Sweet
Christmas
Capitolo 6 - Epilogo
Il paesaggio era candido e immacolato. Improvvisamente,
era smesso di nevicare. Le nubi compatte in un colore marmoreo danzavano
leggermente in cielo sospinte da una gelida brezza che lentamente stormiva tra
le fronde imbiancate. Stringendosi sempre più le braccia al petto per il
freddo, Patty continuava ad urlare il suo nome nel piazzale antistante il
portico d’accesso alla villa. Dopo l’alterco con Ken, che aveva posto fine alla
loro breve relazione, era uscita dalla villa rincorrendo il sogno d’amore della
sua vita incurante del freddo che aveva avvolto la città nella magica notte di
Natale.
-
Stupida, sono stata solo una stupida. Mi sono fatta
soggiogare da Ken nella speranza di dimenticarti e invece tu sei corso qui per
incontrarmi. Come ho potuto essere così incauta e immatura? come ho potuto
dubitare solo per un attimo dei miei e dei tuoi sentimenti? – pensò
correndo qua e là per il viale innevato.
-
Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – urlò mentre le lacrime le
annebbiavano la vista. La pena per aver perso ancora una volta l’amore della
sua vita era tale e provante che si sentiva attanagliata da un’angoscia che man
mano la stava stringendo in una morsa senza respiro.
-
Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – gridò ancora, prima di cadere in
ginocchio sulla neve tanto morbida quanto gelida. – Perché!
Perchéééééééééééééééééééééééééé? – berciò mentre copiose stille di lacrime le
rigavano le gote. Le avvertiva mentre brucianti solcavano la pelle intirizzita
dalla bassa temperatura invernale.
-
Signorina Patricia! Si copra o si ammalerà! – le sussurrò
Jackson poggiando un plaid di lana sulle spalle coperte dal velo d’organza.
Guardò la ragazza con estrema mitezza e comprensione. I suoi occhi scuri come
la notte più intensa sembravano brillare sul volto bruno. Patty lo guardò con
immane tristezza. Accettò il suo invito ad alzarsi e avvinse la coperta al suo
corpo, cercando il calore del morbido tessuto. Jackson si chinò a raccogliere
la borsa della ragazza. Lo seguì verso la limousine con la quale erano
arrivati. Lui le aprì lo sportello inducendola ad entrare per trovare riparo
dal freddo.
-
Jackson, è meglio di no. Se Ken…
-
Sssttt. Lei non si preoccupi, signorina. Salga e si riscaldi.
Ecco, - aggiunse porgendole una tazza da thermos, - qui c’è del the bollente. –
concluse porgendole il piccolo contenitore fumante. Patty ascoltò il consiglio
dell’autista di colore e salì sulla bellissima automobile. Non appena si fu
sistemata sul sedile posteriore, sentendo sulla pelle il calore del riscaldamento
acceso, afferrò la tazza di the e se la portò alle labbra. Sentì lo sportello
di Jackson richiudersi.
-
Dove desidera andare, signorina Gatsby? – le chiese
guardandola dallo specchietto retrovisore. Non era abituato a fare molte
domande, limitandosi ad una conversazione essenziale. Patty aveva compreso fin
dall’inizio, che quell’uomo era succube dei desideri di Hanna e della famiglia
Sullivan. Era una brava persona, di umile animo e sempre molto disponibile nei
confronti altrui.
-
Ti ringrazio Jackson, ma penso sia meglio per tutti e due che
io scenda. Concedimi solo il tempo di chiamare un taxi. –
-
Assolutamente, signorina. L’accompagnerò io! –
-
Se Hanna o Kenneth Sullivan si accorgono che sono su
quest’auto, probabilmente ti licenzieranno. Sto andando via…per sempre…dalla
famiglia Sullivan. – disse continuando a sorseggiare la bevanda calda. Sentì il
caldo liquido riscaldarle prima la bocca e poi lentamente scendere lungo
l’esofago.
-
Ne sono al corrente, signorina. Le voci corrono velocemente in
questi casi. –
-
Allora, proprio perché conosci i motivi della mia fuga,
consentimi di liberarti da ogni forma di complicità nei miei conforti e di
farti preservare il posto di lavoro! – aggiunse Patty cercando di convincerlo a
pensare a sé stesso e non a lei. Riflesso nello specchietto retrovisore vide il
sorriso dell’autista. Non l’avrebbe mai fatta scendere dall’auto se non dopo
averla riaccompagnata in albergo.
-
Spiacente, signorina. Non intendo lasciarla qui al freddo.
Dove desidera che la porti? – le chiese avviando il motore.
