Ho ucciso il tuo amore
Il tempo pare essersi sospeso.
No,
non sospeso.
Pare
essere finito.
Deve essere finito,
perché ormai non
v’è più niente ch’abbia
importanza, non esiste più nulla che possa colmare i battiti
dei minuti.
Per
un momento mi guardo allo specchio del camerino; la superficie
riflettente, che in quest’attimo sembra rimandarmi solo
colori fievoli, sul punto di spirare, mi restituisce
un’immagine che ferisce più a fondo di quanto
avrei potuto credere possibile. E mi fa meno effetto di quanto avrei
potuto immaginare. Ma non c’è d’essere
sorpresi: tutto il mio corpo trema per lo shock e il panico, per
l’angoscia. Ormai non c’è più
niente che possa distruggermi di più.
Fisso
il mio viso, pallido e sconvolto.
Le
guance sono completamente bianche, d’avorio, in spaventoso
contrasto con i capelli neri. In un attimo di incredibile
consapevolezza, mi domando come abbia fatto mia madre a non
accorgersene.
La
risposta arriva da sola, come se avessi ancora la forza di pensare:
la vita del palco fa pallidi; i raggi del sole non arrossano le guance
truccate degli attori, nonostante si sforzino – e come si
sforzano!
No.
Ho sempre avuto un viso in avorio. In grado però
d’illuminarsi e risplendere quand’ero felice e in
quest’ultimi giorni è avvampato così
tante volte... Di gioia, di incredulità, di piacevole
imbarazzo. Sempre imporporata, come se quel fiato fosse frizzante
quanto il vento pungente della sera.
Ma
era questo, e molto di più, e molto altro. Era il mio
ossigeno, quello sano e fresco, che mi colmava i polmoni. Ho respirato
così tanto di lui, che ora credo di soffocare.
Sto
soffocando?
Alzo
esitante il dito a sfiorarmi le labbra tremanti.
Il
ricordo della bocca calda che le ha rese sue mi travolge,
costringendomi a piegarmi in due, per tenermi il petto ed impedire che
si squarci per il dolore.
Improvvisamente
i singhiozzi mi squassano il petto, talmente violenti
che mi lascio scivolare sul pavimento polveroso del camerino,
raggomitolandomi strettamente, le labbra agonizzanti, le lacrime in
strisce brucianti sul viso.
Senz’arte non esisti.
No,
Dorian, hai sbagliato, dicendo così freddamente quelle
parole.
Le
posso sentire intente a lacerare il mio cuore, strappando malamente
la mia anima, pungendo ogni singola parte di me, ma so che non sono
vere.
È
senza di te
che non esisto, amor mio.
Oh,
perché te ne sei andato?! Perché sono stata
così sciocca, così infantile? Come ho potuto
darti tanto disgusto, perché mi sono lasciata sopraffare
dalla gioia che provavo, distruggendola in un colpo? Perché
ho distrutto la mia Giulietta?
Dorian,
dove sei?
Non
mi vuoi più. Non mi vuoi più.
Singhiozzo
ormai senza ritegno, inghiottendo lacrime salate e gemendo
tanto da farmi dolere la gola. So che quando smetterò di
piangere sarà tutto come prima, che questo sfogo non
sarà valso a nulla, se non a farmi arrossare e gonfiare gli
occhi. Mi duole ogni singola parte del corpo, come se bruciassi dalla
testa alla punta dei piedi, come se qualcosa mi sfregiasse
dall’interno.
Questo
mondo non vale nulla. Non esiste più la gioia, i
colori sono deformi, i suoni stridenti, ogni singola cosa è
spogliata da sé. E la vedo chiaramente, la disperazione che
inghiotte tutto quel che esiste.
Non
smetterò mai di piangere.
Non
aspetterò di smettere di piangere.
Non
aspetterò nulla.
Non
mi aspetto nulla.
Perché
nulla può venire, se non altra sofferenza,
a fiotti, a imprigionarmi, a sommergermi sempre più, senza
fine.
Qualcosa
dentro di me sa che arriverà una qualche primavera,
prima o poi. Ma non mi importa: non voglio più sentire il
cinguettio degli uccelli tra le fronde verdeggianti di vita degli
alberi; non voglio più scorgere i boccioli pronti a
sbocciare nei primi fiori. Non voglio vedere il sole sorgere, non
voglio sentirlo scaldarmi le guance.
Non
voglio. Non me la sento. Non mi servirà.
A
fatica, tremando incontrollabilmente, deglutendo a vuoto, mi rialzo.
Un brivido mi scuote le spalle con violenza, come spingendo le scapole
a cozzare l’una contro l’altra. Cerco di fermare le
lacrime, le asciugo in gesti meccanici.
Dovrà
sembrare un incidente, Dorian, perché
nessuno arrivi a te.
Oh,
quanto fa male il tuo nome!
Ho
tentato di metterlo a tacere dal nostro ultimo incontro, da quando
avrei voluto affondare giù, sino agli inferi, e non uscirne
mai più. Perché ferisce e distrugge, come il
peggiore delle armi, graffia e stermina tutto ciò che
è in me.
Ma
ora non importa più: tra pochi istanti ogni cosa
finirà.
Allora
lo lascio andare, lascio che mi invada ogni fibra, lascio che
urli dentro di me, spaccandomi la testa, bruciandomi la gola,
esplodendo nel mio petto.
