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A Human_ che oggi compie gli anni.
Non è Hiram in carne e ossa
(anche perché se fosse qui, mi dispiace ma non lo vedresti! :P)
ma spero che ti piaccia lo
stesso.
Romania, 1924.
Incredibile come quel posto fosse cambiato in meno di cento
anni.
L’ultima volta che avevo, avevamo, visitato quel paese,
tutto era diverso.
Non sapevo nemmeno che cosa mi avesse spinto a tornare, da
solo per giunta, in quel posto che vantava solo storielle locali.
Saltai il fiume con un solo balzo e mi trovai a correre
velocemente tra gli alberi.
C’era una temperatura gradevole, l’inverno rigido non era
ancora cominciato e c’era solo un leggero venticello che mi scompigliava i
lunghi capelli.
Improvvisamente mi gelai, arrestando la corsa di colpo.
Quasi inesistente, portata solo dal vento, sentii una scia.
Uno di noi.
Una di noi.
Era difficile capirlo perché la scia era troppo debole.
Preso da uno strano istinto cominciai a seguirla deviando il
mio percorso.
La scia si faceva sempre più forte, dandomi una certezza.
Una di noi.
Cominciai a correre sempre più veloce, un piede davanti
all’altro, talmente veloce che il fruscio degli alberi attorno a me mi spronava
ad andare avanti.
Un rumore crescente mi fece ghignare.
Scrosciare d’acqua.
La fanciulla si stava rinfrescando nel fiume?
Sentii un ramo spezzarsi dietro di me e improvvisamente mi
fermai.
Qualcuno mi aveva seguito?
Non mi sembrava di aver perso la concentrazione così tanto
da non aver riconosciuto una seconda traccia oltre a quella della vampira al
fiume.
Non feci nemmeno a tempo a voltarmi che qualcosa di freddo
si posò sul mio collo.
«Chi diavolo sei?» bisbigliò una voce in un inglese
stentato.
Rimasi immobile, sorpreso.
Poche persone erano riuscite a cogliermi impreparato.
Cercai di girarmi per vedere a chi appartenesse quel profumo,
che riconobbi essere la scia che avevo annusato, ma lei fu più veloce.
«Powiedziałem, kim jesteś?» ringhiò avvicinando pericolosamente i suoi
denti al mio collo.
Polacca.
«Kim jesteś?» chiesi nel mio polacco molto
stentato.
La
sentii irrigidirsi alle mie spalle e approfittai di quel momento di indecisione
per girarmi di scatto e scaraventarla contro a un albero prima di circondarle
la gola con una mano.
L’albero
protestò contro la forza che avevo usato e lo stesso fece la ragazza, emettendo
un gemito misto ad un ringhio.
«Chi
sei? Che cosa vuoi?» tornai a chiederle in inglese, sperando che riuscisse a
capirlo.
Il
mio polacco non era dei migliori.
«Sei
un wampir?» domandò cercando di fare
forza sulla mia mano per riuscire a spostarla di qualche centimetro dalla sua
gola.
«Tu
cosa credi?»
ghignai schernendola.
Quale
umano avrebbe avuto quella forza?
«Jest». Sì. Ovvio.
«Chi sei? Cosa ci fai qui?» chiesi di nuovo percorrendo il
suo corpo con uno sguardo che si fece sorpreso ad ogni centimetro che notavo.
Indossava un vestito ambrato, che la fasciava come una
seconda pelle perché era completamente zuppo; i suoi capelli erano appiccicati
ai lati del viso, umidi anche loro.
Riuscivo ad intravedere tutte le curve del suo corpo e
questo mi trasmise un brivido lungo la schiena.
«Niech» bisbigliò
come se fosse stata a corto di fiato.
«Perché dovrei lasciarti?». Strinsi di più la presa sul suo
collo avvicinandomi a lei.
«NIECH» urlò
aggrappandosi al mio braccio.
«Nie. Kim jesteś» tornai a chiederle. Non volevo lasciare la presa e smaniavo
sapere chi era.
«Non respiro» rantolò quasi perdendo le forze.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere di gusto, non
mollando la presa sul suo collo.
«Non ti serve respirare e lo sai». Avvicinai di colpo il mio
viso al suo, trovandomi a pochi centimetri dai suoi grandi occhi color
nocciola.
«W jaki sposób?». Mi stava prendendo in giro o
non lo sapeva veramente?
«Da
quanto sei una wampir?» chiesi improvvisamente curioso.
«W tygodniu». Una settimana?
Lasciai
improvvisamente la presa sul suo collo.
Era
una novellina.
«Che
cosa ci fai qui?». Indicai con un cenno del capo la foresta attorno a noi.
«Cerco
odpowiedzi». Cercava risposte.
«Chi
ti ha trasformato?». Indietreggiai di un passo continuando a fissare il suo
corpo.
«Nie wiem». Non lo sapeva.