-
Fujisawa! Al più presto. – rispose convinta di quello che
aveva appena detto. Senza fare obiezioni o proferire qualcosa, Jackson partì
alla volta della città a sud di Tokyo.
Patty non sapeva dove cercare Holly. Fujisawa era l’unico
posto che le veniva in mente. Prima o poi sarebbe tornato a casa dei suoi
genitori: l’avrebbe probabilmente atteso lì. Doveva parlargli, sapere perché
era corso da lei dopo dieci anni. Patty doveva sapere se lui provava per lei
gli stessi sentimenti, se la promessa fatta dieci anni prima era solo l’attesa
che sbocciasse un grande amore tra di loro.
-
Holly! Amore mio, io non ho mai smesso di amarti.
Tutto qui è circondato di neve, di un magico manto bianco che dipinge la città
come in una cartolina. Tra un po’ sarà Natale. Dieci anni fa ci siamo fatti una
promessa: di rivederci la notte di Natale. So di averti deluso. Non ti
aspettavi di trovarmi così cambiata…soprattutto legata ad un ricco industriale
come Kenneth Sullivan.
-
Probabilmente ti ricordavi di me come della timida
manager che ti ha sempre amato in segreto. Ken ha offuscato la tua immagine,
facendomi sentire donna e lasciando che credessi che oltre te, avrei potuto
provare il sentimento dell’amore. Mi sbagliavo. Non si può dimenticare
facilmente la persona che più di ogni altra si è amata: un sentimento nobile
come l’amore non può essere cancellato se non da una passione infinita che
equivalga o superi le sensazioni che solo una grande emozione può causare,
serrando cuore e mente in un vortice di trepidazioni.
-
Cosa resta del passato? Dei nostri ricordi? Amando,
sognando, crescendo, ho imparato a vederti con occhi diversi. Sei sempre stato
il mio sogno irraggiungibile, la meta più ambita alla fine della quale
vagheggiavo di te…Sfioro con le dita queste labbra calde che tu hai lambito.
Per anni ho provato ad immaginare quale sensazione avrei potuto provare
ricevendo un tuo bacio. Adesso lo so. Mi è bastato vederti, ascoltare per
qualche attimo la tua voce, perdermi nei tuoi occhi scuri e brillanti per
avvertire i brividi rincorrersi lungo il mio corpo. Ho serrato al mio corpo
queste mani che invece avrebbero bramato di ricercarsi sul tuo volto alla
scoperta delle carezze più dolci e intime, di quel giovane semplice e amabile
che ricordavo…
-
Accarezzo ancora queste labbra che per un dolce, lungo
attimo hanno avvertito una tua intima amorevolezza…quella che per anni ho
smaniato. Sento una grande pena nel mio cuore perché mai avrei voluto farti
soffrire e mai avrei voluto che tu credessi che non ti ami più. Holly, ti prego,
aspettami…dammi una possibilità per spiegarti…lascia che io possa amarti come
avrei già voluto fare anni addietro….-. Accompagnata dai dolci pensieri,
Patty seguiva silente la strada che velocemente veniva inghiottita dalla
limousine.
Stringeva nervosamente il volante con una forza che non
gli apparteneva. La vista annebbiata dalle lacrime. Lui che piangeva per una
donna, per colei che aveva sperato di ritrovare nell’amore e nel candore nel
quale la ricordava. Bellissima, altera, di un fascino quasi innaturale: così
gli era apparsa dopo dieci anni. L’aveva veduta sulla copertina di un magazine,
ma anche i suoi pensieri più sensuali non avrebbero mai potuto dipingere un
quadro così perfetto. Seducente come mai l’avrebbe immaginata, avvolta in un abito
di gran classe che aveva messo in evidenza le curve perfette di un corpo oramai
maturo. La sua Patty non solo si era trasformata in un cigno di ineguagliabile
bellezza, ma era divenuta l’ambito trofeo di un ricco industriale qual era
Kenneth Sullivan. Un pugno sembrò stringergli il cuore. Avvertì una fitta di
dolore. Il pensiero che Kenneth potesse solo sfiorare quella pelle cerea e così
delicata, le sue labbra rosse e vogliose, scatenarono in lui una rabbia
infinita che non aveva mai provato. No, lui Oliver Hutton, pluridecorato
calciatore internazionale, non aveva mai odiato nessuno, ma quella sera aveva
scoperto sentimenti contrastanti come ira e rabbia. Era stata forse
l’improvvisa comparsa di Patty a frenare l’istinto iracondo che l’avrebbe
portato sicuramente ad una colluttazione con Ken. Che ne era stato del suo ben
noto buon senso e fair play? Incurante della neve e del ghiaccio, stava
spingendo al massimo l’automobile del padre, correndo verso quella cittadina in
cui anni prima aveva conosciuto Patty.
