Probabilmente
il prossimo capitolo sarà quello che chiuderà questa fanfiction.
Dico
probabilmente perché, seguendo la cronologia degni eventi che mi sono
prefissata di inserire, dovrebbe essere così. Ma la mia mente galoppa
quando scrivo, ancora di più quando ciò riguarda personaggi a me cari
come Byakuya e Rukia.
Non
sono poche, infatti, le scene che ho inserito in questo capitolo e che
non avevo immaginato precedentemente.
Son
fatta così!^^
Spero
che io stia continuando a trattare i personaggi protagonisti in modo
IC, è una cosa alla quale tengo molto, anche adesso che le cose
stanno andando avanti ed ho dovuto “osare” un po’ di più se volevo
avviare a trattare la coppia.
L’idea
di ambientare la storia, ad un certo punto, nel “futuro” l’avevo
fin dall’inizio, poiché non immagino che una ByaRuki potrebbe
concretizzarsi nelle circostanze passate o attuali del manga.
La
descrizione presente nel mezzo della storia , che avvia questo flash
nel futuro, fa chiaramente riferimento agli eventi narrati in Bleach
che riguardano Byakuya e Rukia.
Mi
riferisco quindi alla loro lontananza, come siano divenuti due
estranei in casa, la storia di Rukia con Kaien, e poi l’esecuzione ,
che li ha portati a sconvolgere tutto con il ritornare sui suoi passi
di Byakuya.
Questa
prima parte della fanfic è stata volta a giustificare la frase che
Rukia stessa pronunciò prima della sua esecuzione a Renji, ovvero che
già sapeva che Byakuya non avrebbe fatto nulla per aiutarla. E quindi
perché accetta la sua condanna.
Ho
voluto spiegare il tutto tramite questa storia , e le milioni di
sfaccettature che possono essere interpretate.
Io ne
ho trattata qualcuna durante i capitoli già scritti, e spero che il mio
discorso non sia uscito troppo contorto nel complesso.
Ho
provato a fuoriuscire il discorso durante tutta la fanfic fino ad
ora.
Questo
capitolo, fino a metà, è solo il culmine, per poter poi
permettere a me di trattare la ByakuyaxRukia in maniera “realistica”
adesso, diciamo.
Dopo
aver premesso le tante cose che dovevano essere tenute presenti, prima
di trattarli come un pairing.
Spero
di essere riuscita nell’intento.
Un’ultima
cosa. L’ho già scritto durante il capitolo, ma lo ripeto anche qui.
In
questo nuovo contesto, ambientato “dopo gli eventi di Bleach”,
immaginatevi una Rukia di diciannove anni, ed un Byakuya sui trent’anni
grossomodo.
Ho
visto che lo scorso capitolo ha avuto molte visualizzazioni, spero mi
farete sapere come sto continuando.
Ora vi
lascio al nuovo capitolo.
Ci
vediamo al prossimo aggiornamento. Grazie a coloro che mi sostengono e
che mi sosterranno. Vi auguro un buon anno nuovo !!
Grace
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CAPITOLO 4. Everything burn
Un uomo il cui
desiderio è essere qualcosa di diverso da se stesso, riesce
invariabilmente a diventare ciò che vuole. Questa è la punizione.
Coloro che vogliono una maschera devono indossarla.
[Oscar Wilde]
Il gotei era
già in piena attività lavorativa. Gli shinigami nelle loro scure divise
giravano da una parte all’altra impegnati ognuno nei loro diversi
compiti, non badando neanche alla splendida giornata di quella mattina
che illuminava ogni singolo angolo di quell’imponente struttura sotto
un limpido cielo azzurro. Tra quel via vai, una ragazza dai capelli
folti e neri era adagiata su una panca, assorta nei suoi pensieri,
confondendosi anch’ella fra le anime nelle vesti nere di shinigami. I
suoi occhi erano volutamente rivolti al pavimento, e sembrava voler
rimanere in disparte. I capelli lentamente le scivolarono sul viso,
chiudendolo quasi un sipario, e fu a quel punto che ella alzò
delicatamente gli occhi. Cominciò a scrutare l’ambiente intorno e a
osservare i volti e le espressioni degli shinigami che passavano. Molti
non si curavano affatto di lei, e in verità Rukia Kuchiki preferiva che
fosse così. Odiava quando, passando, leggeva negli occhi di chi la
guardava una qualche nota che le facesse intendere che l’avesse
riconosciuta nel neo membro della famiglia Kuchiki. Sapeva infatti di
non essere benvoluta da molti shinigami che avevano studiato sodo per
entrare a far parte del gotei. Lei invece? Byakuya l’aveva portata con
sé e l’aveva direttamente inserita in quel contesto. Lei si era
applicata ed aveva ripreso gli studi, ma solo per soddisfazione
personale, perché a fatti non ne avrebbe avuto alcun bisogno.
La famiglia
Kuchiki era abbastanza potente da poterle assicurare un posto di lavoro.
Sospirò.
Comprendeva di conseguenza perfettamente i sentimenti di chi le era
intorno. Non era per niente assurdo che in molti la guardassero con
disapprovo. Non era per niente incomprensibile che parlassero alle sue
spalle. Nonostante avesse voluto urlare al mondo quanto tutto questo le
facesse male, e quali fossero invece le reali circostanze. I suoi
sentimenti di amore, rispetto, eppure di sofferenza verso quella
famiglia che da un lato le aveva dato tutto, e dall’altro le aveva
negato la sua vita. Portò una mano sul viso, il sole aveva cominciato a
mandare raggi nella sua direzione, così dovette ripararsi in qualche
modo. In verità non le dispiaceva poter alzare finalmente il viso, non
più avvolto nell’ombra dei suoi pensieri, ma alla luce del calore
solare.
Fu in quel
momento che, mentre passavano altri shinigami, qualcuno parve indicarla
vistosamente ed essere prontamente azzittito dal suo collega che gli
era di fianco. Rukia quasi sbandò. Non era ancora abituata ad esser
indicata a quel modo, e quelle parole che non riuscì a sentire, ma
intuì perfettamente, la fecero abbuiare. Preferiva nettamente quando
riusciva a rimanere in disparte, almeno quando le circostanze erano
quelle attuali.
A differenza
dei suoi parenti, aveva persino rifiutato di indossare gioielli di
famiglia, che invece persone come Byakuya ostentavano senza alcun
problema, fieri di rappresentare chi fossero, e determinati a voler
farsi riconoscere nel loro titolo di famiglia nobile.
Questo non
solo per non farsi riconoscere, ma anche perché non faceva parte di lei
avere tante ricchezze.
Ritornò a
guardare in direzione dello shinigami che l’aveva indicata, oramai si
era mescolato tra la folla, non era più in grado di distinguerlo.
Dentro di sè però sentiva una forte consapevolezza, ovvero che quella
probabilmente fosse una delle persone più oneste li dentro, dietro quei
volti ipocriti che pensavano esattamente la stessa cosa su di
lei.
Perché lei
non era certo come Byakuya o come tutti i membri del casato Kuchiki.
No. Lei era un’anima proveniente dal rukongai e adottata. Quel rispetto
che i Kuchiki si erano guadagnati a lei non apparteneva. Lei era solo
il cagnolino grato, e per questo sentiva di doversi tenere quelle
critiche, o almeno fintanto che avesse potuto dimostrare il suo valore.
Con la sua bravura e la sua prontezza nel lavoro di shinigami avrebbe
dimostrato quanto invece Rukia Kuchiki fosse qualcuno, e non solo una
povera fortunata. Perché a differenza di molti, lei era sì stata
agevolata e anzi, aveva avuto molto di più di quanto potesse auspicare
nella vita. Ma le sue ambizioni non si sarebbero fermate a questo.
Aveva già ottenuto tutto ciò che da bambina aveva desiderato
ardentemente di raggiungere, ma non per questo si sarebbe sentita già
finita. La sua lotta sarebbe appena cominciata, nel momento nel quale
avrebbe potuto dimostrare chi fosse e quanto valesse sul campo. Anche
se aveva lavorato meno degli altri per arrivare fin li, non voleva dire
che non potesse essere uno di loro. E chissà, magari sarebbe riuscita
persino a farsi conoscere.
La solitudine
la stava lacerando, il fatto di essere giudicata senza che nessuno la
conoscesse era devastante, ed il bisogno di essere compresa si faceva
sempre più vivo e forte. Ma quell’oppressione era destinata ancora una
volta a tornare dentro di se. Al momento l’unica cosa da fare era
cercare di reagire in qualche modo, anche se da sola.
Era questo il
suo attuale scopo della vita. Se non poteva più lottare per affermarsi
professionalmente, voleva almeno costruire il suo mondo per quel che
restava di esso. Era una shinigami e avrebbe lavorato come una
shinigami, e su questo nessuno avrebbe dovuto avere nulla da ridire.
Almeno in
questo i Kuchiki non sarebbero centrati un bel niente.
Ad un tratto
qualcuno attirò nuovamente le sue attenzioni. Uno shingami di rango
superiore chiamò a raduno tutti i membri della divisione tredici, alla
quale era stata assegnata, al momento come un semplice shinigami.
Si alzò e si
diresse in quella direzione, mischiandosi fra gli altri membri che
accorsero allo stesso tempo, pronti al lavoro, esattamente come lei.
Intanto
sopraggiunse la sera. Quel tiepido tepore del giorno, venne lentamente
sostituendosi con la brezza della notte, che oscurò il cielo più in
fretta che negli altri giorni.
