Luce di stelle
Starlight
---
Disclaimer: I
personaggi che si formano di loro spontanea volontà in questa storia, purtroppo
non mi appartengono. Sono un po’ come i figli, li puoi crescere ed educare
finché vuoi, ma alla fine ti sfuggiranno.
Disclaimer 2: Le
informazioni su Starbucks, Londra, lo Speakers’ Corner sono quanto più
possibile precise, ma potrebbero rivelarsi inesatte. Spero che la cosa non
infastidisca chi conosce Londra veramente: io non ho avuto ancora la fortuna di
ammirarla dal vivo, perciò ho lavorato soprattutto di fantasia. Il risultato è
quello che è.
---
2. Starbucks
Nemmeno l’immenso ritardo accumulato, che ormai
doveva essere più o meno di due ore, fece desistere Dom dal suo rituale
mattutino.
Cercai di far trapelare la mia disapprovazione da
ogni parte del corpo, ma era inutile: non potevi togliere a Dominic Howard il
santo e amato Starbucks delle dieci di mattina. Contava poco o nulla che
la maggior parte della gente odiasse il caffè di quel posto (‘Horrible
coffee!’ era la slogan più frequente): Dom lo adorava. Spesso, quando gli
dicevo che Leckie si era lamentato del nostro ritardo – soprattutto se
causato da Starbucks –, lui semplicemente sporgeva il labbro inferiore e
miagolava, in un modo decisamente insopportabile: A me piace. Poi si
chiudeva in un silenzio di qualche minuto e camminava dritto filato nel
tentativo di raggiungere Green Street; e la questione era chiusa.
Guai a provare, poi, un
altro Starbucks. Voleva a tutti i costi quello al numero 4 di Green Street, o
si sarebbe rifiutato di lavorare per il resto del giorno. Mi ero arreso da
tempo a questa sua mania, del resto non era l’unica – e mangiare colazione con
lui era il massimo, specialmente prima di una giornata piena di stress.
Londra, di mattina, era
uno spettacolo da brividi. E in una giornata come quella, con il raro sole a
scaldare la pelle fredda all’aria aperta, era semplicemente perfetta.
Svoltammo in Green Street che erano le dieci e un quarto e Dom già si lagnava
del ritardo.
Risi di gusto quando,
cercando di accelerare il passo, quasi si gettò tra le braccia di una grassa
signora in divisa da poliziotta: quella non si lamentò, ma gli rivolse
un’occhiata di traverso e si voltò sdegnata non appena Dom tentò di abbozzare
qualche scusa.
Finalmente arrivammo
all’ingresso del locale. Era enorme, la porta a vetri era sormontata dall’icona
verde scuro della catena, che incombeva come un marchio eterno. Oltrepassammo
in fretta la cassa, a destra, e ci fiondammo al fondo della stanza, dove Dom si
buttò, completamente soddisfatto, su uno dei comodi divani ancora liberi. Emise
un sospiro compiaciuto e stese le labbra in un sorriso pieno.
- Spero per te che ti
sia preparato una buona scusa, stavolta. Siamo più in ritardo del solito.
Dom alzò gli occhi e
sbuffò.
- Non sei tu quello
delle scuse?
- No, Dom. Oggi tocca a
te.
Annuì, spolverandosi
inutilmente la maglia già perfetta e aggiustando gli occhiali scuri, in modo
che stessero esattamente come voleva lui.
Lo squadrai un momento
e mi lasciai scappare un sorrisino.
- T-shirt rossa,
occhiali neri perfettamente inutili e jeans. Elegante e poco sobrio. Devo
presupporre che questa sia una delle giornate positive?
Prima di rispondere, fu
interrotto da un lungo sbadiglio che non riuscì a trattenere.
- Mi sono svegliato col
piede giusto. Mi sentivo rosso stamattina.
- Che sarebbe a dire?
- Divo sul piede di
guerra -, rispose.
Scoppiai a ridere. Ma
dove le andava a scovare quelle assurdità?
La cameriera interruppe
il mio divertimento, lanciando scocciata un menù sul tavolo e aspettando in
piedi, ferma come un palo, che decidessimo cosa prendere. Fui tentato di
ricambiare l’immensa cortesia prendendomi un’ora per scegliere, ma Dom
mi anticipò.
