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Autore: scandros    16/01/2004    10 recensioni
Dedica a tutti coloro che come sogno sognano sulle ali della fantasia. buon Natale e buon Anno a tutti
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

Capitolo 6 - Epilogo

 

 

Il paesaggio era candido e immacolato. Improvvisamente, era smesso di nevicare. Le nubi compatte in un colore marmoreo danzavano leggermente in cielo sospinte da una gelida brezza che lentamente stormiva tra le fronde imbiancate. Stringendosi sempre più le braccia al petto per il freddo, Patty continuava ad urlare il suo nome nel piazzale antistante il portico d’accesso alla villa. Dopo l’alterco con Ken, che aveva posto fine alla loro breve relazione, era uscita dalla villa rincorrendo il sogno d’amore della sua vita incurante del freddo che aveva avvolto la città nella magica notte di Natale.

-         Stupida, sono stata solo una stupida. Mi sono fatta soggiogare da Ken nella speranza di dimenticarti e invece tu sei corso qui per incontrarmi. Come ho potuto essere così incauta e immatura? come ho potuto dubitare solo per un attimo dei miei e dei tuoi sentimenti? – pensò correndo qua e là per il viale innevato.

-         Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – urlò mentre le lacrime le annebbiavano la vista. La pena per aver perso ancora una volta l’amore della sua vita era tale e provante che si sentiva attanagliata da un’angoscia che man mano la stava stringendo in una morsa senza respiro.

-         Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – gridò ancora, prima di cadere in ginocchio sulla neve tanto morbida quanto gelida. – Perché! Perchéééééééééééééééééééééééééé? – berciò mentre copiose stille di lacrime le rigavano le gote. Le avvertiva mentre brucianti solcavano la pelle intirizzita dalla bassa temperatura invernale.  

-         Signorina Patricia! Si copra o si ammalerà! – le sussurrò Jackson poggiando un plaid di lana sulle spalle coperte dal velo d’organza. Guardò la ragazza con estrema mitezza e comprensione. I suoi occhi scuri come la notte più intensa sembravano brillare sul volto bruno. Patty lo guardò con immane tristezza. Accettò il suo invito ad alzarsi e avvinse la coperta al suo corpo, cercando il calore del morbido tessuto. Jackson si chinò a raccogliere la borsa della ragazza. Lo seguì verso la limousine con la quale erano arrivati. Lui le aprì lo sportello inducendola ad entrare per trovare riparo dal freddo.

-         Jackson, è meglio di no. Se Ken…

-         Sssttt. Lei non si preoccupi, signorina. Salga e si riscaldi. Ecco, - aggiunse porgendole una tazza da thermos, - qui c’è del the bollente. – concluse porgendole il piccolo contenitore fumante. Patty ascoltò il consiglio dell’autista di colore e salì sulla bellissima automobile. Non appena si fu sistemata sul sedile posteriore, sentendo sulla pelle il calore del riscaldamento acceso, afferrò la tazza di the e se la portò alle labbra. Sentì lo sportello di Jackson richiudersi.

-         Dove desidera andare, signorina Gatsby? – le chiese guardandola dallo specchietto retrovisore. Non era abituato a fare molte domande, limitandosi ad una conversazione essenziale. Patty aveva compreso fin dall’inizio, che quell’uomo era succube dei desideri di Hanna e della famiglia Sullivan. Era una brava persona, di umile animo e sempre molto disponibile nei confronti altrui.

-         Ti ringrazio Jackson, ma penso sia meglio per tutti e due che io scenda. Concedimi solo il tempo di chiamare un taxi. –

-         Assolutamente, signorina. L’accompagnerò io! –

-         Se Hanna o Kenneth Sullivan si accorgono che sono su quest’auto, probabilmente ti licenzieranno. Sto andando via…per sempre…dalla famiglia Sullivan. – disse continuando a sorseggiare la bevanda calda. Sentì il caldo liquido riscaldarle prima la bocca e poi lentamente scendere lungo l’esofago.

-         Ne sono al corrente, signorina. Le voci corrono velocemente in questi casi. –

-         Allora, proprio perché conosci i motivi della mia fuga, consentimi di liberarti da ogni forma di complicità nei miei conforti e di farti preservare il posto di lavoro! – aggiunse Patty cercando di convincerlo a pensare a sé stesso e non a lei. Riflesso nello specchietto retrovisore vide il sorriso dell’autista. Non l’avrebbe mai fatta scendere dall’auto se non dopo averla riaccompagnata in albergo.