Ken Sullivan. La sua immagine era fissa negli occhi
esattamente come quella di Patty. Non era solo rabbia la sua, era soprattutto
gelosia, un sentimento che provava verso colui che le aveva portato via la
donna che amava.<
-
E’ stata tutta colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia.
Ho atteso troppo e adesso che lui me l’ha portata via, sto male. Lui, Kenneth
Sullivan, uno come gli altri, uno qualsiasi che già da tempo avrebbe potuto
conquistare il suo cuore. Dannazione. Perché ho aspettato tanto? Dovevo
ricordare il significato di una vecchia promessa per tornare a cercarla?
Stupido, stupido, stupido. Lei è sempre stata accanto a me, nella gioia e nel
dolore. Quando ne ho avuto la possibilità, non l’ho ringraziata…neanche quel
giorno, all’aeroporto, ho avuto il coraggio di dirle quanto le volevo bene.
-
Cosa mi aspettavo dalla vita? Che me la restituisse su un
piatto d’oro? Che mi desse un’altra opportunità dopo tutte quelle che ho sprecato? Cosa sarebbe successo se
non avessi visto quel giornale? – pensò continuando a macinare velocemente
chilometri.
-
Pezzo di idiota! Certo, sono solo un idiota. Penso a
lei da più di dieci anni e non come amica. Avevo solo bisogno di essere
spronato. Mi è bastato quel giornale per farmela desiderare. Hanno ragione i
miei amici: non sono più un ragazzino che ha come unico scopo della sua vita
quello di diventare un calciatore famoso. Sono un uomo oramai, con dei
sentimenti che sto calpestando da solo. La amo da impazzire. Sono geloso di
Kenneth Sullivan, vorrei spaccargli la faccia. Come ha potuto Patty innamorarsi
di un bastardo del genere? Uno che voleva venderla per pochi soldi? Mi fa
schifo solo pensare a lui! Ma cosa
credevo di fare? Che presentandomi dopo dieci anni, lei sarebbe corsa tra le
mie braccia. Cosa devo fare adesso? – si chiese imboccando l’uscita per
Fujisawa.
Era trascorsa più di un’ora dacché Jackson aveva dato gas
all’auto cercando di raggiungere Fujisawa nel minor tempo possibile. Aveva
intuito subito che Patty era diversa dai Sullivan e che non avrebbe potuto
convivere con personalità tanto forti e contrastanti, in una famiglia in cui
gli interessi contavano molto di più dei sentimenti.
Non gli importava se al suo ritorno a Tokyo i Sullivan
l’avessero licenziato. Era la scusa che cercava per poter andar via anche lui
da quella famiglia. Era ben pagato. Viveva nella loro dimora londinese e
durante i lunghi trasferimenti in Giappone, li seguiva in maniera ligia per
operare come sempre in maniera indefessa.
Aveva cinquantatre anni e un matrimonio alle spalle finito
con un divorzio a soli ventisette anni. Marisa Thomasson. Così si chiamava la
sua ex-moglie. L’aveva amata profondamente sin da quando erano bambini. Erano
cresciuti insieme dando vita ad un sentimento sbocciato in tenera età e poi
sfociato in un sacro vincolo. Poi la crisi. Quando Jackson, insieme ad altri
duecentocinquanta operai fu licenziato da una fabbrica siderurgica di
Liverpool, Marisa cadde nello sconforto. Era bella, di un’avvenenza tipica
delle donne di colore, dalle labbra di un rosso carnoso e i seni tondi e
prorompenti che avevano fatto sognare tanti uomini. Di lei ricordava
soprattutto il profumo di lillà che tanto le piaceva. Dopo il licenziamento, la
loro unione entrò in crisi. Marisa non si sentiva soddisfatta del loro matrimonio
e preferì lasciare il marito proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno.
Due mesi dopo la loro separazione, alla fine di quell’anno, Jackson si trasferì
a Londra dove entrò nell’azienda dei Sullivan prima come commesso e poi come
autista personale della famiglia Sullivan. Aveva dedicato loro circa ventisei
anni della sua vita. Mai, in quegli anni, avevano instaurato un rapporto
confidenziale. Ma questo era tipico dei Sullivan. Ricordava ancora gli sguardi
severi e superbi di Hanna Sullivan. L’aveva sempre reputato un essere inferiore
perché di colore, un uomo che un tempo non troppo lontano, sarebbe stato
bollato come schiavo.