«Quanti
anni hai?».
Cominciava a farmi pena.
«Dwadzieścia dwa». Ventidue.
«Quanti umani hai ucciso in questa
settimana?». La prima settimana era la più
difficile, soprattutto se non aveva avuto nessuno al suo fianco.
Mi
rivedevo in lei, quasi cento anni prima, in attesa di risposte che ero riuscito
a trovare solo recentemente.
Io
però non ero solo a quel tempo, fortunatamente.
Abbassò improvvisamente lo
sguardo, quasi vergognandosi.
Mi fece tenerezza e mi avvicinai a
lei, scostandole una ciocca di capelli ancora bagnati dal viso.
«Ehi, non c’è niente di male. Sei
nuova e non sai come funziona». Tentai di
sorriderle per farle sparire quello sguardo triste.
«Pięć». Cinque. Si spiegava la sua
forza. «Avevo
fame»
sussurrò prima di abbassare nuovamente il viso.
«Su,
non è successo nulla di grave. Poteva andare peggio, andiamo». Picchiettai, sorridendo, la
mano sulla sua spalla e in meno di un secondo mi ritrovai con il braccio dietro
la schiena.
Novellina
e suscettibile.
«Gattina,
ritira gli artigli, andiamo». Tentai di muovere il braccio con scarsi risultati. «Małych kotów, tylco» sussurrai prima che lasciasse
il mio braccio quasi come se avesse preso una scossa.
«Przykro mi». Scusarla? Sì, lo avrei fatto
di sicuro.
«Devi
rilassarti. Come ti chiami?». Sorrisi di nuovo tornando a guardarla per trasmetterle coraggio.
«Juliet.
Człek?» chiese leggermente meno
agitata.
«Hiram.
Sei polacca, no?». Percorsi i tratti del suo viso rendendomi conto che a prima
vista poteva sembrare più una spagnola.
«Tak. Tu?». Mi indicò con un gesto del
capo e guardai due rocce poco distante da noi.
«Inglese.
Vieni, andiamo a sederci». Cominciai a incamminarmi verso quelle due naturali sedie
e sentii i suoi passi leggeri dietro di me.
Per
essere una vampira da una settimana aveva decisamente un atteggiamento
perfetto.
Quando,
dopo essersi seduta, accavallò le gambe, un ghigno si disegnò sulle mie labbra.
«Dovresti
vestirti. Camminare con una sottoveste non è una cosa normale, in questo
periodo. Se ti trovano dei soldati…». Lasciai il discorso in sospeso non volendo peggiorare la
situazione.
«Io
non volevo ucciderli» sussurrò incrociando le braccia per coprirsi il seno che
si intravedeva dalla sottoveste ambrata.
Mi
tolsi la giacca e la posai sulle sue spalle.
«Ti
credo, stai tranquilla. Che cosa ci facevi qui?». La osservai stringersi la
mia giacca attorno alle piccole spalle.
«Cerco
risposte»
disse nuovamente.
«Per
quello che sei diventata?» sussurrai puntando i miei occhi nei suoi.
Annuì
solamente.
«Non
troverai niente qui. Ci sono solo leggende locali e un libro scritto bene, devi
cercare oltreoceano». Cercai di non scoraggiarla.
«W jaki sposób?» chiese spostandosi una ciocca
di capelli dal viso.
Il
suo “come” stupito mi fece sorridere.
Doveva
imparare ancora molto.
«Devi
viaggiare, abbandonare la tua famiglia. Ti è rimasto qualcuno?». Sperai di non aver detto
qualcosa di male.
Soprattutto
speravo che quelle cinque persone che aveva ucciso non comprendessero la sua
famiglia.
Il
suo sguardo si abbassò di nuovo, nascondendosi dai miei occhi.
Mi
bastò quella risposta.
«Non
ti preoccupare, tanto non saresti potuta stare con loro a lungo». Appoggiai lentamente la mia
mano sul suo ginocchio nudo.
«Dlaczego?» chiese guardando la mia mano.
«Perché
si sarebbero accorti che non eri più tu, che non crescevi o cambiavi, riesci a
capire?».
Era come se volessi proteggerla, farle capire come funzionava il nostro mondo.
Alzò
gli occhi e mi fissò per un tempo che mi parve infinito senza dire nulla.
«Sei
da solo?».
Sembrava un fiume in piena.
Come
se le domande senza risposta fossero state infinite.
«No,
c’è mio fratello con me». Pensai subito a Jos, chissà che cosa avrebbe pensato una
volta conosciuta quella vampira polacca.
«Oh» sussurrò sorpresa.
«Perché?». Sembrava quasi che la
notizia di aver avuto qualcuno al mio fianco l’avesse rattristata.
«Drobiazg». Niente. Non era niente, era
decisamente qualcosa.
«Juliet,
posso e voglio aiutarti, puoi parlare di tutto quello che vuoi, ok?»
sussurrai avvicinandomi
e inginocchiandomi davanti a lei perché non fuggisse più dal mio sguardo.
