Felino. Il sorriso sul volto spagnoleggiante della donna era
felino e sornione. Capelli neri, lisci, puliti, raccolti in una coda. Una
bellezza fine in vestiti da chi ha viaggiato per centinaia di
anni. Dei vecchi jeans stracciati, una maglia nera con
una luna bianca sul petto. Un lungo impermeabile nero di cuoio. Dalla
cintura pende una vecchia spada che per aprire la strada a Nod
era stata usata instancabilmente. La donna tese la
mano ai nuovi venuti. “Ben giunti, lui vi aspetta dentro”.
La chiesa di San Vitale è bella di notte. Alcune candele
erano state accese al suo interno e alla tremula luce delle loro fiamme osservano
silenziosi i mosaici i nuovi arrivati. Giustiniano,
Abele, Abramo, Melchisedech, Massimiano. Nelle loro frammentate esistenze
immaginifiche scrutano con gli occhi squadrati folle di turisti mortali armati
di macchine fotografiche e di sguardi frettolosi, avidi. Quella notte fu
offerto loro uno spettacolo nuovo dopo tediosa attesa. Figure. Ombre vecchie quasi quanto loro che muovono e parlano e osservano quell’aria e quelle pareti dal sapore di passato e di
sangue versato di martiri o imperatori. Un sapore di polvere, di roccia,
freddo, intenso. L’incenso dell’ultima cerimonia ancora aleggia nell’ottagonale
chiesa.
Un uomo dai rasta biondi di una
bellezza androgina e stralunata muove lunghi passi assorbendo dentro il suo
animo pazzo e molteplice ogni tessera di quel lavoro incredibile. I suoi abiti
da viaggio marcano una vita notturna unica e un futuro degno del profeta
quale egli era forse nato per essere. In un vecchio
zaino militare appoggiato su una panca, un grande
libro e quaderni fitti di appunti note e pensieri. Quando
gli estranei giungono egli ancora è perso nell’ascoltare le voci di quelle mura
così antiche.
Molto piacere. Il mio nome è Anatole.
Lu, chiudi le porte, c’è bisogno di pace per narrare
la storia più terribile del nostro mondo.