Sia Jim sia Kenneth Sullivan, seppur sempre molto
professionali, non avevano mai assunto con lui un comportamento tanto morigerato
e austero.
Poi, all’improvviso, era arrivata lei: Patricia Gatsby. Un
raggio di luce in quella famiglia nota per il suo carattere freddo. Ricordava
ancora la prima volta che l’aveva vista. Aveva accompagnato Kenneth ad un
ricevimento presso il consolato nipponico a Londra. L’aveva vista arrivare di
corsa trafelata con il telefonino alla mano e una borsa porta documenti
nell’altra. Nonostante avesse fretta, il tono dolce e professionale della sua
conversazione telefonica, lo colpirono. La sua segretaria la seguiva come
un’ombra con in mano un porta abito in tessuto. L’aveva rivista al termine
della festa, quando Kenneth la condusse verso la limousine offrendole un
passaggio. Un’altra persona. I capelli sciolti sulle spalle ed un abito rosso
fuoco che le aderiva sensualmente al corpo. Ma il suo sorriso, era lo stesso.
Caldo e gentile.
Guardò nello specchietto retrovisore alla ricerca della
sua passeggera. Stretta nella coperta, non aveva smesso neppure un momento di
rimirare fuori dal finestrino. L’aveva vista digitare qualcosa sul telefonino.
Probabilmente un messaggio per tranquillizzare qualcuno: i genitori forse, che
non l’avevano più vista rientrare.
Era straordinariamente bella dipinta nella sua malinconia.
Gli occhi lucidi sembravano aver immortalato l’immagine di quel giovane che
aveva affrontato Kenneth Sullivan per rivendicare il suo amore in un gesto
disperato. Il cameriere che gli aveva riferito della discussione, non aveva
risparmiato i particolari, raccontandogli del bacio e soprattutto dei languidi
sguardi che Patty e Holly si erano scambiati al cospetto di un iracondo Kenneth
Sullivan.
L’amore che lei nutriva per quel giovane traspariva sul
suo volto. Non aveva detto altro dopo che gli aveva comunicato la destinazione.
Era rimasta silente, raccolta nei suoi pensieri e in quel doloroso amore che
l’avvinceva sempre più.
-
Signorina, stiamo per imboccare l’uscita per Fujisawa. Dove
dobbiamo andare? – le chiese in maniera professionale ma cordiale.
-
Prendi la prima uscita. Ti indico io la strada. – gli disse
con tono sommesso.
Holly fermò l’automobile dinanzi un grande cancello che
immetteva ad un edificio scolastico.
-
Gli anni della mia adolescenza li ho trascorsi qui, in questa
scuola, con la squadra della New Team. I miei primi successi! – esclamò
guardando i campi da calcio e da baseball oltre il cancello. Lassù, a destra,
dove i giardini salivano su per una collina, si ergeva ancora maestoso, il
ciliegio all’ombra del quale, tante volte era andato con Patty. Non ricordava
un vero e proprio dialogo avvenuto in quel luogo. Parlava sempre lui: parlava
sempre di calcio, la sua più grande passione. E lei, lo ascoltava, magicamente
attratta dal suono della sua voce, dal brillio riflesso nei suoi occhi neri, da
quella passione tanto evidente sul volto. Come incantata, restava lì, in
silenzio, a fargli compagnia. Era il loro ritrovo, il luogo in cui lei gli
aveva detto che sarebbe partita per Londra.
-
Amore mio. Come posso scordare l’emozione di quel momento?
Uno di fronte all’altra. Non riuscivi a guardarmi negli occhi. Egoisticamente,
pensai che la causa fosse la mia partenza per il Brasile. Mi sbagliavo. Tu non
sei mai stata assolutista. Al contrario, ti sei sempre battuta per gli altri,
soprattutto per me. Eri affranta, distrutta dal dolore di una separazione
troppo prematura alla quale non eravamo abbastanza preparati. Mi dicesti che
saresti partita. Non so dove trovai il coraggio, ma ricordo solo di averti
abbracciata e stretta forte a me. Poi….le tue lacrime sul mio petto. Ho capito
di amarti in quel momento…nell’attimo stesso in cui ti stavo perdendo. –
pensò continuando a rimirare il ciliegio che nell’ombra della notte sembrava un
albero di cristallo.
