Second Heartbeat
Brian camminava lungo la riva della spiaggia della nuova
città. Si erano trasferiti per via del nuovo lavoro di suo
padre e per colpa sua si erano ritrovati dall‘altra parte del
paese. Brian si sentiva tremendamente solo, anche se non lo avrebbe mai
ammesso, nemmeno sotto tortura; aveva dovuto lasciare tutti i suoi
amici nelle vecchia città e nonostante fossero
già due settimane che si trovavano li, non aveva ancora
conosciuto nessuno con cui fare amicizia. Aveva frequentato la spiaggia
quasi tutti i giorni eppure i ragazzi che la popolavano sembravano non
fare caso a lui. Gli passavano accanto ignorandolo completamente, quasi
fosse un fantasma. E lui, da parte sua, non era affatto bravo a fare
amicizia. Una volta che diventava amico di qualcuno era capace di
donargli tutto l’affetto di questo mondo e fare di tutto per
amicizia, ma il suo vero problema era fare il primo passo. Era
estremamente timido con chi non conosceva.
Passeggiò ancora un po’, mentre il sole cominciava
a calare, colorando oceano e cielo di rosa e arancione. Si decise a
tornare a casa quando ormai ebbe fatto avanti e dietro per il pontile
già diverse volte.
Anche quel giorno non era riuscito a trovare un anima viva con cui
poter parlare e affondando le mani nelle tasche
s’incamminò in direzione di quella che avrebbe
dovuto chiamare casa, ma che ancora non gli riusciva di fare.
Arrivato salì di corsa in camera sua salutando con un cenno
della mano sua madre che stava preparando la cena.
Accese il computer sulla scrivania per passare un po’ di
tempo prima che la cena fosse pronta, ma si era dimenticato che non
avevano ancora la connessione quindi lo tenne occupato per poco.
Sbuffò, spense il computer direttamente dal tasto
di accensione e andò alla finestra affacciandosi fuori.
Il panorama era veramente bello non c’è che dire,
i colori che aveva assunto il cielo a quell’ora erano davvero
belli e sentiva che gli sarebbe anche potuto piacere vivere li se solo
almeno uno dei suoi amici fosse venuto con lui.
Pensando a ciò sospirò e si appoggiò
alla cornice della finestra e, mentre era perso nei suoi pensieri, il
suo sguardo venne attirato da quello che sembrava essere uno zaino che
era piombato direttamente oltre le recinzioni del suo giardino.
Si sporse appena e spostò lo sguardo verso destra, da dove
sembrava fosse provenuto l’oggetto.
Da dietro l’angolo vide un ragazzino correre mezzo sfiatato
verso il giardino con dietro altri tre ragazzi più o meno
della sua età, che se la ridevano di gusto.
“Vai Baker corri!”
“Più veloce o ti raggiungiamo!”
A quelle parole, Brian vide il ragazzino strizzare gli occhi e con
enorme sforzo correre più veloce. Una volta svoltato
l’angolo arrivò davanti al cortile di casa sua e
si nascose dietro un cespuglio, quasi ritrovandosi in mezzo ai rovi per
paura di essere scoperto.
Il ragazzino era stato veramente veloce e quando gli altri tre
svoltarono l’angolo lui era già nascosto e gli
passarono affianco senza vederlo.
“Merda! Che fine ha fatto?” esclamò uno
di loro.
“Non lo so, l’abbiamo perso di vista”
rispose uno un po’ più alto al suo fianco.
“Bene, non importa” rispose il primo
“senti Baker lo so che sei qui intorno e mi senti”
disse alzando la voce “tanto non puoi sfuggirci per sempre,
prima o poi ti riacchiappiamo!”
Brian vide il ragazzino, che doveva essere il suddetto Baker,
indietreggiare appena fra i rami con un espressione terrorizzata, ma
gli altri decisero di abbandonare la ricerca e se ne andarono
sghignazzando.
Il ragazzino tirò un sospiro di sollievo e uscì
dal suo nascondiglio per poi guardare verso il giardino con aria
preoccupata, probabilmente chiedendosi come avrebbe fatto a recuperare
il suo zaino.
“Ehy!” urlò Brian e il ragazzino fece un
salto terrorizzato, ma non rispose.
“Vuoi che ti prendo il tuo zaino?” gli chiese e lo
vide annuire.
“S-si magari… grazie” disse un
po’ timoroso.
“Ok aspetta che scendo”
Lui annuì e rimase fermo in mezzo alla strada.
