A modo nostro.
TITOLO: "A modo
nostro".
AUTORE: Katia
R.
DATA FINE: 1 novembre 2009
Premessa: Ehm...
questa one-shot nasce da un periodo un pò così
che ha creato parecchi problemi. Soprattutto con una persona.
Una delle mie migliori amiche, con cui avevo un rapporto speciale. Un
amore a modo nostro. No, non sono lesbica xD comunque è una
cosa che potranno capire in pochi, credo.
Questa one-shot rappresentava
noi. Quello che abbiamo passato in quel
periodo.
I personaggi sono puramente inventati e... i nomi hanno un significato
preciso che capiranno solo in pochi. Anche alcune cose sono inventate,
ovvio. La coppia è formata da un uomo e una donna.
Grazie a chiunque leggerà. Io ci ho messo tutta me stessa.
A
modo nostro.
I
will be right here waiting for you. Whatever it takes.
Confusione.
Tensione.
Silenzio.
Vuoto.
Sono seduto sul divano. La testa appoggiata allo schienale e i piedi
sul tavolino.
Intorno a me c’è solo silenzio. Un silenzio che mi
fa compagnia da giorni.
Giro la testa da un lato sentendo dei passi nel corridoio.
Eccola.
I nostri sguardi si incrociano per un istante che sembra durare una
vita.
Freddo.
Fitta.
Dolore.
Tormento.
Va via senza dirmi niente. Sento solo la porta della sua
stanza che si chiude.
Deglutisco e chiudo gli occhi, riaprendoli subito dopo e continuare a
guardare il soffitto.
La pioggia batte insistentemente sulla porta-finestra che da sul
balcone.
Il rumore sembra rimbombare per tutta la stanza. L’unica cosa
che si sente per la casa.
Silenzio o rumore. Nient’altro.
Ci sono silenzi che fanno più male delle parole, dicono.
Sospiro e mi passo le mani sul viso.
Mi manca l’aria senza di lei.
Anche se è qui. Anche se viviamo sotto lo stesso tetto,
è come se non ci fossimo mai conosciuti.
Mai veramente.
Più ci guardiamo e più capiamo che qualcosa si
è spezzato.
Mi butto un cuscino sul viso. Basta pensare!
Devo reagire!
Lancio il cuscino dall’altro lato del divano mentre con uno
slancio mi rialzo e mi sgranchisco le gambe.
Cammino lentamente. Il rumore dei miei passi è
impercettibile.
Sono fermo davanti alla sua porta. Appoggio la mano sulla maniglia e
deglutisco un paio di volte.
Aprendo quella porta so che, forse, dividerei le distanze.
Distanza.
“Se vuoi il caffé, l’ho appena
fatto”. Un semplice sguardo e un sussurro.
“Ohi, come va?”. Seduti su un divano. Ognuno dalla
parte opposta all’altro. Nessuna risposta tranne un cenno con
la testa.
Ricordi.
Ritornato a casa. Tu nel salotto e la nostra foto tra le mani.
Lacrime nascoste e chiave che gira nella serratura.
Il cuscino, l’unico a conoscere le tue lacrime.
Le coperte, le uniche compagne durante la notte fredda.
Sospiro e abbasso la maniglia. Lei è girata e
mi da le spalle. Mi avvicino lentamente e mi appoggio lentamente sul
letto.
Lei non si muove. Allungo una mano verso di lei, ma la blocco a
mezz’aria.
Forse non dovrei. Forse lei non vuole.
Poi è un attimo. Un sussurro tenue. Quasi inavvertibile.
“Mi abbracci!?”
Non me lo faccio ripetere due volte. Scosto le coperte e mi sistemo
accanto a lei.
La sfioro appena e sento un brivido lungo tutta la schiena. Sento che
anche lei prova la stessa cosa.
Mi avvicino di più e faccio aderire il mio corpo al suo. Le
riscaldo subito i piedi e chiudo gli occhi stampandole un bacio sulla
testa. Sento un suo singulto. La stringo più forte.
“Dormi, amore. Ora ci sono io”.
E so già a cosa pensa. Ha paura.
Paura di vedere che al risveglio io non sarò al suo fianco.
Ma gliel’ho promesso. Non la lascerò
più.
Cambiare.
Paura.
Distacco.
Incertezze.
Spegne la luce e intorno solo silenzio.
“Quello che mi
piace è spegnere la luce sentire la tua voce anche se
è silenzio”.
Così dicono le parole di una canzone che hanno passato poco
prima alla radio.
Questo è quello che succede a me ogni sera da quel giorno.
Il silenzio non era poi così silenzioso.
Forse faceva più rumore di tutto il resto.
Nella mia mente c’era solo il suo nome.
Ogni cosa mi ricordava lei.
Non ho pianto. Non ne avevo la forza sufficiente.
Dovevo solo reagire.
Sbagliare.
“Scusa”
“No! Scusa un ca**o! Per lo meno non prendermi per il c**o!
