II. Love in an elevator
Finalmente gli sorrise, quando fu abbastanza vicino per
permetterle di notare il blu dei suoi occhi ridotti a due fessure, indagatori, posati
su di lei. Gli sorrise, emise un flebile “Ciao” e non riuscì a fare nient’altro.
Lo guardò lasciarsi andare con noncuranza su una delle sedie libere attorno al suo
tavolo e quasi senza accorgersene si trovò a rimproverarlo scherzosamente:
- Veramente quello è il posto di una certa Betty…
Gli sorrise per stemperare un po’ quell’aria da maestrina
che sembrava aver assunto e che lei stessa odiava. Lui però non sembrò
prendersela troppo, perché rispose in tono ironico e fintamente preoccupato:
- Oh, allora forse dovrei andare in un altro posto, prima
che torni "certa Betty"…
Le sorrise di nuovo in quel modo che stranamente aveva già
imparato a conoscere, proprio lei che non si sentiva mai a suo agio con
nessuno. Era un sorriso in un certo senso spavaldo, menefreghista: di sicuro
era conscio di essere affascinante e usava la cosa a proprio vantaggio. In un
certo senso però sembrava anche un sorriso stanco e disilluso, non del tutto
sincero. Come se si potesse ridere di qualsiasi cosa nel mondo, perché in fondo
niente di tutto quello schifo che li circondava sarebbe cambiato mai.
Alzò un sopracciglio, vedendo l’espressione confusa di
Ashleigh e riprese con tono suadente, avvicinandosi al suo orecchio con la
bocca:
- O forse… dovremmo andarcene tutti e due.
Non era una domanda, non era una proposta, ma semplicemente
la constatazione di uno stato di cose, una sorta di consapevolezza in quello
che sarebbe successo e di sicurezza in se stesso. Non le erano mai piaciuti i tipi
troppo sfrontati, ma il lampo di incertezza che vide passare dietro agli occhi
di lui mentre esitava un po’ troppo a dargli una risposta la convinse. Casey
avrebbe detto ancora una volta che voleva “giocare all’infermierina che salva
il povero ragazzo cattivo che in fondo non è cattivo per davvero, ma solo
incredibilmente complicato” e forse aveva ragione. Aveva sempre avuto un debole
per i cosiddetti “ragazzacci”, ma non le piaceva ritenersi una conferma di quel
particolare cliché. Preferiva valutare la cosa sotto un altro punto di vista:
secondo lei, tutti gli uomini erano cattivi ragazzi, perciò in un modo o nell’altro
tutte le donne erano infermierine che cercavano di “salvarli” o di riportarli
sulla buona strada.
Ashleigh con il passare del tempo e l’esperienza si era
convinta d’altronde che questo non fosse possibile e da allora cercava di
prendere tutto con molta leggerezza, non cercando nemmeno più di negare che il
tipo di ragazzo che ostentava certe qualità da “bello e dannato” fosse quello
che la attirava di più.
Se non altro, molto più del tipico bravo ragazzo che non
aspetta altro che metterti un paio di corna con la segretaria. O con la ragazza
dei massaggi. O con la prima che passa per strada, purché abbia un “bel
davanzale”.
Tutte le frasi che aveva sentito dire, tutte le storie che
si era sentita raccontare contribuivano a consolidare in lei la convinzione che
non esistesse la relazione perfetta e che quindi l’unica soluzione fosse quella
di divertirsi, finché possibile.
Inizialmente, quindi, lo guardò stupita; poi gli rispose,
non senza un tocco di malizia:
- In effetti qui non conosco quasi nessuno…
Il viso di lui
si illuminò per un attimo in un modo strano, da bambino felice, prima che
riprendesse il suo contegno da giovane uomo sicuro di sé e le dicesse –
Perfetto, - porgendole la mano per farla alzare dalla sedia.
