VI
Gli sfollati di Al Quadmus si erano accampati temporaneamente fuori dal
villaggio, lungo la strada sterrata che costeggia il lago e il
crepaccio, occupandola tutta – tra carri, tende e bestiame
– fino alla prima arcata pietrata. La scelta non era stata
casuale: Mansur, in quanto ospiti, aveva scelto (poco) saggiamente di
mantenere le distanze tra il suo e il popolo di Masyaf per non
caotizzare oltremodo la cittadella. Quell’uomo poteva avere
tutto il senso altruista che voleva, ma se i misteriosi soldati fossero
avanzati nelle terre degli Assassini senza alcuna intenzione di pace,
la sua gente sarebbe andata incontro alla morte prima del tempo. Malik
apprezzava il contegno e il rispetto dimostrato in cambio
dell’ospitalità, ma avrebbe di gran lunga
preferito che il popolo di Al Quadmus si stabilisse
all’interno della cittadella o addirittura nella fortezza
stessa, al fine di garantire efficacemente la protezione promessa.
Durante la mattina, perciò, il falco era stato molto
occupato.
Poco dopo la partenza di Altaїr, aveva fatto disporre il cortile
interno della fortezza nel modo più propizio ad ospitare un
centinaio di persone. Aveva ordinato alle guardie di sradicare i
manichini per l’addestramento al lancio di pugnali ed erigere
dei tendaggi dove improvvisare giacigli. Anche le stalle erano state
trasformate in una confortevole capanna, simile a quella ove
alloggiarono Maria, Giuseppe e Gesù nei racconti della Sacra
Bibbia. Le cavalcature degli assassini Malik aveva richiesto che
fossero spostate fuori dai cancelli o nei pressi del mercato: una
nottata o due sotto le stelle non avrebbe fatto loro alcun male; anzi,
si sarebbero irrobustiti le ossa in vista dei prossimi viaggi.
La Fortezza degli Assassini, in tutto ciò, era un
andirivieni di guardie, servi e fratelli che si rendevano utili nel
migliore dei modi possibili. Malik dirigeva il traffico direttamente
sul campo, correggendo dove poteva errori o intransigenze ai suoi
ordini. Gli era capitato di riprendere uno stesso confratello
più volte: i pali reggenti di quel tendaggio andavano
piantati più affondo nel terreno o tutto sarebbe crollato al
primo starnuto. I cappucci grigi passavano lui sotto agli occhi ormai
tutti uguali; era giunto addirittura a confondere il nome di una
guardia cittadina per quello di un apprendista assassino. E il caldo
non aiutava.
-Maestro, io sono Hijar. Lui
è Yasef.-
-Sì, perdonami. Tu: va’a prendere altre lenzuola,
e nel tragitto convocami Imad S’Il-Kaahed. Lo troverai sulle
mura in compagnia del comandante Husam.-
Il novizio annuì e si affrettò a scomparire dal
suo campo visivo.
Il figlio di Mansur si era dimostrato subito utilissimo in fatto di
azioni preventive. Malik aveva inizialmente pensato
d’impiegarlo altrove, ma era stato Imad stesso, appena
indossate le vesti da confratello, a mettersi in ballo con ottime
ragioni. Aveva detto di ricordare molto sulle armi adottate dai
misteriosi mercenari e di saperla lunga persino sulla
“dinamica” che avrebbero impiegato in caso
d’assedio alla fortezza. Il falco era rimasto un
po’ dubbioso: è raro imbattersi in un giovane uomo
capace di calcolare tanti dettagli minuziosi, che sarebbero sfuggiti ai
migliori condottieri, durante la messa a ferro e fuoco della propria
patria. Mantenere la lucidità tattica di uno stratega nelle
situazioni più contorte era un grande valore che Malik
stentava a riconoscere così presto.
Imad era in compagnia del più valoroso tenente siriano,
conosciuto col nome di Husam, a discutere dell’eventuale
futura battaglia. Il figlio di Mansur si sarebbe rilevato fondamentale
nella difesa della fortezza, nel qual caso il misterioso esercito di
mercenari avesse deciso di attaccare la cittadella. Imad
l’aveva colpito già una volta, a confronto di suo
fratello minore, per la tranquillità e la quiete di spirito.