Non toccatemi.
Un
sussulto mi percuote a quel ricordo. Con il tuo nome, è
tornata ad invadermi la tua voce, e non se ne va più. No,
non se ne va.
Tremo,
nel desiderio impossibile di un tuo abbraccio, nella voglia
devastante di essere circondata dalle tue braccia calde, le sole che
sarebbero in grado di tenere insieme il mio ego devastato. Voglio udire
la tua voce, amor mio, calda come quando ci incontrammo. Voglio poter
giocare con i tuoi riccioli d’oro – al loro
confronto anche il sole sbiadiva!
Voglio,
ma so che è semplicemente qualcosa che non posso
– e mai potrò – fare.
Il
ricordo del tuo volto invade la mia mente con prepotenza. Rammendo
il tuo pallido sdegno, così crudele e rabbioso eppure
così splendido. Il tuo sprezzo tanto bello da farmi male al
cuore...
Ho
freddo. C’è troppo freddo. Un freddo
insopportabile: mi è strisciato nelle ossa e nel cuore,
gelido e secco come ghiaccio.
Non
posso combatterlo, senza le tue braccia. E le tue braccia non ci
saranno più per me.
Non ho desiderio di rivederti. Mi
hai deluso.
Non
mi rivedrai mai più, Dorian, è una promessa.
Nemmeno per strada, per sbaglio o per caso; nemmeno di sfuggita. E se
non potrai più rivedermi, non voglio che mi veda
nessun’altro. Non voglio tornare a vedermi nemmeno io stessa.
Mi
sento troppo ingombrante, come se il mondo fosse stretto ed io
stessi invadendo un luogo che spetta solo a te.
Come
posso vivere in un mondo senza di te, dopo aver scoperto la magia
del mio Prince Charming? Pensavo mi avresti portata via.
T’avrei adorato per sempre.
Ti
amo, Dorian, ti amo da morirne.
Prendo
con mani tremanti un prodotto di bellezza poggiato presso lo
specchio.
Non
penso.
Non
sono.
Agisco.
Inghiottisco
quanto posso. Trovo una fiamma in più di quella
che mi brucia il cuore da quando mi hai lasciata – questa mi
incendia le viscere, ardendo nelle mia gola.
Ed
è allora, nel culmine dell’atroce dolore, che
il tuo nome mi invade da ogni parte, come se fosse acqua che giunge
improvvisa. Mi pervade, mi scorre nelle vene incenerite, esplode nel
fuoco di dolore che rosseggia dentro di me.
Dorian.
Dorian. Dorian. Dorian. Dorian.
Vedo
il tuo viso, con chiarezza. Non il viso gelido che m’hai
mostrato qualche tempo fa, al nostro ultimo incontro, quello che mi ha
imprigionato il cuore in una morsa. No, il viso arrossato e felice,
sorridente, luminoso, quello che avevi quando mi dicevi che
m’amavi.
Allungo
la mano debole, cercando di sfiorare le tue labbra vermiglie.
Non riesco a toccarle e tu ti limiti a guardarmi con quei tuoi occhi
blu, ombreggiati dai riccioli biondi.
A
stento mi sento crollare sul pavimento, troppo spossata per rimanere
in piedi.
La
vista mi s’appanna, ma la tua immagine rimane. Ferma, mi
guarda. Sembra riflettere, come se non capisse qualcosa. E di colpo
pare aver indovinato la soluzione del suo enigma, perché le
labbra rosse si schiudono in un sorriso, tanto magnifico da spezzarmi
il fiato già rauco.
Hai ucciso il mio amore.
Provo
ancora a toccare il tuo volto, d’una bellezza
così sfolgorante. Sei un angelo? Sei forse un angelo?
Senti
le foglie che cadono, Dorian. Forse mi credevi un fiore, prima
che io spezzassi la mia arte per te, prima che tu mi vedessi appassita.
Sarei rifiorita per te, Dorian, se non fosse stato troppo tardi; per te
sarei sbocciata mille e mille volte.
Ma
sono caduta in pezzi, in mille petali inutili.
Ho
ucciso il tuo amore e pagherò con la vita questo
peccato.
Spazio dell'autrice sulle spine:
Che dire?
Ho scritto questa breve storia il 6 Ottobre 2009, subito dopo, credo,
aver letto della tristissima fine di Sybil. Spero di aver fatto bene a
decidere di pubblicarla >_>
Spero di non essere stata troppo banale, spero che non risulti troppo
sdolcinata, perché non è affatto così
che volevo renderla. Spero che Sybil non sembri debole e patetica,
perché non la vedo affatto così, anzi. Ne
“Il ritratto di Dorian Gray” la sua tragedia ha un
dramma incredibile.
Non per niente Oscar Wilde era un Genio.
Ohibò, spero di non aver rovinato questo suo personaggio.
Sì, sì, sto zitta e me ne vado, e perdonatemi
questa intromissione in un capolavoro come “Il ritratto di
Dorian Gray”.
Uh, dimenticavo. Le frasi di Dorian sono prese dalla prima versione del
libro da me letta (sì, ne ho lette più di una
versione... Addirittura avevo pensato di mettermi a collezionare varie
traduzioni, ma mia madre non la reputò una buona idea T^T).
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