Senza dire altro,
la condusse appena fuori da una delle porte della grande sala addobbata e le
fece cenno di aspettarlo. Si avviò quindi verso un gruppetto di persone vicino
ad un tavolo e lo vide dire qualcosa ad un ragazzo di spalle rispetto a lei,
piuttosto alto e con una camicia azzurra. Tornò poco dopo quasi correndo, con
un sorrisino che Ashleigh avrebbe definito malefico e la prese per mano,
portandola con sé vicino alla porta di uno degli ascensori presenti su quel
piano.
- Dove andiamo? –
gli chiese ed il suo tono le sembrò stranamente più curioso che spaventato da
tutto quel mistero. Non si erano nemmeno presentati e lui la stava già portando
chissà dove. Il sorriso che le fece però sciolse ogni suo dubbio: si trovò a
pensare che non voleva davvero sapere dove sarebbero andati. O come si
chiamava. O cosa sarebbe successo al mondo.
Era da tempo che
non si sentiva così per colpa di qualcuno: come se tutto il resto non importasse.
Lui ridacchiò: - Ho detto agli altri che andavo a prendere
la nonna all'aeroporto.
Lei spalancò la bocca e cercò di dire qualcosa, sconvolta
dall’assurdità della situazione e da… lui. Non ci riuscì però e lui continuò
allegro: - Nessuno mi ha chiesto la nonna di chi…!
Di nuovo Ashleigh cercò senza successo di replicare, ma lui
interruppe di nuovo il suo tentativo, spiegando: - Ai matrimoni c'è sempre una
nonna da andare a prendere all’aeroporto…
Ashleigh finalmente capì che cosa intendesse dire e scansò
dalla mente i pensieri che aveva formulato su di lui che si rivelava un
rapitore di povere vecchine indifese infiltrandosi ai matrimoni di persone
sconosciute. Rise e lui, dopo averla scrutata per un attimo, la seguì a ruota.
Quando si calmarono, l’ascensore si era fermato al loro
piano e le porte si erano aperte per farli salire.
- Ho preso una camera qui, in questo hotel, per stanotte. –
disse lui, finalmente serio - Sai, per non guidare ubriaco e tutte quelle cose.
Fece un gesto vago con la mano, roteando gli occhi
spazientito. Poi, salì sull’ascensore, mentre lei lo guardava, ancora indecisa
sul da farsi.
- Possiamo salire da me… Parlare… - le sorrise di nuovo,
sporgendosi un po’ fuori dall’androne, fino ad arrivarle vicinissimo. Poi, si
chinò su di lei e le posò sulle labbra un bacio delicato che le diede la scossa,
prima di aggiungere, a due centimetri dalla sua bocca: - O non parlare affatto…
Ashleigh non riuscì più a pensare a niente. Al nome di lui,
a quello che avrebbe detto Casey, a quanto avrebbe sparlato Betsy, a quanto
fosse sbagliato comportarsi così. In un lampo era entrata in quell’ascensore spingendo
dentro il ragazzo sconosciuto ed aveva schiacciando il pulsante per far
chiudere le porte.
Dunque, ancora non siamo al punto in
cui la storia prenderà due strade… non solo in senso figurato. Ma, se siete
arrivate fin qui a leggere… arriverà, abbiate fiducia! (E se siete arrivate fin
qui a leggere… fatemelo sapere! Brave! :P)
Il ragazzo è ancora misterioso, non
abbiamo scoperto molto su di lui… neppure il nome! Ma abbiate fiducia anche in
questo! Questa è una storia che richiede molta fiducia da parte di voi lettori,
se avete notato! xD
Come al solito, ringrazio chi ha letto
e chi ha aggiunto AtoA nelle seguite e nelle ricordate…
Il titolo stavolta è tratto da questa
canzone qui degli
Aerosmith, che mi è venuta in mente rileggendo l’ultima riga, nella quale avevo
scritto “ascensore” almeno tremila volte, prima di ricordarmi che le
ripetizione è un errore punibile penalmente. :P Per quanto riguarda la parte del "love" però non prometto niente.
Buona lettura ^-^
Summer