La villa
Kuchiki era immersa nelle splendide luci giallognole delle luminarie
appese sulle pareti, che contornavano gran parte della casa
evidenziandone la grandiosa struttura imponente e nobile. Attorno ad
essa il giardino aveva assunto delle tinte scure, spezzate dal
delicatissimo rosa degli alberi di ciliegio in fiore, caratteristici di
quella casa per la loro cura e bellezza, le cui fronde erano appena
cullate dal lieve venticello alzatosi da pochissimi minuti.
Regno
assoluto di tanta magnificenza era un sacrale silenzio che si infondeva
fin nei meandri più sperduti dell’abitazione, se tale poteva essere
definita. Perché la villa della famiglia Kuchiki, più che una casa, era
il fulcro di una tradizione nobile secolare tramandata di generazione
in generazione. Dove le rigide regole che la governavano erano in
realtà quelle che vi vivevano, sovrane assolute ed immutabili.
Assorto in
una di quelle stanze, isolato nei suoi pensieri fra le quattro mura di
una stanza vuota, il giovane uomo dai capelli neri, futuro
capofamiglia, era seduto a tavolino, illuminato dalla sola luce fioca
di una candela accesa oramai da molto. La cera aveva preso a colare
deformandone la conformazione e riducendola più della sua metà. Il
ragazzo però non la curò per niente e rimase eretto a meditare. Nei
suoi occhi erano materializzati pensieri ed immagini nelle quali si
abbandonava, ragionandoci ore della sua giornata, perdendo ogni
cognizione del tempo. Ad un certo punto tutto si spense e
quell’atmosfera fu completamente spezzata dal fruscio del fusuma, che
era stato aperto improvvisamente.
“Fratello?”
Byakuya
lentamente girò lo sguardo, non voltandosi, mantenendo eretto il busto
e il capo in avanti; ma con gli occhi scrutò la figura alle sue spalle.
La ragazza, mostrandosi vogliosa di parlare e di renderlo partecipe, ma
al contempo forzatamente contenuta per non sbilanciarsi più del dovuto
temendo di essere maleducata, lo guardò con i suoi occhi luminosi e
mosse appena le sottili labbra.
“Sono a casa,
volevo solo dirti questo.”
L’uomo rimase
fisso a guardarla con la coda dell’occhio per qualche istante,
dopodichè riposizionò lo sguardo dritto dinanzi a sé, e si richiuse nel
silenzio. Solo dopo parlò.
“Non voglio
essere disturbato.” Disse con voce bassa, ma solenne, ma che bastò come
sempre nel spezzare il cuore della giovane Rukia Kuchiki, che ancora
una volta si sentì respinta da colui che invece avrebbe dovuto essere
un fratello per lei.
La bruna
abbassò il viso, e quasi tempestivamente richiuse il fusuma, non
volendo incombere in ulteriori rimproveri da parte sua.
Non era più
frustante come quando lo era all’inizio, ma essere rifiutata a quel
modo da lui era un qualcosa a cui nessuno che avesse vissuto quella
situazione avrebbe potuto sorvolare. Incrociare quegli occhi, quella
imponenza, reggere un tale sguardo o le sue parole, che anche se poche
e dal tono debole, erano come un proiettile, che sapeva esattamente
dove colpire, per poi separarsi in mille pezzi in più nelle viscere al
fine di uccidere. Era questo che sentiva ogni qual volta lo vedeva.
In tutto
questo nutriva un profondo rispetto e ammirazione per lui. Era un uomo
eccezionale, che nonostante la giovane età era all’altezza di un casato
che sicuramente esigeva molto da lui. Per di più nutriva un profondo
affetto per lui, che oramai stava diventando un familiare anche per
lei, anche se i suoi sentimenti erano ancora così confusi. Considerare
alla sua età un ragazzo adulto come fratello, così, di punto in bianco,
era pressappoco impossibile. Sentiva però un calore verso di lui,
dovuto in parte alla riconoscenza per ciò che comunque aveva ricevuto
da quella famiglia e di cui lui era il fautore assoluto. Ma non solo.
A quel punto
Rukia si fermo immobilizzando i piedi a terra.
Lui doveva
senz’altro sapere che lei adesso fosse a conoscenza della verità sulla
sua adozione. Non era un caso, ne era sicura, se era stato proprio da
quel giorno che Byakuya si era chiuso ancora di più in se stesso,
disinteressandosi quasi completamente di lei. Non che prima avessero un
rapporto, ma credeva che lui avesse più una personalità solitaria che
un menefreghismo nei suoi riguardi. Invece la giovane ragazza dai
capelli neri si era ritrovata completamente sola, priva del calore che
invece avrebbe dovuto avere una famiglia. Circondata da ricchezza e
magnificenza, ma priva di tutto il resto.
Si poggiò con
la schiena contro la parete e guardò il cielo costellato di stelle che
si intravedeva attraverso le fronde degli alberi del giardino.
Non poteva
fare ancora a meno di chiedersi perché. Spesso il sospetto che lui la
odiasse era davvero forte, ma se almeno fosse stato così, avrebbe
potuto farsene una ragione. Il vero problema era che lui non le faceva
capire nulla.
Non le faceva
mancare niente, amministrava la casa, si prendeva cura di lei e tutto.
Ma in compenso erano due estranei che vivevano sotto lo stesso tetto.
Fino a che punto ciò poteva dipendere dalla sua personalità chiusa? Era
certa che ci fosse dell’altro. Il motivo della sua somiglianza alla sua
defunta moglie, Hisana, non era un motivo abbastanza valido per
giustificare la sua adozione in quella famiglia. Ma lo era per spiegare
il perché di quel comportamento, anche se la risposta non le piaceva.
Il nobile
Byakuya la odiava forse proprio per questa sua somiglianza con quella
donna?
Eppure anche
in un’ipotesi del genere, molte cose discordavano dalla realtà, e molte
altre domande si congiungevano.
Al momento
l’unica realtà presente ai suoi occhi era questa. Che lui di lei non se
ne importasse proprio.
Altrove, il
nobile Byakuya dall’irruzione in quella stanza della sorellastra non
era riuscito a riprendere il filo del flusso dei suoi pensieri, che si
oramai disperso nel mare della sua mente. Il suo aspetto era composto e
regale, in scalfibile come sempre. Il suo sguardo tuttavia era l’unica
cosa che lo tradiva. Normalmente il suo viso era del tutto neutro ed
apatico, molto severo ed autorevole. Il tutto trapelato da due occhi
grigi, di ghiaccio. Questa volta invece Byakuya Kuchiki era
visibilmente turbato. Era da un po’ che ogni cosa, che un tempo
regolava la sua vita e metteva legge al suo comportamento, aveva
cominciato a vacillare e sempre più spesso non era più in grado di
dominare se stesso. Cercava in tutti i modi di non venire a mancare a
nulla di ciò che potesse aspettarsi da un membro del clan Kuchiki, ma
più passava il tempo e più si rendeva conto di quante fossero le
situazioni che condizionavano in maniera differente la sua vita.
Differente da come avrebbe dovuto essere. Mantenere un comportamento
prestigioso era il minimo che potesse essere richiesto ad un uomo
nobile. In pratica sarebbe anche potuto apparire ciò che voleva essere,
ma dentro di se vigeva un mare burrascoso, non possibile da calmare
alle circostanze attuali.
Il ragazzo
alzò la testa. I lunghi capelli neri adagiati sulle spalle si mossero
insieme al lieve movimento del suo capo, e si spostarono sottili e
appena distribuiti sulle ampie spalle coperte dall’haori. La stanza
vuota rappresentava perfettamente lo stato di solitudine che albergava
nel suo cuore, una solitudine dovuta al fatto di essere costretto a
chiudersi e non rivelare alcun turbamento o preoccupazione che in
realtà lo affliggeva. Perché la sua immagine non doveva venire mai a
mancare.
Il suo essere
rappresentante di un nobile casato esigeva delle pretese cui era stato
abituato di non mancare mai, in nessuna circostanza. Eppure la vita
continuava a metterlo alla prova, e lui doveva continuare a ingoiare, a
chiudersi in una continua solitudine, sperando di reggere sempre. Gli
si figurò nella mente l’immagine di Rukia, e a quel punto la sua
espressione diventò più rabbiosa e il suo cuore prese a palpitare più
forte. Non voleva soccombere ai cui sentimenti, non poteva. Aveva
giurato a se stesso che dopo l’adozione della giovane, non avrebbe mai
più violato le sue leggi, sia della Soul Society, che della sua
famiglia. Aveva giurato che mai più lo scandalo o il disonore avrebbe
toccato il suo casato. Per questo Rukia doveva stargli lontano. Provava
più di una semplice tenerezza nei riguardi della ragazza. La sua
tenacia nel diventare una di loro, spesso il suo temperamento impulsivo
rispetto quello di uno come lui, aveva più volte smosso qualcosa dentro
di lui. La vedeva alzarsi presto, allenarsi con la zanpakuto, con il
kido, per poi subito indossare le vesti di nobil donna e partecipare
alle lezioni che le aveva imposto per la sua educazione. Con le sue
forze la vedeva cercare di inserirsi nel gotei, senza che lei sapesse
che in realtà per lei fosse già stato tutto deciso. La osservava quando
perdeva le staffe e reagiva, o quando invece cercava di contenersi
sperando di aver fatto la scelta giusta e di diventare così pian piano
una degna Kuchiki. Quando poi la vedeva sola con se stessa, vestita in
modo più grossolano, con le gambe accavallate in modo non curante, e il
viso chino coperto dai folti capelli neri, la ragazza assumeva
un’immagine a lui assolutamente nuova da vedere addosso una donna, e
questo lo affascinava completamente. Gli piaceva vedere in lei cose che
non aveva mai visto in altre persone, ma non voleva affezionarsi a lei
per questo. Non doveva permettere che i suoi sentimenti maturassero in
direzioni a lui poi incontrollabili. Ancora di più perché erano
imparentati e a tutti gli effetti lei era riconosciuta dalla società
come sua sorella minore. Qualunque altra situazione si fosse aggiunta
al loro rapporto, doveva essere ben lontana dall’amore.
