Nota
dell'autrice: sì, ho visto i film di Spiderman;
sì, adoro i primi due; no, non mi piace il terzo (diciamo
che le scene con Harry e Peter sono quelle che si salvano, anche se
avrei preferito che il conflitto si sviluppasse in modo diverso). E
quindi eccomi qui con un paio di flashfic - la seconda in
realtà sarà più lunga. Perché se non provo a rettificare i
finali che detesto non sono contenta ;-p
Spero che anche voi apprezziate. Le frasi d'apertura vengono
dal primo film... trovo significativo che tenere Harry all'oscuro sia
un tema ricorrente.
Disclaimer:
se possedessi i diritti filmografici di Spidey, credete davvero che il
3 sarebbe stato così? E no, non possiedo neanche il fumetto.
Non ne ho letto neanche un decimo, figurarsi... *sta cercando di
rimediare*
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Promesse
I
Un sorriso, bellissimo e colpevole.
«Non dirlo a Harry, va bene?»
Due lame parallele. Sangue.
«...Non dirlo a Harry.»
E non l'ha fatto.
Una volta, un'altra e un'altra ancora, finché non
è stato troppo
tardi.
Peter stringe la mano della figura cui
manca la forza e, chino sul cemento, piange per tutto ciò
che non ha
detto; maledice il giorno in cui ha mantenuto l'impegno. A che
è
servito? Non ha protetto Harry, non ha protetto lui. Non ha protetto
nessuno. Ha solo lasciato che il veleno si spandesse, silenzioso, e
ora...
Potesse tornare indietro, spogliarsi
del costume, delle menzogne, di tutti i maledetti errori che ha
commesso delle sfortune delle responsabilità delle gelosie
– tutto
– oh, quanto volentieri lo farebbe. Lo farebbe con gioia, e
al
diavolo il resto.
Ma è tardi; il destino gli strappa di
nuovo il cuore.
Per quanto io mi sforzi... le
persone che amo–
Un grido gli sale
dal petto ed erompe dalla bocca come un fiotto di sangue. Non vede
più niente, può solo sentire, e il mondo si
riduce a tre cose: il
pianto di Mary Jane, l'alba sulla fronte come un senso di colpa, la
debolezza della mano che tiene.
In qualche modo,
però, il sorriso di Harry travalica le barriere del dolore e
riesce
a raggiungerlo.
«Saranno qui a
momenti» gli sussurra allora, tentando di crederci.
«Resisti.»
Un sospiro
gorgogliante (parole a fior di labbra).
«Troppo tardi,
bello.»
Peter lo afferra
per una spalla, invaso dalla rabbia. O forse è solo
disperazione.
«Ti arrendi così?!
Ti arrendi e basta, Osborn? Non puoi!» Gli si spezza la voce.
«Ci
sono ancora mille cose che dobbiamo dirti! Ho tenuto... troppi
segreti... e voglio...» deglutisce.
«Peter...» fa
Mary Jane, fievole.
«Voglio dirteli
tutti. Dall'inizio. A partire da questo gran casino!»
Indica la maschera
rossa e se stesso con un movimento distratto, ma Harry ha gli occhi
chiusi, non può cogliere il gesto. Peter lo scuote.
«Devi sapere
almeno com'è successo... dubitare, e riderci sopra... dirmi
che sono
uno scemo... perché lo sono. Quindi scordati di morire.
Harry! Sto
parlando con te!»
Sente i pompieri
che allungano le scale, le sirene e i passi dei paramedici sulle
impalcature, fra rottami e mattoni spolverati di sabbia. Stanno
arrivando. Pochi minuti, solo pochi minuti. Ti prego, ti prego ti
prego ti prego.
Vuole scuotere
ancora; vuole urlare; gli viene meno il coraggio.
Harry continua a
sorridere, ma è pallido e grigio come il pavimento su cui
giace, e
il cemento si colora di vita. Peter sente quelle dita fredde
stringere un'ultima volta, deboli – è un perdono,
una scusa, un
incoraggiamento.
Buona fortuna, bello.
«Harry, no–»
L'amore di un
fratello che prosegue dove non possono seguirlo.
Mary Jane nasconde
il viso, china su un'uniforme scura, bagnata e immobile.
No. No...
«Harry!»
Il sole è sorto.
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