Sihaya’s Wild West
(di
_Sihaya)
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riveduta e corretta -
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CAPITOLO
9 - QUESTIONE DI TEMPO
“NOOOO!”
Ayako urlò disperata, liberandosi dalla stretta dello sceriffo.
Due
colpi.
Due
colpi distanti una frazione di secondo.
Il
rumore sordo degli spari aveva squarciato il silenzio e l’aria, ora, puzzava di
polvere da sparo.
La
pistola del vice sceriffo cadde in terra ricoperta di sangue. Il ragazzo fece
un passo indietro, barcollando.
Mitsui,
sul tetto del saloon, era raggelato; guardava sconvolto la pistola che
teneva fra le mani.
Non
aveva sparato.
Non ne
aveva avuto il tempo.
Hycoc
era stato dannatamente più veloce.
Ryota
cadde a terra supino e una macchia rosso scuro si allargò lentamente sotto di
lui.
Hycoc
era ancora in piedi.
Mitsui
era sconvolto, ammutolito.
Perché
non aveva sparato? Perché aveva esitato? Quell’indecisione era costata cara!
Eppure
continuava a non capire: aveva sentito due spari. Due colpi di pistola.
Vide
Ayako correre verso il corpo di Ryota, inerme. “AYAKO! Va’ via di lì!” gridò
angosciato.
Da lassù
si sentiva impotente: Ayako non lo aveva sentito e lui non poteva fermarla.
Allora prese a due mani la pistola puntandola contro Hycoc. Questa volta non
avrebbe esitato. Mirò, con mano ferma, alla testa del bandito. Il dito fremeva
sul grilletto.
Lo
teneva sotto tiro, ma l’uomo vacillò.
Mitsui
trattenne il respiro e intuì cosa gli aveva impedito di sparare.
Era
stato un movimento simile a quello. Doveva aver registrato inconsciamente una
lieve oscillazione dell’obiettivo e questo lo aveva fatto esitare.
Allora
capì.
Hycoc
era stato colpito pochi attimi prima che potesse farlo lui, da lassù.
Aveva
sentito due colpi e uno di quelli era destinato al ricercato.
Non
poteva essere diversamente.
Il corpo
del bandito perse l’equilibrio e cadde a terra, privo di vita, a conferma delle
sue ipotesi. Mitsui sospirò, liberandosi in un colpo di tutta la tensione che
aveva in corpo. È finita, pensò alzandosi per scendere nella piazza.
Ryota
era riuscito a colpire Hycoc.
Mitsui
guardò il vice sceriffo disteso a terra. Ayako piangeva sopra di lui.
Akagi si
avvicinò ad Ayako in lacrime e incurante del sangue che si spargeva attorno a
lei, sporcandole gli abiti.
“Perchè? Perché?!” gridava in
preda ad un pianto convulso e incontrollabile.
Hanamichi
la prese per le spalle cercando di tirarla lontano. “Calmati, Ayako,” disse, ma
lei non voleva saperne di allontanarsi dal ragazzo.
“Haruko,
vai a chiamare un dottore!” gridò Akagi chiamando la sorella.
“Ayako,
alzati, Ryota è ferito dobbiamo portarlo da un medico!”, tentò nuovamente
Hanamichi. Ayako si voltò a guardarlo cercando di focalizzare l’attenzione
sulle sue parole.
Ryota è
ferito, aveva detto.
Ferito.
Ayako si
sollevò meccanicamente dal corpo del ragazzo: i suoi abiti erano intrisi di
sangue, ma il suo petto si alzava e si abbassava affannato. Respirava.
Era
stato colpito alla spalla destra.
Il
ragazzo aprì gli occhi incrociando i suoi e le sorrise.
Lacrime
calde continuavano a scenderle dalle guance, ma ricambiò il sorriso. Provò il
desiderio intenso di abbracciarlo stretto per dirgli quanto era felice, ma
pensò che quello avrebbe acuito il dolore provocato dalla ferita.
Il vice
sceriffo, dolorante, si mosse appena: “A-Ayako,” balbettò.
“Non
affaticarti Ryota, non parlare,” suggerì lei premurosa, accarezzandogli la
guancia. Quel gesto gli procurò un brivido dolce. Arrossì.
“Ayako…”
continuò Ryota affannato, incurante del dolore e dell’arrivo del medico.
“…
Ayako… me lo dai un bacio? … Un bacio prima di morire?” disse sorridendo.
Lei
rimase senza parole: era lì a terra ferito e sanguinante eppure aveva ancora
voglia di fare lo stupido.
Il dottore arrivò e, aiutato da
Akagi, sollevò Ryota ponendolo su una branda di tela.
Ayako gli rimase vicino. “Non
dire scemenze Ryota. Tu non sei in punto di morte…”, lo ammonì cercando di
assumere un’espressione di rimprovero, ma non ne fu capace.
Lui chiuse gli occhi e sospirò:
“Che cosa devo fare Aya?” ribatté scoraggiato, “devo morire per farmi baciare
da te?”
Ayako,
senza parole, guardò il ragazzo che nonostante la ferita e il dolore le
sorrideva felice per il semplice fatto che lei gli fosse accanto. La sua
espressione serena, però, non poté cancellare l’amarezza che quell’ultima frase
aveva lasciato nel cuore della ragazza.
