6- L'alba di settembre
L'alba di
settembre
"I bambini non nascono al quinto
mese, chiaro?"
(Riza Hawkeye, episodio
5)
La prima volta aveva avvertito un vago malessere mentre rifiniva la
manica di un vestito, peraltro venutole particolarmente bene. Si
bloccò un momento, respirando a fondo, pensando che fosse
strano
perché era quasi ora di cena: non poteva essere stato
qualcosa
mangiato a pranzo, dato che l'aveva già digerito da un pezzo.
Comunque dopo qualche minuto le passò, dandole il tempo di
completare l'abito, che mise su una gruccia e coprì con
della
carta.
Era sera, ormai: da qualche giorno aveva iniziato a piovere a dirotto,
una pioggia che al momento era stata interrotta da un terribile vento
giunto da chissà dove. Mugghiava inferocito per le strade,
facendo tremare i vetri come se stesse bussando alle finestre di tutta
Berlino.
In cucina infilò un ceppo nella stufa, perché a
breve
sarebbero tornati quelli che erano ormai i tre uomini di casa. Mentre
spostava le pentole per far posto ad altre padelle, si
ritrovò a
sorridere: chi l'avrebbe mai detto che la sua casa sarebbe diventata
così... calda?
Era come se la donna che era adesso e la bambina che era stata fossero
due persone completamente diverse, vissute in due mondi divisi da un
portale: un portale che non aveva nome eppure, ogni volta che le
capitava di pensarci, non poteva fare a meno di venirle in mente il
viso di suo marito.
Allora si chiedeva che razza di ragionamento avesse fatto, da dove
diavolo saltasse fuori l'idea di un “portale” e
perché stesse arrossendo come una ragazzina.
Inoltre- continuò a riflettere, mentre tagliava la carne che
era
riuscita a procurarsi e la disponeva sul tagliere- si chiese, per
l'ennesima volta, come una persona così riservata e schiva
quale
era sempre stata lei, potesse ispirare tanta fiducia. Anni fa, Noa si
era comportata come se fin dall'inizio avesse saputo che da loro non le
sarebbe venuto alcun male: e dire che, in quanto zingara, non dovevano
averla sempre trattata così bene. Mentre adesso saltavano
fuori
questi due ragazzi, mandati appunto da Noa, che si erano subito
ambientati altrettanto in fretta.
Quando erano piccoli Rod aveva asserito che lei era come un falco, a
cui non sfuggiva mai niente- e ogni tanto lo ripeteva ancora. Eppure,
malgrado Eliza sapesse che il suo intuito non sbagliava quasi mai,
aveva creduto di avere le traveggole quando si era ritrovata a pensare
che... beh, che sembrava che quei due ragazzi la conoscessero.
Perché, nonostante non si fossero mai presi troppa
confidenza,
le si erano sempre rivolti con una naturalezza tale da farle pensare di
averli già conosciuti, in qualche tempo e in qualche luogo.
Perché quando le dicevano qualcosa sembravano già
sapere
come avrebbe reagito, e i giorni in cui era di cattivo umore le
giravano alla larga quasi istintivamente.
Non avrebbe saputo spiegarlo né provarlo, eppure era una
sensazione che l'aveva lasciata fin da subito piuttosto perplessa. Si
ritrovò a corrugare la fronte per l'ennesima volta, mentre
tagliava delle cipolle e le buttava in padella per soffriggerle.
Avrebbe avuto qualche senso se avesse preso uno dei due fratelli in
disparte- magari il più giovane, non ce lo vedeva proprio a
mentire- e gli avesse chiesto: “Ma dove mi avete conosciuto,
voi
due?”. Perché, appurato che l'altro non era
Edmund- ma lei
l'aveva sempre saputo- era certa di non averli mai incontrati in vita
sua. Chissà se suo marito sapeva qualcosa al riguardo: negli
ultimi tempi le era sembrato un po' scosso, come se le stesse
nascondendo chissà quale segreto. Che i ragazzi gli avessero
rivelato qualcosa?