Malik sapeva di aver catturato una mente saggia e forse avrebbe trovato
più fruttuoso compiacersene in un altro momento. Ma il tempo
stringeva e bisognava mettere al riparo la gente di Al Quadmus prima
che all’orizzonte si fosse delineata l’avanzata
nemica.
Mansur era tornato dal suo popolo per rassicurarli che la loro
richiesta di protezione era stata pienamente accolta, e che
l’intera cittadella era nel pieno delle attività
al fine di garantire spazio sufficiente per tutti. In caso di assedio,
e se il nemico si fosse dimostrato più abile di quanto
sperato, all’interno della fortezza sarebbe stato necessario
accogliere non solo gli sfollati di Al Quadmus, ma l’intero
popolo di Masyaf, che misurava all’incirca sei o sette volte
quello del piccolo villaggio saccheggiato.
Imad e Husam, tra i merli delle mura, mettevano in discussione i vaghi
ricordi dell’uno e l’esperienza militare
dell’altro, mescolando il tutto in un unico pentolone
strategico. Malik pregò vivamente che, in quel breve lasso
di tempo concesso loro assieme, i due fossero riusciti a disporre un
buon piano di difesa. La fortezza non contava su altro che archi e
frecce, in fatto d’armi. Poi c’erano gli oli
bollenti e quella lunga serie di trappole dimenticate, i segreti dei
quali i grandi maestri costruttori del passato avevano portato con
sé nella tomba. Restava poco da fare a parte disporre alla
bell’e meglio gli arcieri sui merli e sperare di non veder
spuntare catapulte o arieti tra le file nemiche.
Maher era l’unico membro della famiglia S’Il-Kaahed
per il quale Malik cominciava a temere il peggio. Affidarlo nelle mani
di Altaїr era stato come mettere su una zattera un orbo e un cieco. Se
ne rendeva conto solo ora perché aveva trascorso gran parte
della mattina, mentre dirigeva il traffico nella fortezza, a rimuginare
sulle contestazioni dell’aquila senza mai compiacerle
davvero. Ma veniva il tempo di ammettere che Altaїr era stato
più cosciente di lui nel calcolare razionalmente
l’utilità di Maher nella missione. A compensare le
teste calde, però, sapeva di poter contare su Khalid, un
nome piuttosto noto nella nuova generazione di assassini. La veste di
medio rango, corta ma bianca per intera, parlava per lui se si contava
che aveva raggiunto quel prestigio dopo solo qualche anno di
addestramento. Con tutto se stesso Malik sperò, pertanto,
che nessuno si facesse male e rientrassero tutti per cena.
Imad giunse al suo cospetto dopo aver vagato errante tra un gruppo di
saggi che si contestavano a vicenda sul terrazzo davanti
all’ingresso della fortezza. Il figlio maggiore di Mansur
aveva corso fin lì per poi tornare indietro senza
più fiato. Malik si annotò che, in caso Imad
avesse dimostrato interesse nella confraternita, il suo ruolo sarebbe
potuto convergere unicamente nel settore strategico: sarebbe stato
inutile o difficile addestrarlo alla corsa sui muri, se dimostrava
tanta pigrizia di corpo.
-Mi avete chiamato, mio Signore- azzardò un inchino col
capo, asciugandosi la fronte.
Il sole cadeva a picco nel cortile: Malik aveva imitato quel gesto
almeno trenta volte prima di lui. –Sì, volevo
chiederti come sta andando il tuo colloquio col generale Husam.-
-Ottimamente, oserei dire. Il comandante è un
grand’uomo e ammette che i miei consigli stanno tornandogli
utili.-
-Ti spiace se assito?-
Sul viso d’Imad si stampò un festoso sorriso.
–Non era necessario chiedere-.
Un modo gentile per
dire: “potevi salire quando ti pareva risparmiandomi la corsa
fin qui!”, pensò Malik sorridendo a
sua volta.
Affidò la gestione ad Hijar, che aveva da poco concluso
d’innalzare un nuovo tendaggio, e seguì il giovane
Imad su per la scaletta in legno che si arrampicava fino ai bastioni.