Scosse
la testa in segno di diniego e provai a farla parlare ancora una volta.
«Se
vuoi puoi seguirmi, correremo un po’, ma so di un ospedale dove possiamo rubare
un paio di sacche di sangue. Vieni a casa con noi e ti spieghiamo bene come
funziona».
Era l’unica possibilità che potevo offrirle.
Che
poi nemmeno era quella la nostra casa.
Ci
eravamo trasferiti in Turchia solo per un breve periodo di tempo.
Saremmo
ripartiti per l’America nemmeno un mese dopo.
«No.
Rimango qui»
mormorò toccando in punta di dita la mia mano.
«Puoi
venire con noi, non ci sono problemi» cercai di sembrare allegro e
non mi fu di certo difficile.
Mi
sarebbe piaciuto avere compagnia con noi, in fin dei conti Milicent non c’era
sempre e Juliet sembrava promettere bene sotto molti punti di vista.
«No». Era decisa e non me la
sentivo di insistere.
Forse
voleva un po’ di tempo per pensare, per capire che cosa fosse giusto e
sbagliato.
Non
la conoscevo e non sapevo nemmeno come era diventata una di noi.
«Va
bene. Se cambi idea segui la scia, arriverai in Turchia. Buona fortuna». Sorrisi accarezzandole una
guancia e la vidi socchiudere gli occhi, come se quel gesto le fosse mancato. «Mi raccomando, indossa
velocemente i vestiti, credo presto arriveranno dei soldati» scherzai.
Annuì
appena e dopo un ultimo sorriso fugace cominciai a camminare lentamente, tra un
albero e l’altro, perché se avesse voluto seguirmi non avrebbe di certo
faticato.
Un
albero, due alberi, tre alberi, al sessantesimo albero capii che il mio istinto
per la prima volta si era sbagliato.
Credevo
che quella vampira mi avrebbe seguito, che avrebbe imparato a vivere la sua
nuova non-vita assieme a noi, assieme a me.
Forse
era così che dovevano andare le cose.
Forse
il nostro cammino si era incrociato per caso e le nostre strade si erano subito
divise.
In
fin dei conti non poteva essere il mio Demone Rosso, era una vampira anche lei.
Eppure…la
trasformazione non era completata del tutto, e c’era stata un po’ d’attrazione,
avevo sentito la sua scia per caso, l’avevo seguita e non l’avevo uccisa…troppe
casualità.
«Hiram,
usługiwać». Aspettare?
Invertii
la rotta di colpo, andando a sbattere contro il suo corpo ancora leggermente
umido.
«Devi
chiedermi qualcosa?» bofonchiai confuso.
«Tak.
Vengo con te, posso?» chiese imbarazzata.
Un
sorriso si posò spontaneo sulle mie labbra.
«Jasne! E
poi io la mia giaccia non la regalo mai a nessuno. Però sarà meglio che tu ti
metta degli odzież, non mi sembra
proprio il caso che tu corra con quella sottoveste». Alzai un sopracciglio facendo
scivolare lo sguardo sulla sua generosa scollatura.
Non
era molto più bassa di me ma riuscivo ad avere un angolo di inclinazione
perfetto.
«Maniak» ridacchiò colpendomi un
braccio con fare scherzoso.
«Che
c’è? Sono pur sempre un uomo» dissi per difendermi e involontariamente alzai le spalle.
«Nie». Si fermò superandomi e puntò
il suo indice sul mio petto. «Non ti conosco». Assottigliò lo sguardo e ridacchiai.
Per
quello ci sarebbe stato tempo.
Prima di tutto: il polacco non lo so, quindi tutto quello che c’è
scritto lo devo al traduttore di Google (che come tutti sappiamo è inaffidabile
al massimo quando si tratta di tradurre frasi), per questo ho tentato di
inserire solo parole.
Se qualcuno sa il polacco e ha notato degli errori mi faccia
sapere! :)
Seconda cosa: la storia non è betata, mi scuso quindi per
eventuali errori.
Terzo: be’, credo sappiate già (almeno per chi ha letto Do you think you can tell? Come va a
finire tra Hir e Jul, non ho mai fatto mistero che il vampiro dagli occhi
azzurri sia uno dei miei personaggi preferiti e l’incontro con Jul (come tante
altre cose) era uno degli episodi che ho sempre voluto narrare.
Ho spiegato anche alcune cose direttamente collegate a Liz e Jos,
anche se le capirete non appena comincerò Kiss
on forehead, e lo farò, è una promessa! :)
Ringrazio chiunque voglia lasciarmi una parolina e soprattutto chi
ha letto! :)
Ps.: il titolo vuoi dire ‘Chi sei?’ in polacco, almeno lo spero!
:)
Questa è Juliet con la sottoveste, come l'ho immaginata:
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