Non fece in tempo a pensare a quanto fosse stupida quell'idea, che
qualcos’altro provvide a distrarla: qualcosa che le fece
spostare
immediatamente la padella dalla cucina, la costrinse a mollare tutto
ciò che stava facendo e a correre in bagno. Dove
riuscì-
appena in tempo- ad inginocchiarsi di fronte alla tazza e a tirarsi
indietro i capelli.
Quanti anni erano che non vomitava?
Mancandole completamente la voglia di stare a rimirare i resti della
sua digestione, si allungò verso lo sciacquone e lo
tirò.
Mentre l'acqua portava via quella roba dall'odore nauseabondo, il
dubbio arrivò galleggiando, quasi sorgendo dalle
profondità della tazza.
Oh, si era accorta di aver saltato il ciclo di gennaio: ma lei non era
mai stata molto regolare- forse l'unica parte di lei che non lo era- e
pensava che la stanchezza degli ultimi tempi potesse aver
contribuito... non ne sapeva poi molto, al riguardo. Le sue conoscenze
mediche erano sempre state piuttosto limitate.
Ma non era così sprovveduta da non rendersi conto che il
giorno dopo avrebbe fatto bene ad andare da un dottore.
Fece un salto nel laboratorio di Win, dicendole che si sentiva poco
bene e chiedendole se potesse occuparsi lei della cena; prima che la
nipote potesse domandarle qualcosa, andò in camera a
sdraiarsi.
Stesa su quel letto troppo grande per una persona sola, prima di
rendersene conto portò le mani al ventre.
Poteva davvero esserci qualcuno, lì dentro?
Qualche sera dopo, mentre si stavano preparando per la notte, aveva
esordito con un indifferente: “Ti ricordi di
Hanukkah?”, a
cui Rod aveva risposto:
- È stato poco più di un mese fa, Liza. Certo che
mi ricordo -.
Eliza lo guardò a lungo, prima rispondere: era certa che non
avesse dimenticato ciò che le aveva detto quella famosa
sera-
né quel che avevano fatto dopo,
perché di certo Hanukkah doveva averlo ispirato parecchio.
Ma forse non ci aveva creduto più di tanto nemmeno lui,
perché erano sposati ormai da anni e di bambini non ne erano
mai
arrivati. A parte una bionda che non somigliava a nessuno dei due, ma
Win non contava in questo senso.
Eliza sorrise sorniona: chissà se ci sarebbe arrivato.
Voleva
godersi al massimo quel momento, così si sporse verso di lui
e,
a un palmo dal suo naso, mormorò sibillina:
- Risolvi questo indovinello: qual è l'orologio che inizia a
ticchettare ad Hanukkah e che, a differenza di ciò che
diceva
qualcuno, per esistere ha per forza bisogno di due creatori? -.
Lo vide corrugare la fronte, chiaramente perplesso, ma non si
spostò né aggiunse indizi. Avrebbe potuto contare
i
secondi di silenzio sospeso, vedere gli ingranaggi che lavoravano
dietro la sua fronte, mormorargli nell'orecchio la risposta esatta.
Ma aspettò. Aspettò finché le
sopracciglia di Rod
non si alzarono tanto da scomparire nel ciuffo di capelli che da un
pezzo gli andava dicendo di tagliare.
- Cioè, tu... io... lì dentro... -.
Quando si vide additare la pancia, Eliza scoppiò a ridere.
Forse era ora di finirla con tutte quelle metafore sugli orologi; da
quel momento in poi sarebbe stato meglio chiamarlo col suo nome...
anche se non ne aveva ancora uno. Ma avevano nove mesi per pensarci.
Quando l'avevano saputo, Ed e Al non avevano voluto sentire ragioni: si
sarebbero trovati un alloggio per conto loro, dato che ormai avevano
entrambi un lavoro. Un conto era non pesare economicamente sui
Mühlstein, un altro essere di disturbo in un momento
importante
come la nascita di un bambino. Ed sentiva qualcosa scioglierglisi
dentro quando pensava che si stava creando una nuova famiglia; lo erano
già, certo, ma niente si poteva paragonare ad una nuova
vita,
qualcosa che “chiudeva il cerchio”, a dirla da
alchimista.
