14.Tieni la mente bene aperta
Il signor Aarons e sua moglie facevano
inutilmente la fila, quando un ragazzo alto dai capelli un
po’ lunghi e la barba leggermente incolta si
avvicinò a loro di corsa, sorridendo. “Mamma!
Papà!”, esclamò Jess abbracciandoli.
“Vi stavo aspettando.”
“Alla fine siamo arrivati”, disse il signor Aarons.
“Non immagini che caos all’aeroporto!”
“Ma non potevamo certo arrivarein ritardo”, disse
sua madre sorridendo. “La tua prima esposizione”,
disse carezzandogli la guancia con fare tenero.
“Venite, entrate da qui, non dovete mica fare la fila, siete
miei ospiti”, disse facendoli passare per una seconda entrata
molto più piccola e meno fastosa. La mostra era stata
organizzata nel migliori dei modi, grazie ad una delle più
capaci curatrici della città, nonché fidanzata di
Jess, Penny.
“Salve signori Aarons!”, esclamò Penny
andando loro incontro sorridendo. Si erano incontrati poche volte,
soprattutto quando Jess tornava a casa per le vacanze di Natale a
festeggiare assieme alla famiglia. “Jess mi ha detto che
avreste fatto di tutto per venire. E’ molto felice che siate
qua.”
“Come stai Penny?”, chiese la signora Aarons.
“Ti ha fatto disperare ad organizzare tutto
questo”, disse ridendo la donna facendo segno al grosso
locale nel quale si trovavano.
“Oh, si figuri! Se sgarra lo sgrido. Come state
voi?”
“Come al solito, stiamo bene”, rispose il signor
Aarons. “Si va avanti.”
“A proposito di star bene. Io e Penny dovremmo dirvi una
cosa”, disse Jess cingendo la ragazza per le spalle e facendo
un sorriso che non poté trattenere.
“Ecco… Penny è incinta.”
La sinora Aarons si portò le mani alla bocca, poi
esclamò: “Ma è bellissimo! Una notizia
fantastica! Oh mio Dio Jess!” Non poté resistere e
abbracciò forte il figlio e la fidanzata. In pochi secondi
riuscì a trascinare via Penny e coinvolgerla in una
conversazione fitta fitta, lasciando soli Jess e suo padre.
“Complimenti Jess”, disse l’uomo dandogli
una sonora pacca sulla spalla.
“Grazie”, disse Jess abbassando lo sguardo e
sorridendo.
“Ah figliolo…”, disse sospirando,
“sei così grande adesso. Hai venticinque anni, ti
stai affermando come pittore, e stai anche per avere un
figlio!” Rimase pensieroso, in silenzio.
“Già”, disse Jess alzando le
sopracciglia e mettendo le mani in tasca.
“Lasciami dire una cosa Jess”, disse il signor
Aarons fermandosi e mettendogli le mani sulle spalle, “Sono
davvero fiero di te”, concluse abbracciandolo.
“Grazie papà”, fece Jess sorridendo.
La mostra ebbe un buon successo per essere una prima esposizione.
Vennero diverse persone, e Jess parlò con alcuni dirigenti e
altre persone importanti. Ad un tratto vide una ragazza che lo
osservava. Era visibilmente incinta, e indossava un vestito largo,
azzurro a fiori, ma ai piedi aveva dei curiosi stivali di tutti i
colori. Il suo viso aveva qualcosa di conosciuto, ma Jess non seppe
dire cosa. Si guardarono per diverso tempo, poi Jess si
avvicinò.
“Jess Aarons”, disse la ragazza, separandosi dal
suo accompagnatore, un ragazzo alto dai capelli biondissimi che
osservava un quadro. “Allora ce l’hai
fatta.”
“Leslie?”, chiese lui stupito sgranando gli occhi.
Aveva i capelli lunghi, ma il solito sorriso solare e sereno dipinto
sulle labbra, che illuminava tutto ciò che c’era
attorno a lei.
“Mi dispiace che non siamo riusciti a mantenere la nostra
promessa, ma non potevo mancare ad una tua mostra”, disse lei
sorridendo.
“Leslie!”, esclamò Jess abbracciandola.
“Sono contenta di rivederti”, disse lei.
“Allora, che cosa mi racconti?”
“B’è…”, Jess si
guardò attorno e allargò le braccia,
“questa è la mia prima mostra. E sono abbastanza
soddisfatto direi”, disse guardandosi attorno e passandosi
una mano sulla nuca. “Sai, ho letto tutti i tuoi
libri”, disse tornando a guardarla. “Li ho letti
tutti.”
“Sono solo tre”, disse Leslie sorridendo.
“E sono tutti molto interessanti, aspetto il seguito di Il segreto della
città di Dehar… di Leslie
Burke”, aggiunse poi con fare teatrale.
Lelie rise e disse: “Te ne farò avere una copia
omaggio. Al momento è in fase di scrittura. Allora, dove
abiti adesso? Come sono andati gli studi, raccontami un po’
dai.”
“Io? Tu dovresti raccontarmi piuttosto, sei
così… incinta.”
Leslie rise e si portò automaticamente una mano al pancione.
“Già, strano rivedermi così eh? E tu?
Fai l’artista scapolo?”
“A dir la verità adesso sto a casa della mia
fidanzata, ma vorremmo trasferirci in un appartamento più
grande. Qui a New York sarebbe grandioso. E, se proprio lo vuoi sapere,
anche noi siamo in attesa, anche se solo da due mesi. Mi devo
ancora…”, Jess rise nervoso, “abituare
all’idea.”
