Anime & Manga > Bleach
Segui la storia  |       
Autore: fiammah_grace    26/12/2010    2 recensioni
Ambientata durante i primi mesi dell'adozione di Rukia nella famiglia Kuchiki. Un mondo sfarzoso, immenso, troppo grande per una persona proveniente dal rukongai che aveva sempre lottato per ottenere tutto. Cosa sarebbe rimasto della sua vecchia vita? A cosa stava andando incontro?
Uno specchio frantumato, schegge di ricordi e sogni che non potevano più intersecarsi con questa nuova realtà che le era stata imposta. Ed in tutto questo, l'unica persona che non riusciva a comprendere era proprio lui, Byakuya Kuchiki. Nobile, autoritario e distaccato, sembrava non importarsi nulla di lei. Eppure aveva saputo che era stato proprio lui a volere questa adozione...a sconvolgere la sua vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Byakuya Kuchiki, Kuchiki Rukia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Probabilmente il prossimo capitolo sarà quello che chiuderà questa fanfiction.
Dico probabilmente perché, seguendo la cronologia degni eventi che mi sono prefissata di inserire, dovrebbe essere così. Ma la mia mente galoppa quando scrivo, ancora di più quando ciò riguarda personaggi a me cari come Byakuya e Rukia.
Non sono poche, infatti, le scene che ho inserito in questo capitolo e che non avevo immaginato precedentemente.
Son fatta così!^^
Spero che io stia continuando a trattare i personaggi protagonisti in modo IC,  è una cosa alla quale tengo molto, anche adesso che le cose stanno andando avanti ed ho dovuto “osare” un po’ di più se volevo avviare a trattare  la coppia.
L’idea di ambientare la storia,  ad un certo punto, nel “futuro” l’avevo fin dall’inizio, poiché non immagino che una ByaRuki potrebbe concretizzarsi nelle circostanze passate o attuali del manga.
La descrizione presente nel mezzo della storia , che avvia questo flash nel futuro, fa chiaramente riferimento agli eventi narrati in Bleach che riguardano Byakuya e Rukia.
Mi riferisco quindi  alla loro lontananza, come siano divenuti due estranei in casa, la storia di Rukia con Kaien, e poi l’esecuzione , che li ha portati a sconvolgere tutto con il ritornare sui suoi passi di Byakuya.
Questa prima parte della fanfic è stata volta a giustificare la frase che Rukia stessa pronunciò prima della sua esecuzione a Renji, ovvero che già sapeva che Byakuya non avrebbe fatto nulla per aiutarla. E quindi perché accetta la sua condanna.
Ho voluto spiegare il tutto tramite questa storia , e le milioni di sfaccettature che possono essere interpretate.
Io ne ho trattata qualcuna durante i capitoli già scritti, e spero che il mio discorso non sia uscito troppo contorto nel complesso.
Ho provato a  fuoriuscire il discorso durante tutta la fanfic fino ad ora.
Questo capitolo, fino a metà,  è solo il culmine, per poter poi permettere a me di trattare la ByakuyaxRukia in maniera “realistica” adesso, diciamo.
Dopo aver premesso le tante cose che dovevano essere tenute presenti, prima di trattarli come un pairing.
Spero di essere riuscita nell’intento.
Un’ultima cosa. L’ho già scritto durante il capitolo, ma lo ripeto anche qui.
In questo nuovo contesto, ambientato “dopo gli eventi di Bleach”, immaginatevi una Rukia di diciannove anni, ed un Byakuya sui trent’anni grossomodo.
Ho visto che lo scorso capitolo ha avuto molte visualizzazioni, spero mi farete sapere come sto continuando.
Ora vi lascio al nuovo capitolo.
Ci vediamo al prossimo aggiornamento. Grazie a coloro che mi sostengono e che mi sosterranno. Vi auguro un buon anno nuovo !!   

Grace


-------------------



CAPITOLO 4.  Everything burn



Un uomo il cui desiderio è essere qualcosa di diverso da se stesso, riesce invariabilmente a diventare ciò che vuole. Questa è la punizione. Coloro che vogliono una maschera devono indossarla.
[Oscar Wilde]


Il gotei era già in piena attività lavorativa. Gli shinigami nelle loro scure divise giravano da una parte all’altra impegnati ognuno nei loro diversi compiti, non badando neanche alla splendida giornata di quella mattina che illuminava ogni singolo angolo di quell’imponente struttura sotto un limpido cielo azzurro. Tra quel via vai, una ragazza dai capelli folti e neri era adagiata su una panca, assorta nei suoi pensieri, confondendosi anch’ella fra le anime nelle vesti nere di shinigami. I suoi occhi erano volutamente rivolti al pavimento, e sembrava voler rimanere in disparte. I capelli lentamente le scivolarono sul viso, chiudendolo quasi un sipario, e fu a quel punto che ella alzò delicatamente gli occhi. Cominciò a scrutare l’ambiente intorno e a osservare i volti e le espressioni degli shinigami che passavano. Molti non si curavano affatto di lei, e in verità Rukia Kuchiki preferiva che fosse così. Odiava quando, passando, leggeva negli occhi di chi la guardava una qualche nota che le facesse intendere che l’avesse riconosciuta nel neo membro della famiglia Kuchiki. Sapeva infatti di non essere benvoluta da molti shinigami che avevano studiato sodo per entrare a far parte del gotei. Lei invece? Byakuya l’aveva portata con sé e l’aveva direttamente inserita in quel contesto. Lei si era applicata ed aveva ripreso gli studi, ma solo per soddisfazione personale, perché a fatti non ne avrebbe avuto alcun bisogno.
La famiglia Kuchiki era abbastanza potente da poterle assicurare un posto di lavoro.
Sospirò. Comprendeva di conseguenza perfettamente i sentimenti di chi le era intorno. Non era per niente assurdo che in molti la guardassero con disapprovo. Non era per niente incomprensibile che parlassero alle sue spalle. Nonostante avesse voluto urlare al mondo quanto tutto questo le facesse male, e quali fossero invece le reali circostanze. I suoi sentimenti di amore, rispetto, eppure di sofferenza verso quella famiglia che da un lato le aveva dato tutto, e dall’altro le aveva negato la sua vita. Portò una mano sul viso, il sole aveva cominciato a mandare raggi nella sua direzione, così dovette ripararsi in qualche modo. In verità non le dispiaceva poter alzare finalmente il viso, non più avvolto nell’ombra dei suoi pensieri, ma alla luce del calore solare.
Fu in quel momento che, mentre passavano altri shinigami, qualcuno parve indicarla vistosamente ed essere prontamente azzittito dal suo collega che gli era di fianco. Rukia quasi sbandò. Non era ancora abituata ad esser indicata a quel modo, e quelle parole che non riuscì a sentire, ma intuì perfettamente, la fecero abbuiare. Preferiva nettamente quando riusciva a rimanere in disparte, almeno quando le circostanze erano quelle attuali.
A differenza dei suoi parenti, aveva persino rifiutato di indossare gioielli di famiglia, che invece persone come Byakuya ostentavano senza alcun problema, fieri di rappresentare chi fossero, e determinati a voler farsi riconoscere nel loro titolo di famiglia nobile.
Questo non solo per non farsi riconoscere, ma anche perché non faceva parte di lei avere tante ricchezze.
Ritornò a guardare in direzione dello shinigami che l’aveva indicata, oramai si era mescolato tra la folla, non era più in grado di distinguerlo. Dentro di sè però sentiva una forte consapevolezza, ovvero che quella probabilmente fosse una delle persone più oneste li dentro, dietro quei volti ipocriti che pensavano esattamente la stessa cosa su di lei. 
Perché lei non era certo come Byakuya o come tutti i membri del casato Kuchiki. No. Lei era un’anima proveniente dal rukongai e adottata. Quel rispetto che i Kuchiki si erano guadagnati a lei non apparteneva. Lei era solo il cagnolino grato, e per questo sentiva di doversi tenere quelle critiche, o almeno fintanto che avesse potuto dimostrare il suo valore. Con la sua bravura e la sua prontezza nel lavoro di shinigami avrebbe dimostrato quanto invece Rukia Kuchiki fosse qualcuno, e non solo una povera fortunata. Perché a differenza di molti, lei era sì stata agevolata e anzi, aveva avuto molto di più di quanto potesse auspicare nella vita. Ma le sue ambizioni non si sarebbero fermate a questo. Aveva già ottenuto tutto ciò che da bambina aveva desiderato ardentemente di raggiungere, ma non per questo si sarebbe sentita già finita. La sua lotta sarebbe appena cominciata, nel momento nel quale avrebbe potuto dimostrare chi fosse e quanto valesse sul campo. Anche se aveva lavorato meno degli altri per arrivare fin li, non voleva dire che non potesse essere uno di loro. E chissà, magari sarebbe riuscita persino a farsi conoscere.
La solitudine la stava lacerando, il fatto di essere giudicata senza che nessuno la conoscesse era devastante, ed il bisogno di essere compresa si faceva sempre più vivo e forte. Ma quell’oppressione era destinata ancora una volta a tornare dentro di se. Al momento l’unica cosa da fare era cercare di reagire in qualche modo, anche se da sola.
Era questo il suo attuale scopo della vita. Se non poteva più lottare per affermarsi professionalmente, voleva almeno costruire il suo mondo per quel che restava di esso. Era una shinigami e avrebbe lavorato come una shinigami, e su questo nessuno avrebbe dovuto avere nulla da ridire.
Almeno in questo i Kuchiki non sarebbero centrati un bel niente.
Ad un tratto qualcuno attirò nuovamente le sue attenzioni. Uno shingami di rango superiore chiamò a raduno tutti i membri della divisione tredici, alla quale era stata assegnata, al momento come un semplice shinigami.
Si alzò e si diresse in quella direzione, mischiandosi fra gli altri membri che accorsero allo stesso tempo, pronti al lavoro, esattamente come lei.

