giardino d'aranci
Un
giardino d'aranci.
Tristano e Octave
di Blue Smoke
Per chi non ricordasse “Due sotto il tetto”,
la scena si svolge nella primavera tarda del 1914
“Stai
fermo! Se ti muovi come faccio?”
Quando
Octave sorride, il respiro di un angelo gli accarezza la nuca. È
un tocco fresco che accende un brivido all'attaccatura dei capelli, e
il brivido rotola giù, nelle diramazioni del corpo, si allarga, lo
avvolge, quasi lo abbraccia, e Tristano deve chiudere gli occhi per il capogiro, anche se spera che duri per sempre.
“Ma
c'è un'ape che mi ronza intorno!”
È
bella l'ironia nella sua voce. A volte Octave, quando vuole
comunicargli che trova comico qualcosa o qualcuno, strizza gli occhi,
riuscendo a sorridere solo con quelli. La bocca sta ferma, ma
Tristano si accorge di quella segreta piega scherzosa. Capita spesso
quando sono a tavola con la sua famiglia, nel salone della vecchia villa dei Malaspina. Tristano, leggendo nel
pensiero di Octave, vorrebbe scoppiare a ridere, quasi lo odia
perché con quell'impercettibile sorriso cerca di metterlo in
imbarazzo davanti a tutti, camerieri compresi. Si vendica più tardi, quando Octave lo
riaccompagna a casa, e sul letto nella mansarda lo tortura col
solletico.
Ridono,
lottano, fanno l'amore, e dopo rimangono come annullati dalla
grandezza del loro sentimento, guardano il cielo oltre la finestra
nel tetto parlandosi solo con le mani unite e il respiro sereno
della loro felicità.
Tristano
ha un album da disegno sulle ginocchia. Con la matita schizza in
rapidi tratti bruni le linee del viso di Octave. Lo ha costretto a
mettersi in posa sul prato del giardino d'aranci, girato su un fianco e
appoggiato al gomito, una gamba distesa, l'altra piegata. Una tortura
dopo dieci minuti, ma Octave sta buono, anche se scomodissimo, e
senza protestare aspetta che lui gli dica di riposarsi.
Il
viso di Octave ha qualcosa di morbido. Non sono solo i gentili tratti francesi, le linee del naso,
diritto, sottile, e delle labbra. La sua guancia è armoniosa. Il suo
sguardo azzurro, nella forma grande dell'occhio, è soffice e
curioso, come quello di un bambino. Viene spontaneo affidargli la
vita. Con lui nulla di male può succedere. Basta che ti prenda la
mano e sorrida: è già una promessa di felicità.
Si
passa le dita sulla fronte, perché una ciocca dei capelli neri è
scivolata in basso, come volesse accarezzare la bellezza buona del
suo viso.
Fermare
quell'attimo nel disegno sarebbe come afferrare la sua essenza,
perché nel modo in cui sfiora quei capelli, come se ammettesse il
diritto della ciocca a un'esplorazione individuale della fronte, si
concentra l'intima gentilezza del ragazzo. Octave gli sorride
un'altra volta, quasi scusandosi di aver mosso la mano senza
permesso.
“La
tortura è finita” annuncia Tristano.
Octave
si stiracchia sul prato, per riportare il sangue negli arti obbligati
all'immobilità. Cammina verso di lui. “Posso vedere?”
E
Tristano, timidamente, gli esibisce la sua opera. Ha messo tutto il
suo amore in quel disegno. Tratteggiare le sue labbra è stato come
baciarle, definire il suo corpo è stato come abbracciarlo. Se ne
accorgerà Octave? Vedrà quell'amore nelle linee brune seminate
dalla sua matita?
Octave
osserva con attenzione. Intanto porta una mano sulla sua nuca, la
accarezza, come fa spesso, pensosamente, unendo il cammino astratto
della mente al percorso fisico delle dita sulla pelle di
Tristano. E i suoi occhi brillano d'amore. Un guizzo, ma tenero, come
il battito d'ali di una colomba bianca. Ha visto! Ha trovato la
traccia netta dell'amore.
E
siccome nessuna parola può comunicare quella sensazione al tempo
stesso eterea e carnale, non dice nulla. Con un movimento della mano
invita Tristano a sollevare il viso. Lui, al contrario, piega la
schiena, e a metà strada le loro labbra s'incontrano e si fondono.
Il bacio comincia come un incastro di morbidezze. Poi Tristano apre
la bocca e con la punta della lingua blandisce il labbro superiore di
Octave. Le lingue si scambiano carezze dolcissime, e intanto, mentre
il desiderio cresce, le dita di Octave si avvinghiano alla nuca di
Tristano nell'istinto di legarlo per sempre.
Dopo,
si sorridono un po' storditi un po' scherzosi, perché ancora una
volta, tra i muri di quel giardino, hanno rubato un pezzo di amore
fisico – l'indecente amore fisico tra due uomini – al mondo
esterno.
Octave
si siede per terra e adagia la testa sulle sue cosce. Nel movimento e
poi nella posa, Tristano, istintivamente, si trova come mille volte
ad ammirare il suo corpo forte, le gambe muscolose che riempiono i
pantaloni, le braccia che escono scoperte dalle maniche arrotolate
della camicia, le spalle solide, il collo dalla bellezza maschile
talmente erotica che non dovrebbe mai essere intrappolato da una
cravatta. E infatti il colletto è aperto e Tristano gli accarezza
una clavicola coi polpastrelli, insinua la mano sottile sotto la
stoffa bianca – perché è tutto vestito di bianco, la camicia, i
pantaloni, le bretelle, e da qualche parte giace una giacca di lino
che ha gettato via per il caldo – segue la forma dei pettorali,
finché con la punta del dito trova e sfida la durezza di un
capezzolo. I muscoli di Octave si contraggono, come
provasse un'eccitazione troppo intensa, simile al dolore; poi si
rilassa e chiude gli occhi. “Andiamo a casa” dice in un sospiro.