Provò a scuotere il lucchetto che incatenava il cancello,
ma oppose resistenza. La porticina di legno lungo il muretto. Ricordò che lungo
il muro di cinta c’era una porticina in legno utilizzata spesso dal guardiano e
dai ragazzi, che come lui, si trattenevano all’interno della scuola oltre
l’orario degli allenamenti. Corse verso la porticina, poco distante dal
cancello e afferrò la maniglia. Tentò più volte ad aprire la porta, ma
qualcosa, sembrava incastrare la serratura.
-
Dannazione, apriti! – urlò calciando contro l’uscio in legno.
All’ennesimo calcio, finalmente si aprì.
La neve aveva coperto tutti i campi di un soffice manto
bianco. Il grande ciliegio, spoglio delle sue foglie e dei suoi colorati fiori,
s’ergeva maestoso sulla collina. Guardò a sinistra e fu subito attratto da un
oggetto lasciato sul campo da calcio. Le reti cadevano flaccide nelle porte. Le
linee di delimitazione del campo e delle aree interne non si distinguevano più.
Eppure, la copiosa nevicata che c’era stata, non aveva del tutto coperto un
pallone abbandonato da qualcuno sul campo. Come attirato magneticamente, si avvicinò
al pallone che il freddo aveva conservato in perfette condizioni, e lo calciò
contro il muro del club di calcio. Gli ritornò indietro e con uno stop preciso,
lo fermò con i piedi. Il freddo era pungente ma meno intensamente del dolore
che gli attanagliava il cuore.
La limousine dei Sullivan arrestò la sua corsa dinanzi il
cancello di una villetta in una zona residenziale di Fujisawa. Jackson uscì
dall’auto ma Patty aveva già aperto lo sportello.
-
Signorina, tenga il mio soprabito. – le disse afferrando il
suo cappotto e mettendolo sulle spalle della ragazza. Lo sguardo di Patty era
di infinita gratitudine verso quell’uomo estremamente gentile. Oltrepassò il
cancello, e vedendo le luci accese, suonò al campanello. Un ragazzino di circa
otto anni le aprì la porta. Patty lo guardò incuriosita temendo di aver
sbagliato abitazione. Aveva gli stessi capelli neri di Holly e lo sguardo
birichino di un bimbo vivace.
-
Chi sei? – gli chiese David guardandola con ammirazione.
-
David, tesoro, chi è? – chiese una voce familiare giungendo
all’uscio. Maggie guardò la splendida ragazza di fronte a lei.
-
Non posso crederci…tu…tu sei Patty…la piccola Patty! – esclamò
coprendosi la bocca con una mano. Patty le sorrise e chinò il capo in segno di
assenso regalandole un dolcissimo sorriso.
-
Buonasera signora Hutton. Come sta? – le chiese educatamente.
-
Io…io bene….ma tu…Holly…cosa è successo? – domandò non vedendo
il figlio. – Entra, non vorrai restare lì fuori e beccarti un accidenti! –
aggiunse invitandola ad entrare in casa.
-
Io…ho un po’ di premura. Mi piacerebbe…ma….Holly è in casa? –
le chiese sperando che annuisse.
-
No…io…cosa sta succedendo? Ha ricevuto una telefonata da Amy
Ross e poi è andato via di corsa…dicendo che andava a Tokyo. -. Patty la fissò
con gli occhi lucidi per l’emozione. Sapeva che era stata Amy ad informarlo ed
era contenta che lui fosse corso a Tokyo per incontrarla, anche se per un breve
istante. Era corso da lei…non solo per la promessa che si erano scambiati dieci
anni prima.
-
Io…lo so, ho visto Holly solo per un attimo…poi è andato
via….-
-
Spero non sia successo nulla di grave! – esclamò preoccupata
stringendo a se il piccolo David.
-
No! – esclamò irruente più per convincere se stessa che
Maggie. – Sono sicura che si sarà intrattenuto da Julian ed Amy! – aggiunse
inventando una scusa, - Adesso devo andare. Grazie, signora Hutton e buon
Natale. – concluse prima di correre verso la limousine.
-
Patty…aspetta! – esclamò prima che lei potesse entrare nella
sontuosa automobile.
-
E’ corso da te…voleva vederti…ti ama, Patty! -. Patty guardò
Maggie con ammirazione e commozione. L’amore che nutriva verso il figlio
maggiore era degno di nota. Le sorrise compiaciuta di quelle parole mentre il
cuore le batteva forte in petto.
-
Anch’io….anche io lo amo! – rispose prima di scomparire
all’interno della vettura.
-
Maggie, chi era? – chiese Micheal Hutton al rientro in casa
della moglie. Maggie guardò il marito e poi Samantha Smith. Dacché Holly era
corso via per raggiungere Patty a Tokyo, la figlia di Eleanor e Adam Smith non
aveva pronunziato alcuna parola. Si era chiusa in un mutismo accompagnato solo
da un’aria indispettita.
