! È da un anno che non li porto, lo giuro!”
Eh...? Ah, no tranquilla! Sono belle. È solo che non le avevo mai viste così... Da vicino”
La sorpresa della sua piccola rivelazione portò la donna a guardarlo con un velo di dubbio negli occhi verde chiaro.
No? Mai una volta?”
Eh no – sbuffò stanco ma non mortificato da quella rivelazione – ho aspettato di incontrare la donna giusta...”
Era una mezza stronzata, non gli andava ancora di raccontarle tutto del suo passato. Dopotutto neppure lui conosceva quello che lei combinava – o aveva combinato – in vita, per cui perchè darsi tanta pena?
La sua risposta però non portò irritazione o ilarità nella giovane seminuda, tutt'altro, abbassò lo sguardo e sorrise dolcemente nell'atto di stringersi meglio per coprire le proprie nudità.
Che dolce. Hai... Tu hai fatto bene ad aspettare il momento giusto. Non come noi giovani che dobbiamo fare tutto e subito...”
Ennesima risata ebete per concludere uno dei suoi tanti discorsi lasciati aperti. A Zaraki dopotutto non dispiaceva quella risata, per quanto ancora lo lasciasse decisamente perplesso.
Ok, quindi – si sistemò meglio nella posizione sdraiata permettendo così alla donna stessa di poggiarsi meglio a lui – non ti spiace se lascio fare tutto a te vero?”
Un'altra risata – stavolta meno stentorea – della donna si levò per la stanza dall'aspetto spartano, alle parole di un Zaraki si perplesso ma comunque indisposto a tirarsi indietro.
Se si prendeva la cosa alla leggera, allora ci si poteva anche divertire senza pensare che lui era un emerito sconosciuto. Bastava non pensare e ignorare la coscienza inquieta.
Ahh... Allora ok, eh! Inizio a sbottonarti i pantaloni per tirarti fuori il pisello...”

[…]

Il suo risveglio poteva essere considerato alquanto traumatico.
Era la stessa identica sensazione che provava quando, da mercenario, si ritrovava a svegliarsi in luoghi sconosciuti oppure a malapena notati come nel suo caso.
Un senso di disagio misto a lieve smarrimento, che ogni volta lo portavano – allora come adesso – a strofinarsi gli occhi con i palmi delle mani.
Mani ora rovinate dal tempo e dalle cicatrici, stanche come tutte le sue membra dopo una nottata che gli era parsa a dir poco interminabile.
No, non si sentiva più l'età di certi movimenti audaci.
“Mm...”
Mugugnò incerto nel muoversi in quel letto sfatto e caldo, cercando di guardarsi in giro in una pesante penombra che era la camera della sua prima compagna di vita.
Solo buio e un arredamento spartano che si delineava tra le ombre rischiarite dai primi raggi del sole. Che a malapena entrava tra gli scuri abbassati delle finestre in stanza.
Con la schiena dolorante, riuscì a mettersi a sedere e a osservare chi alla sua destra dormiva tranquillamente.
La padrona di casa era avvolta e rannicchiata tra le coperte, come una bambina piccola presa da un insolito freddo. Il suo respiro tuttavia, ad uno stanco – quanto ancora confuso – Zaraki, pareva rilassato e tranquillo.
Non era casa sua – e questo gli dava un certo disagio istintivo – però la voglia di bere qualcosa ce l'aveva eccome. Uno stomaco che borbottava basso e ancora intorpidito dal poco sonno, gli parlava forte e chiaro.
Per questo, stiracchiando i possenti muscoli della schiena, volle alzarsi in piedi senza non poca fatica.
Ne aveva provate di sfide eccitanti in vita sua... Ma ciò che lo aveva colto la notte stessa forse le pareggiava. Sempre vero il vecchio detto de “c'è sempre una prima volta per tutto”. E lui sentendosi sepolto sotto tonnellate di calde ed umide sensazioni, si era sentito vivo come quando entrava in battaglia.
Iniziò a camminare per raggiungere il corridoio, ma dovette fermarsi una volta che si espose alla luce proveniente da fuori la stanza.
“Ah no, così non va...”
Con un tardo arrivare di riflessi non troppo svegli – dovuti al faticoso risveglio – si accorse di essere completamente nudo. E per tanto dovette fare marcia in dietro e recuperare i suoi vestiti.
Con un po' di imbarazzo, tornò in quella stanza che ancora sapeva di loro due – un odore di corpi mescolati tra loro simile a quello dei bordelli che aveva assaltato in gioventù, senza però l'odore pungente della droga – trovandosi a rovistare tra gli abiti sparsi, fino a trovare i suoi pantaloni.
Indossò solo quelli con una certa goffaggine, prima di avviarsi verso il corridoio e guardarsi attorno.
Giusto tre stanze – contando anche la camera da letto – e un bagno.
Zaraki in quel momento aveva una voglia disperata di caffè, per poter dimenticare il forte disagio di essere li e di aver fatto quello che aveva fatto.
“Che mi venga un colpo – borbottò, scostando un poco il bordo dei pantaloni per guardarsi il membro rilassato – qui mi sa che per un mese non ci muoviamo più... Eh?”
No. non dopo tutto il movimento a cui lo aveva sottoposto. Non a tutto quello che lei gli aveva fatto precisiamo, perchè lui proprio non sapeva dove mettere le mani.
Sia per timore di farle del male, sia perchè... Preferiva così. E sarà stata pure uno scricciolo di ragazza, ma a fargli certi pompini o a cavalcarlo con forza era indice di possedere una certa tempra.
A cosa stava pensando...? Ah, si! Farsi del caffè. Meglio pensare a quello.

