Capitolo 12: Con la fine
dell'Estate
Claude bussò alla sua stanza che il sole stava
già cominciando a tramontare sulla vigilia del Gran Giorno.
- Si può?
Esmeralda tirò su la testa. Era tutto
il pomeriggio che pensava a cosa fare, quando l'avrebbe rivisto.
Perché l'avrebbe rivisto. L'aveva atteso per tutto il
giorno, si era accorta che niente, neanche le torture di Isabeau erano
riuscite completamente a distrarla da quel pensiero, quel pensiero
fisso. Le mancava, le mancava tanto.
- Qualcosa che non va? - chiese, cercando di
essere indifferente. Lo vedeva, era tirato, più tirato del
solito. Claude non rispose, si limitò a stirare le labbra
pallide, piano piano, a occhi bassi. Lei capì che c'era
davvero qualcosa. Stava piangendo?
- Claude? Cosa succede?
Gli andò vicino con un'insolita
confidenza. Come se quella specie di muro tra loro due fosse stato
abbattuto. Lui, ancora rigido per tutto quel che era successo (le mani
in pasta, e la farina, e quel bacio ...), sorrise appena. Ma poi si
scostò. Era diverso, molto diverso, pensò
Esmeralda.
- Claude, c'è qualcosa che non va?
Lui non parlava. E lei, sfinita dall'ennesima
sessione di portamento, trucco e gli altri mille parti malati della
mente di Isabeau, sospirò neanche troppo piano. Si
scostò subito, provò vergogna per essere stata
così sciocca da pensare di poterlo toccare così,
con confidenza.
- Quando hai finito e mi vuoi dire che cosa
c'è ...
Claude andò verso la finestra.
- Esmeralda.
Così, non come inizio. Una fine. Come
una specie di lapide fredda. Lei si limitò a fissarlo,
seria.
- Esmeralda - fece lui - Un errore. E' stato un
terribile errore. Perdonami. Ma ... è una cosa a cui
dobbiamo rimediare.
Era di spalle, il sole d'oro del tramonto lo
avvolgeva in un manto di lunghi raggi obliqui e polverosi. Lei
scostò una ciocca dai capelli. Pensò che forse
avrebbe dovuto alzarsi, chiedere da lui. Ma non lo fece. Quel muro, di
nuovo quell'enorme muro tra di loro.
- Ti riferisci a stamattina.
- sì. Ci ho riflettuto. Non va bene.
Non va. Non erano questi i patti, lo sai.
Lo disse come se un ragno gli premesse in
gola e non avesse il coraggio di uscire.
- Ad ogni modo - continuò lui - era per
domani. Ormai sei quasi una signora, davvero. Ti ho visto ieri, come
stavi a tavola. E ... stamattina, che comportamento splendido quando mi
hai trovato con le mani in pasta. Quindi mi spiace quel che devo dirti.
Ma devo dirtelo.
Lei non capiva. Che significavano tutti quei giri
di parole? Lui continuava a tenere la testa fissa contro il sole, senza
muoversi. Come se i raggi non facessero male, o sempre meno di quel che
avrebbe visto se si fosse voltato verso di lei.
- Sai già a che ora arriva il Re? -
chiese Esmeralda, aggiustandosi incurante la gonna. Pochi giorni in
compagnia di Isabeau le avevano insegnato già decine di
soluzioni per l'imbarazzo improvviso. Anche stavolta non fu diverso.
- Sarà per le sette, Isabeau ha
già disposto tutto - fece lui.
- Bene.
Ah, Isabeau. Perché allora non
presentava lei? Tanto alla fine sarebbe andata così,
pensò Esmeralda. L'aveva vista, tutto il giorno, a
gongolare. L'aveva vista con che piacere nuovo aveva ripreso a
tormentarla mentre spiegava come si tiene il bicchiere e quale calice
va portato alla bocca quando viene servito il Borgogna. Non capiva cosa
aveva, ma sembrava che covasse un segreto. Esmeralda aveva avuto
l'impressione che fosse molto importante.
- Cosa pensi di fare? - chiese lui, sempre
guardando fuori dalla finestra.
Lei mise su un'aria finto indifferente.
- Io? Dopo? Tornerò alla Corte dei
Miracoli, penso. Al mio posto, dove devo stare.
Lui sospirò.
- E tu?
- Io? - Claude si toccò appena la
tempia con una delle sue lunghe dita. Sembrava che la testa fosse sul
punto di scoppiargli - Non lo so. Probabilmente ... mi
sposerò davvero.
- Con Isabeau?
- Con Isabeau. Sì, certo.
Ecco, pensò Esmeralda. Ecco lo
schianto, è arrivato. Com'è che dentro non sento
più niente. Certe volte le frane sono talmente improvvise e
tanto atroci che non si sente niente. Com'era che stamattina ci stavamo
baciando? Come ho potuto pensare che il Giudice, perché alla
fine non è che lo sporco Giudice che per poco non mi ha
fatta ammazzare, com'è che stamattina rideva insieme a me?
Che idiota sono stata, che idiota. Lui vuole sposare la sua bella
Isabeau, che altro?
- Perché allora non presenti lei,
domani?
Lui sospirò.
- Ero venuto proprio a dirti questo.
- A dirmi cosa?
- Che puoi andare, adesso. Il patto è
rotto. Puoi andare ora. Presento lei, domani.
Non può essere vero. No.
- Claude? Che cosa dici, io ...
Non le era mai successo che le parole le venissero
a mancare in quel modo. Era come se la Terra, la Terra intera fosse
stata appena inghiottita da una voragine.