-
Patty! –
-
Quella Patty? – gli chiese ricordando i discorsi intrattenuti
con la moglie durante il pomeriggio. Lei annuì sorridente ma allo stesso tempo
preoccupata. Negli occhi di Michael era viva l’immagine della manager della New
Team, la compagna di sempre del figlio maggiore, colei che aveva portato
scompiglio nel cuore di Holly.
-
Sì. Si stanno cercando disperatamente! – concluse abbracciando
il piccolo David.
-
Mamma, chi era quella ragazza? – chiese David incuriosito.
-
Un’amica…una cara amica di Holly! – rispose. Samantha la
guardò quasi con aria di diniego e sfida. Aveva perso in partenza. Holly non si
era lasciato avviluppare dalla morsa sensuale in cui lei aveva cercato di
stringerlo. Era corso da quella Patty di cui parlava Maggie. Ne era sicura. Lo
aveva perso ancora prima di averlo.
Jackson costeggiò il fiume
seguendo le indicazioni di Patty. Sperando che Holly fosse a Fujisawa e non
avesse raggiunto Amy e Julian a Tokyo, chiese all’autista di costeggiare il
canale lungo il quale era avvenuto il loro primo incontro. Si auspicava che
ripercorrendo i luoghi del loro passato, l’avrebbe trovato. Aveva nostalgia di
quei luoghi e rivederli dopo dieci anni le provocò un tuffo al cuore. Avrebbe
voluto ripercorrerli in una visita di piacere
e non alla disperata ricerca di un amore perduto.
Le strade innevate erano prive di
traffico. Erano tutti intenti a festeggiare l’arrivo del Natale che di lì a
pochi minuti sarebbe giunto, mentre lei girava in una sontuosa limousine per la
città. Entro poco avrebbe udito i rintocchi del tempio che annunciavano la
mezzanotte.
Chiese a Jackson di deviare verso
la scuola. Una forza magnetica sembrava attirarla verso quei luoghi che
l’avevano vista testimone e protagonista indiscussa della vita di Oliver
Hutton.
-
Ferma la macchina! – esclamò in un evidente stato di
agitazione. Jackson frenò alla richiesta della passeggera. Patty aveva veduto
un’automobile ferma di fronte il cancello della scuola. Il cuore le batteva
talmente forte che temeva potesse saltarle fuori dal petto. Mille pensieri
affollavano la sua mente alla ricerca di un barlume di lucidità. Sentiva
l’ansia accrescere e le parole morirle in gola. Brividi di freddo si
alternavano a singulti d’amore. Nervosamente cercò la maniglia dello sportello.
Quando l’ebbe finalmente trovata, spalancò la portiera e uscì dall’auto. Fu
investita da una folata di vento che la fece rabbrividire. La temperatura era
bassa ma a lei non importava. Era rossa in volto. Doveva trovarlo. Non poteva
perdere quella preziosissima occasione. Doveva fargli comprendere quanto
l’amava, lo sbaglio che aveva fatto con Ken…doveva fare finalmente quello che
aveva sempre rimandato: confessargli i suoi sentimenti. Per lunghi anni lo
aveva amato nel silenzio dell’altruismo, pensando solo ed esclusivamente alla
sua felicità e alla sua carriera, a non rompere quei fragili equilibri insiti
negli adolescenti. Ma adesso voleva e
doveva dichiarare a Holly il suo grande amore. Desiderava restituirgli il bacio
a fior di labbra che le aveva regalato prima di andar via da Villa Sullivan.
Smaniava per potersi perdere nell’intensità dei suoi occhi, in quell’abbraccio
che ricordava essere caldo e rassicurante…proprio come quella volta all’ombra
del grande ciliegio.
-
Holly…dove sei?…amore mio…ti prego, - pensò guardando
il cielo marmoreo, - fa che sia la sua auto…fa che sia qui. -. Corse
verso il cancello ma nonostante i suoi sforzi, il lucchetto era inamovibile.
Riprese la sua corsa alla ricerca della porticina di legno che tante volte,
rimasti oltre l’orario scolastico o degli allenamenti, aveva utilizzato proprio
in sua compagnia. I piedi le dolevano per il freddo e per i tacchi alti. Non le
importava delle vesciche o del gelo che la stava intirizzendo.