Fece però giusto in tempo a raggiungere la soglia della cucina, che marcati colpi di nocche si fecero sentire sulla porta d'ingresso smaltata di bianco.
Colpi ripetuti e secchi, tipici di una persona impaziente, attendevano che qualcuno andasse ad aprire la porta.
“Ohi allora?! Ci sei? Apri!”
Per fortuna della padrona di casa c'era Zaraki sveglio, sennò con il sonno profondo che aveva nessuno sarebbe andato ad aprire all'esigente persona – una donna dalla voce – che aspettava da dietro quella squallida porta bianca.
L'ex mercenario non rimase deluso dalle sue aspettative. Davanti a lui, c'era effettivamente una donna.
Anzi, data la divisa che indossava, doveva essere una studentessa delle superiori. E tra le braccia, aveva uno strano fagotto.
Incurante di essere mezzo nudo, di avere i lunghi capelli in disordine e in generale un aspetto tutt'altro che raccomandabile, Zaraki Kenpachi aveva aperto a quella porta con assoluta indifferenza. Senza aver timore dello sguardo della giovane – un misto di sorpresa allarmata e perplessità – che lo guardava da capo a piedi.
Se quella ragazzina aveva dei problemi, poteva semplicemente andarsene dato che lui era li in tutta legalità.
“Che vuoi?!” tagliò corto lui.
Le sue parole neutre ma pur sempre dure come la roccia portarono la ragazzina lentigginosa ad assottigliare i grandi occhi azzurri e a fare un passo in dietro con precauzione.
“Chi sei tu? Sei amico di...”
“Si lo sono, che vuoi? Che hai in braccio?!”
la giovane parve non apprezzare il fatto di essere stata interrotta all'improvviso. Anzi, di tutta risposta strinse a se un fagotto che iniziava a mugugnare e ringhiò a bassa voce.
“Mostrami un documento o chiamo la polizia! E se sei uno dei suoi amici tossici faresti meglio ad andartene dal mio palazzo!”
Zaraki non lo poteva sapere – ancora – ma quella ragazzina, o meglio la sua famiglia dato che era ancora minorenne, era la proprietaria di quel condominio fatiscente.
Quindi per quella volta, con una straordinaria pazienza dettata dal fatto che aveva di fronte una donna – se fosse stato un uomo gli avrebbe tumefatto la faccia – frugò nella tasca destra dei pantaloni per estrarre quello che pareva un libretto nero.
In realtà, era sua abitudine portarsi sempre dietro il distintivo d'ordinanza, anche quando non lavorava.
E seppur era solo il distintivo di una guardia giurata, fece una certa impressione alla ragazzina. Era ancora giovane da potersi fidare ancora di un distintivo.
Nel mentre che un imbarazzante silenzio calava sui due – rotto solo dai mugugni generati da quello, pensò dopo una attenta analisi, che pareva un bambino – dal fondo delle scale giunse una voce maschile sgraziata dall'ira.
Hyori! Dove hai messo i miei pennelli?!”
seccata, la giovane di nome Hyori sbuffò per sminuire la tensione, roteando gli occhi e consegnando il fardello borbottante – e ormai divenuto una seccatura – al vigilantes mezzo nudo.
“Vabbè senti, tieniti questa cosa e di alla madre di pagare l'affitto per questo mese...Di favori come questo non voglio farne più – glielo consegnò con una certa fretta voltandosi poi di scatto per avviarsi sulle scale e urlando poi – Shinji! Deficiente di un cugino! Te li ho buttati via i tuoi schifosissimi pennelli!!”
Zaraki non stette li a guardare quella ragazzina velenosa scendere le scale e iniziare ad urlare assieme al cugino per motivi futili, poiché decise saggiamente di ritornare in casa e guardare dentro quella coperta.
Nel mentre che si avviava nello spoglio salotto, scostò quella coperta lievemente incuriosito, per trovare solo il volto di una bambina che lo guardava incuriosita ma non spaventata.
Doveva trattarsi sicuramente di una femmina, dato che tra i capelli chiari portava una mollettina con un gatto disegnato ed era identica alla madre.
“Mm... Non sei spaventata?!”
La guardò dubbioso e un poco incerto. Lui che mai aveva preso in braccio una creatura, si ritrovava ora, dopo decisamente troppi pochi secondi – gli stessi che lo avevano portato nel letto della donna – a portarne una tra le braccia.
“Non mi conosci, volendo potrei farti del male sai?!”
Non voleva farle del male per davvero, ci mancherebbe, però era curioso notare che con lui – rispetto alla ragazzina precedente – sembrava tranquilla ammiccando perfino un sorriso.
La creatura senza nome era tranquilla, istintivamente fiduciosa dell'ex mercenario, azzardandosi addirittura a stringergli il naso aquilino con una manina.