- Cos'è successo, Claude? -
mormorò prima che il ghiaccio cominciasse a soffocarla -
Cos'è successo per ...
Lui non rispose. Aveva troppo da fare anche lui
con quell'atroce cristallo gelido che aveva preso a tormentargli il
cuore.
- Visto Minù? Alla fine ha ceduto.
Isabeau, davanti al grande specchio rideva come
non aveva mai riso. Neanche quando suo marito era morto era riuscita a
ridere così. Il fatto è che era proprio contenta.
E non solo perché alla fine il Giudice sarebbe stato suo,
no, no, no. Perché alla fine aveva sconfitto lei. La stupida
zingara. La signorina Sono Bella Solo Io. L'Ammaliatrice. E invece lei,
con tutto che era vecchia (e anche un po' rugosa, diciamolo) era
riuscita a mangiarsi la fagiana in un boccone.
- Tutto merito dei bei ricordi, Minù
cara. E della ferrea memoria della Mamma.
Minù, coi suoi occhi bovini,
osservò quieto la sua padrona che si andava imbellettando.
Era solo uno stupido pechinese, d'accordo, ma se avesse potuto parlare,
anche lui avrebbe avuto da dire qualcosa in più. Tanto per
cominciare che Isabeau stavolta aveva veramente esagerato, e poi che
lui - da cane, almeno - non ci vedeva niente di male nella Zingara.
Anzi la trovava anche molto bella. Se,brava stare bene accanto al
Giudice.
- Non dici brava, alla tua Mamma, caro? - Isabeau
stese le labbra in un sorriso mentre faceva passare il rossetto da un
lato all'altro. Schioccò piano un suono che poteva sembrare
un risucchio.
- La Mamma Isabeau ha buona memoria. Sai,
Minù, che serve sempre, oggidì? E' bastato che
minacciassi il Giudice di rivelare ... diciamo, il suo passato. Conosco
ancora qualche persona a Corte. Gente del tutto non ininfluente. Gente
che pagherebbe a peso d'oro per sapere che Frollo con è
figlio di un nobiluomo in disgrazia come dice e ha dovuto dichiarare in
tutti quanti i documenti per essere Giudice. Basterebbe che dicessi che
è figlio di una povera ragazza madre, una mugnaia, che
sussurrassi all'orecchio giusto che il Re si tiene un Ministro bastardo
perché la Sua Esimia Carriera fosse stroncata in meno di un
secondo. Capisci perché adesso Mamma Isabeau sarà
la nuova padrona della casa? Sua Eccellenza ha una paura folle che
qualcuno gli tolga il posto di sotto, e sa che io posso farlo
facilmente domani sera. Per questo ha accettato ogni mia condizione, e
spedirà a casa la Gitana in men che non si dica. Tu non
trovi che sia una mossa eccellente?
Minù guardo Isabeau coi grandi occhi.
Per un istante parvero attraversati da una colossale espressione
disgustata.
- Cosa? Come è possibile, mia cara, ma
che dici?
Lydia ululava in cucina, pestando col batticarne
sul tavolo tanto forte che ogni volta la cucina ne rimbombava tutta.
- Come sarebbe a dire che ... che ... -
scoppiò a piangere dentro il grembiule prima di terminare la
frase.
Esmeralda, davanti a lei, tentava invano di
riannodarsi la sua vecchia cintura. Maledette mani che tremavano.
- Non mi vuole più, Lydia. Tutto qui.
Le storie iniziano e finiscono, sai? E lui adesso si è
trovato un'altra, quindi è meglio che sloggi. Ma tu potrai
venirmi a trovare quando vorrai, alla Corte dei Miracoli.
Provò a metterle una mano sulla spalla,
ma Lydia, al solo sentire prospettare l'idea della sua bambina in quel
postaccio, ricominciò ad ululare più forte.
- Non te ne andrai, non te ne andrai in quel ...
in quel ... Oddio! Claude, che ha fatto?
- Lydia, tranquilla. E' la mia casa. Lo era anche
prima di venire qui.
- Come sarebbe che era la tua casa. Appunto, era,
adesso invece è questa. Che cosa ha fatto quella strega al
mio piccino? Come si permette di farci questo? Eh? Lui ti amava, ti
amava, ti ...
Esmeralda sospirò. Poi la scosse e le
tirò sul il mento lacrimoso con una mano. Le
asciugò delicatamente la pelle umida.
- Lydia, non era come pensavi. Noi ... non eravamo
esattamente quel che pensi.
- Ma come no?
- Non eravamo veramente fidanzati. Piuttosto era
una specie di ... accordo,
in vista della visita del Re. Una cosa di affari, capisci? Lui mi
salvava la vita e io gli facevo questo piacere. Ma adesso non ha
più bisogno di me. Adesso che ha una moglie vera, voglio
dire.
Lydia la fissò coi piccoli occhi gelidi.
- Come hai potuto? Come avete potuto?
Era delusa. Delusa come essere umano mai forse era
stato. Forse perché amava tanto Claude, e perché
aveva imparato ad amare lei. Forse perché voleva bene a
entrambi, e a quell'amore, ancorché finto era stata la prima
credere. Fatto sta che adesso lasciare Lydia tra le sue pentole e i
sedani in cucina era quasi come lasciare la vita, la strana vita,
bella, felice che avevano trascorsi fin lì.
- Non lo so proprio come sia successo, credimi.
Non lo so neanche io. Ma adesso è meglio che vada.
Arrivederci. Saluta Claude, da parte mia, se lo vedi.
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