Intanto sopraggiunse la sera. Quel tiepido tepore del giorno, venne lentamente sostituendosi con la brezza della notte, che oscurò il cielo più in fretta che negli altri giorni.
La villa Kuchiki era immersa nelle splendide luci giallognole delle luminarie appese sulle pareti, che contornavano gran parte della casa evidenziandone la grandiosa struttura imponente e nobile. Attorno ad essa il giardino aveva assunto delle tinte scure, spezzate dal delicatissimo rosa degli alberi di ciliegio in fiore, caratteristici di quella casa per la loro cura e bellezza, le cui fronde erano appena cullate dal lieve venticello alzatosi da pochissimi minuti.
Regno assoluto di tanta magnificenza era un sacrale silenzio che si infondeva fin nei meandri più sperduti dell’abitazione, se tale poteva essere definita. Perché la villa della famiglia Kuchiki, più che una casa, era il fulcro di una tradizione nobile secolare tramandata di generazione in generazione. Dove le rigide regole che la governavano erano in realtà quelle che vi vivevano, sovrane assolute ed immutabili.
Assorto in una di quelle stanze, isolato nei suoi pensieri fra le quattro mura di una stanza vuota, il giovane uomo dai capelli neri, futuro capofamiglia, era seduto a tavolino, illuminato dalla sola luce fioca di una candela accesa oramai da molto. La cera aveva preso a colare deformandone la conformazione e riducendola più della sua metà. Il ragazzo però non la curò per niente e rimase eretto a meditare. Nei suoi occhi erano materializzati pensieri ed immagini nelle quali si abbandonava, ragionandoci ore della sua giornata, perdendo ogni cognizione del tempo.  Ad un certo punto tutto si spense e quell’atmosfera fu completamente spezzata dal fruscio del fusuma, che era stato aperto improvvisamente.

“Fratello?”

Byakuya lentamente girò lo sguardo, non voltandosi, mantenendo eretto il busto e il capo in avanti; ma con gli occhi scrutò la figura alle sue spalle. La ragazza, mostrandosi vogliosa di parlare e di renderlo partecipe, ma al contempo forzatamente contenuta per non sbilanciarsi più del dovuto temendo di essere maleducata, lo guardò con i suoi occhi luminosi e mosse appena le sottili labbra.

“Sono a casa, volevo solo dirti questo.”

L’uomo rimase fisso a guardarla con la coda dell’occhio per qualche istante, dopodichè riposizionò lo sguardo dritto dinanzi a sé, e si richiuse nel silenzio. Solo dopo parlò.

“Non voglio essere disturbato.” Disse con voce bassa, ma solenne, ma che bastò come sempre nel spezzare il cuore della giovane Rukia Kuchiki, che ancora una volta si sentì respinta da colui che invece avrebbe dovuto essere un fratello per lei.
La bruna abbassò il viso, e quasi tempestivamente richiuse il fusuma, non volendo incombere in ulteriori rimproveri da parte sua.
Non era più frustante come quando lo era all’inizio, ma essere rifiutata a quel modo da lui era un qualcosa a cui nessuno che avesse vissuto quella situazione avrebbe potuto sorvolare. Incrociare quegli occhi, quella imponenza, reggere un tale sguardo o le sue parole, che anche se poche e dal tono debole, erano come un proiettile, che sapeva esattamente dove colpire, per poi separarsi in mille pezzi in più nelle viscere al fine di uccidere. Era questo che sentiva ogni qual volta lo vedeva.
In tutto questo nutriva un profondo rispetto e ammirazione per lui. Era un uomo eccezionale, che nonostante la giovane età era all’altezza di un casato che sicuramente esigeva molto da lui. Per di più nutriva un profondo affetto per lui, che oramai stava diventando un familiare anche per lei, anche se i suoi sentimenti erano ancora così confusi. Considerare alla sua età un ragazzo adulto come fratello, così, di punto in bianco, era pressappoco impossibile. Sentiva però un calore verso di lui, dovuto in parte alla riconoscenza per ciò che comunque aveva ricevuto da quella famiglia e di cui lui era il fautore assoluto. Ma non solo.
A quel punto Rukia si fermo immobilizzando i piedi a terra.
Lui doveva senz’altro sapere che lei adesso fosse a conoscenza della verità sulla sua adozione. Non era un caso, ne era sicura, se era stato proprio da quel giorno che Byakuya si era chiuso ancora di più in se stesso, disinteressandosi quasi completamente di lei. Non che prima avessero un rapporto, ma credeva che lui avesse più una personalità solitaria che un menefreghismo nei suoi riguardi. Invece la giovane ragazza dai capelli neri si era ritrovata completamente sola, priva del calore che invece avrebbe dovuto avere una famiglia. Circondata da ricchezza e magnificenza, ma priva di tutto il resto.
Si poggiò con la schiena contro la parete e guardò il cielo costellato di stelle che si intravedeva attraverso le fronde degli alberi del giardino.
Non poteva fare ancora a meno di chiedersi perché. Spesso il sospetto che lui la odiasse era davvero forte, ma se almeno fosse stato così, avrebbe potuto farsene una ragione. Il vero problema era che lui non le faceva capire nulla.
Non le faceva mancare niente, amministrava la casa, si prendeva cura di lei e tutto. Ma in compenso erano due estranei che vivevano sotto lo stesso tetto. Fino a che punto ciò poteva dipendere dalla sua personalità chiusa? Era certa che ci fosse dell’altro. Il motivo della sua somiglianza alla sua defunta moglie, Hisana, non era un motivo abbastanza valido per giustificare la sua adozione in quella famiglia. Ma lo era per spiegare il perché di quel comportamento, anche se la risposta non le piaceva.
Il nobile Byakuya la odiava forse proprio per questa sua somiglianza con quella donna?
Eppure anche in un’ipotesi del genere, molte cose discordavano dalla realtà, e molte altre domande si congiungevano.
Al momento l’unica realtà presente ai suoi occhi era questa. Che lui di lei non se ne importasse proprio.