Akagi da
un lato e il dottore dall’altro fecero per sollevare la barella improvvisata,
ma Ayako li fermò e afferrò la mano sinistra di Ryota, che la fissò sorpreso da
quel gesto imprevisto.
Lei
s’accorse di adorare quello sguardo, ingenuo e profondo allo stesso tempo.
Gli
sorrise, poi si chinò su di lui e appoggiò le labbra sulla sua bocca. Gli diede
un bacio tenero e dolce, dal sapore salato a causa delle lacrime che le avevano
bagnato il viso. Ryota strinse la sua mano ancora più forte in preda ad
un’intensa emozione, finché la barella si sollevò spezzando la magia di quel
momento.
Guardò
contrariato lo sceriffo che parlava alla ragazza: “Ayako, dobbiamo andare,” le
diceva invitandola ad allontanarsi. Ryota strinse la mano di Ayako, deciso a
non lasciarla andare.
Lei alzò
lo sguardo verso lo sceriffo: “Vengo con voi.”
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Hisashi
scese l’ultimo gradino del saloon e raggiunse la piazza che aveva appena
visto svolgersi il duello. Si fermò a pochi passi dal cadavere di Hycoc e lo
guardò con freddezza. Un unico colpo alla testa lo aveva freddato: la
pallottola era conficcata con precisione millimetrica in mezzo alla fronte.
Mitsui
ne fu basito. Si scostò dal corpo e si diresse dall’altra parte fermandosi
accanto alla chiazza di sangue che aveva lasciato Ryota, si chinò a raccogliere
la sua pistola poco distante. La rigirò fra le mani, sollevò il cane e la aprì.
Sussultò
sorpreso.
Nel
tamburo c’erano ancora tutte le pallottole e la pistola era completamente
carica.
Ryota
non aveva sparato alcun colpo.
Allora
chi aveva ucciso Hycoc?
Si
guardò intorno. Era mattino presto e in giro non c’era ancora nessuno. Non vide
nemmeno Hanamichi, ma era sicuro che fosse lì fino a poco prima.
Alle sue
spalle, un nitrito lo sorprese.
Si voltò
e vide Rukawa, accompagnato dal suo cavallo, sollevare il cadavere di Hycoc e
caricarlo sulla schiena di un secondo puledro.
“Aspetta!”
gridò raggiungendolo.
Rukawa,
con il piede già infilato nella staffa, si fermò.
“Cosa
vuoi?” domandò secco.
“Sei
stato tu, vero?” asserì Hisashi senza preamboli.
Il
cacciatore di taglie non rispose e di nuovo fece per salire a cavallo.
“Perché
l’hai fatto?” chiese Hisashi trattenendolo per un braccio.
L’altro
si liberò dalla stretta con disprezzo.
“L’hai
fatto per Ayako, perché lei te l’ha chiesto, è così?” insistette Mitsui.
“L’ho
fatto perché c’è una taglia sulla sua testa!” rispose Rukawa afferrando le
briglie e montando, finalmente, a cavallo.
“E ora
dove te ne vai?!” chiese Hisashi, nervoso.
“Ti
libero della mia presenza, è questo quello che volevi, no?”, disse l’altro
caustico, guardandolo dall’alto in basso. Poi agitò le briglie e partì al
trotto, seguito dal puledro carico del corpo senza vita del temuto Hycoc.
Hisashi
chinò il capo, sconfortato. Quello scambio di battute gli aveva lasciato una
strana amarezza in bocca. Si rese conto che, stupidamente, sperava che il
volpino fosse tornato per restare a Jage town.
Tornò al
saloon, soprappensiero, e vi trovò Hanamichi, seduto sui gradini dell’ingresso
che guardava la piazza deserta.
Sorrideva.
Era
felice che le cose si fossero risolte in quel modo.
Hisashi
lo raggiunse: “Tu lo sapevi, vero?” chiese.
“Che
cosa? Che era stato lui a sparare?” fece il rossino alzando lo sguardo.
Mitsui
annuì e si sedette accanto a lui. “E che non era qui per restare,” aggiunse.
“Ti
sbagli.”
Hisashi
lo guardò con aria interrogativa: “Che cosa vuoi dire?”
“Voglio
dire che tornerà,” spiegò Hanamichi, con un’espressione soddisfatta sul volto,
“io lo conosco bene: noi gli manchiamo, gli manca tutta Jage Town.”
“Come
puoi esserne sicuro?” protestò Hisashi scettico.
Hanamichi scrollò le spalle,
come se la risposta fosse ovvia: “Perché io sono Hanamichi Sakuragi: il genio.”
E mentre Mitsui, rassegnato, si
passava una mano sul volto, Hanamichi si fece serio, si piegò un po’
all’indietro e si appoggio sui palmi delle mani: “Ormai si è affezionato a
noi,” aggiunse, “solo che è dannatamente orgoglioso per ammetterlo. Tornerà,
credimi. È solo questione di tempo.”
Hisashi
lo guardò, stupito e allo stesso tempo sollevato: l’ipotesi non era male.
“Può
darsi…” disse alzandosi e dirigendosi verso l’ambulatorio del medico, con la
sensazione di potersi finalmente lasciare il passato alle spalle.
In quel
momento i rintocchi dell’orologio segnarono le cinque del mattino.
La
giornata era appena incominciata.
$ - THE END - $