Leslie sorrise. “Quante cose sono diverse ora, non
è vero?” Jess annuì.
“Comunque, sai… se volete vi posso
aiutare.” Leslie indicò il ragazzo alle sue
spalle, “Mio marito Dominic ha un’agenzia
immobiliare, vi potrebbe trovare un appartamento buono a poco prezzo.
Anche noi abitiamo a New York.”
“Tuo… tuo marito”, osservò
Jess alzando le sopracciglia.
Leslie rise un po’ e disse: “Già. Sono
successe un bel po’ di cose negli ultimi anni.”
“Dovremmo parlarne un giorno, dobbiamo… riprendere
il tempo perduto adesso che siamo tutti qui. Magari quando saremo
vicini di casa, a New York. Ti offrirò un
caffè.”
“Per me va bene”, disse Leslie sorridendo.
“Stavolta però dovremmo davvero mantenere la
nostra promessa.”
“Hai ragione. Dovremmo stringerci la mano, tanto per far
sembrare la cosa più ufficiale”, disse Jess.
“Allora va bene.”
Leslie tese la mano, e Jess la strinse. Quella di lei aveva le dita
affusolate, mentre quelle di lui erano grosse e ruvide. Mentre si
stringevano la mano il resto del mondo sparì attorno a loro.
Tutto era più confuso e irreale, tranne loro due.
Quando si separarono Leslie disse: “Ma quando te lo tagli
quel pizzetto, Jess?”
Jess si portò una mano al mento e si strofinò.
“A me piace”, replicò. “Fa
tanto artista
noncurante del suo aspetto.”
Leslie si incamminò in mezzo ai quadri. “Sai, ho
ancora il braccialetto Terabithia”,
disse mostrandogli il polso, con il braccialetto a forma di T.
“Anche io!”, esclamò Jess alzando un
braccio.
S’incamminarono fra i vari corridoi del palazzo espositivo
parlando del più e del meno, ricordando il passato e
scoprendo cos’era successo all’altro in tutto quel
tempo che non si erano visti.
Entrambi sapevano che quella volta avrebbero mantenuto la promessa, per
sempre.
A kilometri di distanza due bambini correvano lungo un bosco.
“Guarda! Un ponte!”, esclamò uno di loro
indicando il fiumiciattolo.
“Wow. Andiamo a vedere”, disse l’altro.
Passarono su per un ponte leggermente traballante, assaporando il
brivido di qualcosa di più antico di loro. Poco
più in là c’era una macchina
abbandonata, poi una casa costruita su un albero.
“Wow, saliamo!”, propose il ragazzino. La bambina
lo seguì, arrampicandosi sulla corteccia vecchie e saggia.
Quando furono dentro alla casa si guardarono attorno, studiando con
attenzione il legno vecchio e le travi inchiodate con una certa
abilità.
“Ma lo sai dove siamo?”, chiese la bambina ad un
tratto.
“Dove?”
“Siamo nel castello delle fate. Dove vive la Regina di tutte
le Fate, assieme a tutti i suoi servitori.”
Il ragazzino si guardò un po’ attorno.
“Dovremmo stare attenti però. Presto il castello
verrà invaso dagli gnomi e dai soldati del regno accanto.
Noi siamo le guardie del regno, dobbiamo proteggerlo”, disse
con enfasi.
“Giusto! Noi siamo le guardie di…”, la
bimba si guardò attorno e scorse un foglio consunto a terra.
Lo raccolse. C’era un mappa disegnata sopra, con scritto a
grandi lettere solenni Terabithia. “Noi siamo le guardie di
Terabithia”, concluse.
“Dobbiamo andare! Il Principe
dell’Oscurità ha mandato le sue truppe alate per
spiarci. Annientiamole, la regina conta sul nostro aiuto!”,
gridò il bambino scendendo dall’albero.
La bambina lo seguì e raccolse alcune pigne da terra.
“Se gli lanciamo questi incantesimi se ne andranno.”
“D’accordo!”
Rimasero a giocare tutto il pomeriggio, tra fate, gnomi, soldati
valorosi e spietati guerrieri.
Perché Terabithia esisteva per davvero. Per chiunque tenesse
la mente bene aperta.
Fine
Questa storia non
è stata scritta a fini di lucro. I personaggi sono fittizi e
appartengono per la maggior parte a Katerine Paterson, scrittrice di Un ponte per Terabithia
e detentrice di tutti i diritti del libro. Ogni coincidenza con fatti o
persone reali (scomparse o in vita) è puramente casuale.
E qui si
conclude la storia.
XD che solennità! Be', a parte gli scherzi, so che non sono
molte le persone che hanno seguito ma, come si dice: pochi ma buoni XD
Vi ringrazio molto per aver letto, e ringrazio chi ha lasciato una
recensione ^^
Questa storia è una delle mie preferite, mi ha dato
parecchie soddisfazioni scriverla e spero che ai lettori sia piaciuta
almeno la metà di quanto è piaciuta a me.
Mi piace pensare che questa storia parli di vita reale, sebbene molte
persone dicano che diventare artisti o scrittori, o musicisti o
quant'altro sia più unico che raro, ma io credo che con
l'impegno, la fatica (eh si c'è anche quella! XD), la
fantasia e qualcuno che crede in te e ti supporta si possano
raggiungere più che ottimi risultati ^^ Quindi auguro a
tutti di riuscire a realizzare il proprio sogno, anche se il cammino
sarà irto di ostacoli.
Grazie ancora a tutti e buone
feste!
Patrizia
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