Facciamo
un passo indietro alla sera precedente, quando Nami dopo l'ultimo
confronto con Zoro decide di abbandonare la ciurma una volta e per
tutte e si getta dalla nave per iniziare il suo ritorno verso casa
prima che i compagni si potessero accorgere che se n'era andata.
Dopo ore di
estenuante cammino
finalmente era giusta a casa, in quella casa che ormai non le dava
più nessuna emozione. Non calore, non sicurezza.
Non aveva voglia
di pensare a
nulla, c'era troppa amarezza e troppa rabbia nel suo cuore.
Perché Robin aveva dovuto organizzare quella farsa? Non che
fosse colpa sua, voleva bene a Robin e capiva che l’aveva
fatto
per vederla sorridere nuovamente ma si era rivelata una
disfatta
totale.
Nella sua testa
si affollavano un milione di voci.
“Smettila
di mentire a te stessa sciocca”.
“Dillo…ti
prego Nami, pronuncia quel nome!”.
“No…non
lo farò! Devo smetterla!”.
“Non
c’è
più possibilità. Domani mattina loro ripartiranno
e io
ricomincerò da zero. Me ne andrò da
qui”.
Si
tormentò di pensieri fino
a che gli occhi troppo stanchi crollarono sotto il peso di una giornata
piena di emozioni e di una camminata davvero troppo sfiancante. Il suo
cervello stava fumando: era meglio dormire pregando che fosse una notte
tranquilla.
Il giorno
seguente Nami si
alzò a fatica. Lentamente si mise seduta sul letto e fece
cadere
la testa fra le mani. Com’era pesante. “Ma che ore
sono?” si domandò. Afferrò
l’orologio e si
stupì che fosse già mattino inoltrato. Lentamente
si
alzò e guardò la sua faccia allo specchio. Poteva
andare
peggio, dopotutto.
Si fece una bella
doccia e di nuovo
si guardò allo specchio facendo una smorfia terribile. Quasi
presa da un raptus, afferrò le forbici e iniziò a
tagliarsi i capelli corti a caschetto, come li portava un tempo. Senza
alcuna voglia o emozione, rientrò in camera sua dove
guardò fuori dalla finestra come era solita fare appena
sveglia,
ma aveva deciso che dal giorno seguente non l’avrebbe
più
fatto.
Vide che il sole
splendeva alto ma
la foschia si alzava dall’orizzonte ed era sempre
più
vicina. Il tasso di umidità era elevato.
« Mmm…Tempesta
in
arrivo da qui a paio d’ore al massimo. Speriamo che i ragazzi
siano già sulla rotta giusta per evitarla. Al lavoro Nami,
devi
cercarti qualcosa da fare! ».
Iniziò
a pulire e lucidare
qualsiasi cosa. Stirò e piegò ogni cosa di stoffa
che
trovò in giro per la casa o che non fosse al suo posto ma in
breve tempo le faccende domestiche si esaurirono. Andò in
cucina
e iniziò a preparare una torta di crema e mandarini, secondo
la
ricetta che Sanji le aveva insegnato tanto tempo prima. Il procedimento
era piuttosto lungo e l’avrebbe tenuta occupata per tutto il
pomeriggio.
La tempesta che
aveva previsto era
infine arrivata e una fitta coltre di nubi nere aveva coperto il sole
tanto che sembrava buio anche se il crepuscolo ancora era lontano.
Nami cercava di
dissimulare la
preoccupazione per i suoi amici cercando di mostrarsi una cuoca abile e
disinvolta che trafficava freneticamente per la cucina, ma non poteva
tradire la preoccupazione che nutriva per i suoi compagni che a
quell'ora erano certamente in mare aperto e lo sguardo cadeva sempre
più spesso fuori dalla finestra verso l'orizzonte.
Era ormai era
sera inoltrata quando
finalmente infornò la torta. Improvvisamente non ci fu
più corrente, un fulmine doveva aver colpito qualche
centralina.
« Accidenti…Così
non verrà bene! Se mi tolgono corrente ora che è
a mezza
cottura sarà una vera schifezza! Uff…Speriamo che
i
ragazzi stiano bene. Sono preoccupata… ».
Ecco
l’aveva detto ad alta voce: era preoccupata.
Le ore passavano
e la corrente elettrica non tornava. Si annoiava da morire.
L’unico
compagno che aveva era l’orologio, un compagno piuttosto
antipatico con il suo snervante ticchettio.
Per ingannare il
tempo, prese una
giacca e andò a sedere sulla panchina in veranda: il
temporale
era molto forte ma a lei non faceva paura.