Il pallone continuò a schiantarsi
rabbiosamente contro il muro del club, poi all’improvviso, sbatté violentemente
contro la porta del club di calcio. Qualcuno aveva dimenticato di chiuderla
perché all’urto con la sfera a scacchi, si era aperta. Holly riprese fiato e
poi incedette lentamente verso il club nel quale era entrato tante volte. La
fievole luce del cielo e dei lampioni esterni illuminavano l’interno di quel
club arredato in maniera spartana. Ne delineò gli spazi e il mobilio
essenziale. Tutto come allora. Un grande stanzone con un armadietto laterale,
un tavolo con delle sedie, un frigorifero e una piccola cucina. In fondo alla
stanza, due porte: una conduceva al magazzino e alla lavanderia, luogo nel quale
le manager trascorrevano gran parte del loro tempo; l’altra invece, conduceva
agli spogliatoi e alle docce. Sorrise ricordando i volti madidi di sudore dei
suoi compagni; Patty, Evelyn e Susy sempre indaffarate nelle loro faccende.
Patty. Era l’anima di quel club. Mai un’assenza o una defezione. Anche con il
temporale o la neve, lei era sempre la prima ad arrivare. Si guardò ancora
intorno in cerca della voce ironica di Bruce che canzonava Patty. Rimembrò le
risa divertite dei compagni al loro continuo litigare. Andò verso gli
spogliatoi, alla ricerca di quei piacevoli ricordi che sembravano poter lenire
la pena del suo cuore.
Vide la porticina notando subito
che era stata forzata. Si fermò un attimo respirando a pieni polmoni l’aria
pulita e frizzante di quella sera. Mille e più ricordi le affiorarono nel
momento in cui, oltre la porticina scorse il ciliegio imbiancato sulla collina.
Non sentiva altro se non il battito del suo cuore. Le doleva. Temeva di non
poter sopportare oltre quello spasimo. Desiderava togliersi le scarpe e poter
correre sulla neve a piedi nudi. La brezza fredda e inebriante soffiò tra i
suoi capelli fecendola rinvenire da quel bizzarro pensiero. Si guardò intorno
in cerca della sua figura. Non c’era nessuno. Tutto sembrava essersi fermato a
dieci anni prima, al giorno in cui era andata via. I campi, le reti
afflosciate, gli edifici in perfette condizioni. Si voltò verso il grande
albero. Le lacrime le salirono agli occhi. La vista era oramai annebbiata.
Holly non era neanche lì. Dove poteva cercarlo ancora? Non voleva chiedere il
numero del cellulare a sua madre per evitare di impensierirla.
Lentamente si avviò verso la
collina, quasi cercando un po’ di conforto in quel luogo a lei tanto caro. Si
avvicinò al grande ciliegio e posò la mano sulla corteccia ghiacciata. Avvertì
subito il freddo sulla pelle, poi uno strano calore che parve solleticarle la
cute.
-
Non c’è! Cosa ho fatto? Non ho mantenuto la promessa che ci
eravamo scambiati dieci anni fa! Negli ultimi tempi ero troppo occupata a
pensare a Ken…e l’ho scordato. Come ho potuto? – pensò afflitta continuando
a guardarsi intorno.
-
Amore mio, dove sei? Perché ci inseguiamo inutilmente? Perché
non ti ho fermato quando sei venuto alla festa? Perché non ho avuto il coraggio
di dirtelo dieci anni fa? Perchéeeeeeeeeee….- urlò a pieni polmoni
colpevolizzandosi per quanto era accaduto. – Dove sei?
Holliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiy? – gridò disperata cadendo sulle ginocchia.
Holly fu come colto da una strana sensazione, parve udire
l’urlo disperato di Patty. Tornò velocemente nella stanza all’ingresso e si
avvicinò alla finestra. Guardò verso il campo, poi verso la collina. Scorse una
figura vicino l’albero, chinata sulla neve, coperta forse da un mantello.
Cominciò a tremare. Udiva i battiti del suo cuore, il ribollire del sangue
nelle vene. Corse fuori dal club in preda all’angoscia. Poco distante dalla
collina, si fermò. Guardò meglio quella figura a lui tanto familiare, adesso in
lacrime in preda ad un’angoscia che non le aveva mai visto. Sembrava disperata
e lui pareva poter sentire quelle lacrime che contigue le stavano inondando il
volto.
-
Patty! Patty! – pensò senza avere la forza per fiatare
e sibilare il suo nome. Si fermò a pochi passi da lei. Piangeva come una
bambina, rannicchiata vicino l’albero, cercando forse il suo conforto. Il
cappotto era caduto sulla neve e tremava come una foglia.