L’hai già fatto abbastanza!”
“Non ti ho mai presa per il c**o!”
“No, infatti, hai ragione… Mi hai preso a calci in
c**o! Fammi un favore, però… Quando tornerai a
parlarmi, ricordati di non dire scusa e ca**ate varie, ok!?”
Ferire.
“L’hai ferita. Diego… Sai come
è fatta Sidney. Lei vuole il meglio per le persone che ama.
Vuole aiutarle quando ne hanno bisogno. Per lei non sei un
peso.”
“Si, ma…”
“Ti rendi conto che così rischi di perderla per
sempre!?”
“Si. E non so che fare.”
“Riprenditela.”
La pioggia continua a sbattere contro il vetro. Lei inizia
a tremare.
Non è solo freddo. È paura mischiata a qualcosa.
I suoi sentimenti in questo momento sono troppi. Tutti diversi
l’uno dall’altro.
Alcuni contrastanti.
“Ti amo”.
Un sussurro che soffio delicatamente sul suo orecchio.
Lei respira più forte. I battiti del suo cuore aumentano.
Il suo e il mio sembrano andare allo stesso ritmo.
Chiudo gli occhi e gli strizzo forte, lasciando posare una lacrima
sulla sua testa.
Intreccio le dita della mia mano con le sue e stringo forte.
Solo quando il suo respiro torna regolare io chiudo gli occhi e mi
addormento con il ticchettio della pioggia e le mani intrecciate alla
persona più importante della mia vita.
La pioggia continua a scendere incessantemente. Guardo
l’orologio e le cifre in rosso mi indicano che ancora
è presto. Troppo presto.
Un respiro lento e regolare attira la mia attenzione. Lei è
raggomitolata contro il mio petto.
Sembra una bambina.
Indifesa.
Fragile.
Dolce.
Insicura.
Le accarezzo la testa.
Un movimento impercettibile mi blocca.
Stringe la mia maglietta tra le dita.
Sussurra qualcosa di incomprensibile.
Poi la sua voce arriva fino alle mie orecchie.
Diego.
Ripete il mio nome.
La guardo attentamente.
Stringe ancora più forte la maglietta e inizia quasi ad
agitarsi. Le accarezzo i capelli e le stampo un bacio sulla fronte.
Forse mi sentirà.
“Shh”.
Il suono leggero vicino al suo orecchio la fa smuovere un
po’. La cullo tra le mie braccia.
“Non è niente. Sono qui”.
Le sue dita allentano la presa dalla mia maglietta. Lei torna a dormire
tranquillamente mentre io rimango sveglio per assicurarmi che lei
riesca a dormire tranquilla.
Quando sento che è veramente tranquilla riprendo a dormire.
Un dolce odore di torta alle mele mi risveglia dal mio sonno profondo.
Sbatto le palpebre un paio di volte e mi accorgo che accanto a me manca
qualcosa. La più importante.
Sospiro e mi alzo trascinandomi verso il bagno. La raggiungo poco dopo
in cucina.
I capelli raccolti in una coda e il solito ciuffo ribelle che lei
sposta dietro l’orecchio. Rimango a guardarla qualche
secondo. Non la smetterei mai. Rimango impassibile.
E come ogni mattina, il nostro unico compagno.
Silenzio.
Deglutisco e decido di parlare “Stai facendo una torta di
mele!?”
Annuisci mentre bevi un altro sorso del tuo latte.
“Senti… stamattina, nel sonno, ti sei un
po’ agitata e…”
Le parole mi muoiono in bocca. Lei continua a guardarmi.
Il suo sguardo inchiodato al mio e l’unica cosa che riesco a
fare è rimanere zitto.
Traspirazione.
Apnea.
Ansia.
Complicazioni.
Chiude gli occhi e lascia scivolare la tazza nel lavabo.
L’unico rumore che si sente è quello dei suoi
passi, adesso.
Si sta allontanando.
Come ogni mattina.
Estranei.
“È
incredibile. Viviamo sotto lo stesso tetto ma sembra che non ci siamo
mai conosciuti. Ma come siamo arrivati a questo punto!?”
Uno sguardo severo
puntato nel mio.
“Cosa importa,
adesso!? Ormai ci siamo arrivati a questo punto.”
“Per quanto
sarà così!?”
Nessuna risposta.
Incoscienza.
“Ma cosa
volevi dimostrare, eh!?”
“Sono un
fallito!”
“I problemi
non si risolvono mai da soli. Se si è in due si risolvono
insieme. INSIEME!”
“Scusa…”
“No! Non
chiedermi scusa adesso! Non puoi fare sempre così! Vieni a
fare la morale a me, e poi ti comporti così!
Perché!?”
Lacrime. La mia mano che
cerca il tuo viso per asciugarle e tu che vai via.
Mi alzo per azzerare il forno prima che la torta si bruci. Prendo una
pezza e tiro fuori la teglia appoggiandola sul bancone della cucina.