Che suggellava il patto. Il sangue che richiama un'anima, ma non in una
trasmutazione umana.
Una mattina d'inizio aprile che si era beccato un bel raffreddore ed
era ancora disteso a letto, si ritrovò ad osservare il
soffitto
e a perdersi nei suoi pensieri come non gli capitava da tempo. Forse
aveva qualche linea di febbre; forse era la prospettiva dell'ennesimo
spostamento, ma rimuginò per quasi un'ora su quella parola
che
l'aveva ossessionato per quasi tutta la sua esistenza. Di là
e
di qua; come alchimista e come essere umano. La vita.
Alzò il braccio con l'automail, guardandosi la mano nella
dolce luce d'aprile che entrava dalla finestra. Ma perché l'uomo
non può creare la vita? Con le proprie mani, ovviamente; in
modo
razionale e programmato. Artificialmente, si poteva dire. In effetti,
nonostante i suoi studi attuali concernessero la chimica e non
più l'alchimia, il concetto di fondo era sempre lo stesso:
ogni
cosa che esiste è un meccanismo, un sistema, che segue
regole
ben precise e fondamentalmente immutabili. Ciò che mutava,
seguiva altrettante regole. Eppure il mistero riguardante la vita
perdurava, come se davvero fosse stata cosa che agli uomini non era
dato sapere.
Come? Perché?
Sorrise, quasi divertito: malgrado tutto ciò che era
successo,
era ancora lì a chiederselo. E avrebbe continuato per
sempre, ne
era sicuro.
Si tastò la fronte: forse gli era salita la febbre.
Nel pomeriggio si sentì abbastanza bene da scendere di
sotto.
Win non c'era, sarebbe tornata solo all'ora di cena: era andata da un
cliente che abitava dall'altra parte di Berlino, il cui pendolo si era
messo a suonare a ore alterne. L'una, le tre, le cinque... quando gli
pareva, e a volte la mezzanotte durava tredici rintocchi. Uscendo, Win
aveva detto che sarebbe andata ad esorcizzare il fantasma che lo
infestava, estremamente divertita perché un caso simile non
le
era mai capitato.
Così adesso in casa rimanevano solamente lui ed Eliza; forse
poteva farle piacere un po' di compagnia.
- Posso? - Ed aprì piano la porta della stanza del cucito,
interrompendo il ronzio della macchina da cucire.
- Certo, non devi neanche chiederlo – rispose Eliza,
indicandogli una sedia – Accomodati. Come va il raffreddore?
-.
- Meglio, comunque Al ha promesso di portarmi qualcosa dalla farmacia -.
- Sai, non ho tutta questa esperienza di uomini, ma ho idea che tu sia
un esemplare piuttosto bizzarro – commentò Eliza,
lanciandogli un'occhiata.
- Eh? E perché? -.
- Dovresti vedere mio marito quando sta male: con il naso un po'
intasato, pretenderebbe di stare a casa dal lavoro per una settimana! -.
Con il naso un po' intasato il colonnello avrebbe insistito per un
ricovero retribuito, pensò Ed. Gli scappò un
leggero
sorriso, che a Eliza non sfuggì.
- Ti va di darmi una mano? - gli lanciò un'occhiata
penetrante,
ma Ed c'era abituato da parecchio. Da molto prima di conoscerla
–
Qualcosa mi dice che saresti abile quanto tuo fratello nella segnata,
ma al momento non ho stoffe da tagliare -.
Eliza si alzò, prendendo un grande abito bianco da un
manichino
e facendo molta attenzione mentre lo posizionava sul tavolo. Qualche
secondo dopo, Ed si ritrovò fra le mani quello che era
indubbiamente lo strascico di un abito da sposa.