Altrove, il nobile Byakuya dall’irruzione in quella stanza della sorellastra non era riuscito a riprendere il filo del flusso dei suoi pensieri, che si oramai disperso nel mare della sua mente. Il suo aspetto era composto e regale, in scalfibile come sempre. Il suo sguardo tuttavia era l’unica cosa che lo tradiva. Normalmente il suo viso era del tutto neutro ed apatico, molto severo ed autorevole. Il tutto trapelato da due occhi grigi, di ghiaccio. Questa volta invece Byakuya Kuchiki era visibilmente turbato. Era da un po’ che ogni cosa, che un tempo regolava la sua vita e metteva legge al suo comportamento, aveva cominciato a vacillare e sempre più spesso non era più in grado di dominare se stesso. Cercava in tutti i modi di non venire a mancare a nulla di ciò che potesse aspettarsi da un membro del clan Kuchiki, ma più passava il tempo e più si rendeva conto di quante fossero le situazioni che condizionavano in maniera differente la sua vita.  Differente da come avrebbe dovuto essere. Mantenere un comportamento prestigioso era il minimo che potesse essere richiesto ad un uomo nobile. In pratica sarebbe anche potuto apparire ciò che voleva essere, ma dentro di se vigeva un mare burrascoso, non possibile da calmare alle circostanze attuali.
Il ragazzo alzò la testa. I lunghi capelli neri adagiati sulle spalle si mossero insieme al lieve movimento del suo capo, e si spostarono sottili e appena distribuiti sulle ampie spalle coperte dall’haori. La stanza vuota rappresentava perfettamente lo stato di solitudine che albergava nel suo cuore, una solitudine dovuta al fatto di essere costretto a chiudersi e non rivelare alcun turbamento o preoccupazione che in realtà lo affliggeva. Perché la sua immagine non doveva venire mai a mancare.
Il suo essere rappresentante di un nobile casato esigeva delle pretese cui era stato abituato di non mancare mai, in nessuna circostanza. Eppure la vita continuava a metterlo alla prova, e lui doveva continuare a ingoiare, a chiudersi in una continua solitudine, sperando di reggere sempre. Gli si figurò nella mente l’immagine di Rukia, e a quel punto la sua espressione diventò più rabbiosa e il suo cuore prese a palpitare più forte. Non voleva soccombere ai cui sentimenti, non poteva. Aveva giurato a se stesso che dopo l’adozione della giovane, non avrebbe mai più violato le sue leggi, sia della Soul Society, che della sua famiglia. Aveva giurato che mai più lo scandalo o il disonore avrebbe toccato il suo casato. Per questo Rukia doveva stargli lontano. Provava più di una semplice tenerezza nei riguardi della ragazza. La sua tenacia nel diventare una di loro, spesso il suo temperamento impulsivo rispetto quello di uno come lui, aveva più volte smosso qualcosa dentro di lui. La vedeva alzarsi presto, allenarsi con la zanpakuto, con il kido, per poi subito indossare le vesti di nobil donna e partecipare alle lezioni che le aveva imposto per la sua educazione. Con le sue forze la vedeva cercare di inserirsi nel gotei, senza che lei sapesse che in realtà per lei fosse già stato tutto deciso. La osservava quando perdeva le staffe e reagiva, o quando invece cercava di contenersi sperando di aver fatto la scelta giusta e di diventare così pian piano una degna Kuchiki. Quando poi la vedeva sola con se stessa, vestita in modo più grossolano, con le gambe accavallate in modo non curante, e il viso chino coperto dai folti capelli neri, la ragazza assumeva un’immagine a lui assolutamente nuova da vedere addosso una donna, e questo lo affascinava completamente. Gli piaceva vedere in lei cose che non aveva mai visto in altre persone, ma non voleva affezionarsi a lei per questo. Non doveva permettere che i suoi sentimenti maturassero in direzioni a lui poi incontrollabili. Ancora di più perché erano imparentati e a tutti gli effetti lei era riconosciuta dalla società come sua sorella minore. Qualunque altra situazione si fosse aggiunta al loro rapporto, doveva essere ben lontana dall’amore.
Per lei doveva essere formalmente un fratello, ma sostanzialmente un pilastro del casato Kuchiki e nient’altro, per questo doveva tenere in alto la sua autorevolezza e mostrarsi distante con tutte le sue forze. Nulla doveva evolvere.
Piegò così le gambe e si alzò. Solo allora, guardandosi in giro, notò che la debole luce della candela che aveva acceso nel tardo pomeriggio ora era quasi completamente spenta, e la cera completamente sciolta. La penombra gli fece accorgere di quanto la sua vista si fosse sforzata fino a quel momento, così portò delicatamente le mani sull’imboccatura del naso cercando di rilassare la mente. Riaprì gli occhi, dopodichè, leggiadro, abbandonò la stanza.
Si ritrovò in giardino, le cui tinte andavano tutte sul blu notte, e fu in quel momento che si chiese quanto tempo avesse passato effettivamente chiuso in quella stanza. Continuò la sua perlustrazione e rientrando in casa si accorse che anche le luci dentro fossero spente. Si guardò intorno, riflettendo su quanto fosse desolata quella notte, priva di alcun rumore. Si ritrovò a girovagare, distratto da quei pensieri in verità non troppo felici. Neppure uno come lui trovava piacevole tanto silenzio, addirittura inquietante sotto molti aspetti. L’unica cosa da fare probabilmente era dormire, rimanere ancora in piedi non stava facendo altro che alimentare il suo stato d’animo che non era dei migliori quel giorno. Così si avviò verso la zona notte, dove erano sistemate le stanze da letto, e fu in quel frangente che un lieve sospiro attirò la sua attenzione.
Fu un sussurro così debole che li per li si chiese se lo avesse sentito per davvero. Fece qualche passo indietro e si affacciò oltre un fusuma lasciato aperto. Da questo intravide lo shoji spalancato, attraverso il quale poteva ammirarsi lo splendido cielo stellato, e una luna grandissima e bianca. Entrò appena nella stanza, la sua pelle illuminata da quella luce si fece ancora più candida, e i suoi occhi si dilatarono quando vide che seduta fuori c’era l’unico membro che animava quella casa.
Rukia era seduta sulla passerella di legno che contornava l’intera villa Kuchiki, alle sue spalle lo shoji aperto dal quale era uscita per poter ammirare quella notte. Fu in quel momento che Byakuya si accorse di quanto fosse luminosa quella notte, a differenza di quell’oscurità e desolazione che aveva avvertito una volta uscito dalla stanza in cui si era rinchiuso per gran parte della sera. Si chiese come avesse potuto non far caso a una luna così bella. Ammaliato da tale candore, lentamente il suo sguardo andò a posarsi sulla ragazza dai capelli neri, che non si era accorta della sua presenza. Mosse appena un passo, ma improvvisamente le viscere gli si contorsero e lo costrinsero a rimanere sulla sua postazione. Poggiò una mano sulla parete e rimase lì, immobile ad osservare la ragazza assorta anch’ella nei suoi pensieri. La vide muoversi, portare le gambe sul petto e stringerle. Osservò il colore del suo yukata, violaceo con delle decorazioni rosa pallide, che esaltava la sua pelle bianca in quell’atmosfera così suggestiva. Il suo sguardo si addolcì per qualche attimo che però non durò a lungo.
Infatti si girò e ritornò sui suoi passi, era per davvero stanco. Non poteva resistere a quell’immagine e rimanere fermo e immobile. Sapeva che nel profondo non ci sarebbe stato nulla di male, tuttavia erano i suoi precetti che non gli permettevano di muovere il passo.
Per il resto, la notte passò abbastanza velocemente nel momento nel quale chiuse gli occhi e il sonno dominò la sua mente.
Tutto era destinato a passare, ed in effetti era proprio su questo che contava Byakuya Kuchiki. Non sapeva però che non tutto può essere guarito, per così dire, dal tempo. Soprattutto nel campo dei sentimenti, le situazioni vanno generalmente chiarite e non lasciate al tempo, oppure un giorno ci si sarebbe potuti sorprendere di quanto questo passasse e di quanto le cose non cambiassero affatto.
Byakuya Kuchiki si sentiva in colpa di amare sua sorella.
Si sentiva in colpa perché lei rappresentava “la promessa” fatta a sua moglie. Perché era la sorella di quest’ultima. Si sentiva in colpa per la promessa fatta ai suoi padri. Eppure in realtà, in tutto questo, Rukia c’entrava ben poco.
La ragazza dai capelli neri era solo la spettatrice innocente che si era vista piombare addosso questa realtà da accettare, senza sapere nulla dei suoi effettivi legami con tutto ciò.
Motivi che lui non le avrebbe mai rivelato, perché lo aveva promesso.
Promesso…promesso…
Queste parole lo assillavano. Quante erano le cose che doveva tener in conto. Quanto ci fosse dietro ogni parola, ogni sguardo di Byakuya Kuchiki. Era una persona di principio, abituato a onorare i suoi compiti e la parola data. Giurare davanti ai suoi avi, promettere a sua moglie…erano un qualcosa che pesavano nella psicologia del ragazzo.
Anche la dove si preparava ad aprirsi un sipario differente dalle circostanze che allora gli si presentarono e che gli fecero fare ciò. Ma la sua tenacia consisteva proprio in questo.
Nel mantenere in alto ciò che fosse e che fosse tenuto ad essere, al di sopra delle circostanze.
Non avrebbe importato il resto, perché non avrebbe permesso mai più che il suo onore venisse di nuovo macchiato. Anche a costo di sacrificare ciò che fosse giusto. Rukia si collocava proprio nel mezzo, inconsapevole, di tutto questo. Negli anni passati assieme l’aveva vista sorridere per poi richiudersi in se stessa timorosa, fino a perdere ormai del tutto la voglia di stabilire un qualsiasi rapporto con lui.
Gli anni lentamente avevano scorso, portando con sé il flusso degli avvenimenti che intanto avevano caratterizzato l’esistenza della ragazza. L’avevano tradita promettendole speranze che invece furono destinate a cadere prima ancora che riuscissero a rialzarla. Prima fu lo stesso Byakuya,  poi ancora il suo primo amore… ed in tutto questo, colui che avrebbe dovuto esserle accanto, non lo aveva fatto. Se non come fratello maggiore, come familiare avrebbe dovuto sorreggerla di fronte alle difficoltà che spietate si erano scagliate contro una ragazzina il cui unico sogno era di alzarsi in quel distretto del rukongai e lottare per essere qualcuno nella vita. Il nobile Byakuya invece non le era rimasto accanto, e questo perché dei precetti glielo avevano vietato. Perchè la ragazza doveva tenersi lontano dalla sua vita, dove quel peso che aveva da sostenere sulle sue spalle, e che dopo la morte di suo nonno andò ad appesantirsi sempre di più, lo stava lacerando fino ad annullare quale fosse in verità ciò che avrebbe voluto e dovuto seguire. Rukia, in tutto questo, dove era collocata dunque per il giovane oramai capofamiglia Kuchiki?
La giovane dai capelli neri era nel suo cuore, emarginata in uno spazio lontano che ad un certo punto fu irraggiungibile anche per lui, che le era vicino ma in una concezione del tutto illogica da parte di una mente che non fosse quella di Byakuya Kuchiki.
Ed era così che erano passati cinquant’anni.
Cinquant’anni nel silenzio e nel tetro più assoluto in cui il ragazzo aveva visto mantenere le sue promesse, ma al contempo lentamente spegnersi l’entusiasmo di quella giovane ragazza che con tutte le sue forze invece aveva cercato di  far sopravvivere, ed essere insieme all’altezza del nome che adesso portava.
Da ragazzina che l’aveva ammaliato col suo modo di essere semplice e rozzo, almeno per come avrebbe dovuto essere una signora d’alta classe, si era trasformata in una giovane donna più preparata alla vita.  Resistere alle tante situazioni intercorse fra i due, aveva finito col distruggere quel po’ col quale erano partiti, ed era così che erano divenuti due estranei, Byakuya e Rukia.
Due fratelli solo di nome, così lontani che persino di fronte la morte, in virtù dei principi da rispettare, non portarono il giovane nobile a opporsi, quasi come se in realtà  quella fosse una parentesi che volesse chiudere una volta per tutte.
Dal canto suo, anche per la ragazza dai capelli neri era oramai chiara la psiche del fratellastro, ai suoi occhi disinteressato completamente a lei. Era consapevole che lo spazio dedicato a lei fosse insignificante di fronte al suo nome di Kuchiki. Per questo non aveva mai riposto tante speranze nell’aiuto del ragazzo. In alcuna occasione.
Eppure Byakuya nel suo cuore era continuato a rimanere segregato in quella dimensione che lei costruì da giovane. Una dimensione di odio ed amore la cui collocazione non esisteva effettivamente. Una realtà spiegabile solo per chi avesse vissuto la loro storia.
Vivere quest’angoscia ogni giorno li aveva portati a essere quello che solo pochi avrebbero potuto intendere, e cambiare le cose era un’ipotesi lontana se non inverosimile, se non fossero accadute le circostanze che invece sconvolsero la loro vita dopo cinquant’anni, finalmente.
Alla luce del tempo trascorso e di tutto ciò che era stato negato e distrutto, a cosa era valso quello che invece tutto quello per cui lui, Byakuya Kuchiki, aveva lottato?
Il castello lentamente era crollato. In così tanti anni erano accadute così tante cose, eppure niente allo stesso tempo.
I giorni erano scorsi, e il tempo era passato, bruciando tappe importanti che avrebbero dovuto percorrere assieme.
Tutto era rimasto sconvolto, e l’unica cosa da farsi dopo essere stati così lontani, era ricongiungersi finalmente.