-         Spiacente, signorina. Non intendo lasciarla qui al freddo. Dove desidera che la porti? – le chiese avviando il motore.

-         Fujisawa! Al più presto. – rispose convinta di quello che aveva appena detto. Senza fare obiezioni o proferire qualcosa, Jackson partì alla volta della città a sud di Tokyo.

Patty non sapeva dove cercare Holly. Fujisawa era l’unico posto che le veniva in mente. Prima o poi sarebbe tornato a casa dei suoi genitori: l’avrebbe probabilmente atteso lì. Doveva parlargli, sapere perché era corso da lei dopo dieci anni. Patty doveva sapere se lui provava per lei gli stessi sentimenti, se la promessa fatta dieci anni prima era solo l’attesa che sbocciasse un grande amore tra di loro.

-         Holly! Amore mio, io non ho mai smesso di amarti. Tutto qui è circondato di neve, di un magico manto bianco che dipinge la città come in una cartolina. Tra un po’ sarà Natale. Dieci anni fa ci siamo fatti una promessa: di rivederci la notte di Natale. So di averti deluso. Non ti aspettavi di trovarmi così cambiata…soprattutto legata ad un ricco industriale come Kenneth Sullivan.

-         Probabilmente ti ricordavi di me come della timida manager che ti ha sempre amato in segreto. Ken ha offuscato la tua immagine, facendomi sentire donna e lasciando che credessi che oltre te, avrei potuto provare il sentimento dell’amore. Mi sbagliavo. Non si può dimenticare facilmente la persona che più di ogni altra si è amata: un sentimento nobile come l’amore non può essere cancellato se non da una passione infinita che equivalga o superi le sensazioni che solo una grande emozione può causare, serrando cuore e mente in un vortice di trepidazioni.

-         Cosa resta del passato? Dei nostri ricordi? Amando, sognando, crescendo, ho imparato a vederti con occhi diversi. Sei sempre stato il mio sogno irraggiungibile, la meta più ambita alla fine della quale vagheggiavo di te…Sfioro con le dita queste labbra calde che tu hai lambito. Per anni ho provato ad immaginare quale sensazione avrei potuto provare ricevendo un tuo bacio. Adesso lo so. Mi è bastato vederti, ascoltare per qualche attimo la tua voce, perdermi nei tuoi occhi scuri e brillanti per avvertire i brividi rincorrersi lungo il mio corpo. Ho serrato al mio corpo queste mani che invece avrebbero bramato di ricercarsi sul tuo volto alla scoperta delle carezze più dolci e intime, di quel giovane semplice e amabile che ricordavo…

-         Accarezzo ancora queste labbra che per un dolce, lungo attimo hanno avvertito una tua intima amorevolezza…quella che per anni ho smaniato. Sento una grande pena nel mio cuore perché mai avrei voluto farti soffrire e mai avrei voluto che tu credessi che non ti ami più. Holly, ti prego, aspettami…dammi una possibilità per spiegarti…lascia che io possa amarti come avrei già voluto fare anni addietro….-. Accompagnata dai dolci pensieri, Patty seguiva silente la strada che velocemente veniva inghiottita dalla limousine.

 

Stringeva nervosamente il volante con una forza che non gli apparteneva. La vista annebbiata dalle lacrime. Lui che piangeva per una donna, per colei che aveva sperato di ritrovare nell’amore e nel candore nel quale la ricordava. Bellissima, altera, di un fascino quasi innaturale: così gli era apparsa dopo dieci anni. L’aveva veduta sulla copertina di un magazine, ma anche i suoi pensieri più sensuali non avrebbero mai potuto dipingere un quadro così perfetto. Seducente come mai l’avrebbe immaginata, avvolta in un abito di gran classe che aveva messo in evidenza le curve perfette di un corpo oramai maturo. La sua Patty non solo si era trasformata in un cigno di ineguagliabile bellezza, ma era divenuta l’ambito trofeo di un ricco industriale qual era Kenneth Sullivan. Un pugno sembrò stringergli il cuore. Avvertì una fitta di dolore. Il pensiero che Kenneth potesse solo sfiorare quella pelle cerea e così delicata, le sue labbra rosse e vogliose, scatenarono in lui una rabbia infinita che non aveva mai provato. No, lui Oliver Hutton, pluridecorato calciatore internazionale, non aveva mai odiato nessuno, ma quella sera aveva scoperto sentimenti contrastanti come ira e rabbia. Era stata forse l’improvvisa comparsa di Patty a frenare l’istinto iracondo che l’avrebbe portato sicuramente ad una colluttazione con Ken. Che ne era stato del suo ben noto buon senso e fair play? Incurante della neve e del ghiaccio, stava spingendo al massimo l’automobile del padre, correndo verso quella cittadina in cui anni prima aveva conosciuto Patty.