-
Patty! – sibilò cercando di attirare la sua attenzione. Perché
era lì? Doveva essere alla festa in quella lussuosa villa di Tokyo dove l’aveva
veduta nelle vesti della futura signora Sullivan. Contrariamente a quanto
pensava, lei era a Fujisawa, a pochi passi da lui. Si tolse il giubbotto in
pelle e glielo appoggiò delicatamente sulle spalle.
Solo in quel momento, si accorse
che c’era qualcuno alle sue spalle. Sussultò. Pensò che Jackson fosse davvero
una brava persona a preoccuparsi così per lei. Lentamente si voltò pensando di
ritrovare il volto bruno e bonario dell’autista.
Uno di fronte all’altra, a pochi
centimetri. Potevano udire l’ansimare dei loro respiri, avvertire quegli
sguardi languidi che sembravano spogliarli dei pensieri e delle sensazioni più
intime. Patty lentamente si portò le dita alle labbra, lambendole dolcemente
come prima lui le aveva sfiorate. Non riusciva a pensare a nulla. Le sembrava
di esser tornata adolescente quando bastava che Holly la guardasse per potersi
emozionare e a tal punto e far morire qualsiasi frase al suo principio. Holly
le porse la mano per aiutarla a rialzarsi e lei accettò l’invito.
-
Patty, sei qui, di fronte
a me. Ti guardo, ti ammiro in tutta la tua bellezza. Non riesco a
distogliere lo sguardo da te, da quegli occhi così profondi, dalla tua bocca
perfetta che ho avuto il coraggio di baciare in un disperato atto di amore.
Piccola mia…quanto tempo abbiamo sprecato nel timore di rivelarci i nostri
sentimenti…come abbiamo potuto perdere anni così preziosi della nostra vita,
soffrendo disperatamente per la lontananza e per un amore mai declamato? –
pensò sfiorandole il volto delicatamente con il dorso della mano.
-
Holly…cosa sta succedendo? Mi sembra di esser tornata
adolescente, quando un tuo sguardo metteva a freno ogni mia parola…allora come
adesso mi emoziono inverosimilmente. Sono trascorsi dieci anni, in cui ho
sempre saputo di amare solo te. Ti ho cercato mille e più volte nei miei
pensieri, nei ricordi innocenti e pudichi che hanno accompagnato l’inizio della
nostra adolescenza. Chiudendo gli occhi, cercavo di rievocare il calore del tuo
abbraccio e adesso…la delicatezza, la tenerezza di un bacio a fior di labbra
che ha scatenato in me i brividi dell’amore. Nessuna ardente passione può
sostituire un tuo dolce sguardo, la sensazione che un tuo tocco leggero mi può
donare. – pensò rasentandogli la mano fino a che le loro dita non si
incrociarono. Non c’erano parole che potevano esprimere l’intensità e la magia
di quell’attimo d’amore, tanto agognato
quanto esasperato. La brezza fredda lambiva i loro volti incantanti a
perdersi l’uno nell’altro.
I rintocchi del tempio annunciarono l’arrivo della mezzanotte.
Era Natale. Piccoli fiocchi bianchi scendevano lentamente sul paesaggio
immacolato. Holly le prese il volto tra le mani. Dolcemente, accompagnato da
una sicurezza non sua, si avvicinò al viso di Patty senza distogliere lo
sguardo dai suoi grandi occhi nocciola. Quando le labbra furono tanto vicine da
potersi sfiorare, accennò un timido sorriso. Era lì per lui. Kenneth Sullivan
era solo un vecchio ricordo. Ne era certo. Nulla e nessuno avrebbe potuto
portargliela via.
-
Buon Natale, amore mio. – le sussurrò prima di chiudere gli
occhi e sentire il tocco umido delle labbra di Patty sulle sue. Prima un bacio
tenero, come il sigillo di un grande sentimento, poi un’ardente passione che
attendeva solo di travolgerli in un turbine di emozioni.
Non sapevano a cosa andavano
incontro, quale sarebbe stato il loro destino…non era importante: contavano
solo loro, le loro anime, i sentimenti ardenti che attendevano solo di
fiammeggiare nei loro cuori. Nella bianca notte del Natale, Patty e Holly si
riscoprirono a mantenere una promessa scambiata dieci anni prima, un desiderio
che avevano realizzato e che sarebbe stato solo il primo di una vita che li
avrebbe accomunati nella felicità.
Anche
questa storia è conclusa. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto e
recensito questa mia nuova fanfic ed una dedica particolare ad Alex Kami che mi
segue sempre con tanto affetto. Buon Anno a tutti. Scandros