Per lei
doveva essere formalmente un fratello, ma sostanzialmente un pilastro
del casato Kuchiki e nient’altro, per questo doveva tenere in alto la
sua autorevolezza e mostrarsi distante con tutte le sue forze. Nulla
doveva evolvere.
Piegò così le
gambe e si alzò. Solo allora, guardandosi in giro, notò che la debole
luce della candela che aveva acceso nel tardo pomeriggio ora era quasi
completamente spenta, e la cera completamente sciolta. La penombra gli
fece accorgere di quanto la sua vista si fosse sforzata fino a quel
momento, così portò delicatamente le mani sull’imboccatura del naso
cercando di rilassare la mente. Riaprì gli occhi, dopodichè, leggiadro,
abbandonò la stanza.
Si ritrovò in
giardino, le cui tinte andavano tutte sul blu notte, e fu in quel
momento che si chiese quanto tempo avesse passato effettivamente chiuso
in quella stanza. Continuò la sua perlustrazione e rientrando in casa
si accorse che anche le luci dentro fossero spente. Si guardò intorno,
riflettendo su quanto fosse desolata quella notte, priva di alcun
rumore. Si ritrovò a girovagare, distratto da quei pensieri in verità
non troppo felici. Neppure uno come lui trovava piacevole tanto
silenzio, addirittura inquietante sotto molti aspetti. L’unica cosa da
fare probabilmente era dormire, rimanere ancora in piedi non stava
facendo altro che alimentare il suo stato d’animo che non era dei
migliori quel giorno. Così si avviò verso la zona notte, dove erano
sistemate le stanze da letto, e fu in quel frangente che un lieve
sospiro attirò la sua attenzione.
Fu un
sussurro così debole che li per li si chiese se lo avesse sentito per
davvero. Fece qualche passo indietro e si affacciò oltre un fusuma
lasciato aperto. Da questo intravide lo shoji spalancato, attraverso il
quale poteva ammirarsi lo splendido cielo stellato, e una luna
grandissima e bianca. Entrò appena nella stanza, la sua pelle
illuminata da quella luce si fece ancora più candida, e i suoi occhi si
dilatarono quando vide che seduta fuori c’era l’unico membro che
animava quella casa.
Rukia era
seduta sulla passerella di legno che contornava l’intera villa Kuchiki,
alle sue spalle lo shoji aperto dal quale era uscita per poter ammirare
quella notte. Fu in quel momento che Byakuya si accorse di quanto fosse
luminosa quella notte, a differenza di quell’oscurità e desolazione che
aveva avvertito una volta uscito dalla stanza in cui si era rinchiuso
per gran parte della sera. Si chiese come avesse potuto non far caso a
una luna così bella. Ammaliato da tale candore, lentamente il suo
sguardo andò a posarsi sulla ragazza dai capelli neri, che non si era
accorta della sua presenza. Mosse appena un passo, ma improvvisamente
le viscere gli si contorsero e lo costrinsero a rimanere sulla sua
postazione. Poggiò una mano sulla parete e rimase lì, immobile ad
osservare la ragazza assorta anch’ella nei suoi pensieri. La vide
muoversi, portare le gambe sul petto e stringerle. Osservò il colore
del suo yukata, violaceo con delle decorazioni rosa pallide, che
esaltava la sua pelle bianca in quell’atmosfera così suggestiva. Il suo
sguardo si addolcì per qualche attimo che però non durò a lungo.
Infatti si
girò e ritornò sui suoi passi, era per davvero stanco. Non poteva
resistere a quell’immagine e rimanere fermo e immobile. Sapeva che nel
profondo non ci sarebbe stato nulla di male, tuttavia erano i suoi
precetti che non gli permettevano di muovere il passo.
Per il resto,
la notte passò abbastanza velocemente nel momento nel quale chiuse gli
occhi e il sonno dominò la sua mente.
Tutto era
destinato a passare, ed in effetti era proprio su questo che contava
Byakuya Kuchiki. Non sapeva però che non tutto può essere guarito, per
così dire, dal tempo. Soprattutto nel campo dei sentimenti, le
situazioni vanno generalmente chiarite e non lasciate al tempo, oppure
un giorno ci si sarebbe potuti sorprendere di quanto questo passasse e
di quanto le cose non cambiassero affatto.
Byakuya
Kuchiki si sentiva in colpa di amare sua sorella.
Si sentiva in
colpa perché lei rappresentava “la promessa” fatta a sua moglie. Perché
era la sorella di quest’ultima. Si sentiva in colpa per la promessa
fatta ai suoi padri. Eppure in realtà, in tutto questo, Rukia c’entrava
ben poco.
La ragazza
dai capelli neri era solo la spettatrice innocente che si era vista
piombare addosso questa realtà da accettare, senza sapere nulla dei
suoi effettivi legami con tutto ciò.
Motivi che
lui non le avrebbe mai rivelato, perché lo aveva promesso.
Promesso…promesso…
Queste parole
lo assillavano. Quante erano le cose che doveva tener in conto. Quanto
ci fosse dietro ogni parola, ogni sguardo di Byakuya Kuchiki. Era una
persona di principio, abituato a onorare i suoi compiti e la parola
data. Giurare davanti ai suoi avi, promettere a sua moglie…erano un
qualcosa che pesavano nella psicologia del ragazzo.
Anche la dove
si preparava ad aprirsi un sipario differente dalle circostanze che
allora gli si presentarono e che gli fecero fare ciò. Ma la sua tenacia
consisteva proprio in questo.
Nel mantenere
in alto ciò che fosse e che fosse tenuto ad essere, al di sopra delle
circostanze.
Non avrebbe
importato il resto, perché non avrebbe permesso mai più che il suo
onore venisse di nuovo macchiato. Anche a costo di sacrificare ciò che
fosse giusto. Rukia si collocava proprio nel mezzo, inconsapevole, di
tutto questo. Negli anni passati assieme l’aveva vista sorridere per
poi richiudersi in se stessa timorosa, fino a perdere ormai del tutto
la voglia di stabilire un qualsiasi rapporto con lui.
Gli anni
lentamente avevano scorso, portando con sé il flusso degli avvenimenti
che intanto avevano caratterizzato l’esistenza della ragazza. L’avevano
tradita promettendole speranze che invece furono destinate a cadere
prima ancora che riuscissero a rialzarla. Prima fu lo stesso
Byakuya, poi ancora il suo primo amore… ed in tutto questo, colui
che avrebbe dovuto esserle accanto, non lo aveva fatto. Se non come
fratello maggiore, come familiare avrebbe dovuto sorreggerla di fronte
alle difficoltà che spietate si erano scagliate contro una ragazzina il
cui unico sogno era di alzarsi in quel distretto del rukongai e lottare
per essere qualcuno nella vita. Il nobile Byakuya invece non le era
rimasto accanto, e questo perché dei precetti glielo avevano vietato.
Perchè la ragazza doveva tenersi lontano dalla sua vita, dove quel peso
che aveva da sostenere sulle sue spalle, e che dopo la morte di suo
nonno andò ad appesantirsi sempre di più, lo stava lacerando fino ad
annullare quale fosse in verità ciò che avrebbe voluto e dovuto
seguire. Rukia, in tutto questo, dove era collocata dunque per il
giovane oramai capofamiglia Kuchiki?
La giovane
dai capelli neri era nel suo cuore, emarginata in uno spazio lontano
che ad un certo punto fu irraggiungibile anche per lui, che le era
vicino ma in una concezione del tutto illogica da parte di una mente
che non fosse quella di Byakuya Kuchiki.
Ed era così
che erano passati cinquant’anni.
Cinquant’anni
nel silenzio e nel tetro più assoluto in cui il ragazzo aveva visto
mantenere le sue promesse, ma al contempo lentamente spegnersi
l’entusiasmo di quella giovane ragazza che con tutte le sue forze
invece aveva cercato di far sopravvivere, ed essere insieme
all’altezza del nome che adesso portava.
Da ragazzina
che l’aveva ammaliato col suo modo di essere semplice e rozzo, almeno
per come avrebbe dovuto essere una signora d’alta classe, si era
trasformata in una giovane donna più preparata alla vita.
Resistere alle tante situazioni intercorse fra i due, aveva finito col
distruggere quel po’ col quale erano partiti, ed era così che erano
divenuti due estranei, Byakuya e Rukia.
Due fratelli
solo di nome, così lontani che persino di fronte la morte, in virtù dei
principi da rispettare, non portarono il giovane nobile a opporsi,
quasi come se in realtà quella fosse una parentesi che volesse
chiudere una volta per tutte.
Dal canto
suo, anche per la ragazza dai capelli neri era oramai chiara la psiche
del fratellastro, ai suoi occhi disinteressato completamente a lei. Era
consapevole che lo spazio dedicato a lei fosse insignificante di fronte
al suo nome di Kuchiki. Per questo non aveva mai riposto tante speranze
nell’aiuto del ragazzo. In alcuna occasione.
Eppure
Byakuya nel suo cuore era continuato a rimanere segregato in quella
dimensione che lei costruì da giovane. Una dimensione di odio ed amore
la cui collocazione non esisteva effettivamente. Una realtà spiegabile
solo per chi avesse vissuto la loro storia.
