Epilogo
Ho parlato per ore e Stefan non mi ha mai interrotto.
Talvolta ha posato lo sguardo sul mio viso, scrutandolo con
intensità e stupore, quasi volesse accertasi che non stessi mentendo, ma ciò
che ho raccontato stanotte non è una menzogna, anche se per qualche istante
sono stata tentata di farglielo credere.
-Quel che è successo dopo, lo conosci già.- concludo,
invece.
Si alza in piedi, aggirandosi per la stanza inquieto e senza
meta.
-La vedi ancora?- esordisce poi, voltandosi di scatto verso
di me.
-No.- rispondo subito. –Da quando ho cominciato a darvi il
mio sangue.-
Annuisce senza convinzione, continuando a misurare la stanza
a grandi passi, ma ha i pugni serrati e la mascella contratta.
È rabbia. Furore cieco.
… E tra poco esploderà, ne sono certa.
Non faccio nemmeno in tempo a finire di pensarlo che mi
ritrovo sbattuta contro la parete, la mano di Stefan artigliata alla mia gola.
-Perché non ci hai mai raccontato tutto questo?!- mi
ringhia in faccia.
Lo scosto da me con un gesto rabbioso, giusto per
ricordargli che sono ancora io la più forte tra noi, e lo osservo rotolare sul
pavimento.
-Non ne ho avuto il tempo, Stefan.- sibilo in risposta.
–Klaus era sulle mie tracce, dovevo fare qualcosa.-
-Non mentirmi…- mormora senza neanche guardarmi, mentre si
rialza da terra.
Mi lascio cadere sulla poltrona più vicina, sospirando
piano.
Ha ragione.
Non avrei parlato di lei in nessun caso. Non ho mai pensato
di farlo, prima di stasera.
La stanza diventa improvvisamente gelida, sebbene il
caminetto sia ancora acceso, e nel silenzio imbarazzante mi giunge un respiro
flebile.
Sorrido appena, incrociando le braccia al petto. –Adesso
puoi anche farti avanti, Damon.-
E mi tolgo la soddisfazione di vederlo comparire, un istante
dopo, sulla soglia.
-Desideravi me, Katherine?- mi domanda sarcastico.
-Oh per favore!- sbotto seccata. –Come se non sapessi che
hai ascoltato ogni parola, dal corridoio.-
Avanza verso di me lentamente. Sul suo viso, quel maledetto
ghigno ha rubato il posto all’innocenza spensierata di sua madre.
… E non posso fare a meno di pensare che la responsabilità
di questo sia interamente mia.
-Quello che ci hai raccontato stasera non cambia le cose,
Katherine.- sibila, ma la mano che mi scosta i capelli dal viso con dolcezza,
si fa beffe del suo tono aspro.
-Rimani ancora la solita stronza, egoista e manipolatrice di
sempre.- seguita.
-E se possibile- rincara Stefan. –mi fido di te ancor meno.-
Non che mi aspettassi qualcosa di diverso.
Non ho raccontato loro questa storia perché mi giudicassero
una persona migliore.
L’ho fatto per me stessa, perché volevo parlarne a qualcuno,
ora che Klaus è vicino più che mai a scovarmi.
E poi l’ho fatto per lei.
Perché meritava che i suoi figli sapessero quanto li avesse
amati.
Mi alzo e abbandono rapidamente la stanza, non ho più niente
da dire.
Loro invece hanno bisogno di parlarne.
E so che questa volta Stefan non lascerà cadere l’argomento,
pretenderà di sapere da suo fratello ogni dettaglio, come ha fatto con me.
-Ti ricordavi di Katherine, non è vero?- gli domanda
infatti, mentre sto già salendo le scale. –Per questo non ne hai mai avuto
paura…-
Non sento le parole di Damon, ammesso che ce ne siano state,
ma conosco già la risposta.
-Eri tu.- constatò d’un tratto, mentre osservava il
soffitto.
Era coperto solo dal
lenzuolo di lino, e la ferita dei miei denti sul suo collo sanguinava ancora
leggermente.
-Eri tu, molti anni fa, il giorno in cui morì mia madre.-
ripeté.
Non gli avevo risposto, quella volta.
Del resto, la sua non era neanche stata una domanda…
Afferro poche cose dalla mia stanza e mi preparo a scendere
nuovamente; questa notte la passerò fuori.
Ma prima di andarmene mi soffermo di nuovo sulla soglia
della biblioteca.
Loro stanno parlando piano, seduti l’uno di fianco
all’altro: lei sarebbe stata felice di vederli di nuovo così dopo
centocinquant’anni.
Non m’interessa sapere cosa dicono, ma come al solito non
riesco ad escludere la voce di Stefan dalla mia testa.
-Darei qualsiasi cosa in cambio di un solo ricordo di nostra
madre.- mormora a capo chino, e suo fratello gli appoggia una mano sulla
spalla.
È un po’ impacciato. Sono troppi anni che finge di odiarlo,
ma sono certa che non ha dimenticato il periodo in cui ancora si consolavano a
vicenda.
Entro brevemente nella stanza, solo per appoggiare sul tavolino
ciò che ho recuperato nella mia stanza.
È una piccola veste da neonati: la porto con me da quasi
centosettant’anni…
Entrambi mi osservano in silenzio, gli volto le spalle
tornando sui miei passi, ma non posso fare a meno di chiedermi, se a differenza
delle parole, quella cambierà qualcosa.
***
Quando rientro alla pensione Salvatore è quasi l’alba, la
luce tenue filtra appena dalle tende pesanti.
Stefan e Damon sono ancora in biblioteca e hanno l’aria di
essersi appena addormentati; non dubito che avranno passato l’intera notte a
parlare.
Due bicchieri vuoti danno bella mostra di sé sul tavolino,
di fianco ad una bottiglia di whisky, anch’essa vuota.
La piccola vestina da neonati, con i suoi ricami lasciati a
metà da quasi due secoli, spicca sul legno scuro, neanche brillasse di luce
propria.
Mi lascio cadere sulla solita poltrona, improvvisamente
consapevole che posso e voglio fare un’ultima cosa.
E forse, questa volta lei tornerà a farmi visita…
Chiudo gli occhi e svuoto la mente: non è facile fare questo
a due persone contemporaneamente.
E mentre mi concentro per proiettare le immagini di lei nei
sogni di entrambi, la sua risata spontanea e cristallina mi risuona nelle
orecchie.
-Lieta che tu sia felice, Suzanne.- le sussurro appena.
FINE.
Saluti e ringraziamenti:
Se siete giunti fin qui, significa che mi avete
sopportata durante questi miei deliri abituali, per cui non posso esimermi dal
prostrarmi a vostri piedi per aver avuto così tanta pazienza. ^__^
Mi azzardo anche a sperare che questa breve storia sia
stata, se non altro, una piacevole distrazione, mentre attendiamo i nuovi
sviluppi della serie.
Ringrazio tutti i lettori, da quelli silenziosi a quelli
che hanno lasciato la loro opinione. Il vostro sostegno è stato essenziale.
^__^
Un bacio a Gweiddi at Ecate, che con la sua dichiarazione
-cito testualmente “… per me dal breve
spaccato visto con la sua famiglia, mi era parsa una ragazza molto affettuosa,
non ancora la donna fredda di ora che potrebbe mangiarsi un uomo senza neanche
chiedergli il nome.”- è stata la prima creatrice di questa storia..
Joy s’inchina e saluta.