Tenere eretto il busto nel vuoto giusto qualche istante e afferrare il
piolo successivo con una mano sola mentre sollevava un piede alla
volta, per lui fu tutt’altro che una fatica. Se spesso e
volentieri spolverava i muscoli intorpiditi di braccio e addominali lo
doveva solo a quelle gracili scalette di legno. Il resto della
fortezza, tra erranti passeggiate per giardini e biblioteche, teneva in
allentamento solo la mente e le gambe. Imad, pur arrossendo, si era
offerto di aiutarlo ma Malik aveva rifiutato subito senza mostrare
alcuna esitazione. Non era un debole, e ne aveva dato prova in
più occasioni durante la giornata. Aveva sradicato lui
stesso e per primo un manichino d’allenamento, incitando le
guardie a fare altrettanto. Aveva piantato nella terra ben quattro
paletti, futuri sostegni di un tendaggio sufficiente ad ospitare una
famiglia di otto elementi. In fine aveva montato il suo fedele cavallo
baio dalle stalle alla piazza del mercato, guidando le sue e le redini
di altre due bestie con una mano soltanto. Dietro di lui si erano
alzati, assieme alla polvere, elogi e sguardi commossi di guardie e
cittadini. Non era proprio tipo da dare quel genere di spettacolo,
anzi, il suo mettersi in ballo era un chiaro modo di sottolineare
oltremodo l’urgenza delle faccende. Poi, se da una parte
Malik aveva gestito il traffico della fortezza affidando ai suoi
fratelli i compiti più faticosi, dall’altra si era
dimostrato disponibile a rimboccarsi le maniche tanto quanto guardie e
allievi. Ecco quale, probabilmente, sarebbe stata la differenza che lo
avrebbe distinto dai Mualim del passato. Il falco aveva contrastato a
sufficienza le ostilità dell’avere
un’ala soltanto. Più precisamente aveva imparato a
conviverci a tal punto da poter ricominciare a prendere lezioni di
volo. Certo: avrebbe dovuto dimenticare trucchi ed esperienze
sostituendoli ad una tecnica del tutto nuova capace di sfruttare
l’arto mancante a suo vantaggio senza più
considerarlo uno handicap – pensiero che aveva lasciato
appassire nei meandri dei primi tempi, quando vestirsi, lavarsi o anche
solo camminare, per la mancanza di equilibrio, erano diventate imprese
degne di un semi-dio.
Ma poiché adesso era tornato padrone del proprio quotidiano,
ambiva a fare altrettanto per gli altri. Rifugiarsi nella Dimora di
Gerusalemme, abbandonando la sua gente nelle mani di un vecchio pazzo,
era stato un errore che tutt’ora ambiva di sopprimere nella
propria mente. Gli fosse costata una vita intera, l’accudire
Masyaf e il suo popolo sarebbe stata la sua prima ed ultima missione
per redimersi. Non aveva bisogno di scusarsi di altro. Almeno per ora.
Giunto sul pianerottolo, Imad si voltò indietro esitando se
tendere un braccio o meno in soccorso del Maestro. Non appena videro
spuntare la capoccia di Al-Sayf, le guardie vicine si affiancarono al
giovane Imad fino a sovrastarlo. Questa volta Malik dovette arrendersi,
sorridendo, alla concezione che qualche mano in più avrebbe
fatto comodo. Staccò la propria dall’ultimo piolo
e la tese verso una guardia che, in una sincronia perfetta, gli
afferrò il braccio saldamente. Malik si lasciò
aiutare a venir issato sul pianerottolo da più incappucciati
e ringraziò tutti, congedandoli, stirandosi le pieghe della
veste con l’unica manica. Le due guardie tornarono ai propri
appostamenti e Imad, visibilmente rosso d’imbarazzo,
s’incamminò su ordine del falco.
Giunsero tra i merli della facciata anteriore della fortezza. Da quella
terrazza Al Mualim aveva assistito all’esecuzione di un loro
confratello e dichiarato ufficialmente aperte le ostilità
tra Assassini e Templari. Sotto il suo comando, però, stava
in realtà affermandosi un ordine intermedio del quale Al
Mualim si era posto vertice assoluto. Poi, in un secondo momento e al
cospetto del suo allievo migliore, aveva chiamato a testimone la luce
volendo dimostrare la menzogna dell’ombra; ed aveva
così cercato di abbattere il pilastro fondamentale del Credo.
Niente è
reale. Tutto è lecito.