- Non fare quella faccia – commentò Eliza, mentre
si
occupava del pizzo sul colletto – Il tavolo più
grande
è occupato, e su questo lo strascico penzolerebbe a terra.
Devi
solo reggermelo per un po', non attraversare la navata come damigella
d'onore -.
Mentre Eliza si occupava del colletto e di alcuni ricami sul petto, Ed
guardò distrattamente fuori dalla finestra. Si trovava nella
stanza di una sarta che da un'altra parte era un cecchino, in una
città che fino a pochi anni prima nemmeno sapeva potesse
esistere, a reggere lo strascico di un abito da sposa. Per un attimo,
fu quasi come se si fosse estraniato da tutto: da tutti i mondi, due o
più che fossero; da tutto ciò che aveva fatto e
che
avrebbe dovuto fare; da tutte le responsabilità che si era
sempre preso.
Ma era stato così inevitabile, finire lì?
- Cosa facevo io, nell'altro mondo? -.
- Il tenente nell'eser... -.
Ed ammutolì. Lo stava dicendo ad alta voce? Se l'era
immaginata,
quella domanda buttata lì come per caso? Guardò
Eliza,
apparentemente intenta al suo lavoro, tranquilla come sempre. Come se
non gli avesse appena fatto una domanda così incredibilmente
assurda, prendendolo in contropiede mentre era distratto.
No, doveva esserselo immaginato. Forse gli era salita ancora la febbre.
- Nell'esercito, addirittura? Una donna? - strabuzzò gli
occhi
quando lei alzò lo sguardo dall'abito e continuò
il
discorso con tutta la naturalezza del mondo – E cosa facevo
esattamente? -.
Stringendo fra le dita il tulle dell'abito, Ed passò dallo
stordimento improvviso al sollievo inaspettato. Suo marito doveva
averglielo detto, dunque. Beh, certo: figurarsi se il tenente non
avrebbe saputo ogni cosa del colonnello.
- È il miglior cecchino dell'esercito – Ed si
sporse un
po', con fare quasi confidenziale. Mai avrebbe pensato che quella
giornata potesse prendere un corso simile – E, anche se
è
un subordinato, fa rigare dritto un certo colonnello. Però
lui
adesso è stato degradato, per cui non so se... -.
- Un cecchino, eh? Beh, anch'io ho una buona vista – ammise
Eliza.
Oh, quello non era certo l'unico punto in comune con il tenente
Hawkeye: Ed avrebbe potuto mettersi a elencarli tutti, se glielo avesse
chiesto. Invece Eliza gli domandò:
- E tu e tuo fratello, da quanto tempo siete voi due soli? -.
Finora non gli aveva mai rivolto quella domanda per non rischiare di
essere inopportuna, ma adesso era diverso. Avrebbe voluto che, se fosse
capitato a suo figlio, qualcuno glielo avesse chiesto. Una conseguenza
dell'essere incinta, probabilmente: per la prima volta si rendeva conto
che al mondo tutti
erano figli di qualcun altro.
- Si nota così tanto, che siamo abituati a cavarcela per
conto
nostro? - domandò Ed, sorridendo quasi colpevole –
Comunque da parecchio, se è questo che vuole sapere -.
Si trattenne dall'aggiungere che loro non avevano mai avuto degli zii,
ma lo pensò. Chissà se sarebbe stato diverso.
Iniziava ormai ad intravedersi un po' di gonfiore all'altezza del
ventre di Eliza, e anche se dalla sedia non riusciva a vederlo, Ed
venne improvvisamente colpito da un'immagine. Un'immagine a cui non
aveva pensato, quando aveva conosciuto la signora Hughes.
Cercò di scavare a fondo nella memoria, ma senza alcun
risultato; tentò ancora e ancora, scartando un ricordo dopo
l'altro.