Ah... Ma dai! Te l'hanno data...”
A interrompere quello strano siparietto, ci pensò la madre della creatura, vestita di una semplice vestaglia azzurrina e armata nella mano destra di una teiera di plastica colma di caffè freddo.
La mano che reggeva quella brocca da due soldi, forse per il fatto che il compagno aveva scoperto della bimba, tremava così violentemente da andare quasi a rovesciare l'oscuro contenuto sul pavimento.
Il tutto, incorniciato da un sorriso teso e un po' disperato.
“Si... È stata una ragazzina a darmela per...”
“Ah si! Hyori, la figlia dei padroni di casa! Ahh... Mi ha fatto un piacere perchè t-ti dovevo incontrare, eh! Ha un anno sai? Mia figlia intendo... Ahh ero più sbandata un anno fa! Adesso ho voluto cambiare per...”
“Va tutto bene, non sono arrabbiato”
Nell'interromperla piano in tutto quel suo chiacchierare velocemente e nervosamente, parve sorbire un effetto positivo.
Incredibilmente la donna si calmò, sospirando percettibilmente e posando su di un tavolino la caraffa del caffè.
Zaraki comprese le motivazioni che l'avevano spinta a nascondere quella creatura ai suoi occhi. Non che lui fosse arrabbiato – piuttosto sorpreso come del resto era sorpreso di tutta quell'avventura – però comunque percepiva il disagio di lei e il dover affrontare una vita nuova con tutti i drammi che ne conseguono.
In un certo senso, loro due erano simili.
“Ce l'ha un nome?”
“Eh, cosa?” la donna parve cadere dalle nuvole a quella sua nuova domanda.
“La bambina... Ha un nome?”
“Ah ecco... – improvvisamente il volto della giovane madre si fece serio. Tinto di tristezza e disagio – N-no... Non le ho dato un nome ecco. Non ho avuto il coraggio di darglielo”
Perchè quando si è consci di essere sporchi, si prova sempre timore nel fare la cosa più semplice del mondo.
Come dare il nome al proprio figlio ad esempio, per timore che in tal modo il suo futuro venga infangato dal passato del genitore.
Dio... Quanto lo capiva bene lui quel dannato concetto.

A richiamarlo dai suoi pensieri ci pensò la bimba stessa, che con una certa noncuranza aveva iniziato a strattonargli i capelli per avere attenzioni.
“Hm... – fece lui, ignorando ancora la creatura e rivolgendosi alla madre dopo un mezzo minuto di silenzio – non ti dispiace se le do io il nome?”
Incredibilmente – nel silenzio che ne conseguì a quella sua domanda sfacciata – oltre ad una espressione quantomeno sorpresa della donna, la sua risposta fu incredibilmente insolita.