Vivere
quest’angoscia ogni giorno li aveva portati a essere quello che solo
pochi avrebbero potuto intendere, e cambiare le cose era un’ipotesi
lontana se non inverosimile, se non fossero accadute le circostanze che
invece sconvolsero la loro vita dopo cinquant’anni, finalmente.
Alla luce del
tempo trascorso e di tutto ciò che era stato negato e distrutto, a cosa
era valso quello che invece tutto quello per cui lui, Byakuya Kuchiki,
aveva lottato?
Il castello
lentamente era crollato. In così tanti anni erano accadute così tante
cose, eppure niente allo stesso tempo.
I giorni
erano scorsi, e il tempo era passato, bruciando tappe importanti che
avrebbero dovuto percorrere assieme.
Tutto era
rimasto sconvolto, e l’unica cosa da farsi dopo essere stati così
lontani, era ricongiungersi finalmente.
Cinquant’anni dopo
circa… [Dopo gli eventi del manga]
Chi
sei?
Tu mi sfuggi.
Mi perseguiti.
La tua immagine mi
sfianca.
Non
so cosa sei, non so cosa dovresti essere.
Vedo
una nebbia, un fumo bianco che avvolge tutto ciò che conosco.
Pian
piano muta.
Dietro
di esso vedo delle ombre.
Mi
sembra di riconoscerle, ma non ne sono più certa. Non ora che non so
neanche più chi sono.
Cosa c’è? Hai
paura? Forza, alzati. Alzati e combatti. Abbi il coraggio di guardarmi
negli occhi.
Ho
paura.
Guardami!
Rukia Kuchiki
aprì gli occhi. Deboli, intimoriti, non aveva per davvero la volontà di
farlo. Si guardò in torno. Era tutto bianco. Si voltò dietro di se e si
sentì smarrita. Era come se fosse sospesa nel cielo, fra le nuvole, in
una foschia fredda e umida dove non era lasciato alcuno spazio neppure
a un angolo d’azzurro del cielo. Tutto quel bianco cominciò a farle
mancare il respiro, era spaventoso, asfissiante. Voleva andare via.
Abbassò il viso e solo allora si accorse che i suoi piedi non toccavano
da alcuna parte. Presa dal panico, mosse le gambe e sperò con tutta se
stessa di andare via da quel posto. Nonostante si muovesse, tuttavia,
aveva la sensazione di essere sempre nello stesso luogo. Quasi come se
i suoi sforzi di camminare, correre, non rispondessero e ciò che stesse
sotto i suoi piedi, non scorresse ai suoi passi. Si ritrovò così a
muoversi sempre più forte, sempre di più, fino a sentirsi sfinita. Solo
l’aria era a muoversi sotto i suoi piedi, perché nonostante quella
corsa, era rimasta ferma sempre nello stesso punto. Stanca, il ritmo
cominciò a calare e lentamente perse ogni speranza di continuare a
scappare. Si fermò. Strinse le mani sulle spalle e pregò con tutta se
stessa.
“Kuchiki
Rukia. Ti sei decisa a fermarti, finalmente.”
Una voce
dolce e soave richiamò la sua attenzione. Era un po’ disturbata poiché
probabilmente proveniva da lontano, eppure all’orizzonte non vide
nessuno. Sgranò meglio gli occhi e quell’ombra che aveva visto in
precedenza cominciò a prendere forma. Era una figura candida,
addirittura angelica. Eppure fisicamente sembrava rassomigliarle.
Le sembrò
come guardarsi in uno specchio, ma più quella figura le si avvicinava,
più sentiva l’ansia crescere.
“Kuchiki
Rukia, perché?”
Rukia
corrucciò la faccia non capendo. Gli occhi di quella donna sembravano
infinitamente tristi. Erano enormi e luminosi, come se fossero colmi di
lacrime.
“Perché
cosa?” chiese appena, ma con determinazione mettendosi sulla difensiva.
“Kuchiki
Rukia, perchè stai correndo?”
In
quell’istante qualcosa mutò.
Improvvisamente
l’aria si fece più fredda, e quel chiarore che la donna aveva portato
con la sua apparsa, sparì del tutto. Rukia sgranò gli occhi ma fu
troppo tardi prima che comprese di avere le mani della ragazza che le
somigliava attorno al collo.
“A…Aiuto!!”
urlò già quasi senza respiro, specchiandosi in due occhi iniettati di
sangue che la trafiggevano aspettando che crollasse. “Co…s sta…” la
mente cominciò ad annebbiarsi, la vista a cedere. Era sull’orlo del
collasso.
Era finita.
“VuOi morIre,
kUchIKi RUkiA?
La sua testa
sembrò essere sull’orlo di scoppiare, gli occhi le pulsavano, le sue
mani cominciarono a cedere.
No…
Non voglio
morire….!
Non voglio
morire!
Perché?
Perché lo
stai facendo?!
Mi chiedi perché?
Perché sei tu che
lo vuoi…
Vero, Kuchiki
Rukia?
No…
No..!!
Non sentì più
dolore. Le dita di quella sottile mano pallida superarono le sue più
alte aspettative di forza e non riuscì a bloccarle. Oramai avevano
preso la meglio su di lei e i suoi tempi di reazione non erano riusciti
a salvarla. L’aria non aveva più raggiunto il suo cervello, non le
avrebbe permesso di riottenere il controllo.
Così esse
continuarono a triturarle il collo, mentre lei oramai aveva già perso
la ragione. La sua bocca era aperta, e assaporava ciò che le ricordava
l’aria…
Aria…aria…aria…
Aiuto!!
“Signorina
Rukia?!”
“Aiuto!!”
“Signorina
Kuchiki?!”
Sbarrò gli
occhi.
La prima cosa
che fece fu tirare un profondo respiro. Subito distinse l’ambiente, era
nella sua stanza. Tutto quel candore che prima la stava soffocando era
scomparso. E quell’ombra che stava cercando di ucciderla…era un sogno?
Rimase più di
qualche istante sdraiata sul fusuma, mentre i servi si avvicinavano
preoccupati.
“Signorina, è
tutto a posto?”
“Perdonatemi,
è stato solo un incubo.” Rukia Kuchiki finalmente sorrise, felice che
si fosse svegliata.
Era da molto
tempo che non le capitava di avere incubi. Si chiese il perché il quel
sogno, ma probabilmente era il caso dimenticarsene. Non era sicura
neanche se le due figure sognate fossero entrambe lei, o magari si
trattasse di Hisana data la loro impressionante somiglianza, ma tutto
al più erano solo le sue inutili angosce che talvolta assumevano forme
assurde se non ridicole. Spesso aveva sentito dire che sognare la morte
significava “cambiamento”, ed in effetti parecchie cose erano mutate
negli ultimi anni, soprattutto a riguardo di lei e la fantomatica
Hisana, la cui immagine l’aveva perseguitata per cinquant’anni, senza
sapere neanche chi fosse.
Ora invece le
cose erano diverse. Conosceva il suo “perché” tanto agognato, la sua
connessione con tutto quelle che le fosse accaduto, ed era sincera
quando diceva di voler profondamente bene a sua sorella.
Non aveva
avuto la possibilità di conoscerla, ma nel suo cuore era come se
facesse parte di lei in qualche modo. E sentiva di volerle bene.
No,
stranamente non aveva provato alcun tipo di odio, niente, assolutamente
niente.
Nonostante
sapesse chi fosse stata lei in realtà. Era stata abbandonata da lei,
forse sarebbe stato normale provare del risentimento. Ma niente di
tutto questo la affliggeva. Non perché fosse una persona buona.
Semplicemente il suo cuore era in pace. Anzi, sapere la verità
finalmente aveva cambiato in positivo la sua vita, e si sentiva molto
più fiduciosa e serena.
Perché adesso
le cose avevano un senso. Finalmente.
Si avvicinò
allo specchio.
Rukia aveva
oramai diciannove anni umani. Fisicamente non era cambiata molto. Era
sempre bassa, le sue forme restavano ancora ridicolmente poco
sviluppate, come sempre suo malgrado, e i suoi grandi occhi blu ed
espressivi erano sempre gli stessi che la caratterizzavano.
Nel suo viso
però qualcosa era cambiato.
E non era
solo per i suoi capelli che erano giusto un po’ più lunghi, rispetto
com’era stata solita portarli per cinquant’anni. Le davano
indubbiamente un aspetto più raffinato ed adulto per certi versi,
quella lunghezza oltre le spalle, ma non era solo quello.
No. Era
maturata, era più grande. Il suo sguardo, finalmente tornato fiero e
determinato, era la prova di ciò.
“Renji è già
qui?” disse tamponando gli occhi con un asciugamano umido, che
riappoggiò sul vaso colmò d’acqua gentilmente sorrettole dai domestici.
“Sì,
signorina, sta aspettando di sotto.” Le risposero cortesi, porgendole i
vestiti.
“Ditegli che
vengo subito.” Da sola la ragazza spostò lo yukata dalle sue spalle e
si vestì ordinariamente con un semplice kimono per uscire.
Una volta
pronta, si avvicinò al fusuma e fece per abbandonare la stanza, ma la
cameriera la fermò.
“Signorina
Rukia, e Byakuya?”
“Ditegli che
sono uscita.” Detto questo, Rukia lasciò la stanza definitivamente, e
velocemente si diresse verso il salotto dove era stato fatto accomodare
il suo amico di vecchia data, nonché compagno da una vita, Abarai Renji.
“Buongiorno.”