Cinquant’anni dopo circa… [Dopo gli eventi del manga]



Chi sei?


Tu mi sfuggi.


Mi perseguiti.


La tua immagine mi sfianca.


Non so cosa sei, non so cosa dovresti essere.
Vedo una nebbia, un fumo bianco che avvolge tutto ciò che conosco.
Pian piano muta.
Dietro di esso vedo delle ombre.
Mi sembra di riconoscerle, ma non ne sono più certa. Non ora che non so neanche più chi sono.


Cosa c’è? Hai paura? Forza, alzati. Alzati e combatti. Abbi il coraggio di guardarmi negli occhi.

Ho paura.


Guardami!


Rukia Kuchiki aprì gli occhi. Deboli, intimoriti, non aveva per davvero la volontà di farlo. Si guardò in torno. Era tutto bianco. Si voltò dietro di se e si sentì smarrita. Era come se fosse sospesa nel cielo, fra le nuvole, in una foschia fredda e umida dove non era lasciato alcuno spazio neppure a un angolo d’azzurro del cielo. Tutto quel bianco cominciò a farle mancare il respiro, era spaventoso, asfissiante. Voleva andare via. Abbassò il viso e solo allora si accorse che i suoi piedi non toccavano da alcuna parte. Presa dal panico, mosse le gambe e sperò con tutta se stessa di andare via da quel posto. Nonostante si muovesse, tuttavia, aveva la sensazione di essere sempre nello stesso luogo. Quasi come se i suoi sforzi di camminare, correre, non rispondessero e ciò che stesse sotto i suoi piedi, non scorresse ai suoi passi. Si ritrovò così a muoversi sempre più forte, sempre di più, fino a sentirsi sfinita. Solo l’aria era a muoversi sotto i suoi piedi, perché nonostante quella corsa, era rimasta ferma sempre nello stesso punto. Stanca, il ritmo cominciò a calare e lentamente perse ogni speranza di continuare a scappare. Si fermò. Strinse le mani sulle spalle e pregò con tutta se stessa.

“Kuchiki Rukia. Ti sei decisa a fermarti, finalmente.”

Una voce dolce e soave richiamò la sua attenzione. Era un po’ disturbata poiché probabilmente proveniva da lontano, eppure all’orizzonte non vide nessuno. Sgranò meglio gli occhi e quell’ombra che aveva visto in precedenza cominciò a prendere forma. Era una figura candida, addirittura angelica. Eppure fisicamente sembrava rassomigliarle.
Le sembrò come guardarsi in uno specchio, ma più quella figura le si avvicinava, più sentiva l’ansia crescere.

“Kuchiki Rukia, perché?”

Rukia corrucciò la faccia non capendo. Gli occhi di quella donna sembravano infinitamente tristi. Erano enormi e luminosi, come se fossero colmi di lacrime.

“Perché cosa?” chiese appena, ma con determinazione mettendosi sulla difensiva.

“Kuchiki Rukia, perchè stai correndo?”

In quell’istante qualcosa mutò.
Improvvisamente l’aria si fece più fredda, e quel chiarore che la donna aveva portato con la sua apparsa, sparì del tutto. Rukia sgranò gli occhi ma fu troppo tardi prima che comprese di avere le mani della ragazza che le somigliava attorno al collo.

“A…Aiuto!!” urlò già quasi senza respiro, specchiandosi in due occhi iniettati di sangue che la trafiggevano aspettando che crollasse. “Co…s sta…” la mente cominciò ad annebbiarsi, la vista a cedere. Era sull’orlo del collasso.

Era finita.

“VuOi morIre, kUchIKi RUkiA?

La sua testa sembrò essere sull’orlo di scoppiare, gli occhi le pulsavano, le sue mani cominciarono a cedere.

No…

Non voglio morire….!

Non voglio morire!

Perché?

Perché lo stai facendo?!

Mi chiedi perché?

Perché sei tu che lo vuoi…

Vero, Kuchiki Rukia?

No…


No..!!

Non sentì più dolore. Le dita di quella sottile mano pallida superarono le sue più alte aspettative di forza e non riuscì a bloccarle. Oramai avevano preso la meglio su di lei e i suoi tempi di reazione non erano riusciti a salvarla. L’aria non aveva più raggiunto il suo cervello, non le avrebbe permesso di riottenere il controllo.
Così esse continuarono a triturarle il collo, mentre lei oramai aveva già perso la ragione. La sua bocca era aperta, e assaporava ciò che le ricordava l’aria…

Aria…aria…aria…

Aiuto!!

“Signorina Rukia?!”

“Aiuto!!”

“Signorina Kuchiki?!”

Sbarrò gli occhi.

La prima cosa che fece fu tirare un profondo respiro. Subito distinse l’ambiente, era nella sua stanza. Tutto quel candore che prima la stava soffocando era scomparso. E quell’ombra che stava cercando di ucciderla…era un sogno?
Rimase più di qualche istante sdraiata sul fusuma, mentre i servi si avvicinavano preoccupati.

“Signorina, è tutto a posto?”

“Perdonatemi, è stato solo un incubo.” Rukia Kuchiki finalmente sorrise, felice che si fosse svegliata.

Era da molto tempo che non le capitava di avere incubi. Si chiese il perché il quel sogno, ma probabilmente era il caso dimenticarsene. Non era sicura neanche se le due figure sognate fossero entrambe lei, o magari si trattasse di Hisana data la loro impressionante somiglianza, ma tutto al più erano solo le sue inutili angosce che talvolta assumevano forme assurde se non ridicole. Spesso aveva sentito dire che sognare la morte significava “cambiamento”, ed in effetti parecchie cose erano mutate negli ultimi anni, soprattutto a riguardo di lei e la fantomatica Hisana, la cui immagine l’aveva perseguitata per cinquant’anni, senza sapere neanche chi fosse.
Ora invece le cose erano diverse. Conosceva il suo “perché” tanto agognato, la sua connessione con tutto quelle che le fosse accaduto, ed era sincera quando diceva di voler profondamente bene a sua sorella.
Non aveva avuto la possibilità di conoscerla, ma nel suo cuore era come se facesse parte di lei in qualche modo. E sentiva di volerle bene.
No, stranamente non aveva provato alcun tipo di odio, niente, assolutamente niente.
Nonostante sapesse chi fosse stata lei in realtà. Era stata abbandonata da lei, forse sarebbe stato normale provare del risentimento. Ma niente di tutto questo la affliggeva. Non perché fosse una persona buona. Semplicemente il suo cuore era in pace. Anzi, sapere la verità finalmente aveva cambiato in positivo la sua vita, e si sentiva molto più fiduciosa e serena.
Perché adesso le cose avevano un senso. Finalmente.

Si avvicinò allo specchio.
Rukia aveva oramai diciannove anni umani. Fisicamente non era cambiata molto. Era sempre bassa, le sue forme restavano ancora ridicolmente poco sviluppate, come sempre suo malgrado, e i suoi grandi occhi blu ed espressivi erano sempre gli stessi che la caratterizzavano.
Nel suo viso però qualcosa era cambiato.
E non era solo per i suoi capelli che erano giusto un po’ più lunghi, rispetto com’era stata solita portarli per cinquant’anni. Le davano indubbiamente un aspetto più raffinato ed adulto per certi versi, quella lunghezza oltre le spalle, ma non era solo quello.
No. Era maturata, era più grande. Il suo sguardo, finalmente tornato fiero e determinato, era la prova di ciò.

“Renji è già qui?” disse tamponando gli occhi con un asciugamano umido, che riappoggiò sul vaso colmò d’acqua gentilmente sorrettole dai domestici.

“Sì, signorina, sta aspettando di sotto.” Le risposero cortesi, porgendole i vestiti.

“Ditegli che vengo subito.” Da sola la ragazza spostò lo yukata dalle sue spalle e si vestì ordinariamente con un semplice kimono per uscire.
Una volta pronta, si avvicinò al fusuma e fece per abbandonare la stanza, ma la cameriera la fermò.

“Signorina Rukia, e Byakuya?”