… niente da fare, non se la ricordava. Ma in fondo sua madre
doveva essere rimasta incinta di Al quando lui ancora non sapeva
mangiare da solo. Pensare di conservare ancora ricordi così
lontani nel tempo forse era un po' eccessivo. Eppure la sola idea di
sua madre col pancione gli faceva sentire una specie di calore dentro,
un calore legato ad una sensazione che doveva aver provato. Anche se a
dire il vero non ricordava nemmeno Al neonato, malgrado Trisha Elric
gli avesse raccontato che all'inizio lo trattava un po' come il suo
bambolotto personale.
- Edward -.
Ed tornò nel presente, chiedendosi se quella sfumatura
materna nella voce se la fosse immaginata.
- Ricordati che qui, una casa in cui tornare l'avrete sempre -.
Una casa in cui la
famiglia ti aspetta.
Era così che l'aveva definita, quando col maggiore Armstrong
avevano fatto ritorno a Resembool per riparare i suoi automail. Lui e
Al casa loro l'avevano bruciata, eppure zia Pinako e Winry erano sempre
state pronte ad accoglierli. E ora questa donna gli stava dicendo che,
forse, una casa l'avevano trovata anche in quel mondo.
Avrebbe dovuto sorriderle e ringraziarla, lo sapeva. Anche se Eliza non
sembrò certo pretenderlo, perché tornò
subito alle
sue occupazioni, mentre Ed si chiedeva se quello non fosse di nuovo il
principio della fine.
Perché una l'avevano bruciata e l'altra abbandonata per
sempre,
sigillata in un altro mondo. A questa, cosa sarebbe successo?
Ed e Al non avevano grosse pretese, e grazie a qualche contatto di Rod
riuscirono a trovare un alloggio rispettabile ad un prezzo decente.
Così vi si trasferirono quando Eliza era al quinto mese, non
senza la promessa di tornare a cena da loro una volta alla settimana.
All'inizio Win sentì l'ennesimo strappo al cuore, ma quando
si
rese conto che stavolta chi se ne andava si sarebbe allontanato di
appena due isolati tirò un sospiro di sollievo.
Cominciò
a ricambiare le visite settimanali, e una volta che un cliente le
pagò una riparazione con una bottiglia di liquore di segale
rischiarono la sbronza tutti e tre.
Man mano che la gravidanza avanzava, il pancione di sua zia si faceva
sempre più prominente, tanto che nell'ultimo periodo ogni
tanto
era costretta a sdraiarsi per il mal di schiena.
Secondo Eliza era perché il bambino se ne stava comodamente
stravaccato nella sua pancia, il che era un preoccupante sintomo che
avrebbe ereditato la sfrenata pigrizia del padre.
Win rideva sempre quando sua zia se ne usciva con certe cose, e un
pomeriggio di metà agosto dall'aria fin troppo fresca le
disse:
- Vai a sdraiarti un po', ti porto del brodo -.
Quando la raggiunse nella stanza, la trovò sistemata di
fianco, stanca ma in attesa, gli occhi vigili sulla porta.
- Ecco qua. Corposo e bollente! - scherzò.
- Oh, io non ho problemi, lo sai. Se si vuole che faccia un po'
d'effetto, il brodo deve essere bello caldo – rispose Eliza,
mettendosi seduta e prendendo la tazza che Win le porgeva, non senza
una certa fatica.
La ragazza fissò lo sguardo sul pancione ormai evidentissimo
della zia, così pronunciato che volendo avrebbe potuto
appoggiarvi la tazza.
- Com'è? - non poté fare a meno di chiedere.
- Molto buono. Ti è venuto davvero bene -.
Win scosse la testa ridendo:
- Non il brodo – indicò il rigonfiamento
all'altezza del
ventre – Com'è... avere qualcuno dentro di
sé? -.
- Molto... strano,
quando in
effetti mi metto a pensarci. Soprattutto quando si muove – si
toccò piano la pancia, dove era convinta che suo figlio se
ne
stesse comodamente stravaccato – Ma è anche
così...
naturale. Giusto. Perché è così che
vanno le cose
-.
- Che una volta tanto vadano come dovrebbero andare? -
mormorò Win.