La luna
illuminava a tratti il
paesaggio quando spuntava timida da dietro alle nuvole, per il resto
del tempo era buio pesto. Il vento era forte e nonostante fosse
riparata dalla tettoia, le arrivava ogni tanto una folata ventosa
leggermente bagnata ed era freddo, insolitamente freddo per essere
estate.
Da tempo non
vedeva una tempesta
del genere e i suoi pensieri si catapultavano sempre di più
su i
suoi amici che forse erano in balia della tempesta. Una tempesta del
genere era terribile sulla terra ferma, figurarsi in mare.
« Quasi
quasi vado a
comprarmi un animaletto domani. Devo finirla di parlare da sola o prima
o poi diventerò pazza sul serio...non vorrei mai dare
ragione a
Zoro! » disse ridendo senza pensare troppo
alle parole,
ma subito si bloccò rendendosi conto di aver pronunciato
quel
nome e per di più ridendo, una terribile eresia. Si mise la
mano
sulla bocca.
« Fa
freddo - si ricompose immediatamente - Meglio
rientrare ».
Si
alzò cupa e
rientrò in casa dove verificò che la luce ancora
non era
tornata e il suo stomaco reclamava inesorabile l’ora cena,
ormai
passata da un pezzo.
« Come
faccio a
prepararmi la cena al buio?! Dovrò vedere se
c’è
qualcosa di pronto e freddo temo. Accidentaccio…e la torta
posso
già buttarla! ».
« Arrosto
freddo e
insalata? No grazie…Uff...Anche il cibo sta diventando
noioso.
Credo che mi siederò a tavola ad osservare il nulla
finché non torna la corrente. Questo sì che
sarà
divertente… » disse con sarcasmo.
Il ticchettio
dell’orologio era logorante.
Improvvisamente
le parve di
sentire dei passi che correvano nelle pozzanghere a grande
velocità e sembrava essere era più di una
persona,
diretta proprio verso casa sua.
Era uno strano
orario per avere
visite, specialmente con quel tempaccio e ciò non la
convinse.
Al contrario sembrava preoccupata. Sperava in cuor suo che fossero loro
ma sapeva perfettamente che non era possibile.
Si
avvicinò cauta alla
finestra, sbirciando dalla la tenda. Le sembrava di vedere delle sagome
a ridosso del giardino ma non era certa. Era troppo buio e
c’erano troppi giochi di luce e confondere la vista. Poteva
benissimo essere frutto della sua immaginazione o ancor più
semplicemente le ombre instabili degli alberi alla luce dei lampi e dei
fulmini creavano delle strane forme. Forse aveva solo immaginato lo
scalpiccio nelle pozzanghere: la pioggia era battente, poteva essersi
trattato di quello e magari un po’ di grandine.
Ben presto tutte
le sue supposizioni si rivelarono errate:
“Toc,
toc, toc”.
Qualcuno bussava
alla porta, cogliendola di sorpresa. Sobbalzò leggermente ma
senza emettere il minimo rumore.
Esitò.
Il cuore iniziava la sua scalata in gola, cominciava ad essere molto
agitata.
“Toc,
toc, toc”.
Di nuovo.
Non vedeva
l’ombra di nessuno
dietro la porta, il che poteva essere un fatto abbastanza
incoraggiante; magari il vento aveva scaraventato qualcosa addosso alla
porta il cui suono ricordava casualmente qualcuno che stava bussando;
che idiozia, era proprio il suono di qualcuno che bussava e se qualcuno
bussava significava anche che qualcuno si aspettava che lei aprisse.
Anche Rubber ci sarebbe arrivato.
Con cautela ed
attenzione
girò la maniglia e aprì lentamente di pochissimi
centimetri, quanto bastava per sbirciare con un solo occhio. Non vide
nessuno di fronte a lei. Qualcosa però attirò la
sua
attenzione più in basso, dove vide un bambino di al massimo
sei
o sette anni che la fissava immobile con le mani lungo i fianchi e gli
occhi sgranati. Era bagnato fradicio come un pulcino. Faceva molta
tenerezza e Nami tirò un sospiro di sollievo.
« Ehi
piccolino, sei tutto bagnato. Ti sei perso? Vuoi entrare al
caldo? ».
Il bambino non
rispose. Continuando
a fissarla, alzò il suo piccolo e magro braccino per
mostrarle
un foglio ingiallito e arrotolato a mo’ di pergamena.
« Che
cos’è
piccolo? È la strada per tornare a casa tua? Fammi
vedere » lo prese e lo srotolò.
Quando lo vide da
vicino, per
quanto fosse sgualcito e illeggibile a causa dell'acqua di cui era
inzuppato, il sangue le gelò nelle vene e il sorriso
amorevole
che portava sulle labbra fino a pochi minuti prima scomparve
definitivamente.
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