“Ditegli che sono uscita.” Detto questo, Rukia lasciò la stanza definitivamente, e velocemente si diresse verso il salotto dove era stato fatto accomodare il suo amico di vecchia data, nonché compagno da una vita, Abarai Renji.

“Buongiorno.” Esclamò la bruna introducendosi all’amico dai capelli fulvi, assumendo quel tipico tono rauco di chi si era svegliato da poco. Il ragazzo, udendo la voce dell’amica, mosse il capo nella sua direzione, allargò le labbra ed alzò le sue curiose sopraciglia a forma di saetta.

“Oh, eccoti! Sonno pesante, nanerottola?”

“Vuoi che ti saluti con un bel calcio in faccia, eh, Renji?” rispose lei a tono, scherzando, ma non che Rukia Kuchiki non lo avesse fatto per davvero se minimamente provocata. Era così che si comportava con gli amici, in maniera molto diretta.

“Oh, oh! Siamo nervosi già a primo mattino?” esordì Renji in tutta risposta, alzandosi in piedi, quasi a volerle far notare quanto fosse più grande e grosso rispetto a lei. Rukia alzò un sopraciglio ma non lo curò, portò una mano sulle tempie e scrollò la testa.

“Andiamo, non voglio far troppo tardi.” Detto ciò, quasi lo strattonò via di casa, e insieme abbandonarono villa Kuchiki e furono ben presto tra le vie del Sereitei, diretti al Gotei.
La giornata era mite e tiepida, ed era da qualche giorno che Renji e Rukia avevano preso l’abitudine di avviarsi insieme al lavoro, almeno nei giorni la settimana in cui i loro orari avevano delle coincidenze. La loro era una curiosa amicizia. Non si erano sentiti per così tanti anni, eppure una volta ripresi i contatti fu come se nulla fosse cambiato dai tempi in cui erano entrambi due ragazzini. Anche se magari non lo dicevano, erano entrambi sorpresi di questo. Dopotutto però non aveva alcuna importanza. Poter parlare liberamente con una persona cara era una sensazione che era mancata profondamente nella vita di Rukia. Anche adesso che con il nobile fratello le cose erano migliorate, comunque quella sensazione di calore e vicinanza le era ancora estranea, poiché l’aveva perduta per così tanto tempo che adesso era addirittura strano ritrovarla con tanta naturalità. In effetti, riportando alla mente Byakuya, ogni giorno si rendeva conto di quanto fossero cambiate le cose tra di loro. In verità a fatti sembravano entrambi quelli di sempre. Lui continuava a essere serio e distaccato, però talvolta lo aveva visto più umano e più interessato a lei. Questo in più di un’occasione l’aveva messa a disagio in verità.
Non era per niente abituata ad averlo vicino. Anche se abitavano sotto lo stesso tetto da anni, non avevano mai raggiunto alcun grado di confidenza, e se negli anni si era abituata a chiamarlo fratello, non era certo perché fossero tali. 
Questo le faceva sentire una strana morsa al cuore, una sensazione in verità che Byakuya aveva sempre provocato in lei, ma che credeva di essere riuscita a domare. E invece la vedeva riaccendersi con più ardore addirittura, ancora di più adesso forse proprio perché lo vedeva più spesso. Deglutì, e cercò di non mostrare il suo disagio all’amico, che per di più era anche il luogotenente di Byakuya, quindi non le andava di parlare di questo proprio a lui.
Naturalmente invece era Renji a raccontarle sempre del Capitano, certe volte non accorgendosi che in quel momento Rukia ne avesse fin sopra i capelli di sentire parlare di lui anche a lavoro. Anche il solo accennare al ragazzo dai sottili capelli neri le provocava delle curiose sensazioni, ma che voleva tenere a bada. Tuttavia ciò non era sempre possibile se tutto non faceva che ricordarglielo.

“Ehi, Rukia, guarda che ci siamo!”

La ragazza fu catapultata nel presente e si girò di scatto verso Renji.

“Siamo arrivati? Bene… ci vediamo dopo!”

Rukia subito si voltò e quasi scappando si allontanò dalla vista dell’amico che istintivamente tese una mano verso di lei, ma la ragazza era già troppo lontana. Rimase a osservarla per un bel pezzo, portando una mano sui capelli tirati nel suo solito  codino stretto. Era una donna alquanto strana, e la cosa più curiosa era che nella sua vita lei fosse fra le persone più “normali”. Rise fra sé, dopodiché si avvio verso il sesto dipartimento, la sua divisione di appartenenza.
Altrove, Rukia era finalmente giunta alla sua postazione e fu felice per una volta che il capitano Ukitake li tenesse impegnati praticamente tutta la mattina. Aveva assolutamente bisogno di scaricare la sua energia in qualcosa, ed ora come ora tante carte da mettere a posto andavano benissimo.
Passò il tempo, molto piacevolmente in verità, e sul tardi mentre rimetteva gli ultimi fascicoli al loro posto, una circolare col timbro della sesta divisione attirò la sua attenzione. Controllò la firma, ed era del luogotenente, Abarai Renji. La lesse distrattamente, tanto per dare un’occhiata, ma impallidì quando lesse il suo nome indicato tra le righe. Avvicinò a sé i fogli, non comprendendo. Era stata assegnata a una missione con la divisione sei e quell’imbranato non le aveva detto nulla?
Si sentì adirare. Parlavano di tante stupidaggini, poteva anche informarla! Fu però quando lesse più attentamente che capì di più. Infatti, era richiesta la firma anche dei rispettivi capitani delle due divisioni, sia la sesta che la tredici. Ciò voleva dire che senza l’autorizzazione di Byakuya, questa era pura carta straccia. Le si strinse il cuore riflettendo su quanto avessero ancora influenza su di lei le pretese del fratello, che non faceva che controllarla. Probabilmente era stato stesso lui a richiedere una sua autorizzazione quando si parlasse di lei. Riposizionò la carta fra gli altri fascicoli, dopodichè abbandonò la stanza annunciando il suo rientro a casa ai colleghi. Era stanca e voleva continuare il suo lavoro a casa, nel calore della sua stanza. Così prese in braccio il materiale ed andò.
Una volta arrivata, era giunta oramai la sera inoltrata. Sbirciò dentro ma la casa sembrava essere assolutamente vuota. Si diresse nello studio, dove Byakuya aveva l’abitudine di rinchiudersi quando non voleva essere disturbato, ma non vi era, così realizzò di essere sola in casa. Fece un sospiro di sollievo e ne approfittò per mettersi comoda e con calma finire il suo lavoro.
Fece prima tappa in camera sua, scese gli hakama, e rimase col kimono che le arrivava all’altezza di metà coscia. Si rimboccò le maniche e, dopo aver chiesto alla servitù di preparare il bagno, si mise subito al lavoro. Seppur stanca, le riuscì molto piacevolmente dedicarsi a questo. La concentrazione per una buona ora non le venne per nulla a mancare, nonostante avesse alle spalle tutta una giornata lavorativa al Gotei. La notte scese velocemente, e quasi non si accorse di quanto buio si stesse facendo. Fu quando una luce si accese improvvisamente che si accorse di essere stata china su quei fogli nell’oscurità. Sbandò quando, voltandosi, si accorse che ad aver acceso la luce era stato proprio suo fratello, probabilmente appena tornato.

“F-fratello! Sei tornato adesso?” chiese sinceramente sorpresa.

Byakuya la guardò con un viso assonnato, alzò appena le sopraciglia, dopodichè andò inaspettatamente a posizionarsi di fianco a lei.
Rukia rimase con gli occhi sbarrati, fissi ad osservarlo. Suo fratello non era certo quel tipo di persona che si avvicinava tanto per passare un po’ di tempo assieme, o per salutarsi, quindi quell’atteggiamento quasi la spiazzò. Dovette però subito mutare la sua espressione per non destar sospetto o indurre Byakuya a chiederle qualcosa, così ritornò a concentrarsi sulle sue carte. Stette china per diversi secondi, ma le sue attenzioni si erano oramai del tutto allontanate da quei compiti assegnatoli. Con la cosa dell’occhio sbirciò verso il ragazzo. Prima verso le sue gambe perfettamente inginocchiate, poi il suo sguardo salì percorrendo tutto il suo corpo perfettamente eretto, ma quando arrivò al viso, subito riportò lo sguardo dinanzi a sé perché anche lui la stava guardando. Aveva, infatti, incrociato i suoi occhi e la cosa era stata abbastanza imbarazzante visto che aveva cercato di spiare nella sua direzione e non farsi vedere. E invece lui se n’era accorto perfettamente. Si sentì morire e fu sicura che il suo viso fosse diventato paonazzo. Odiava sentire la sua faccia così calda, e al contempo le mani così fredde. Erano emozioni che non sopportava e si chiedeva perché si sentisse così proprio con lui. Intanto Byakuya allungò leggiadramente una mano, coperta dal candido guanto annodato sul dito medio, e sfilò alcune delle carte sulle quali Rukia stava lavorando. Rukia alzò subito la testa di fronte quel gesto e lo guardò sgomentata, mentre il respiro si era fermato nei polmoni costringendola in una posa alquanto rigida.

“E’ su questi, che stai lavorando?”