I coraggiosi che avevano messo in discussione questa frase si contavano
sulle dita di una mano.
“Colpiscimi
Kadar, avanti.”
“No!”
“Se non lo
fai, non diventerai mai un Assassino!”
“Nooo!”
“No
cosa?!”
“No! Io
non voglio non diventare un Assassino!”
“…Allora
colpiscimi, dai, e fa’ alla svelta.”
“…No!”
“Se non riesci
a colpirmi come le uccidi le persone?!”
“Sei mio
fratello!” lagnò scoppiando in lacrime,
“Non voglio ucciderti…” Il bambino si
asciugò le ciglia con la manica e tirò su col
naso, prima che Malik potesse vedergli colare il moccolo sulle labbra.
“Kadar, non
devi uccidere tuo fratello”, intervenne il Mualim fuori
campo, “devi semplicemente colpirlo. Un pugno, un calcio,
quello che più di aggrada. Ripeti cosa stiamo imparando
oggi, avanti.”
Kadar esitò a
lungo. Sul cerchio di allievi riuniti attorno al cortiletto per gli
addestramenti piombò un angoscioso silenzio. Il piccolo
Al-Sayf guardò a terra, osservando le proprie lacrime
precipitare al suolo e, quando parlò, il pianto gli
solleticava ancora la gola: “I nemici più astuti
si nascondono tra gli amici” disse riempiendo la voce di
singhiozzi.
“Esatto”,
esordì il Maestro, “non dovete esitare a
confrontarvi anche con chi vi è caro: finireste col venirne
travolti se mai vi fosse l’urgenza di combatterlo”,
spiegò ai ragazzi. “E questo, Kadar,
perché?” domandò tornando a
rivolgerglisi.
Kadar deglutì
strizzando le labbra, bagnate di lacrime salate. Il cuore di Malik,
immobile di fronte al fratellino, batteva fortissimo per
l’emozione. Aveva capito cosa stava chiedendo il Mualim a suo
fratello. Ma suo fratello avrebbe risposto quello che il Mualim avrebbe
voluto sentire?
“Perché…”,
balbettò Kadar,
“perché…”, tirò
ancora su col naso, prendendo tempo. “Perché
niente è reale”, s’interruppe alzando
finalmente il mento dal petto e piantando gli occhi in quelli oscurati
dal cappuccio del Maestro. “Neanche
l’amicizia” concluse serio come suo fratello non lo
aveva mai visto e come lui non era mai stato.
Malik lasciò
cadere le spalle lentamente, trafitto dalla lingua biforcuta del mostro
che lui stesso aveva contribuito a creare.
Soltanto la sera prima,
nel letto che i fratelli Al-Sayf condividevano in una stanza assieme ad
altri quattro allievi, Kadar aveva confessato di non riuscire a capire
il significato di quelle parole pronunciate tanto spesso da tutti.
Mentre Malik fissava il basso soffitto sopra il proprio naso, Kadar si
era rannicchiato sotto le coperte, tirate fino alle labbra. Aveva
concluso i suoi infantili ragionamenti sulle cose vere e le cose false
così: “Non ha senso, è
stupido.”
A quel punto Malik lo
aveva fulminato con un’occhiataccia, e per poco non
l’aveva anche picchiato. “Se è questo
che pensi, tu sei l’unico stupido.”
Il modo in cui
l’aveva guardato Kadar, dopo essersi sentito insultato dal
fratello maggiore, Malik non l’avrebbe mai più
dimenticato. E nemmeno l’altro.
-Maestro Malik- il comandante Husam s’inchinò
pronunciando per la prima volta quell’elogio accanto al suo
nome. Il falco non ricordava d’essersi mai proclamato tale,
ma a tutti lì dentro veniva spontaneo chiamarlo in quel
modo.
-Generale Husam- sorrise Malik, ricambiando con la stessa moneta.
L’uomo nascosto sotto il cappuccio bianco e in vesti grigie
chinò nuovamente la testa. –Imad si sta
dimostrando indispensabile come pensavate, mio Signore.
C’è molto dei nostri nemici che avrei stentato
solo a immaginare- disse mentre il ragazzo gli si avvicinava, ancora
rosso in viso.