- Per me il solito,
cioccolata calda. Molto calda.
La cameriera, che –
notai – aveva un i-pod nascosto sotto la divisa, si rivolse a me, con un
sorriso tirato, estremamente falso. Appoggiai il mento sulla mano e aspettai un
minuto buono, prima di parlare.
- Caffè -, conclusi.
La cameriera se ne andò
in fretta, irritata più di quanto fosse prima.
- Matt.
Dom mi rimproverò con
gli occhi, ma non gli badai.
- Parlando di cose
importanti -, disse cambiando argomento, - Dovremo liberare casa di Tom prima o
poi.
- Bah, tanto lui non la
usa.
- Sì, ma è sempre casa
sua. E poi ha detto che ci deve portare qualcuna, domani sera.
- Eh?
Lo guardai
interrogativo, ma lui alzò le mani come per difendersi.
- Non ne so nulla. Che
ti ha detto l’idraulico?
- Che il nostro
fantastico appartamento resterà gelido almeno fino a dopodomani.
Sbuffai, grattandomi
distrattamente i capelli. Dom rimase in silenzio, assorto nei suoi pensieri,
probabilmente negativi.
- C’è un’unica
soluzione -, affermai per interrompere il silenzio.
- Cosa?
Mi leccai le labbra e
incrociai le mani sotto il mento con sguardo lascivo. I miei occhi percorsero,
fin troppo abituati, le linee dolci del corpo di Dom. Il suo sguardo si riempì
di consapevolezza.
- No, Matt. Non
pensarci nemmeno.
- E perché? -,
protestai, con voce innocente, - Che c’è di male?
- Lo sai.
- Che t’importa? Sarà
solo per una notte. E lo sai, quello è l’unico hotel che accetta animali. Non
vorrai lasciare Jimmy tutto solo a casa di Tom. O peggio, in cattiva compagnia.
Dom abbassò il capo
tormentato da assurdi sensi di colpa. Alla fine si appoggiò alla sedia,
sconfitto.
- Va bene.
Far acconsentire Dom
era la cosa che mi piaceva di più al mondo. Chiusi gli occhi, pregustando il
piacere di una bella suite, preparata apposta per coppie appena sposate. Non
poteva esserci soluzione migliore, almeno per me.
Stirai le braccia, sorridendo
in pace col mondo.
- Mancheremo molto al
signor Thomas.
- Matt.
- Peccato, avrei potuto
fargli capire che distanza c’è tra me e una comune puttana.
- Matt!
Alzai appena una
palpebra per capire il motivo del disappunto di Dom. Di solito non faceva così
tante storie.
Davanti agli occhi mi
ritrovai la cameriera, con un bicchiere enorme di caffè orrendo tra le mani, e
con l’espressione di chi ha visto troppo (o sentito troppo) per poter
sopportare.
Gli sorrisi, mostrando
i denti bianchissimi in modo più che convincente. Oltretutto era piuttosto
bella, pensai. Se non fosse stato per il suo carattere, sarei stato più gentile
con lei.
Mi mollò il caffè
davanti al naso con tutta la malagrazia in suo potere, andandosene sempre senza
dire una parola. Al di là del bicchiere, Dom si copriva la faccia con una mano.
Risi.
- E non ridere, Matt.
Sei un disastro!
- Sì. E tu ti devi
rilassare, Dominic.
Avvicinai le labbra al
bicchiere, naturalmente scottandomi. Bestemmiai, ma la lingua ormai era
irrimediabilmente danneggiata: per il resto del giorno avrei avuto quell’odiosa
sensazione di insensibilità. Dom mi osservava quasi compiaciuto, anche se
ancora infastidito dal fatto che l’avessi chiamato col suo nome completo, cosa
che odiava.
Senza smettere di
guardarmi, cominciò a sorseggiare la sua cioccolata calda. Il sapore lo sciolse
come sempre e presto la sua espressione si distese.
Cinque minuti dopo mi
ero alzato in piedi, avevo raccattato il bicchiere che avevamo ordinato per
Chris e avevo fatto un cenno a Dom.
- Forza, si va in
città!
Dom alzò un
sopracciglio.
- Non eravamo in
ritardo?
Abbozzai un sorrisetto
e alzai le spalle.
- Non ne ho voglia -,
borbottai.