Ken Sullivan. La sua immagine era fissa negli occhi esattamente come quella di Patty. Non era solo rabbia la sua, era soprattutto gelosia, un sentimento che provava verso colui che le aveva portato via la donna che amava.<

-         E’ stata tutta colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia. Ho atteso troppo e adesso che lui me l’ha portata via, sto male. Lui, Kenneth Sullivan, uno come gli altri, uno qualsiasi che già da tempo avrebbe potuto conquistare il suo cuore. Dannazione. Perché ho aspettato tanto? Dovevo ricordare il significato di una vecchia promessa per tornare a cercarla? Stupido, stupido, stupido. Lei è sempre stata accanto a me, nella gioia e nel dolore. Quando ne ho avuto la possibilità, non l’ho ringraziata…neanche quel giorno, all’aeroporto, ho avuto il coraggio di dirle quanto le volevo bene.

-         Cosa mi aspettavo dalla vita? Che me la restituisse su un piatto d’oro? Che mi desse un’altra opportunità dopo tutte quelle  che ho sprecato? Cosa sarebbe successo se non avessi visto quel giornale? – pensò continuando a macinare velocemente chilometri. 

-         Pezzo di idiota! Certo, sono solo un idiota. Penso a lei da più di dieci anni e non come amica. Avevo solo bisogno di essere spronato. Mi è bastato quel giornale per farmela desiderare. Hanno ragione i miei amici: non sono più un ragazzino che ha come unico scopo della sua vita quello di diventare un calciatore famoso. Sono un uomo oramai, con dei sentimenti che sto calpestando da solo. La amo da impazzire. Sono geloso di Kenneth Sullivan, vorrei spaccargli la faccia. Come ha potuto Patty innamorarsi di un bastardo del genere? Uno che voleva venderla per pochi soldi? Mi fa schifo solo pensare  a lui! Ma cosa credevo di fare? Che presentandomi dopo dieci anni, lei sarebbe corsa tra le mie braccia. Cosa devo fare adesso? – si chiese imboccando l’uscita per Fujisawa.

 

 

Era trascorsa più di un’ora dacché Jackson aveva dato gas all’auto cercando di raggiungere Fujisawa nel minor tempo possibile. Aveva intuito subito che Patty era diversa dai Sullivan e che non avrebbe potuto convivere con personalità tanto forti e contrastanti, in una famiglia in cui gli interessi contavano molto di più dei sentimenti.

Non gli importava se al suo ritorno a Tokyo i Sullivan l’avessero licenziato. Era la scusa che cercava per poter andar via anche lui da quella famiglia. Era ben pagato. Viveva nella loro dimora londinese e durante i lunghi trasferimenti in Giappone, li seguiva in maniera ligia per operare come sempre in maniera indefessa.

Aveva cinquantatre anni e un matrimonio alle spalle finito con un divorzio a soli ventisette anni. Marisa Thomasson. Così si chiamava la sua ex-moglie. L’aveva amata profondamente sin da quando erano bambini. Erano cresciuti insieme dando vita ad un sentimento sbocciato in tenera età e poi sfociato in un sacro vincolo. Poi la crisi. Quando Jackson, insieme ad altri duecentocinquanta operai fu licenziato da una fabbrica siderurgica di Liverpool, Marisa cadde nello sconforto. Era bella, di un’avvenenza tipica delle donne di colore, dalle labbra di un rosso carnoso e i seni tondi e prorompenti che avevano fatto sognare tanti uomini. Di lei ricordava soprattutto il profumo di lillà che tanto le piaceva. Dopo il licenziamento, la loro unione entrò in crisi. Marisa non si sentiva soddisfatta del loro matrimonio e preferì lasciare il marito proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno. Due mesi dopo la loro separazione, alla fine di quell’anno, Jackson si trasferì a Londra dove entrò nell’azienda dei Sullivan prima come commesso e poi come autista personale della famiglia Sullivan. Aveva dedicato loro circa ventisei anni della sua vita. Mai, in quegli anni, avevano instaurato un rapporto confidenziale. Ma questo era tipico dei Sullivan. Ricordava ancora gli sguardi severi e superbi di Hanna Sullivan. L’aveva sempre reputato un essere inferiore perché di colore, un uomo che un tempo non troppo lontano, sarebbe stato bollato come schiavo.