A
casa. Tristano non dimenticherà mai la prima volta che glielo ha
chiesto.
Erano stati male per giorni, senza riuscire a parlarsi per quello che era successo
un pomeriggio nella casa di suo padre.
Aveva
piovuto e Octave era stato colto dall'acquazzone sulla via, mentre
andava in visita dai Malaspina. Tristano lo aveva invitato a cercare
un ricambio di vestiti nella sua stanza. Nessuno di loro due aveva
seconde intenzioni. Tempo prima c'era stato un bacio, che li aveva
gettati nel terrore, oltre che nell'imbarazzo. Da allora avevano
evitato di rimanere da soli. Ma quel pomeriggio erano entrati nella
stanza ridendo, Tristano aveva cominciato a rivoltare l'armadio senza
trovare niente che potesse essere della taglia di Octave, perché lui
era più magro. Nel pieno di una risata, Octave aveva chiuso la bocca
di Tristano con un bacio appassionato. E il bacio era diventato un
toccarsi frenetico, le camicie spalancate nel bisogno di sentire la
pelle, di morderla, i pantaloni aperti per sfogare l'eccitazione
incontrollabile. Era stato sesso veloce, senza penetrazione, e li
aveva sconvolti.
Si
erano torturati per settimane, dopo quel pomeriggio.
Octave
aveva perso il sonno, Tristano si era rintanato in uno struggimento
muto. A volte avevano cercato di parlare, fingendo che non fosse
accaduto, ma erano scivolati sempre nel litigio e nella
recriminazione. Si erano accusati di non volere il bene l'uno
dell'altro, di essere pazzi. Si erano feriti, ma ognuno di loro due,
insultando l'altro, intendeva ferire se stesso. Si erano colpiti per
colpire il proprio stesso desiderio. E non era servito a niente. Il
desiderio li aveva torturati ogni giorno più crudelmente. Il
respiro, il battito del tempo, si erano trasformati in una lotta, ma
non riuscivano a respingersi, più combattevano più continuavano ad
avvicinarsi.
E
poi, dopo molti giorni, Octave si era arreso. Per lui, rivedere per
caso, dopo giorni di allontanamento forzato, gli occhi di Tristano
era stato come superare definitivamente una soglia. Un pomeriggio,
mentre Tristano lo accompagnava al cancello della villa di suo padre,
Octave, con la voce che tremava di emozione e un accento francese del tutto fuori controllo, gli ha detto
semplicemente: “Andiamo a casa.”
E
in quell'attimo, con quelle tre parole, la mansarda in cui Tristano
si rifugia per dipingere e dimenticare il futuro, è diventata la
loro casa. In silenzio hanno camminato fino al vecchio edificio
medievale e salito tutti i gradini. La porta si è chiusa, una nuova
vita si è spalancata. Su quel letto il loro amore – l'amore fisico
che il resto del mondo giudicava immondo e bestiale – è sbocciato
nella sua verità cristallina.
“Lo
sai che cosa faccio adesso?” chiede Tristano. “Finisco la piccola
tela del giardino.”
“Il
giardino d'aranci... Sembra fatto apposta. Sembra una vecchia fiaba e
invece è reale, è qui intorno a noi.”
“Nel
Medioevo il giardino d'aranci era un simbolo dell'amor cortese. Una
siepe d'aranci circonda e protegge la brigata di nobili e dame
nell'affresco del Trionfo della Morte, a Pisa, e anche Boccaccio, nel
Decameron...”
Octave
lo ammutolisce con un altro bacio. “Lo finisci domani il dipinto,
adesso no. Perfido, mi hai fatto aspettare tutto il giorno.”
Tristano
gli accarezza il viso. Lo vede perdersi, come tutte le volte che
lo
guarda negli occhi. Octave sostiene che anche quella è la prova
che è un mago e l'ha stregato, quegli occhi verdi rubati
al più segreto dei sogni.
“Se
sei un mago, fa' che duri per sempre. Un incantesimo, noi due qui,
per sempre, in questo giardino.”
Tristano
pizzica il suo labbro inferiore con i denti. “Così sia. Per
sempre. Amore...”
….........
Forse ho fatto male a pubblicare questo breve quadro sulla vita di Tristano e Octave.
La loro è una storia magica, spero di non averla rovinata con questo quadro più quotidiano.
Per chi si trova a leggere per la prima volta, si tratta di due
personaggi che nella mia storia "Due sotto il tetto" rimangono
nell'ombra, come uno specchio nascosto su cui si proietta la storia dei
protagonisti Demian e Mattia. Tristano e Octave avranno un destino
molto tragico, che ho raccontato nel capitolo 26 della storia
principale.
Non amo raccontare col tempo verbale al presente, ma qui l'ho scelto
per distinguere questa storia dalla principale e collocarla fuori dal
tempo; poi, siccome la scena si svolge cento anni fa, è surreale
che sia questa raccontata al presente, mentre "Due sotto il tetto", che
si svolge oggi, ha i verbi al passato. Se stona con la storia,
fatemi sapere.
Ancora una grazie a tutti coloro che hanno letto, amato e recensito
"Due sotto il tetto". Un grazie di cuore in anticipo a chi
leggerà e commenterà questa.
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