Rukia dovette ripensare alle sue parole più volte prima di connettere e conferire ad esse il loro significato. Agitatamente, poi annuì confermandogli quanto dedotto. Byakuya a quel punto non le dedicò più alcuno sguardo, e prese a esaminare una parte di quelle carte che la ragazza si era portata dal gotei. Rukia rimase esterrefatta. Suo fratello stava davvero lavorando assieme a lei, per aiutarla? Sentì un nodo in gola e le venne naturale cercare di far desistere suo fratello, visibilmente stanco.

“Lascia! Me ne posso occupare io, fratello. Davvero.” Intervenne dunque cortese Rukia. Il ragazzo tuttavia non si smosse minimamente e non le dedicò alcuna attenzione.

“Non darti pensiero.” Rispose lui solamente, laconico, rimanendo sulle sue, non scostando gli occhi dal foglio.

Rukia decise di non insistere. Conosceva abbastanza suo fratello da sapere quando era nella possibilità di farlo desistere, oppure no, nel fare qualcosa. Così ritornò anche lei ai suoi fogli e cercò di riprendere la concentrazione, quanto più potesse. Proprio in quel momento cominciò a sentire il peso della stanchezza. Gli occhi presero a bruciarle e dovette stringere i denti più volte per cercare di non sbadigliare. Eppure fino a quel momento si era sentita molto energica. Alzò il viso per la prima volta verso l’orologio appeso sulla parete e sbarrò gli occhi costatando che fosse oramai giunta la mezzanotte.  In quel momento sbirciò subito in direzione di Byakuya, e si chiese come mai il ragazzo avesse fatto quell’ora. Guardando però il suo viso completamente preso dalla lettura di un modulo, le parole si strozzarono in gola, non permettendole alcun tipo di reazione. Rimase con la testa girata verso di lui per un lunghissimo minuto, non riuscendo a distogliere lo sguardo e non pensando assolutamente a nulla. Fu dopo un po’ che si ricompose e ritornò con lo sguardo chino, ma la sua curiosità la portò a girare nuovamente gli occhi verso il fratello, e senza apparentemente un motivo, si disegnò un sottile sorriso sulle sue labbra. Stesso lei non capi esattamente cosa le prendesse, ma cominciò a palpitarle il cuore nel petto, così forte che per un attimo temette che lui potesse sentirlo. Così allungò una mano su di esso e premette leggermente. Fu allora che anche Byakuya finalmente scostò gli occhi da quei fascicoli. Inizialmente assorti e stanchi, le sue pupille si girarono verso di lei con un movimento veloce che quasi la fece sbandare. Istintivamente la ragazza si fece di pietra, incastrando la testa fra le spalle, e rimase immobile a fissarlo anche lei a sua volta, non sapendo cosa gli prendesse. Bastava un singolo movimento di Byakuya per far attirare la sua attenzione. Non era facile da spiegare, ma lui sapeva farsi comprendere a modo suo, e a lungo andare atteggiamenti insignificanti agli occhi degli altri, per chi lo conosceva divenivano dei veri e propri messaggi da codificare. Rukia non possedeva la loro chiave di lettura, ne credeva esistesse qualcuno che comprendesse fino in fondo i suoi atteggiamenti, ma aveva imparato a capire quali erano i segnali un po’ diversi dal solito. In questi casi, preferiva aspettare una sua mossa, anche se spesso l’attesa era così straziante da indurla più volte a chiedere lei stessa cosa succedesse. Cosa che in verità accadde anche questa volta. Infatti, dopo appena pochi secondi, la ragazza dai capelli neri schiuse le sottili labbra rosee e con un filo di voce si rivolse al fratello, non smettendo mai di rivolgergli i suoi grandi occhi cobalti.

“C’è qualcosa che ti turba…fratello?”

Byakuya rispose con un silenzio alla sua domanda, come succedeva spesso del resto.
La sua figura composta, inginocchiata con lei di fronte al tavolino a lavorare, e il suo viso a stento rivolto verso di lei comunicava un’immagine imponente seppur Byakuya non fosse un uomo grosso. Il contrasto del vestito scuro degli shinigami, e i suoi lunghi capelli neri, con la sua pelle bianca, in quel momento ebbe un effetto maggiore su di lei, e quasi le sembrò una figura spettrale. Non era qualcosa di negativo, ma trasmetteva un fascino nefasto e seducente. Il nobile Byakuya, illuminato dai raggi lunari, era inquietante e poetico insieme. Sembrava fuoriuscire da un libro illustrato. La magia di quell’atmosfera fu interrotta quando lui divincolò lo sguardo e ripose il pennino nel calamaio.

“Sei stata assegnata a una ispezione con la mia divisione.” Disse improvvisamente. Rukia ricordò subito del fascicolo trovato sulla scrivania di un ufficio del suo dipartimento, per cui subito informò il fratello di esserne a conoscenza.

“Sì. Avevo notato una circolare nella quale era stato richiesto il tuo consenso per farmi partecipare alla spedizione. Ti ringrazio per aver acconsentito.” Disse cogliendo ciò che probabilmente Byakuya voleva essere detto da lei. Sapeva quanto lui la controllasse, e anche se spesso lo trovava insopportabile, adesso sapeva perché lo facesse. Era giusto, quindi, che gli esprimesse gratitudine.
Fu sorpresa però quando si accorse che, al contrario, il fratello fosse rimasto fermo a guardarla con un’espressione che, in gergo Byakuya Kuchiki, poteva essere interpretata come sguardo confuso. Lui alzò le ciglia e piegò appena la testa, e i suoi sottili capelli assecondarono questo suo lento movimento.

“La mia firma era una richiesta puramente formale. Non era certo per consentire a te di andare oppure no. Ad ogni modo, non era questo ciò di cui volevo informarti. Non è di mia competenza. Le opportune indicazioni ti saranno date dal tuo capitano, il signor maestro Ukitake. Sappi che sono stato assegnato alla stessa unità anch’io.”

Rukia lì per lì non seppe a cosa dare importanza per primo. Se al fatto che questa volta Byakuya non avesse pilotato sul suo lavoro, se avesse detto una delle farsi più lunghe che gli avesse mai sentito dire, pur nella loro assoluta formalità, o se all’ultima frase, ovvero che lui sarebbe venuto con lei in quella equipe. Poi riflette meglio.
Che cosa aveva appena sentito?! Byakuya e lei…in una stessa missione?
Sbarrò gli occhi ancora di più di come già non fossero, tanto che sentì la pelle tirare sulla fronte, e la sua bocca si rimpicciolì tanto da temere che potesse sparire. Deglutì appena e parlò senza che le parole filtrassero prima per la sua mente, e che quindi si materializzassero nella forma tipica degli standard della famiglia Kuchiki. Gli parlò, infatti, come non succedeva da anni, in una maniera alquanto informale, che però non sembrò seccare per nulla il fratellone.

“Tu…vieni con me?”

“Esattamente.” Rispose lui tranquillo, con uno sguardo a dir la verità un po’ saccente, in confronto all’inespressività che caratterizzava il suo volto.

“E tu non c’entri niente?” insistette lei imperterrita, non rendendosene conto. Ma il ragazzo non vi fece troppo caso, ed anzi. Portò le nocche delle dita sulla bocca e continuò quella conversazione. Sembro addirittura divertito, si poteva dire.

“No.” Disse secco, con fare assolutamente placido e rilassato.

“Sì?”

“Sì.” Riconfermò lui rimanendo col mento poggiato sul dorso della mano, specchiandosi negli occhi di lei, che lo guardavano increduli e sbigottiti. Vedendola così confusa e alquanto dubbiosa, il ragazzo sorrise appena, intenerito in qualche modo. Ma la sua espressione rimase celata sotto le dita affusolate della sua mano. Così si alzò e le diede un paio di colpetti sulla testa, spostandole appena la folta chioma nera.

“Vai  a dormire, si è fatto tardi.” Detto questo, in pochi secondi sparì, lasciandola senza parole. Solo più tardi la ragazza sentì il viso infuocarsi, e non seppe se stesse scoppiando di rabbia per quel viso perfetto ed insopportabile del capofamiglia Kuchiki quando si comportava così, oppure se fosse per davvero confusa e stanca.
Ad ogni modo, dopo si alzò anche lei, e lentamente si diresse nella sua stanza. Si coricò e rimase per diversi minuti, prima di addormentarsi, ad osservare il soffitto, così buio da confondersi con l’infinito informe dell’ombra. Puntò gli occhi su quest’immagine indefinita per molto tempo senza neanche rendersene conto, finché il sonno sopraggiunse e crollò.

[…]

“Questo è tutto, ci vediamo domani. Oh! Kuchiki!”

Rukia, che si era già incamminata verso il suo ufficio, si girò in direzione del capitano Ukitake che l’aveva chiamata una volta finito il discorso sulla spedizione alla quale avrebbe partecipato assieme ad alcuni dei suoi compagni della tredicesima divisione.
Aveva loro illustrato ogni dettaglio, e sembrava una consueta ispezione in un bosco nelle vicinanze del rukongai. Niente di particolarmente pericoloso, sarebbero stati via soltanto pochi giorni, e la partenza era prevista già per l’indomani. Si riposizionò dritta unendo i piedi e guardò il signor Ukitake, con la sua aria malaticcia e indebolita che purtroppo non lo abbandonava mai, e purtroppo non per la sua effettiva età, che comunque era avanzata. Questo in verità le portava sempre un profondo dispiacere perché era una persona alla quale era particolarmente affezionata per i suoi modi gentili e molto garbati. Quella sua debolezza dovuta alle non ottimali condizioni di salute la intristivano profondamente, ancora di più se costatava che era abituale vederlo sempre così.