Sia Jim sia Kenneth Sullivan, seppur sempre molto professionali, non avevano mai assunto con lui un comportamento tanto morigerato e austero.

Poi, all’improvviso, era arrivata lei: Patricia Gatsby. Un raggio di luce in quella famiglia nota per il suo carattere freddo. Ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista. Aveva accompagnato Kenneth ad un ricevimento presso il consolato nipponico a Londra. L’aveva vista arrivare di corsa trafelata con il telefonino alla mano e una borsa porta documenti nell’altra. Nonostante avesse fretta, il tono dolce e professionale della sua conversazione telefonica, lo colpirono. La sua segretaria la seguiva come un’ombra con in mano un porta abito in tessuto. L’aveva rivista al termine della festa, quando Kenneth la condusse verso la limousine offrendole un passaggio. Un’altra persona. I capelli sciolti sulle spalle ed un abito rosso fuoco che le aderiva sensualmente al corpo. Ma il suo sorriso, era lo stesso. Caldo e gentile.

Guardò nello specchietto retrovisore alla ricerca della sua passeggera. Stretta nella coperta, non aveva smesso neppure un momento di rimirare fuori dal finestrino. L’aveva vista digitare qualcosa sul telefonino. Probabilmente un messaggio per tranquillizzare qualcuno: i genitori forse, che non l’avevano più vista rientrare.

Era straordinariamente bella dipinta nella sua malinconia. Gli occhi lucidi sembravano aver immortalato l’immagine di quel giovane che aveva affrontato Kenneth Sullivan per rivendicare il suo amore in un gesto disperato. Il cameriere che gli aveva riferito della discussione, non aveva risparmiato i particolari, raccontandogli del bacio e soprattutto dei languidi sguardi che Patty e Holly si erano scambiati al cospetto di un iracondo Kenneth Sullivan.

L’amore che lei nutriva per quel giovane traspariva sul suo volto. Non aveva detto altro dopo che gli aveva comunicato la destinazione. Era rimasta silente, raccolta nei suoi pensieri e in quel doloroso amore che l’avvinceva sempre più.

-         Signorina, stiamo per imboccare l’uscita per Fujisawa. Dove dobbiamo andare? – le chiese in maniera professionale ma cordiale.

-         Prendi la prima uscita. Ti indico io la strada. – gli disse con tono sommesso.

 

 

Holly fermò l’automobile dinanzi un grande cancello che immetteva ad un edificio scolastico.

-         Gli anni della mia adolescenza li ho trascorsi qui, in questa scuola, con la squadra della New Team. I miei primi successi! – esclamò guardando i campi da calcio e da baseball oltre il cancello. Lassù, a destra, dove i giardini salivano su per una collina, si ergeva ancora maestoso, il ciliegio all’ombra del quale, tante volte era andato con Patty. Non ricordava un vero e proprio dialogo avvenuto in quel luogo. Parlava sempre lui: parlava sempre di calcio, la sua più grande passione. E lei, lo ascoltava, magicamente attratta dal suono della sua voce, dal brillio riflesso nei suoi occhi neri, da quella passione tanto evidente sul volto. Come incantata, restava lì, in silenzio, a fargli compagnia. Era il loro ritrovo, il luogo in cui lei gli aveva detto che sarebbe partita per Londra.

-         Amore mio. Come posso scordare l’emozione di quel momento? Uno di fronte all’altra. Non riuscivi a guardarmi negli occhi. Egoisticamente, pensai che la causa fosse la mia partenza per il Brasile. Mi sbagliavo. Tu non sei mai stata assolutista. Al contrario, ti sei sempre battuta per gli altri, soprattutto per me. Eri affranta, distrutta dal dolore di una separazione troppo prematura alla quale non eravamo abbastanza preparati. Mi dicesti che saresti partita. Non so dove trovai il coraggio, ma ricordo solo di averti abbracciata e stretta forte a me. Poi….le tue lacrime sul mio petto. Ho capito di amarti in quel momento…nell’attimo stesso in cui ti stavo perdendo. – pensò continuando a rimirare il ciliegio che nell’ombra della notte sembrava un albero di cristallo.