Esclamò la bruna introducendosi all’amico dai capelli fulvi, assumendo
quel tipico tono rauco di chi si era svegliato da poco. Il ragazzo,
udendo la voce dell’amica, mosse il capo nella sua direzione, allargò
le labbra ed alzò le sue curiose sopraciglia a forma di saetta.
“Oh, eccoti!
Sonno pesante, nanerottola?”
“Vuoi che ti
saluti con un bel calcio in faccia, eh, Renji?” rispose lei a tono,
scherzando, ma non che Rukia Kuchiki non lo avesse fatto per davvero se
minimamente provocata. Era così che si comportava con gli amici, in
maniera molto diretta.
“Oh, oh!
Siamo nervosi già a primo mattino?” esordì Renji in tutta risposta,
alzandosi in piedi, quasi a volerle far notare quanto fosse più grande
e grosso rispetto a lei. Rukia alzò un sopraciglio ma non lo curò,
portò una mano sulle tempie e scrollò la testa.
“Andiamo, non
voglio far troppo tardi.” Detto ciò, quasi lo strattonò via di casa, e
insieme abbandonarono villa Kuchiki e furono ben presto tra le vie del
Sereitei, diretti al Gotei.
La giornata
era mite e tiepida, ed era da qualche giorno che Renji e Rukia avevano
preso l’abitudine di avviarsi insieme al lavoro, almeno nei giorni la
settimana in cui i loro orari avevano delle coincidenze. La loro era
una curiosa amicizia. Non si erano sentiti per così tanti anni, eppure
una volta ripresi i contatti fu come se nulla fosse cambiato dai tempi
in cui erano entrambi due ragazzini. Anche se magari non lo dicevano,
erano entrambi sorpresi di questo. Dopotutto però non aveva alcuna
importanza. Poter parlare liberamente con una persona cara era una
sensazione che era mancata profondamente nella vita di Rukia. Anche
adesso che con il nobile fratello le cose erano migliorate, comunque
quella sensazione di calore e vicinanza le era ancora estranea, poiché
l’aveva perduta per così tanto tempo che adesso era addirittura strano
ritrovarla con tanta naturalità. In effetti, riportando alla mente
Byakuya, ogni giorno si rendeva conto di quanto fossero cambiate le
cose tra di loro. In verità a fatti sembravano entrambi quelli di
sempre. Lui continuava a essere serio e distaccato, però talvolta lo
aveva visto più umano e più interessato a lei. Questo in più di
un’occasione l’aveva messa a disagio in verità.
Non era per
niente abituata ad averlo vicino. Anche se abitavano sotto lo stesso
tetto da anni, non avevano mai raggiunto alcun grado di confidenza, e
se negli anni si era abituata a chiamarlo fratello, non era certo
perché fossero tali.
Questo le
faceva sentire una strana morsa al cuore, una sensazione in verità che
Byakuya aveva sempre provocato in lei, ma che credeva di essere
riuscita a domare. E invece la vedeva riaccendersi con più ardore
addirittura, ancora di più adesso forse proprio perché lo vedeva più
spesso. Deglutì, e cercò di non mostrare il suo disagio all’amico, che
per di più era anche il luogotenente di Byakuya, quindi non le andava
di parlare di questo proprio a lui.
Naturalmente
invece era Renji a raccontarle sempre del Capitano, certe volte non
accorgendosi che in quel momento Rukia ne avesse fin sopra i capelli di
sentire parlare di lui anche a lavoro. Anche il solo accennare al
ragazzo dai sottili capelli neri le provocava delle curiose sensazioni,
ma che voleva tenere a bada. Tuttavia ciò non era sempre possibile se
tutto non faceva che ricordarglielo.
“Ehi, Rukia,
guarda che ci siamo!”
La ragazza fu
catapultata nel presente e si girò di scatto verso Renji.
“Siamo
arrivati? Bene… ci vediamo dopo!”
Rukia subito
si voltò e quasi scappando si allontanò dalla vista dell’amico che
istintivamente tese una mano verso di lei, ma la ragazza era già troppo
lontana. Rimase a osservarla per un bel pezzo, portando una mano sui
capelli tirati nel suo solito codino stretto. Era una donna
alquanto strana, e la cosa più curiosa era che nella sua vita lei fosse
fra le persone più “normali”. Rise fra sé, dopodiché si avvio verso il
sesto dipartimento, la sua divisione di appartenenza.
Altrove,
Rukia era finalmente giunta alla sua postazione e fu felice per una
volta che il capitano Ukitake li tenesse impegnati praticamente tutta
la mattina. Aveva assolutamente bisogno di scaricare la sua energia in
qualcosa, ed ora come ora tante carte da mettere a posto andavano
benissimo.
Passò il
tempo, molto piacevolmente in verità, e sul tardi mentre rimetteva gli
ultimi fascicoli al loro posto, una circolare col timbro della sesta
divisione attirò la sua attenzione. Controllò la firma, ed era del
luogotenente, Abarai Renji. La lesse distrattamente, tanto per dare
un’occhiata, ma impallidì quando lesse il suo nome indicato tra le
righe. Avvicinò a sé i fogli, non comprendendo. Era stata assegnata a
una missione con la divisione sei e quell’imbranato non le aveva detto
nulla?
Si sentì
adirare. Parlavano di tante stupidaggini, poteva anche informarla! Fu
però quando lesse più attentamente che capì di più. Infatti, era
richiesta la firma anche dei rispettivi capitani delle due divisioni,
sia la sesta che la tredici. Ciò voleva dire che senza l’autorizzazione
di Byakuya, questa era pura carta straccia. Le si strinse il cuore
riflettendo su quanto avessero ancora influenza su di lei le pretese
del fratello, che non faceva che controllarla. Probabilmente era stato
stesso lui a richiedere una sua autorizzazione quando si parlasse di
lei. Riposizionò la carta fra gli altri fascicoli, dopodichè abbandonò
la stanza annunciando il suo rientro a casa ai colleghi. Era stanca e
voleva continuare il suo lavoro a casa, nel calore della sua stanza.
Così prese in braccio il materiale ed andò.
Una volta
arrivata, era giunta oramai la sera inoltrata. Sbirciò dentro ma la
casa sembrava essere assolutamente vuota. Si diresse nello studio, dove
Byakuya aveva l’abitudine di rinchiudersi quando non voleva essere
disturbato, ma non vi era, così realizzò di essere sola in casa. Fece
un sospiro di sollievo e ne approfittò per mettersi comoda e con calma
finire il suo lavoro.
Fece prima
tappa in camera sua, scese gli hakama, e rimase col kimono che le
arrivava all’altezza di metà coscia. Si rimboccò le maniche e, dopo
aver chiesto alla servitù di preparare il bagno, si mise subito al
lavoro. Seppur stanca, le riuscì molto piacevolmente dedicarsi a
questo. La concentrazione per una buona ora non le venne per nulla a
mancare, nonostante avesse alle spalle tutta una giornata lavorativa al
Gotei. La notte scese velocemente, e quasi non si accorse di quanto
buio si stesse facendo. Fu quando una luce si accese improvvisamente
che si accorse di essere stata china su quei fogli nell’oscurità.
Sbandò quando, voltandosi, si accorse che ad aver acceso la luce era
stato proprio suo fratello, probabilmente appena tornato.
“F-fratello!
Sei tornato adesso?” chiese sinceramente sorpresa.
Byakuya la
guardò con un viso assonnato, alzò appena le sopraciglia, dopodichè
andò inaspettatamente a posizionarsi di fianco a lei.
Rukia rimase
con gli occhi sbarrati, fissi ad osservarlo. Suo fratello non era certo
quel tipo di persona che si avvicinava tanto per passare un po’ di
tempo assieme, o per salutarsi, quindi quell’atteggiamento quasi la
spiazzò. Dovette però subito mutare la sua espressione per non destar
sospetto o indurre Byakuya a chiederle qualcosa, così ritornò a
concentrarsi sulle sue carte. Stette china per diversi secondi, ma le
sue attenzioni si erano oramai del tutto allontanate da quei compiti
assegnatoli. Con la cosa dell’occhio sbirciò verso il ragazzo. Prima
verso le sue gambe perfettamente inginocchiate, poi il suo sguardo salì
percorrendo tutto il suo corpo perfettamente eretto, ma quando arrivò
al viso, subito riportò lo sguardo dinanzi a sé perché anche lui la
stava guardando. Aveva, infatti, incrociato i suoi occhi e la cosa era
stata abbastanza imbarazzante visto che aveva cercato di spiare nella
sua direzione e non farsi vedere. E invece lui se n’era accorto
perfettamente. Si sentì morire e fu sicura che il suo viso fosse
diventato paonazzo. Odiava sentire la sua faccia così calda, e al
contempo le mani così fredde. Erano emozioni che non sopportava e si
chiedeva perché si sentisse così proprio con lui. Intanto Byakuya
allungò leggiadramente una mano, coperta dal candido guanto annodato
sul dito medio, e sfilò alcune delle carte sulle quali Rukia stava
lavorando. Rukia alzò subito la testa di fronte quel gesto e lo guardò
sgomentata, mentre il respiro si era fermato nei polmoni costringendola
in una posa alquanto rigida.
“E’ su
questi, che stai lavorando?”
Rukia dovette
ripensare alle sue parole più volte prima di connettere e conferire ad
esse il loro significato. Agitatamente, poi annuì confermandogli quanto
dedotto. Byakuya a quel punto non le dedicò più alcuno sguardo, e prese
a esaminare una parte di quelle carte che la ragazza si era portata dal
gotei. Rukia rimase esterrefatta. Suo fratello stava davvero lavorando
assieme a lei, per aiutarla? Sentì un nodo in gola e le venne naturale
cercare di far desistere suo fratello, visibilmente stanco.