“Capitano, mi dica.” Disse prontamente al suo richiamo.

“Nulla d’importante. Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto per te.”

Rukia quasi si sorprese di quelle parole, ma cercò di non prendere a fantasticarci troppo. Si limitò ad annuire e basta. Intanto il Capitano continuò a parlare.

“Tu ti occuperai della zona ovest. Troverai tutto il materiale dove ho già indicato agli altri. In più, vorrei tu ti occupassi dei resoconti una volta che sarete tutti rientrati.”

“Certo. Me ne occuperò io.” affermò lei, dopodiché cercò il consenso del signor Ukitake per poter andare via.  Così lasciò la stanza, sentendosi in verità un po’ inquieta. Aveva avuto la netta sensazione che non l’avesse trattenuta per quello. Una parte di lei pensò che fosse preoccupato, altrimenti non le avrebbe chiesto se fosse tutto a posto per lei. Lui era stato anche il maestro di suo fratello, e se le sue preoccupazioni fossero causate proprio da lui? Si fermò un attimo, scuotendo energicamente la testa. Erano solo assurdità quelle che ultimamente le passavano per la mente, solo perchè era visibilmente agitata, più di come lo era di solito, nel lavorare in così stretto contatto con lui. Aveva già conosciuto Byakuya nelle sue vesti di capitano. Chi più di lei aveva familiarizzato con la sua figura alla luce di cinquant’anni di convivenza. Tuttavia non era mai stato il suo capitano, e lui era stato quello scelto per quella spedizione. Non era una novità per lei obbedire ai suoi ordini, ma mai come quella volta si sentì a disagio in verità. Forse era proprio dovuto al fatto che adesso che le cose erano finalmente cambiate tra di loro. Stavano lentamente riacquistando una vicinanza che prima non avevano mai avuto. Questo le creava più di una confusione. Per lei era difficile descrivere i suoi sentimenti per Byakuya, così come era impossibile dar loro un’identificazione più precisa. Sapeva solo che esclusivamente un uomo come lui era capace di farla sbandare e farle dimenticare ogni altro tipo di preoccupazione, facendole smuovere qualcosa dentro che descriveva come agitazione, ma non si trattava solo di quello. Tuttavia preferiva non ricercare una risposta. Non ora che aveva tutt’altro a cui badare come i preparativi per la ormai prossima partenza.
Il giorno in questione venne ben presto. Aveva avuto poco modo di rivedere Byakuya a casa. L’unico momento in cui era riuscita ad incrociarlo era stato verso il tramonto, quando oramai le luci stavano cominciando ad abbassarsi, tinteggiando il cielo di arancione. Aveva visto la sua ombra proiettarsi sul prato e così era corsa in giardino sperando di scambiare qualche battuta con lui prima di partire, ma lui era completamente immerso negli allenamenti. Era rimasta a guardarlo per qualche minuto, mentre le ombre avvolgevano sempre più prepotentemente la sua figura, che voltandosi, di tanto in tanto veniva colpita dagli ultimi e luminosissimi raggi solari che facevano intravedere il suo viso pallido, e i suoi capelli di una tinta castana. Un’immagine diversa dato che i suoi erano completamente neri, senza alcun riflesso di altro colore. Aveva preferito comunque allontanarsi e lasciarlo fare, ma era più che sicura che lui l’avesse vista e se aveva ritenuto opportuno non interrompersi, a lei in fin dei conti andava bene. D’altro canto, cosa avrebbero avuto da dirsi?
Così lo rivide la mattina della partenza, esattamente come tutti gli altri, nelle vesti di capitano. Mischiata con gli altri shinigami, si chiese se effettivamente lei fosse come tutti gli altri per lui.  Nella folla dei suoi compagni e quelli di altre divisioni, si sentiva come uno dei tanti, e il nobile Byakuya, infatti, non mostrava alcun tipo di trattamento diverso per lei. Neanche uno sguardo di chi con gli occhi voleva dirti di averti notato fra tutti. Non che in verità se lo aspettasse o lo volesse, ma una parte di lei per qualche motivo era sempre attenta ai suoi atteggiamenti, se si mostrasse interessato a lei,  almeno ogni tanto, come sorella.
Camminarono a lungo, procedendo con un passo moderato. In effetti, erano in perfetto orario con la tabella di marcia. Mentre avanzavano, Rukia si mostrò disinvolta con i suoi compagni, e quasi non badò più al fratello, che invece non l’aveva persa di vista un solo attimo. Era un’abilità di Byakuya Kuchiki quella di apparire tutto ciò che in realtà non fosse.
Era indubbiamente cambiato e recentemente si apriva di più agli altri, seppur nei suoi standard. Tuttavia per quanto riguardava i suoi sentimenti o i suoi pensieri, preferiva comunque che nessuno vedesse oltre il suo sguardo, e faceva di tutto perché questo non mutasse. Non perchè non volesse essere compreso, ma perché preferiva così. Non c’era neanche un motivo effettivo oramai. Forse la sua educazione o il suo tipo di carattere lo avevano portato a prediligere la distanza dagli altri, ma lui non se n’era mai fatto un problema. Era qualcosa di così normale da venirgli del tutto spontaneo nella maggior parte dei casi. Casi che non prevedevano la sorella adottiva, per la quale cercava di mostrarsi più disinvolto, ma davvero non riusciva. Manifestare i suoi sentimenti era sempre stato il suo limite, e nel momento nel quale apriva appena uno spiraglio, era subito pronto a richiuderlo poiché impaurito che la porta potesse improvvisamente spalancarsi del tutto.
Non era sicuro di volerlo, e la cosa lo metteva in allarme agli albori, e così preferiva rimanere distaccato. Era in quella dimensione che il capofamiglia Kuchiki e capitano della sesta divisione del gotei aveva imparato a vivere, e seppure agli occhi degli altri fosse difficile immaginarsi ed immedesimarsi nella sua mente, per lui tutto scorreva così naturale che non vedeva altro modo di concepire le cose.
Questo finché non veniva messo alla prova, ovviamente. Di recente si era aperto a nuovi orizzonti, ma il cammino per cambiare le sue abitudini era lungo, ma non così impossibile.
Arrivati a destinazione, tutti posarono i loro effetti sul terreno secco, e presero a montare le tende. Si era già fatta sera, ma nessuno era stanco. Erano tutti shinigami addestrati, una lunga camminata non era un problema per nessuno di quel livello.
Byakuya si ritirò nella sua tenda e Rukia lo vide sparire oltre il sipario, con una punta di amarezza dentro. Ritornò poi al fuoco che era stato acceso dagli altri shingami e col quale lei si stava riscaldando.

“Ordini dal capitano Ukitake! Coloro che fanno parte della tredicesima compagnia devono proseguire a sud. Rinfrescatevi, poi partite subito per l’ispezione.”

Uno shingami della sua compagnia che, in effetti, conosceva di vista, si era alzato ed aveva annunciato le volontà del loro capitano, verso le quali Byakuya non mostrò alcuna obbiezione, essendo rimasto in disparte.
Rukia non seguì i suoi compagni e si diresse ad ovest come invece il signor Ukitake le aveva detto. Assieme a lei si avviarono altri shinigami, ai quali probabilmente aveva conferito lo stesso ordine. La loro si rivelò un’ispezione infruttuosa, dato che di hollow non vi fu neanche l’ombra, ma d’altra parte era meglio così. Voleva dire che quella zona era abbastanza tranquilla. In fin dei conti quella non era mai stata una zona troppo infestata, quindi era sollevante sapere che continuasse ad esserlo.
Mentre continuavano i consueti controlli, Rukia si spostò sulla terra ferma. Trovava inutile continuare ad ispezionare dall’alto, avrebbe dato un’occhiata anche giù. Girovagò per diversi minuti, ma non avvertì alcun reiatsu, a parte quello dei suoi compagni. Ad un certo punto qualcosa la pizzicò appena sulle spalle, e lei si girò così di scatto che la cosa che l’aveva toccata quasi non ebbe il tempo di vedere quel movimento. Se quel qualcosa non fosse stato Byakuya Kuchiki ovviamente. L’uomo era conosciuto per la sua velocità, infatti si era scansato senza alcun minimo sforzo da quel inaspettato attacco, che al contrario aveva atterrito la povera Rukia, che si sentì il cuore in gola per ciò che aveva cercato di fare al nobile fratello. Subito si piegò in due, facendo cascare i capelli neri tutti davanti al viso.

“Chiedo scusa, fratello! Ho reagito d’istinto!” disse lei, sentendo il viso infuocarsi sempre di più. Tuttavia Byakuya non la curò, e, anzi, la superò continuando a camminare come se nulla fosse.

“Byakuya?!” esclamò Rukia alzando appena gli occhi e vedendolo andare via. Costatando che fosse quasi fuori dal suo campo visivo, si riposizionò dritta, non badando se la forma dei suoi capelli fosse ritornata al suo posto, e gli corse incontro.