[…]

Il telefono dentro la sua giacca vibrava sommessamente da circa cinque secondi, provocandogli un certo fastidio nel muscolo pettorale.
Seccato per quella vibrazione continua, volle staccare la mano dal palo argentato per attingere all'interno del consueto indumento lavorativo.
Kenpachi non aveva una macchina, ne aveva mai fatto la voglia di averne una. Al massimo in città si spostava a piedi o, come in quel caso, usava la metro per andare al lavoro.
Non stette neppure a guardare il numero sul display verde, che immediatamente alzò la cornetta del vecchio cellulare. Non era mai stato molto avvezzo alle tecnologie, andando così a rischiare di rispondere a dei perfetti sconosciuti.
Se avesse avuto la premura di guardare lo schermo del telefonino tuttavia, si sarebbe risparmiato un mezzo colpo al cuore.
“Ehmm... Ehi, ciao! Disturbo? Sei impegnato? Vuoi che metto...”
Era lei.
“Va tutto bene, sto andando a lavorare”
“Ah ecco! Lo sapevo, sto disturbando! Riattacco poi ti... Ti telefono stasera per...”
“Sono sulla metro – sospirò mettendosi a sedere su di una panchina del vagone in movimento – non mi rechi disturbo. E sono solo al momento”
Non erano che passate ventiquattro ore dalla loro serata. Un tempo interminabile dopo aver fatto due cazzate in contemporanea. Ossia: aver perso la verginità con una ragazza di neanche trenta anni (e poteva essere sua figlia); e aver dato un nome alla figlia di tale donna.
Aveva per lei, scelto un nome che a lui era sempre piaciuto. E che in un certo modo era anche il nome di una persona che gli sarebbe piaciuto essere quando era solo un ragazzo.
Era un ricordo strano. Opaco e reso lontano con lo scorrere degli anni.
Incredibilmente doloroso da portare sulle spalle, ogni qual volta che rimembrava anche solo quella foschia lontana.
Ma in tutti quei ricordi istintivamente soppressi, c'era quel nome che gli piaceva veramente.
“Ah... Ti volevo ringraziare per il nome della bambina... Yachiru è un nome bellissimo”
Ascoltando distrattamente le parole della giovane, l'ex mercenario arricciò leggermente le labbra fino a formare un abbozzo di sorriso.
“Mh... Non c'è problema...”
“Ah... Poi volevo dirti un'altra cosa. Forse non te ne sei accorto perchè avevi fretta eh! Comunque io... – parve indugiare come imbarazzata dall'altra parte della cornetta, cercando di trovare le parole adatte senza arrossire troppo – Io... Ho conservato la tua cravatta. Si ecco, te la sei dimenticata. E se per caso la rivuoi... T-te la posso portare al lavoro!”
Francamente? Era stato bene con lei.
Era stato bene per davvero, non solo per averci fatto del sesso e basta. Non era andato a letto con una ragazzina arrapata.
Non aveva commesso una vigliaccheria andando con una prostituta, ne un azzardo andando con una donna pronta ad “incastrarlo” in un matrimonio forzato – e ciò era testimonianza come lei avesse cercato in tutti i modi di occultare la piccola.
Lui era semplicemente stato bene e basta.
Gli era piaciuto ascoltarla parlare velocemente, farsi possedere da lei con passione ed infine – cosa non da meno – aver preso in braccio quella marmocchia.
Per la prima volta in vita sua si era sentito una persona normale, a discapito di quello che la sua persona stessa comunicava al mondo.
Qualunque uomo avrebbe rinunciato a quel siparietto traballante. Con una donna con figlia a carico e senza soldi per pagare in tempo l'affitto. Sarebbe scappato da bravo codardo perchè fondamentalmente privo di spermatozoi nei testicoli, lasciandole al loro destino incerto.
Ma lui, che ci aveva fatto l'amore con quella donna, e che aveva per giunta dato un nome alla piccola, non era autorizzato a fregarsene di loro.
Zaraki non era un vigliacco e qualunque impegno lui, ne era sicuro come quando da ragazzo scendeva sul campo di battaglia, l'avrebbe preso e portato a termine.
Sorrise ampiamente – come non faceva dai tempi del suo servizio da soldato mercenario – prima di risponderle sicuro delle proprie, prossime, parole.

Non scomodarti, passo io a prenderla. E anzi... Mettiti un bel vestito che stasera offro io”

   
 
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