Lascio la torta lì. E mi guardo intorno.
Che senso ha tutto questo!?
Nessuno.
Non ha senso.
Raggiungo camera sua. Lei è raggomitolata su se
stessa. Chiudo gli occhi mentre il cuore riprende a battere forte.
Sempre di più.
Un suo singhiozzo attira nuovamente la mia attenzione.
Mi sento uno schifo. Mi avvicino e mi siedo sul letto appoggiando le
spalle alla tastiera. La sollevo di peso e la faccio accomodare tra le
mie gambe, mentre la stringo forte a me. Inizia a singhiozzare contro
il mio petto. Sempre più energicamente. Improvvisamente ai
singhiozzi si aggiungono i suoi pugni sul petto. Sempre più
violenti. Chiudo gli occhi mentre la lascio fare.
Mi sento invulnerabile.
Non c’è nulla che può
ferirmi più di tutto questo silenzio.
La stringo ancora più forte a me cercando di placare il suo
pianto e la sua rabbia.
Ad un tratto non sento più niente.
Solo il suo respiro affannato e le sue dita che stringono la mia
maglietta.
Si tiene aggrappata a me.
Ho paura. Non voglio farla cadere insieme a me.
Mi sento di essere su un filo.
Sottilissimo.
Che tende quasi a spezzarsi.
Io sono in mezzo a questo filo.
Devo decidere.
O vado avanti o torno indietro.
Davanti a me c’è lei.
Dietro di me, se mi lascio andare, sono solo.
Se non decido una volta per tutte rischio che il filo si rompa.
E con quello anche la sua vita.
La mia.
La nostra.
Cosa devo fare!?
“Afferra questa mano”, mi direbbe lei.
In senso metaforico, ma so che se decido di afferrarla… Non
posso più sbagliare.
Non posso perderla.
Le faccio adagiare la testa sul mio petto. Io appoggio il mento e le
lascio delicati baci tra i capelli.
Mancanza.
“Sono a casa”.
Silenzio.
Accendo la luce e mi guardo intorno.
La casa non è mai stata così vuota.
Sento la tua mancanza.
Passi in quel momento per andare in bagno.
Il mio sguardo si incatena al tuo.
“Mi manchi”. L’unica cosa che riesco a
dirti.
“Anche tu”. E quella porta che si chiude e che ci
separa.
Attesa.
“Ora ho bisogno di tempo. Non lo so quanto. Non so quando
posso ritornare serena. Senza avere paura.”
“Ti do tutto il tempo che vuoi…”
“E se non bastasse!?”. La tua domanda mi frena.
Deglutisco.
“Non importa. Io sarei comunque qui ad aspettarti.
Sempre.”
Non dici nulla. Mi guardi e basta.
Dentro di me… solo freddo.
Rialzi lo sguardo.
Ti perdi di nuovo nel mio.
E io nel tuo. Mi tuffo dentro i tuoi occhi color cioccolato.
“Cosa ti blocca?”, mi chiedi esitante. Sollevo lo
sguardo e guardo un punto impreciso davanti a me.
Mi afferri il viso tra le mani e mi costringi a guardarti.
“Fammi capire che ci tieni veramente a me”.
“Ho paura di sbagliare”, dico con la voce strozzata.
“Se neanche ci provi come fai a dirlo!?”
“E se sbaglio davvero!? Perdo tutto.”
“Provaci. Parti con il pensiero che tu ce la fai!”
Annuisco.
“Prendi questa mano e non lasciarmela più. Guarda
avanti e non girarti mai indietro!”
“Devo pensare al mio futuro”, incateno di nuovo lo
sguardo nel suo “Al nostro futuro. Insieme.”
“Si. Insieme”. Alza una mano “Allora!? La
prendi la mia mano, si o no!?”
Sorrido e allungo la mano per afferrare la sua.
È un attimo che sembra magia.
Intreccio le sue dita e chiudo gli occhi.
Sento il suo respiro vicino al mio viso. Riapro gli occhi e gli
accarezzo una guancia “Mi sei mancata”.
“Anche tu”, dice per poi avvicinarsi e stamparmi un
bacio. Leggero ma allo stesso tempo carico di emozioni.
Riapriamo gli occhi nello stesso istante. Lei è rossa in
viso.
“Mi mancava vederti arrossire”, dico deglutendo.
Sposta una ciocca di capelli dietro le orecchie, come ha sempre fatto
quando si sente in imbarazzo.
“Ti amo”, mi dice in un sussurro.
Emozione.
Brivido.
Battito.
Serenità.
“Anche io”, e afferro il suo volto tra
le mia mani. Ci guardiamo per qualche istante. Persi l’uno
nell’altro.
La bacio dolcemente e le nostre anime diventano una cosa sola.
Sono suo.
Lei è mia.
Siamo noi.
Per sempre.
Cambiare.
Sbagliare.
Decidere.
Ricominciare.
Fine.
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