“Lascia! Me
ne posso occupare io, fratello. Davvero.” Intervenne dunque cortese
Rukia. Il ragazzo tuttavia non si smosse minimamente e non le dedicò
alcuna attenzione.
“Non darti
pensiero.” Rispose lui solamente, laconico, rimanendo sulle sue, non
scostando gli occhi dal foglio.
Rukia decise
di non insistere. Conosceva abbastanza suo fratello da sapere quando
era nella possibilità di farlo desistere, oppure no, nel fare qualcosa.
Così ritornò anche lei ai suoi fogli e cercò di riprendere la
concentrazione, quanto più potesse. Proprio in quel momento cominciò a
sentire il peso della stanchezza. Gli occhi presero a bruciarle e
dovette stringere i denti più volte per cercare di non sbadigliare.
Eppure fino a quel momento si era sentita molto energica. Alzò il viso
per la prima volta verso l’orologio appeso sulla parete e sbarrò gli
occhi costatando che fosse oramai giunta la mezzanotte. In quel
momento sbirciò subito in direzione di Byakuya, e si chiese come mai il
ragazzo avesse fatto quell’ora. Guardando però il suo viso
completamente preso dalla lettura di un modulo, le parole si
strozzarono in gola, non permettendole alcun tipo di reazione. Rimase
con la testa girata verso di lui per un lunghissimo minuto, non
riuscendo a distogliere lo sguardo e non pensando assolutamente a
nulla. Fu dopo un po’ che si ricompose e ritornò con lo sguardo chino,
ma la sua curiosità la portò a girare nuovamente gli occhi verso il
fratello, e senza apparentemente un motivo, si disegnò un sottile
sorriso sulle sue labbra. Stesso lei non capi esattamente cosa le
prendesse, ma cominciò a palpitarle il cuore nel petto, così forte che
per un attimo temette che lui potesse sentirlo. Così allungò una mano
su di esso e premette leggermente. Fu allora che anche Byakuya
finalmente scostò gli occhi da quei fascicoli. Inizialmente assorti e
stanchi, le sue pupille si girarono verso di lei con un movimento
veloce che quasi la fece sbandare. Istintivamente la ragazza si fece di
pietra, incastrando la testa fra le spalle, e rimase immobile a
fissarlo anche lei a sua volta, non sapendo cosa gli prendesse. Bastava
un singolo movimento di Byakuya per far attirare la sua attenzione. Non
era facile da spiegare, ma lui sapeva farsi comprendere a modo suo, e a
lungo andare atteggiamenti insignificanti agli occhi degli altri, per
chi lo conosceva divenivano dei veri e propri messaggi da codificare.
Rukia non possedeva la loro chiave di lettura, ne credeva esistesse
qualcuno che comprendesse fino in fondo i suoi atteggiamenti, ma aveva
imparato a capire quali erano i segnali un po’ diversi dal solito. In
questi casi, preferiva aspettare una sua mossa, anche se spesso
l’attesa era così straziante da indurla più volte a chiedere lei stessa
cosa succedesse. Cosa che in verità accadde anche questa volta.
Infatti, dopo appena pochi secondi, la ragazza dai capelli neri schiuse
le sottili labbra rosee e con un filo di voce si rivolse al fratello,
non smettendo mai di rivolgergli i suoi grandi occhi cobalti.
“C’è qualcosa
che ti turba…fratello?”
Byakuya
rispose con un silenzio alla sua domanda, come succedeva spesso del
resto.
La sua figura
composta, inginocchiata con lei di fronte al tavolino a lavorare, e il
suo viso a stento rivolto verso di lei comunicava un’immagine imponente
seppur Byakuya non fosse un uomo grosso. Il contrasto del vestito scuro
degli shinigami, e i suoi lunghi capelli neri, con la sua pelle bianca,
in quel momento ebbe un effetto maggiore su di lei, e quasi le sembrò
una figura spettrale. Non era qualcosa di negativo, ma trasmetteva un
fascino nefasto e seducente. Il nobile Byakuya, illuminato dai raggi
lunari, era inquietante e poetico insieme. Sembrava fuoriuscire da un
libro illustrato. La magia di quell’atmosfera fu interrotta quando lui
divincolò lo sguardo e ripose il pennino nel calamaio.
“Sei stata
assegnata a una ispezione con la mia divisione.” Disse improvvisamente.
Rukia ricordò subito del fascicolo trovato sulla scrivania di un
ufficio del suo dipartimento, per cui subito informò il fratello di
esserne a conoscenza.
“Sì. Avevo
notato una circolare nella quale era stato richiesto il tuo consenso
per farmi partecipare alla spedizione. Ti ringrazio per aver
acconsentito.” Disse cogliendo ciò che probabilmente Byakuya voleva
essere detto da lei. Sapeva quanto lui la controllasse, e anche se
spesso lo trovava insopportabile, adesso sapeva perché lo facesse. Era
giusto, quindi, che gli esprimesse gratitudine.
Fu sorpresa
però quando si accorse che, al contrario, il fratello fosse rimasto
fermo a guardarla con un’espressione che, in gergo Byakuya Kuchiki,
poteva essere interpretata come sguardo confuso. Lui alzò le ciglia e
piegò appena la testa, e i suoi sottili capelli assecondarono questo
suo lento movimento.
“La mia firma
era una richiesta puramente formale. Non era certo per consentire a te
di andare oppure no. Ad ogni modo, non era questo ciò di cui volevo
informarti. Non è di mia competenza. Le opportune indicazioni ti
saranno date dal tuo capitano, il signor maestro Ukitake. Sappi che
sono stato assegnato alla stessa unità anch’io.”
Rukia lì per
lì non seppe a cosa dare importanza per primo. Se al fatto che questa
volta Byakuya non avesse pilotato sul suo lavoro, se avesse detto una
delle farsi più lunghe che gli avesse mai sentito dire, pur nella loro
assoluta formalità, o se all’ultima frase, ovvero che lui sarebbe
venuto con lei in quella equipe. Poi riflette meglio.
Che cosa
aveva appena sentito?! Byakuya e lei…in una stessa missione?
Sbarrò gli
occhi ancora di più di come già non fossero, tanto che sentì la pelle
tirare sulla fronte, e la sua bocca si rimpicciolì tanto da temere che
potesse sparire. Deglutì appena e parlò senza che le parole filtrassero
prima per la sua mente, e che quindi si materializzassero nella forma
tipica degli standard della famiglia Kuchiki. Gli parlò, infatti, come
non succedeva da anni, in una maniera alquanto informale, che però non
sembrò seccare per nulla il fratellone.
“Tu…vieni con
me?”
“Esattamente.”
Rispose lui tranquillo, con uno sguardo a dir la verità un po’
saccente, in confronto all’inespressività che caratterizzava il suo
volto.
“E tu non
c’entri niente?” insistette lei imperterrita, non rendendosene conto.
Ma il ragazzo non vi fece troppo caso, ed anzi. Portò le nocche delle
dita sulla bocca e continuò quella conversazione. Sembro addirittura
divertito, si poteva dire.
“No.” Disse
secco, con fare assolutamente placido e rilassato.
“Sì?”
“Sì.”
Riconfermò lui rimanendo col mento poggiato sul dorso della mano,
specchiandosi negli occhi di lei, che lo guardavano increduli e
sbigottiti. Vedendola così confusa e alquanto dubbiosa, il ragazzo
sorrise appena, intenerito in qualche modo. Ma la sua espressione
rimase celata sotto le dita affusolate della sua mano. Così si alzò e
le diede un paio di colpetti sulla testa, spostandole appena la folta
chioma nera.
“Vai a
dormire, si è fatto tardi.” Detto questo, in pochi secondi sparì,
lasciandola senza parole. Solo più tardi la ragazza sentì il viso
infuocarsi, e non seppe se stesse scoppiando di rabbia per quel viso
perfetto ed insopportabile del capofamiglia Kuchiki quando si
comportava così, oppure se fosse per davvero confusa e stanca.
Ad ogni modo,
dopo si alzò anche lei, e lentamente si diresse nella sua stanza. Si
coricò e rimase per diversi minuti, prima di addormentarsi, ad
osservare il soffitto, così buio da confondersi con l’infinito informe
dell’ombra. Puntò gli occhi su quest’immagine indefinita per molto
tempo senza neanche rendersene conto, finché il sonno sopraggiunse e
crollò.
[…]
“Questo è
tutto, ci vediamo domani. Oh! Kuchiki!”
Rukia, che si
era già incamminata verso il suo ufficio, si girò in direzione del
capitano Ukitake che l’aveva chiamata una volta finito il discorso
sulla spedizione alla quale avrebbe partecipato assieme ad alcuni dei
suoi compagni della tredicesima divisione.
Aveva loro
illustrato ogni dettaglio, e sembrava una consueta ispezione in un
bosco nelle vicinanze del rukongai. Niente di particolarmente
pericoloso, sarebbero stati via soltanto pochi giorni, e la partenza
era prevista già per l’indomani. Si riposizionò dritta unendo i piedi e
guardò il signor Ukitake, con la sua aria malaticcia e indebolita che
purtroppo non lo abbandonava mai, e purtroppo non per la sua effettiva
età, che comunque era avanzata. Questo in verità le portava sempre un
profondo dispiacere perché era una persona alla quale era
particolarmente affezionata per i suoi modi gentili e molto garbati.
Quella sua debolezza dovuta alle non ottimali condizioni di salute la
intristivano profondamente, ancora di più se costatava che era abituale
vederlo sempre così.
“Capitano, mi
dica.” Disse prontamente al suo richiamo.
“Nulla
d’importante. Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto per te.”