 

Provò a scuotere il lucchetto che incatenava il cancello, ma oppose resistenza. La porticina di legno lungo il muretto. Ricordò che lungo il muro di cinta c’era una porticina in legno utilizzata spesso dal guardiano e dai ragazzi, che come lui, si trattenevano all’interno della scuola oltre l’orario degli allenamenti. Corse verso la porticina, poco distante dal cancello e afferrò la maniglia. Tentò più volte ad aprire la porta, ma qualcosa, sembrava incastrare la serratura.

-         Dannazione, apriti! – urlò calciando contro l’uscio in legno. All’ennesimo calcio, finalmente si aprì.

La neve aveva coperto tutti i campi di un soffice manto bianco. Il grande ciliegio, spoglio delle sue foglie e dei suoi colorati fiori, s’ergeva maestoso sulla collina. Guardò a sinistra e fu subito attratto da un oggetto lasciato sul campo da calcio. Le reti cadevano flaccide nelle porte. Le linee di delimitazione del campo e delle aree interne non si distinguevano più. Eppure, la copiosa nevicata che c’era stata, non aveva del tutto coperto un pallone abbandonato da qualcuno sul campo. Come attirato magneticamente, si avvicinò al pallone che il freddo aveva conservato in perfette condizioni, e lo calciò contro il muro del club di calcio. Gli ritornò indietro e con uno stop preciso, lo fermò con i piedi. Il freddo era pungente ma meno intensamente del dolore che gli attanagliava il cuore.

 

 

La limousine dei Sullivan arrestò la sua corsa dinanzi il cancello di una villetta in una zona residenziale di Fujisawa. Jackson uscì dall’auto ma Patty aveva già aperto lo sportello.

-         Signorina, tenga il mio soprabito. – le disse afferrando il suo cappotto e mettendolo sulle spalle della ragazza. Lo sguardo di Patty era di infinita gratitudine verso quell’uomo estremamente gentile. Oltrepassò il cancello, e vedendo le luci accese, suonò al campanello. Un ragazzino di circa otto anni le aprì la porta. Patty lo guardò incuriosita temendo di aver sbagliato abitazione. Aveva gli stessi capelli neri di Holly e lo sguardo birichino di un bimbo vivace.

-         Chi sei? – gli chiese David guardandola con ammirazione.

-         David, tesoro, chi è? – chiese una voce familiare giungendo all’uscio. Maggie guardò la splendida ragazza di fronte a lei.

-         Non posso crederci…tu…tu sei Patty…la piccola Patty! – esclamò coprendosi la bocca con una mano. Patty le sorrise e chinò il capo in segno di assenso regalandole un dolcissimo sorriso.

-         Buonasera signora Hutton. Come sta? – le chiese educatamente.

-         Io…io bene….ma tu…Holly…cosa è successo? – domandò non vedendo il figlio. – Entra, non vorrai restare lì fuori e beccarti un accidenti! – aggiunse invitandola ad entrare in casa.

-         Io…ho un po’ di premura. Mi piacerebbe…ma….Holly è in casa? – le chiese sperando che annuisse.

-         No…io…cosa sta succedendo? Ha ricevuto una telefonata da Amy Ross e poi è andato via di corsa…dicendo che andava a Tokyo. -. Patty la fissò con gli occhi lucidi per l’emozione. Sapeva che era stata Amy ad informarlo ed era contenta che lui fosse corso a Tokyo per incontrarla, anche se per un breve istante. Era corso da lei…non solo per la promessa che si erano scambiati dieci anni prima.

-         Io…lo so, ho visto Holly solo per un attimo…poi è andato via….-

-         Spero non sia successo nulla di grave! – esclamò preoccupata stringendo a se il piccolo David.

-         No! – esclamò irruente più per convincere se stessa che Maggie. – Sono sicura che si sarà intrattenuto da Julian ed Amy! – aggiunse inventando una scusa, - Adesso devo andare. Grazie, signora Hutton e buon Natale. – concluse prima di correre verso la limousine.

-         Patty…aspetta! – esclamò prima che lei potesse entrare nella sontuosa automobile.

-         E’ corso da te…voleva vederti…ti ama, Patty! -. Patty guardò Maggie con ammirazione e commozione. L’amore che nutriva verso il figlio maggiore era degno di nota. Le sorrise compiaciuta di quelle parole mentre il cuore le batteva forte in petto.

-         Anch’io….anche io lo amo! – rispose prima di scomparire all’interno della vettura.