- Come ti pare.
Abbandonò a malincuore
la tazza di cioccolata, vuota, e si avvicinò a me. Dopo avermi appoggiato le
mani sui fianchi, mi diede una spinta verso l’uscita.
- Forza!
Ridacchiai, pagando
alla cassa senza nemmeno controllare il resto.
E chi se ne importava.
Uscii alla luce del
sole godendomi quella sensazione meravigliosa.
Avevo la vita ai miei
piedi.
Al termine di Green
Street, svoltammo su una strada più grande, tenendoci prudentemente sul
marciapiede. Non avevo la minima idea di dove stessimo andando, ma la cosa non
mi preoccupava nemmeno un po’. Chiacchieravo praticamente da solo, visto che
Dom aveva rinunciato ad essere di compagnia, e mettevo un piede davanti
all’altro nella direzione che mi indicava l’istinto.
Non eravamo nel centro
di Londra.
Ma quel che sapevo era
che ci muovevamo lungo una linea immaginaria che attraversava la zona del Westminster.
Poco più in là doveva esserci un parco, o qualcosa del genere, l’avevo visto
sulla cartina la sera precedente.
- Matt, sai dove stiamo
andando, vero?
La fatidica domanda
arrivò proprio quando avevo sperato di evitarla.
Non guardai Dom negli
occhi, sapevo che mi avrebbe scoperto, ma proseguii con sicurezza
distanziandolo un po’.
- Certo.
- E dove?
Finsi di non aver
sentito e continuai a camminare.
Girai a sinistra appena
possibile, addentrandomi in un’accogliente macchia di alberi, insolita in una
grande città, ma che a Londra avevo imparato ad incontrare spesso. Un piccolo
passaggio ci fece sbucare in una nuova strada, vietata alle macchine, molto più
stretta ma non meno frequentata. Una serie di uomini e donne con facce serie
percorreva il poco spazio avanti e indietro, affollandosi in alcuni punti.
Allungai il collo
incuriosito.
Che diamine di posto
era quello?
Senza un determinato
scopo, seguii un ragazzo più o meno della mia età, che si tuffava nella folla
con decisione, diretto in un punto preciso. Cercai di non perderlo, tenendo gli
occhi incollati ai suoi talloni e intanto sperai che Dom riuscisse a starmi
dietro. Lo sentivo lamentarsi ogni due passi, mentre dava gomitate alle persone
ricevendo in risposta alcuni insulti davvero interessanti.
Non badai molto alle
orecchie; i suoni che percepivo rimanevano indistinti e lontani dal mio
cervello, che non aveva nessuna intenzione di decifrarli. Solo ad un certo
punto mi parve di aver sentito una donna gridare qualcosa.
Quando finalmente il
ragazzo si fermò, con lo sguardo seguii i suoi piedi salire su un basso podio.
Alzai gli occhi.
In fila di fronte a me,
davanti ad un gruppo nutrito di persone, alcuni ragazzi e ragazze parlavano ad
alta voce, su piedistalli improvvisati, o gridavano all’interno di megafoni
variopinti, esprimendo la propria opinione con fermezza. Il pubblico attaccava,
si difendeva, criticava con la forza di un nemico agguerrito.
- Matt!
Dom venne sputato fuori
dalla calca e quasi mi finì addosso.
Si ricompose in fretta,
senza smettere di lamentarsi, arrabbiato con me e con la gente lì intorno.
Ma io non lo ascoltavo,
troppo preso ad osservare quello spettacolo di fronte a me.
Un biondino di
vent’anni urlò qualcosa a proposito del Primo Ministro.
- Non è possibile… -,
mormorai, - Pazzesco…
- Che c’è? Mi vuoi dire
dove cavolo siamo, Matt?
Aprii la bocca per
parlare, ma per un momento mi mancò la voce.
- Speakers’ Corner…Speakers’ Corner, Dom!
Lui continuo a
guardarmi allo stesso modo.
- Ma non capisci? -,
continuai indignato, - Qui hanno parlato i più grandi, gli idealisti! Karl
Marx, George Orwell…! Mio dio, Dom!
Senza aspettare una sua
risposta, avanzai verso uno strano palco di due metri per due, sul quale un
signore di mezz’età stava tenendo una specie di mini-conferenza con un
megafono.