“Fratello, hai scoperto qualcosa?” chiese camminandogli di fianco e cercando di interpretare la sua presenza lì.  Ma lui non rispose e continuò ad avanzare, quasi come se non gli avesse parlato affatto. Rukia rimase ad osservarlo e non comprese per nulla perchè lui si comportasse così. Tuttavia le parole non le vennero, ne le pareva il caso criticarlo nel bel mezzo di una ispezione, così si limitò a guardarlo con disapprovo, e se lui avesse colto, sarebbe stato lui a parlare. Ciò tuttavia non avvenne, così si ritrovarono a camminare assieme, in silenzio, avvolti nella foschia sempre più fitta del bosco.
Fu una strana atmosfera, nella quale la ragazza dai capelli neri non seppe dire come si sentisse. Da una parte si sentiva inspiegabilmente a suo agio, dall’altra avrebbe voluto dire molte cose, ma puntualmente, quando era con lui, l’agitazione le impediva di essere disinvolta come avrebbe voluto. Questo generava in lei una dicotomia che cominciava lentamente a turbarla, non rendendola più in grado di godere con serenità quel momento. Byakuya, sbirciando nella direzione della giovane ragazza, si accorse del leggero turbamento che la stava assalendo. Rallentò il passo, quasi come se avesse voluto darle il tempo di parlare, ma la ragazza parve non accorgersene per nulla, ed infatti si ritrovò a camminare poco più dietro di lei. Per provocazione, Byakuya fermò i piedi e resto immobile a guardarla, aspettando che lei si accorgesse di lui, cosa che quando avvenne in cuor suo lo divertì, ma che a Rukia non piacque per niente. La ragazza fu visibilmente irritata da quel comportamento infantile, poiché ancora non conosceva tutte le sfaccettature del ragazzo dai capelli neri, quindi non sapeva mai come prenderlo. Però i suoi improvvisi sbalzi d’umore stavano cominciando a darle sui nervi e, se in precedenza aveva sempre cercato di non farci caso, adesso stava diventando davvero insopportabile. Già era difficile reggere l’atmosfera pesante che solo la presenza di un Kuchiki sapeva attirare a se e su chi gli era intorno. Lui poi prendeva anche a confonderla facendola sentire così stupida. Corrucciò la fronte e si imbronciò, non importandosi affatto di avere un atteggiamento irrispettoso. Si voltò di spalle verso di lui e gli parlò ad alta voce.

“Fratellone, ci siamo fermati per qualche motivo?” disse non trattenendo il tono irritato.

Byakuya non rispose neanche questa volta, facendola innervosire ancora di più. Si voltò di scatto, sperando di non dover insistere ulteriormente con lui, ma non appena i suoi occhi guardarono alle sue spalle, si accorse che lui era sparito. Sgranò gli occhi incredula. Non aveva sentito assolutamente alcun rumore, ed era lì, pochi istanti prima. Dove era andato senza neanche chiamarla? Si lasciò prendere dal panico, ma fu un attimo veloce, poiché se lo ritrovò di nuovo dinanzi a sé non appena riportò il busto nella posizione corretta. Sbandò quando si ritrovò il naso contro il suo petto, e fu sicura di essersi fatta di tutti i colori lì per lì, mentre si era accorta che con uno shunpo velocissimo le si era parato davanti.

“Ma che razza di scherzi sono?” esclamò a malapena, potendo solo in questo modo far fuoriuscire tutto lo sgomento che le provocava quel ragazzo che più passava il tempo e meno riusciva ad interpretare. Byakuya dal canto suo la immobilizzò per il braccio quando lei fece per allontanarsi da lui, trattenendola.

“Byakuya…cosa fai?” disse non guardandolo negli occhi, rimanendo immobile a fissare il suo petto coperto dal kimono scuro, con il sottile braccio fra le sue mani che la teneva stretta a sé. Sentì il cuore palpitare forte e tutte quelle emozioni, che già da prima della loro partenza avevano cominciato a turbarla, di colpo precipitarono tutto di un botto sulla sua pelle. Sentì delle trepidazioni forti che prima non aveva mai provato. Percepiva solo il suo corpo desiderare la vicinanza del ragazzo, e quello sfiorarsi appena le sembrò così atroce da sopportare, che o avrebbe dovuto allontanarsi del tutto, oppure buttarsi fra quelle braccia. E invece fu costretta in questa morsa, dove non sapeva per davvero dove scappare. Byakuya non fece nulla per farla sentire più a suo agio. Anzi, rimase immobile come lei, con il viso rilassato, impossibile da interpretare, e gli occhi grigi fissi nel vuoto, mentre lentamente piegava la testa per avvicinarsi a lei. La ragazza dai capelli neri sentì il fiato del ragazzo soffiare appena fra i suoi capelli. Lo percepì a stento, ma bastò per farla agitare ancora più ulteriormente. Improvvisamente milioni di pensieri affollarono la sua mente, riflessioni negative su ciò che stava accadendo fra di loro. Verità che per entrambi sarebbe convenuto non sapere o addirittura non ammettere. Loro erano fratelli adesso, e lei era la sorella della sua defunta moglie. L’aveva adottata. Ciò che stava succedendo, ciò che in verità era sempre stato, non doveva venir fuori. Sarebbe stato incontrollabile. A maggior ragione ora che le cose erano migliorate tra loro, non valeva la pena distruggere tutto. Cosa ne sarebbe stato di loro se fosse venuta alla luce una cosa del genere? Era meglio tener tutto celato, così come lo era stata per cinquant’anni. Rukia da sempre aveva sentito forti emozioni per lui. Byakuya non era mai stato un fratello. Era un ragazzo distante col quale aveva convissuto per tanti anni senza che ci fosse stato alcun tipo di relazione fra loro. E tutto questo aveva dovuto ponderarlo in pochi mesi dopo la sua adozione. Quell’ uomo aveva cambiato la sua vita, e lei era rimasta folgorata da lui. Ma tutto era già finito. Era finito nel momento nel quale aveva giurato a se stessa che sarebbe diventata un membro di quella famiglia. Aveva sfiorato le sue labbra e lì, in quel momento, era finito tutto. Inoltre lui non si era mai mostrato interessato a lei in nulla, se non se rispettasse i suoi obblighi e mantenesse un comportamento dignitoso. Ultimamente invece ciò era cambiato, e la sua vicinanza aveva cominciato a rompere quegli schemi che invece aveva imparato a far suoi.
Da giovane dovette guardarsi allo specchio e frantumare ogni cosa. Ogni suo ricordo, ogni speranza, ogni cosa che fosse stata. E aveva dovuto pian piano riprendere i cocci e dar loro una forma nuova. Ora stava andando di nuovo tutto in frantumi. Ciò che era stato costruito con volontà ed impegno, ma con il senso della frustrazione e della devozione, adesso rivendicava ciò che era stato perduto, e questo non riguardava soltanto lei.
Anche da parte di Byakuya più di qualcosa era cambiato da quando era tornato sui suoi passi, durante la esecuzione di Rukia pochi anni addietro. Ed adesso che dovevano ricominciare daccapo, stava fuoriuscendo ciò che era rimasto congelato ed incatenato per moltissimi anni, anche se sconveniente per entrambi. E la cosa più strana era che, Byakuya, che aveva sconvolto il mondo dell’allora giovane Rukia, adesso fosse colui che lo stava sconvolgendo nuovamente. Dopo che lei aveva lottato per farsene una ragione, per vivere nella sua nuova realtà, dove lui era suo fratello maggiore, e non il nobile Byakuya.
Così la bruna premette violentemente sull’addome del ragazzo e si allontanò di colpo, riuscendo ad approfittare di un momento di abbandono del ragazzo.

“B-Byakuya…” Rukia era paralizzata. Era partita pronta per dire molte cose, per rimproverare il suo comportamento, e invece dalle sue labbra era uscito solo quel nome in modo ridicolmente tremolante. Byakuya rimase ad osservarla, comprendendo l’angoscia e la confusione della giovane ragazza. Tuttavia questa volta non indugiò. In verità era pronto a voler chiarire con lei, ed era un qualcosa che mirava a fare già da molto tempo. Inizialmente aveva deciso di desistere, ma poi si era reso conto che qualcosa era cambiato nel suo cuore, e con tutte le probabilità non era più disposto a mentire. Se lei avesse rifiutato, era perfettamente lucido per accettarlo, ma per una volta nella sua vita voleva mettere le carte in tavola e scoprire il suo mazzo. Il dopo non avrebbe avuto importanza.

“…Non…non va bene, fratello.” Rukia puntualizzò su quell’ultima parola, e Byakuya ci fece prontamente caso. “Non…” insistette lei imbarazzatissima, non sapendo per niente cosa dire o come parlare. La sua bocca si asciugò del tutto e la sua mente non rispose. Byakuya le si avvicinò, mosse una mano verso di lei ma, mentre era arrivata fino a sfiorarle il viso, la ritirò. Non volle toccarla. Rukia osservò attentamente tutta la scena, immobile come se fosse diventata una bambola di cera. Byakuya si girò di spalle facendo ondeggiare la lunga sciarpa bianca e l’haori da capitano, dopodiché, con un veloce passo lampo, sparì dalla sua vista, dicendole appena poche parole.

“L’ispezione per oggi è finita. Torna all’accampamento.”

Le foglie ai suoi piedi si alzarono da terra accompagnando il movimento scattante col quale lui era andato via. Una volta dileguato, Rukia cadde sulle ginocchia, atterrita. Non sapeva che svolta stesse prendendo la sua vita. Non sapeva cosa fare, non sapeva se ragionarci, oppure fosse meglio preservare la sua mente da quei pensieri turbolenti. La cosa che la spiazzò di più fu accorgersi dopo cinquant’anni di amarlo ancora.

--------------

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: fiammah_grace