Brian si precipitò giù per le scale con una forte
sensazione all’interno del petto, un po’
perché era finalmente felice di aver parlato con qualcuno,
anche se brevemente, e un po’ perché quel
ragazzino lo aveva colpito, non sapeva bene per quale motivo.
Aprì la porta di casa e andò a recuperare lo
zaino che era atterrato proprio sotto la sua finestra. Era nero con la
scritta “Misfits“ rossa proprio al centro.
Lo raggiunse e glielo restituì, notando che aveva il viso
pieno di graffi, dovuti ai rovi del cespuglio in cui si era nascosto.
“Grazie” fece lui caricandosi lo zaino nella spalla
sinistra.
“Figurati. Perché quelli ce l’avevano
con te?”
“Non gli vado molto a genio” disse oscurandosi e
abbassando appena il capo.
“Che idioti”
“Già” concordò lui prendendo
a spostare la breccia che c’era a terra col piede.
“Comunque io sono Brian”
“Zack” disse il ragazzino che finalmente aveva un
nome, porgendogli la mano.
Brian la strinse. “Non ti ho mai visto in giro” gli
disse Zack.
“Ci siamo trasferiti da un paio di settimane per il lavoro di
mio padre”
“Ah capisco. Comunque grazie per lo zaino, ora
però devo andare”
“Ah ok” fece Brian un po’ deluso che la
conversazione fosse già finita li. Avrebbe voluto
rimanere più tempo a parlare con lui. Quel Zack lo
incuriosiva “ci rivediamo allora” disse speranzoso.
“Certo” fece lui facendogli un gesto della mano e
incamminandosi per la strada deserta.
Mentre Zack se ne andava Brian avrebbe voluto richiamarlo e chiedergli
se avrebbe voluto essere suo amico, ma gli suonava troppo una cosa da
disperato, per non dire che andare da lui e chiedergli “vuoi
essere mio amico?” gli sembrava una cosa da bambini di cinque
anni, perciò lo lasciò andare, sperando
però di poterlo rivedere.
A metà fra il felice e lo sconsolato rientrò
dentro casa.
“Brian vieni che è pronta la cena” lo
informò sua madre sorridendogli.
“Arrivo ma’”
Nel frattempo era tornato anche suo padre, che sembrava davvero
entusiasta del primo giorno di lavoro e quando furono a tavola, dopo
avergli raccontato per filo e per segno come era andata, si rivolse al
figlio.
“Per te com’è andata oggi
figliolo?”
“Chi era quel ragazzo con cui parlavi prima?”
intervenne sua madre, prima che potesse rispondere.
“Non lo so. So’ solo che si chiama Zack”
disse portando l’ attenzione a sua madre.
“Sembrava un po’ afflitto povero
ragazzo…” constatò sua madre un
po’ preoccupata. Tipico di lei preoccuparsi anche per chi non
conosce.
“Dei ragazzi gli avevano fatto uno scherzo”
“Certi ragazzi sono davvero impossibili!” disse sua
madre, mentre lui ridacchiava a quelle parole.
“Pronto per domani?” gli chiese suo padre alludendo
a qualcosa che non capì subito.
“Domani cosa?”
Suo padre si mise a ridere “per il primo giorno di scuola
no?”
Ah già. Se ne era dimenticato “si
prontissimo” disse cupo.
“Dai non essere preoccupato andrà
benissimo!” cercò di incoraggiarlo suo padre
dandogli una pacca sulla spalla e lui gli rispose con un debole sorriso.
La fame gli era improvvisamente passata, così si
congedò e salì in camera sua.
Soltanto a pensare al giorno dopo sentiva lo stomaco scontorcersi dal
nervosismo.
Brian, però, era conosciuto come un tipo dal sonno pesante
quindi quei pensieri non bastarono per tenerlo sveglio la notte.
Poco prima di riaddormentarsi ripensò a Zack. Sarebbe stato
bello poterlo rincontrare, pensò mentre cadeva in un sonno
pesante, che neanche le cannonate o la terza guerra mondiale avrebbero
potuto disturbare.
Josie 182
Woo è la prima volta che mi cimento in una storia sugli
Avenged :D Speriamo che non ne venga fuori una schifezza XD
Se non si era capito è una Synacky! *W* Me adora le Synacky
**
Comunque credo che farò tutti capitoli abbastanza corti,
perché ho finalmente compreso che se li faccio lunghi mi ci
vogliono i mesi ad aggiornare XD perciò saranno
più o meno di questa lunghezza u.u
Spero vi sia piaciuto come inizio! ^^
Al prossimo capitolo! :D
Ps: il titolo non c’entra niente era solo per citare gli A7X
:3
Josie
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