Rukia quasi
si sorprese di quelle parole, ma cercò di non prendere a fantasticarci
troppo. Si limitò ad annuire e basta. Intanto il Capitano continuò a
parlare.
“Tu ti
occuperai della zona ovest. Troverai tutto il materiale dove ho già
indicato agli altri. In più, vorrei tu ti occupassi dei resoconti una
volta che sarete tutti rientrati.”
“Certo. Me ne
occuperò io.” affermò lei, dopodiché cercò il consenso del signor
Ukitake per poter andare via. Così lasciò la stanza, sentendosi
in verità un po’ inquieta. Aveva avuto la netta sensazione che non
l’avesse trattenuta per quello. Una parte di lei pensò che fosse
preoccupato, altrimenti non le avrebbe chiesto se fosse tutto a posto
per lei. Lui era stato anche il maestro di suo fratello, e se le sue
preoccupazioni fossero causate proprio da lui? Si fermò un attimo,
scuotendo energicamente la testa. Erano solo assurdità quelle che
ultimamente le passavano per la mente, solo perchè era visibilmente
agitata, più di come lo era di solito, nel lavorare in così stretto
contatto con lui. Aveva già conosciuto Byakuya nelle sue vesti di
capitano. Chi più di lei aveva familiarizzato con la sua figura alla
luce di cinquant’anni di convivenza. Tuttavia non era mai stato il suo
capitano, e lui era stato quello scelto per quella spedizione. Non era
una novità per lei obbedire ai suoi ordini, ma mai come quella volta si
sentì a disagio in verità. Forse era proprio dovuto al fatto che adesso
che le cose erano finalmente cambiate tra di loro. Stavano lentamente
riacquistando una vicinanza che prima non avevano mai avuto. Questo le
creava più di una confusione. Per lei era difficile descrivere i suoi
sentimenti per Byakuya, così come era impossibile dar loro
un’identificazione più precisa. Sapeva solo che esclusivamente un uomo
come lui era capace di farla sbandare e farle dimenticare ogni altro
tipo di preoccupazione, facendole smuovere qualcosa dentro che
descriveva come agitazione, ma non si trattava solo di quello. Tuttavia
preferiva non ricercare una risposta. Non ora che aveva tutt’altro a
cui badare come i preparativi per la ormai prossima partenza.
Il giorno in
questione venne ben presto. Aveva avuto poco modo di rivedere Byakuya a
casa. L’unico momento in cui era riuscita ad incrociarlo era stato
verso il tramonto, quando oramai le luci stavano cominciando ad
abbassarsi, tinteggiando il cielo di arancione. Aveva visto la sua
ombra proiettarsi sul prato e così era corsa in giardino sperando di
scambiare qualche battuta con lui prima di partire, ma lui era
completamente immerso negli allenamenti. Era rimasta a guardarlo per
qualche minuto, mentre le ombre avvolgevano sempre più prepotentemente
la sua figura, che voltandosi, di tanto in tanto veniva colpita dagli
ultimi e luminosissimi raggi solari che facevano intravedere il suo
viso pallido, e i suoi capelli di una tinta castana. Un’immagine
diversa dato che i suoi erano completamente neri, senza alcun riflesso
di altro colore. Aveva preferito comunque allontanarsi e lasciarlo
fare, ma era più che sicura che lui l’avesse vista e se aveva ritenuto
opportuno non interrompersi, a lei in fin dei conti andava bene.
D’altro canto, cosa avrebbero avuto da dirsi?
Così lo
rivide la mattina della partenza, esattamente come tutti gli altri,
nelle vesti di capitano. Mischiata con gli altri shinigami, si chiese
se effettivamente lei fosse come tutti gli altri per lui. Nella
folla dei suoi compagni e quelli di altre divisioni, si sentiva come
uno dei tanti, e il nobile Byakuya, infatti, non mostrava alcun tipo di
trattamento diverso per lei. Neanche uno sguardo di chi con gli occhi
voleva dirti di averti notato fra tutti. Non che in verità se lo
aspettasse o lo volesse, ma una parte di lei per qualche motivo era
sempre attenta ai suoi atteggiamenti, se si mostrasse interessato a
lei, almeno ogni tanto, come sorella.
Camminarono a
lungo, procedendo con un passo moderato. In effetti, erano in perfetto
orario con la tabella di marcia. Mentre avanzavano, Rukia si mostrò
disinvolta con i suoi compagni, e quasi non badò più al fratello, che
invece non l’aveva persa di vista un solo attimo. Era un’abilità di
Byakuya Kuchiki quella di apparire tutto ciò che in realtà non fosse.
Era
indubbiamente cambiato e recentemente si apriva di più agli altri,
seppur nei suoi standard. Tuttavia per quanto riguardava i suoi
sentimenti o i suoi pensieri, preferiva comunque che nessuno vedesse
oltre il suo sguardo, e faceva di tutto perché questo non mutasse. Non
perchè non volesse essere compreso, ma perché preferiva così. Non c’era
neanche un motivo effettivo oramai. Forse la sua educazione o il suo
tipo di carattere lo avevano portato a prediligere la distanza dagli
altri, ma lui non se n’era mai fatto un problema. Era qualcosa di così
normale da venirgli del tutto spontaneo nella maggior parte dei casi.
Casi che non prevedevano la sorella adottiva, per la quale cercava di
mostrarsi più disinvolto, ma davvero non riusciva. Manifestare i suoi
sentimenti era sempre stato il suo limite, e nel momento nel quale
apriva appena uno spiraglio, era subito pronto a richiuderlo poiché
impaurito che la porta potesse improvvisamente spalancarsi del tutto.
Non era
sicuro di volerlo, e la cosa lo metteva in allarme agli albori, e così
preferiva rimanere distaccato. Era in quella dimensione che il
capofamiglia Kuchiki e capitano della sesta divisione del gotei aveva
imparato a vivere, e seppure agli occhi degli altri fosse difficile
immaginarsi ed immedesimarsi nella sua mente, per lui tutto scorreva
così naturale che non vedeva altro modo di concepire le cose.
Questo finché
non veniva messo alla prova, ovviamente. Di recente si era aperto a
nuovi orizzonti, ma il cammino per cambiare le sue abitudini era lungo,
ma non così impossibile.
Arrivati a
destinazione, tutti posarono i loro effetti sul terreno secco, e
presero a montare le tende. Si era già fatta sera, ma nessuno era
stanco. Erano tutti shinigami addestrati, una lunga camminata non era
un problema per nessuno di quel livello.
Byakuya si
ritirò nella sua tenda e Rukia lo vide sparire oltre il sipario, con
una punta di amarezza dentro. Ritornò poi al fuoco che era stato acceso
dagli altri shingami e col quale lei si stava riscaldando.
“Ordini dal
capitano Ukitake! Coloro che fanno parte della tredicesima compagnia
devono proseguire a sud. Rinfrescatevi, poi partite subito per
l’ispezione.”
Uno shingami
della sua compagnia che, in effetti, conosceva di vista, si era alzato
ed aveva annunciato le volontà del loro capitano, verso le quali
Byakuya non mostrò alcuna obbiezione, essendo rimasto in disparte.
Rukia non
seguì i suoi compagni e si diresse ad ovest come invece il signor
Ukitake le aveva detto. Assieme a lei si avviarono altri shinigami, ai
quali probabilmente aveva conferito lo stesso ordine. La loro si rivelò
un’ispezione infruttuosa, dato che di hollow non vi fu neanche l’ombra,
ma d’altra parte era meglio così. Voleva dire che quella zona era
abbastanza tranquilla. In fin dei conti quella non era mai stata una
zona troppo infestata, quindi era sollevante sapere che continuasse ad
esserlo.
Mentre
continuavano i consueti controlli, Rukia si spostò sulla terra ferma.
Trovava inutile continuare ad ispezionare dall’alto, avrebbe dato
un’occhiata anche giù. Girovagò per diversi minuti, ma non avvertì
alcun reiatsu, a parte quello dei suoi compagni. Ad un certo punto
qualcosa la pizzicò appena sulle spalle, e lei si girò così di scatto
che la cosa che l’aveva toccata quasi non ebbe il tempo di vedere quel
movimento. Se quel qualcosa non fosse stato Byakuya Kuchiki ovviamente.
L’uomo era conosciuto per la sua velocità, infatti si era scansato
senza alcun minimo sforzo da quel inaspettato attacco, che al contrario
aveva atterrito la povera Rukia, che si sentì il cuore in gola per ciò
che aveva cercato di fare al nobile fratello. Subito si piegò in due,
facendo cascare i capelli neri tutti davanti al viso.
“Chiedo
scusa, fratello! Ho reagito d’istinto!” disse lei, sentendo il viso
infuocarsi sempre di più. Tuttavia Byakuya non la curò, e, anzi, la
superò continuando a camminare come se nulla fosse.
“Byakuya?!”
esclamò Rukia alzando appena gli occhi e vedendolo andare via.
Costatando che fosse quasi fuori dal suo campo visivo, si riposizionò
dritta, non badando se la forma dei suoi capelli fosse ritornata al suo
posto, e gli corse incontro.
“Fratello,
hai scoperto qualcosa?” chiese camminandogli di fianco e cercando di
interpretare la sua presenza lì. Ma lui non rispose e continuò ad
avanzare, quasi come se non gli avesse parlato affatto. Rukia rimase ad
osservarlo e non comprese per nulla perchè lui si comportasse così.