-         Maggie, chi era? – chiese Micheal Hutton al rientro in casa della moglie. Maggie guardò il marito e poi Samantha Smith. Dacché Holly era corso via per raggiungere Patty a Tokyo, la figlia di Eleanor e Adam Smith non aveva pronunziato alcuna parola. Si era chiusa in un mutismo accompagnato solo da un’aria indispettita.

-         Patty! –

-         Quella Patty? – gli chiese ricordando i discorsi intrattenuti con la moglie durante il pomeriggio. Lei annuì sorridente ma allo stesso tempo preoccupata. Negli occhi di Michael era viva l’immagine della manager della New Team, la compagna di sempre del figlio maggiore, colei che aveva portato scompiglio nel cuore di Holly.

-         Sì. Si stanno cercando disperatamente! – concluse abbracciando il piccolo David. 

-         Mamma, chi era quella ragazza? – chiese David incuriosito.

-         Un’amica…una cara amica di Holly! – rispose. Samantha la guardò quasi con aria di diniego e sfida. Aveva perso in partenza. Holly non si era lasciato avviluppare dalla morsa sensuale in cui lei aveva cercato di stringerlo. Era corso da quella Patty di cui parlava Maggie. Ne era sicura. Lo aveva perso ancora prima di averlo.

 

 

 

Jackson costeggiò il fiume seguendo le indicazioni di Patty. Sperando che Holly fosse a Fujisawa e non avesse raggiunto Amy e Julian a Tokyo, chiese all’autista di costeggiare il canale lungo il quale era avvenuto il loro primo incontro. Si auspicava che ripercorrendo i luoghi del loro passato, l’avrebbe trovato. Aveva nostalgia di quei luoghi e rivederli dopo dieci anni le provocò un tuffo al cuore. Avrebbe voluto ripercorrerli in una visita di piacere  e non alla disperata ricerca di un amore perduto.

Le strade innevate erano prive di traffico. Erano tutti intenti a festeggiare l’arrivo del Natale che di lì a pochi minuti sarebbe giunto, mentre lei girava in una sontuosa limousine per la città. Entro poco avrebbe udito i rintocchi del tempio che annunciavano la mezzanotte.

Chiese a Jackson di deviare verso la scuola. Una forza magnetica sembrava attirarla verso quei luoghi che l’avevano vista testimone e protagonista indiscussa della vita di Oliver Hutton.

-         Ferma la macchina! – esclamò in un evidente stato di agitazione. Jackson frenò alla richiesta della passeggera. Patty aveva veduto un’automobile ferma di fronte il cancello della scuola. Il cuore le batteva talmente forte che temeva potesse saltarle fuori dal petto. Mille pensieri affollavano la sua mente alla ricerca di un barlume di lucidità. Sentiva l’ansia accrescere e le parole morirle in gola. Brividi di freddo si alternavano a singulti d’amore. Nervosamente cercò la maniglia dello sportello. Quando l’ebbe finalmente trovata, spalancò la portiera e uscì dall’auto. Fu investita da una folata di vento che la fece rabbrividire. La temperatura era bassa ma a lei non importava. Era rossa in volto. Doveva trovarlo. Non poteva perdere quella preziosissima occasione. Doveva fargli comprendere quanto l’amava, lo sbaglio che aveva fatto con Ken…doveva fare finalmente quello che aveva sempre rimandato: confessargli i suoi sentimenti. Per lunghi anni lo aveva amato nel silenzio dell’altruismo, pensando solo ed esclusivamente alla sua felicità e alla sua carriera, a non rompere quei fragili equilibri insiti negli adolescenti. Ma adesso voleva  e doveva dichiarare a Holly il suo grande amore. Desiderava restituirgli il bacio a fior di labbra che le aveva regalato prima di andar via da Villa Sullivan. Smaniava per potersi perdere nell’intensità dei suoi occhi, in quell’abbraccio che ricordava essere caldo e rassicurante…proprio come quella volta all’ombra del grande ciliegio.

-         Holly…dove sei?…amore mio…ti prego, - pensò guardando il cielo marmoreo, - fa che sia la sua auto…fa che sia qui. -. Corse verso il cancello ma nonostante i suoi sforzi, il lucchetto era inamovibile. Riprese la sua corsa alla ricerca della porticina di legno che tante volte, rimasti oltre l’orario scolastico o degli allenamenti, aveva utilizzato proprio in sua compagnia. I piedi le dolevano per il freddo e per i tacchi alti. Non le importava delle vesciche o del gelo che la stava intirizzendo.