-Del tipo?- domandò Malik avvicinandosi al tavolo
improvvisato con due casse e un’asse di legno, sulla quale
era stata stesa una cartina del territorio circostante; come una
minuscola annotazione, incastonato nella valle appariva il nome del
piccolo villaggio predato. I misteriosi mercenari erano personificati
da quattro pedine nere, pezzi importanti da scacchi, mentre gli
assassini erano tre semplici pedoni bianchi arroccati sulla loro
fortezza tra le montagne.
-Imad ci ha confidato che i nostri avversari hanno attaccato il suo
villaggio senza risparmi: dalle frecce infuocate alle armi
d’assedio, mio Signore. Per quanto ne sappiamo, Al Quadmus
è stata rasa al suolo e i misteriosi soldati potrebbero aver
esaurito le munizioni oppure averne tante da rivoltare due volte
Gerusalemme.-
Pesando il suo tono di voce assieme alle parole del generale, Malik
capì che erano nello sterco fino al collo. Era cosa rara che
il comandante Husam si facesse intimidire fino a questo punto. La sua
prestigiosa esperienza militare era mancata loro in un primo assedio di
Masyaf, quando i Templari decimarono la popolazione costringendoli a
rifugiarsi nella fortezza. In quel momento un uomo come Husam avrebbe
fatto comodo e, sicuramente, rovesciato le sorti della battaglia.
Questa volta Masyaf contava, al contrario, di minimizzare
l’effetto sorpresa e farsi trovare pronta alla battaglia.
Gli uomini migliori dell’intero corpo di guardia cittadina
erano già schierati agli ingressi della cittadella, come
rivelò Husam frantumando un angoscioso silenzio. La notizia
era confortante, Malik dovette ammetterlo, ma c’era ancora
molto da fare prima di mettersi seduti e aspettare. Husam disse,
inoltre, che due falchi da caccia erano stati liberati e, se fossero
rientrati prima di una certa ora, il tempo del volo avrebbe comunicato
loro la distanza effettiva dei mercenari dalla cittadella. Come terzo
punto fondamentale, il generale chiamò in causa il giovane
Imad, che fece un passo avanti.
-Hanno delle imbarcazioni- comunicò costui.
Malik s’irrigidì. –Quante?- chiese.
-Quattro, per essere precisi- disse Imad guardando prima il generale
Husam e poi la reazione sul volto del Maestro.
Malik, pallido, scrutò a lungo e in silenzio la cartina.
–Non è possibile…-,
commentò, -se così fosse avrebbero dovuto
risalire il fiume dalla parte opposta e arrivare al nostro lago da sud.
A meno che…-.
-A meno che non le abbiano costruite alle pendici, passandoci sotto al
naso, per riscendere il corso lungo corrente- s’intromise
Husam, che aveva l’autorità per farlo.
–Una mossa astuta. Ci avevano quasi confusi.-
-Quasi-, sottolineò Malik, -ma non ci sorprenderanno come
sperano. State svolgendo un ottimo lavoro, Generale, ma per adesso
conto che manteniate le formazioni di difesa coi vostri uomini
migliori.-
L’uomo annuì gonfiando il petto.
–Sarà fatto- ufficializzò.
A quel punto Malik si tirò indietro e guardò Imad
negli occhi. -Appena avremo notizie degli ambasciatori,- disse
sfiorando un tasto personale per entrambi, -sapremo meglio che strada
seguire- concluse abbandonando i merli.
Il giovane S’Il-Kaahed rabbrividì, e parve
ricordarsi solo allora del fratello mandato in missione suicida in
braccio al destino.
~ ۞ ~
.:Angolo
d’Autrice:.
Ditemi voi: continuo? Ma se continuo, sarà ad aggiornamenti
tutt’altro che costanti. E questo capitolo ne è
pura prova.
Datemi i pro e i contro di questa storia. Vediamo se le vostre opinioni
combaciano con i miei progetti e scopriamo assieme la strada di questa
storia. È un aiuto, quello che vi chiedo. Come scrittrice e
recensore veterano della sezione, certo, ma anche come quasi-sedicenne
perdutamente innamorata di una cosa e una persona nella vita, entrambe
momentaneamente irraggiungibili. Scrivere adesso, perciò,
sarebbe il modo più facile e breve per rovinare le
aspettative di quelli che, come voi, seguono le mie storie.
Grazie per l'attenzione.
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