Dom mi tirò per la
maglia, tentando di trattenermi.
- Che vuoi fare? Dove
vai?
Non risposi. Avevo in
mente solo una cosa.
Dovevo salire su quel
palco. Immediatamente. Per forza.
Mi liberai dalla presa
di Dom e gli impedii di fermarmi ancora. Saltai sul palco, dirigendomi verso
l’improvvisato oratore. Gli strappai il megafono di mano; il pubblico mi gridò
qualcosa, il signore mi insultò, ma non riuscì a riprendersi la scena.
Era mia.
Prima avvicinare la
bocca al megafono, vidi Dom nascondere il viso tra le mani.
- Sono Matthew Bellamy!
E sono qui per avvertirvi! -, gridai.
La risata di Dom
cominciava a mettere a dura prova la mia sopportazione.
Rideva da circa un
quarto d’ora e non dava segno di voler smettere. Si divertiva infinitamente
alle mie spalle, era evidente. Bene, che si divertisse. Io non gli avrei dato
la minima soddisfazione in quel senso.
Girai la testa
dall’altra parte, evitando fermamente il suo sguardo e camminando più in fretta
possibile.
Dom sbuffò, senza
interrompere la sua eterna risata e accelerando per non perdermi di vista in
mezzo alla gente.
- Dai, Matt, non fare
così. Devi ammettere che è stato divertente.
Non risposi. E nemmeno
frenai la mia andatura.
Buon per te.
- Dai, avevo provato a
fermarti; ma sei impossibile!
Aveva intenzione di
continuare a infastidirmi ancora un po’?
Cercava di farmi
ragionare, ma intanto continuava a ridersela alla mie spalle.
Non lo degnai di uno
sguardo, strinsi i denti e in due minuti raggiunsi l’ingresso della casa che
era diventata il nostro quartier generale e il nostro ritrovo abituale da un
mese a quella parte. Casa Leckie.
Al di là del cancello,
un piccolo giardino inglese, estremamente curato, dava bella mostra di sé e
alle sue spalle una porta in legno veniva aperta all’improvviso.
Tom uscì con calma,
venendo ad aprirci di persona.
- Alla buon’ora, voi
due!
Alzai le spalle, mentre
Dom tentava in malo modo di scusarsi.
Qualcosa nella mia
espressione, però, dovette particolarmente colpire Tom.
- Che gli è successo?
Vidi Dom sollevare le
braccia.
- Non guardare me. Ho
tentato di fermarlo, ma ha voluto a tutti i costi salire su un palco allo Speakers’
Corner. Ha gridato a tutte le persone di fronte a lui che le nostre menti
sono controllate da qualcuno di molto potente. La gente non l’ha preso proprio
sul serio…
Un eufemismo per dire
che hanno buttato nel cesso la mia teoria.
- Il futuro mi darà
ragione -, sibilai, come se potessi pronunciare una profezia.
Dom rise e Tom gli andò
dietro senza un minimo di riguardo per me.
Sospirai, perdendo
tutta la forza di volontà, e attraversai il cancello, sperando di arrivare il
prima possibile all’interno della casa e parlare con qualcuno che avesse un
minimo di cervello: Chris, Leckie, o almeno Safta.
Ma Tom mi bloccò prima
che potessi farlo.
- Ah, Matt! Novità
dell’ultimo minuto!
Mi arresi e cercai di
prestargli attenzione, anche se l’immagine di Dom che rideva tornava
continuamente a tormentare i miei nervi.
Tom alzò un pollice
verso di me. Sembrava contento.
- Si parte per la Francia!
Fantastico, pensai. Ci mancava
solo questa.
Eravamo giovani,
ambiziosi e pieni di talento.
Avevamo la vita ai
nostri piedi.
---
Fine capitolo secondo.
Ringrazio di cuore
tutte le ragazze che hanno recensito: takeabow, Easily Forgotten, Lady Of The Flowers,
BrokenGlass, MusicAddicted, aleale00, esuM_.
Le vostre recensioni mi
hanno fatto sorridere, riflettere, ridere di gusto (come Dom in questo
capitolo, almeno). Ma soprattutto mi hanno spronato a fare il meglio
possibile.
Spero di avervi
accontentate e incuriosite.
{Ali}.