Il pallone continuò a schiantarsi rabbiosamente contro il muro del club, poi all’improvviso, sbatté violentemente contro la porta del club di calcio. Qualcuno aveva dimenticato di chiuderla perché all’urto con la sfera a scacchi, si era aperta. Holly riprese fiato e poi incedette lentamente verso il club nel quale era entrato tante volte. La fievole luce del cielo e dei lampioni esterni illuminavano l’interno di quel club arredato in maniera spartana. Ne delineò gli spazi e il mobilio essenziale. Tutto come allora. Un grande stanzone con un armadietto laterale, un tavolo con delle sedie, un frigorifero e una piccola cucina. In fondo alla stanza, due porte: una conduceva al magazzino e alla lavanderia, luogo nel quale le manager trascorrevano gran parte del loro tempo; l’altra invece, conduceva agli spogliatoi e alle docce. Sorrise ricordando i volti madidi di sudore dei suoi compagni; Patty, Evelyn e Susy sempre indaffarate nelle loro faccende. Patty. Era l’anima di quel club. Mai un’assenza o una defezione. Anche con il temporale o la neve, lei era sempre la prima ad arrivare. Si guardò ancora intorno in cerca della voce ironica di Bruce che canzonava Patty. Rimembrò le risa divertite dei compagni al loro continuo litigare. Andò verso gli spogliatoi, alla ricerca di quei piacevoli ricordi che sembravano poter lenire la pena del suo cuore.

 

 

Vide la porticina notando subito che era stata forzata. Si fermò un attimo respirando a pieni polmoni l’aria pulita e frizzante di quella sera. Mille e più ricordi le affiorarono nel momento in cui, oltre la porticina scorse il ciliegio imbiancato sulla collina. Non sentiva altro se non il battito del suo cuore. Le doleva. Temeva di non poter sopportare oltre quello spasimo. Desiderava togliersi le scarpe e poter correre sulla neve a piedi nudi. La brezza fredda e inebriante soffiò tra i suoi capelli fecendola rinvenire da quel bizzarro pensiero. Si guardò intorno in cerca della sua figura. Non c’era nessuno. Tutto sembrava essersi fermato a dieci anni prima, al giorno in cui era andata via. I campi, le reti afflosciate, gli edifici in perfette condizioni. Si voltò verso il grande albero. Le lacrime le salirono agli occhi. La vista era oramai annebbiata. Holly non era neanche lì. Dove poteva cercarlo ancora? Non voleva chiedere il numero del cellulare a sua madre per evitare di impensierirla.

Lentamente si avviò verso la collina, quasi cercando un po’ di conforto in quel luogo a lei tanto caro. Si avvicinò al grande ciliegio e posò la mano sulla corteccia ghiacciata. Avvertì subito il freddo sulla pelle, poi uno strano calore che parve solleticarle la cute.

-         Non c’è! Cosa ho fatto? Non ho mantenuto la promessa che ci eravamo scambiati dieci anni fa! Negli ultimi tempi ero troppo occupata a pensare a Ken…e l’ho scordato. Come ho potuto? – pensò afflitta continuando a guardarsi intorno.

-         Amore mio, dove sei? Perché ci inseguiamo inutilmente? Perché non ti ho fermato quando sei venuto alla festa? Perché non ho avuto il coraggio di dirtelo dieci anni fa? Perchéeeeeeeeeee….- urlò a pieni polmoni colpevolizzandosi per quanto era accaduto. – Dove sei? Holliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiy? – gridò disperata cadendo sulle ginocchia.

Holly fu come colto da una strana sensazione, parve udire l’urlo disperato di Patty. Tornò velocemente nella stanza all’ingresso e si avvicinò alla finestra. Guardò verso il campo, poi verso la collina. Scorse una figura vicino l’albero, chinata sulla neve, coperta forse da un mantello. Cominciò a tremare. Udiva i battiti del suo cuore, il ribollire del sangue nelle vene. Corse fuori dal club in preda all’angoscia. Poco distante dalla collina, si fermò. Guardò meglio quella figura a lui tanto familiare, adesso in lacrime in preda ad un’angoscia che non le aveva mai visto. Sembrava disperata e lui pareva poter sentire quelle lacrime che contigue le stavano inondando il volto.

-         Patty! Patty! – pensò senza avere la forza per fiatare e sibilare il suo nome. Si fermò a pochi passi da lei. Piangeva come una bambina, rannicchiata vicino l’albero, cercando forse il suo conforto. Il cappotto era caduto sulla neve e tremava come una foglia.