Tuttavia le parole non le vennero, ne le pareva il caso criticarlo nel
bel mezzo di una ispezione, così si limitò a guardarlo con disapprovo,
e se lui avesse colto, sarebbe stato lui a parlare. Ciò tuttavia non
avvenne, così si ritrovarono a camminare assieme, in silenzio, avvolti
nella foschia sempre più fitta del bosco.
Fu una strana
atmosfera, nella quale la ragazza dai capelli neri non seppe dire come
si sentisse. Da una parte si sentiva inspiegabilmente a suo agio,
dall’altra avrebbe voluto dire molte cose, ma puntualmente, quando era
con lui, l’agitazione le impediva di essere disinvolta come avrebbe
voluto. Questo generava in lei una dicotomia che cominciava lentamente
a turbarla, non rendendola più in grado di godere con serenità quel
momento. Byakuya, sbirciando nella direzione della giovane ragazza, si
accorse del leggero turbamento che la stava assalendo. Rallentò il
passo, quasi come se avesse voluto darle il tempo di parlare, ma la
ragazza parve non accorgersene per nulla, ed infatti si ritrovò a
camminare poco più dietro di lei. Per provocazione, Byakuya fermò i
piedi e resto immobile a guardarla, aspettando che lei si accorgesse di
lui, cosa che quando avvenne in cuor suo lo divertì, ma che a Rukia non
piacque per niente. La ragazza fu visibilmente irritata da quel
comportamento infantile, poiché ancora non conosceva tutte le
sfaccettature del ragazzo dai capelli neri, quindi non sapeva mai come
prenderlo. Però i suoi improvvisi sbalzi d’umore stavano cominciando a
darle sui nervi e, se in precedenza aveva sempre cercato di non farci
caso, adesso stava diventando davvero insopportabile. Già era difficile
reggere l’atmosfera pesante che solo la presenza di un Kuchiki sapeva
attirare a se e su chi gli era intorno. Lui poi prendeva anche a
confonderla facendola sentire così stupida. Corrucciò la fronte e si
imbronciò, non importandosi affatto di avere un atteggiamento
irrispettoso. Si voltò di spalle verso di lui e gli parlò ad alta voce.
“Fratellone,
ci siamo fermati per qualche motivo?” disse non trattenendo il tono
irritato.
Byakuya non
rispose neanche questa volta, facendola innervosire ancora di più. Si
voltò di scatto, sperando di non dover insistere ulteriormente con lui,
ma non appena i suoi occhi guardarono alle sue spalle, si accorse che
lui era sparito. Sgranò gli occhi incredula. Non aveva sentito
assolutamente alcun rumore, ed era lì, pochi istanti prima. Dove era
andato senza neanche chiamarla? Si lasciò prendere dal panico, ma fu un
attimo veloce, poiché se lo ritrovò di nuovo dinanzi a sé non appena
riportò il busto nella posizione corretta. Sbandò quando si ritrovò il
naso contro il suo petto, e fu sicura di essersi fatta di tutti i
colori lì per lì, mentre si era accorta che con uno shunpo velocissimo
le si era parato davanti.
“Ma che razza
di scherzi sono?” esclamò a malapena, potendo solo in questo modo far
fuoriuscire tutto lo sgomento che le provocava quel ragazzo che più
passava il tempo e meno riusciva ad interpretare. Byakuya dal canto suo
la immobilizzò per il braccio quando lei fece per allontanarsi da lui,
trattenendola.
“Byakuya…cosa
fai?” disse non guardandolo negli occhi, rimanendo immobile a fissare
il suo petto coperto dal kimono scuro, con il sottile braccio fra le
sue mani che la teneva stretta a sé. Sentì il cuore palpitare forte e
tutte quelle emozioni, che già da prima della loro partenza avevano
cominciato a turbarla, di colpo precipitarono tutto di un botto sulla
sua pelle. Sentì delle trepidazioni forti che prima non aveva mai
provato. Percepiva solo il suo corpo desiderare la vicinanza del
ragazzo, e quello sfiorarsi appena le sembrò così atroce da sopportare,
che o avrebbe dovuto allontanarsi del tutto, oppure buttarsi fra quelle
braccia. E invece fu costretta in questa morsa, dove non sapeva per
davvero dove scappare. Byakuya non fece nulla per farla sentire più a
suo agio. Anzi, rimase immobile come lei, con il viso rilassato,
impossibile da interpretare, e gli occhi grigi fissi nel vuoto, mentre
lentamente piegava la testa per avvicinarsi a lei. La ragazza dai
capelli neri sentì il fiato del ragazzo soffiare appena fra i suoi
capelli. Lo percepì a stento, ma bastò per farla agitare ancora più
ulteriormente. Improvvisamente milioni di pensieri affollarono la sua
mente, riflessioni negative su ciò che stava accadendo fra di loro.
Verità che per entrambi sarebbe convenuto non sapere o addirittura non
ammettere. Loro erano fratelli adesso, e lei era la sorella della sua
defunta moglie. L’aveva adottata. Ciò che stava succedendo, ciò che in
verità era sempre stato, non doveva venir fuori. Sarebbe stato
incontrollabile. A maggior ragione ora che le cose erano migliorate tra
loro, non valeva la pena distruggere tutto. Cosa ne sarebbe stato di
loro se fosse venuta alla luce una cosa del genere? Era meglio tener
tutto celato, così come lo era stata per cinquant’anni. Rukia da sempre
aveva sentito forti emozioni per lui. Byakuya non era mai stato un
fratello. Era un ragazzo distante col quale aveva convissuto per tanti
anni senza che ci fosse stato alcun tipo di relazione fra loro. E tutto
questo aveva dovuto ponderarlo in pochi mesi dopo la sua adozione.
Quell’ uomo aveva cambiato la sua vita, e lei era rimasta folgorata da
lui. Ma tutto era già finito. Era finito nel momento nel quale aveva
giurato a se stessa che sarebbe diventata un membro di quella famiglia.
Aveva sfiorato le sue labbra e lì, in quel momento, era finito tutto.
Inoltre lui non si era mai mostrato interessato a lei in nulla, se non
se rispettasse i suoi obblighi e mantenesse un comportamento dignitoso.
Ultimamente invece ciò era cambiato, e la sua vicinanza aveva
cominciato a rompere quegli schemi che invece aveva imparato a far
suoi.
Da giovane
dovette guardarsi allo specchio e frantumare ogni cosa. Ogni suo
ricordo, ogni speranza, ogni cosa che fosse stata. E aveva dovuto pian
piano riprendere i cocci e dar loro una forma nuova. Ora stava andando
di nuovo tutto in frantumi. Ciò che era stato costruito con volontà ed
impegno, ma con il senso della frustrazione e della devozione, adesso
rivendicava ciò che era stato perduto, e questo non riguardava soltanto
lei.
Anche da
parte di Byakuya più di qualcosa era cambiato da quando era tornato sui
suoi passi, durante la esecuzione di Rukia pochi anni addietro. Ed
adesso che dovevano ricominciare daccapo, stava fuoriuscendo ciò che
era rimasto congelato ed incatenato per moltissimi anni, anche se
sconveniente per entrambi. E la cosa più strana era che, Byakuya, che
aveva sconvolto il mondo dell’allora giovane Rukia, adesso fosse colui
che lo stava sconvolgendo nuovamente. Dopo che lei aveva lottato per
farsene una ragione, per vivere nella sua nuova realtà, dove lui era
suo fratello maggiore, e non il nobile Byakuya.
Così la bruna
premette violentemente sull’addome del ragazzo e si allontanò di colpo,
riuscendo ad approfittare di un momento di abbandono del ragazzo.
“B-Byakuya…”
Rukia era paralizzata. Era partita pronta per dire molte cose, per
rimproverare il suo comportamento, e invece dalle sue labbra era uscito
solo quel nome in modo ridicolmente tremolante. Byakuya rimase ad
osservarla, comprendendo l’angoscia e la confusione della giovane
ragazza. Tuttavia questa volta non indugiò. In verità era pronto a
voler chiarire con lei, ed era un qualcosa che mirava a fare già da
molto tempo. Inizialmente aveva deciso di desistere, ma poi si era reso
conto che qualcosa era cambiato nel suo cuore, e con tutte le
probabilità non era più disposto a mentire. Se lei avesse rifiutato,
era perfettamente lucido per accettarlo, ma per una volta nella sua
vita voleva mettere le carte in tavola e scoprire il suo mazzo. Il dopo
non avrebbe avuto importanza.
“…Non…non va
bene, fratello.” Rukia puntualizzò su quell’ultima parola, e Byakuya ci
fece prontamente caso. “Non…” insistette lei imbarazzatissima, non
sapendo per niente cosa dire o come parlare. La sua bocca si asciugò
del tutto e la sua mente non rispose. Byakuya le si avvicinò, mosse una
mano verso di lei ma, mentre era arrivata fino a sfiorarle il viso, la
ritirò. Non volle toccarla. Rukia osservò attentamente tutta la scena,
immobile come se fosse diventata una bambola di cera. Byakuya si girò
di spalle facendo ondeggiare la lunga sciarpa bianca e l’haori da
capitano, dopodiché, con un veloce passo lampo, sparì dalla sua vista,
dicendole appena poche parole.
“L’ispezione
per oggi è finita. Torna all’accampamento.”
Le foglie ai
suoi piedi si alzarono da terra accompagnando il movimento scattante
col quale lui era andato via. Una volta dileguato, Rukia cadde sulle
ginocchia, atterrita. Non sapeva che svolta stesse prendendo la sua
vita. Non sapeva cosa fare, non sapeva se ragionarci, oppure fosse
meglio preservare la sua mente da quei pensieri turbolenti. La cosa che
la spiazzò di più fu accorgersi dopo cinquant’anni di amarlo ancora.
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