-         Patty! – sibilò cercando di attirare la sua attenzione. Perché era lì? Doveva essere alla festa in quella lussuosa villa di Tokyo dove l’aveva veduta nelle vesti della futura signora Sullivan. Contrariamente a quanto pensava, lei era a Fujisawa, a pochi passi da lui. Si tolse il giubbotto in pelle e glielo appoggiò delicatamente sulle spalle.

Solo in quel momento, si accorse che c’era qualcuno alle sue spalle. Sussultò. Pensò che Jackson fosse davvero una brava persona a preoccuparsi così per lei. Lentamente si voltò pensando di ritrovare il volto bruno e bonario dell’autista.

Uno di fronte all’altra, a pochi centimetri. Potevano udire l’ansimare dei loro respiri, avvertire quegli sguardi languidi che sembravano spogliarli dei pensieri e delle sensazioni più intime. Patty lentamente si portò le dita alle labbra, lambendole dolcemente come prima lui le aveva sfiorate. Non riusciva a pensare a nulla. Le sembrava di esser tornata adolescente quando bastava che Holly la guardasse per potersi emozionare e a tal punto e far morire qualsiasi frase al suo principio. Holly le porse la mano per aiutarla a rialzarsi e lei accettò l’invito.

-         Patty, sei qui, di fronte  a me. Ti guardo, ti ammiro in tutta la tua bellezza. Non riesco a distogliere lo sguardo da te, da quegli occhi così profondi, dalla tua bocca perfetta che ho avuto il coraggio di baciare in un disperato atto di amore. Piccola mia…quanto tempo abbiamo sprecato nel timore di rivelarci i nostri sentimenti…come abbiamo potuto perdere anni così preziosi della nostra vita, soffrendo disperatamente per la lontananza e per un amore mai declamato? – pensò sfiorandole il volto delicatamente con il dorso della mano.

-         Holly…cosa sta succedendo? Mi sembra di esser tornata adolescente, quando un tuo sguardo metteva a freno ogni mia parola…allora come adesso mi emoziono inverosimilmente. Sono trascorsi dieci anni, in cui ho sempre saputo di amare solo te. Ti ho cercato mille e più volte nei miei pensieri, nei ricordi innocenti e pudichi che hanno accompagnato l’inizio della nostra adolescenza. Chiudendo gli occhi, cercavo di rievocare il calore del tuo abbraccio e adesso…la delicatezza, la tenerezza di un bacio a fior di labbra che ha scatenato in me i brividi dell’amore. Nessuna ardente passione può sostituire un tuo dolce sguardo, la sensazione che un tuo tocco leggero mi può donare. – pensò rasentandogli la mano fino a che le loro dita non si incrociarono. Non c’erano parole che potevano esprimere l’intensità e la magia di quell’attimo d’amore, tanto agognato  quanto esasperato. La brezza fredda lambiva i loro volti incantanti a perdersi l’uno nell’altro.

I rintocchi del tempio annunciarono l’arrivo della mezzanotte. Era Natale. Piccoli fiocchi bianchi scendevano lentamente sul paesaggio immacolato. Holly le prese il volto tra le mani. Dolcemente, accompagnato da una sicurezza non sua, si avvicinò al viso di Patty senza distogliere lo sguardo dai suoi grandi occhi nocciola. Quando le labbra furono tanto vicine da potersi sfiorare, accennò un timido sorriso. Era lì per lui. Kenneth Sullivan era solo un vecchio ricordo. Ne era certo. Nulla e nessuno avrebbe potuto portargliela via.

-         Buon Natale, amore mio. – le sussurrò prima di chiudere gli occhi e sentire il tocco umido delle labbra di Patty sulle sue. Prima un bacio tenero, come il sigillo di un grande sentimento, poi un’ardente passione che attendeva solo di travolgerli in un turbine di emozioni.

Non sapevano a cosa andavano incontro, quale sarebbe stato il loro destino…non era importante: contavano solo loro, le loro anime, i sentimenti ardenti che attendevano solo di fiammeggiare nei loro cuori. Nella bianca notte del Natale, Patty e Holly si riscoprirono a mantenere una promessa scambiata dieci anni prima, un desiderio che avevano realizzato e che sarebbe stato solo il primo di una vita che li avrebbe accomunati nella felicità.

 

 

 

 

Anche questa storia è conclusa. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto e recensito questa mia nuova fanfic ed una dedica particolare ad Alex Kami che mi segue sempre con tanto affetto. Buon Anno a tutti. Scandros

 

  
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