- Esatto. Di tanto in tanto succede anche questo –
sussurrò sua zia di rimando.
Win si riscosse subito, colpita da un'idea improvvisa.
- Ehi, gliel'hai fatta sentire? - domandò, illuminandosi.
- Che cosa? - chiese Eliza sorpresa.
- La melodia del carillon -.
- Come? … no, veramente no -.
- Allora che ne dici di fargliela ascoltare un po'? Tanto per mettergli
in chiaro dove si troverà a vivere -.
- Sì, perché no? - sorrise Eliza.
- Posso? - fece Win, accennando all'armadio, sicura che il carillon
fosse ancora nascosto là, sotto una camicia da notte.
Al cenno affermativo di sua zia, si alzò prontamente dal
letto e
andò a vedere, riverente come se le fosse stato concesso un
grande onore. Eliza la osservò inginocchiarsi davanti alla
cassettiera, pensando all'unica altra volta in cui sua nipote aveva
visto il carillon: era passato tanto tempo, da allora, ed erano
cambiate così tante cose. Possibile che tutti quegli anni
fossero trascorsi così in fretta?
Quando tornò da lei, Win stringeva tra le mani il carillon.
Lo
caricò e ne aprì il coperchio; per tutto il tempo
in cui
la melodia risuonò, lo tenne vicino al pancione di Eliza.
Quando
la carica terminò, dopo un attimo di silenzio sorrise
complice a
sua zia:
- Senti, adesso credi di potermela raccontare? - alzò il
carillon ancora aperto, mostrandole la decorazione all'interno. Quella
col cane, il fiume e la nuvola di fumo – La storia di questo, intendo.
Perché scommetto tre orologi che questa è
opera dello zio Rod -.
Quando Eliza vide che stava indicando la nuvola dalla finestra,
scoppiò a ridere. Sì, era davvero passato un
sacco di
tempo. Chissà se... si toccò la pancia,
accarezzandola
piano.
Chissà se l'incompatibilità col fuoco era
ereditaria.
Quando Win uscì in corridoio, quella sera di settembre, era
palesemente scioccata.
- Mio Dio – ansimò, sconvolta ma felice
– Dove sono i miei orologi? -.
Se Rod fosse stato uno spettatore esterno, avrebbe anche potuto
mettersi a ridere; ma non lo era, e in due secondi aveva posato le mani
sulle spalle della nipote, preoccupato al limite del possibile.
- Come sta? -.
- Stanno bene – Win sospirò, sorridendo come non
mai – Stanno bene tutte e due -.
Senza pensarci due volte Rod entrò, beccandosi qualche
rimbrotto
della levatrice che stava lavando in una bacinella un paio di fasce
intrise di sangue, ma non ci fece nemmeno caso.
Chiudendo la porta dietro di sé e appoggiandovisi contro,
Win
sorrise di nuovo e si passò una mano fra i capelli,
scoprendosi
parecchio sudata. Oh beh, si sarebbe lavata più tardi:
adesso
doveva andare a dare la notizia ad un paio di persone.
- Una bambina? Ma è meraviglioso! - esclamò Al,
felice di sapere che fosse andato tutto bene.
Anche suo fratello sorrideva sollevato sotto la luce della lampada,
accesa dopo che gli ultimi lampi aranciati del tramonto si erano spenti
a ovest.
Una bambina, come Elycia Hughes: Ed sperò che quella piccola
che
aveva appena un'ora di vita fosse più fortunata di lei.
- E come l'hanno chiamata? - si informò.
- Anche se gli zii non hanno mai voluto dirmi che nome avevano in
mente, prima che uscissi dalla stanza la zia Eliza mi ha detto che una
femmina volevano chiamarla Alba -.
Al guardò perplesso fuori, nel buio:
- Ma... è nata al tramonto, no? -.
Win si strinse nelle spalle, come a declinare ogni
responsabilità.
- Che volete che vi dica? Se mio zio si mette in testa una cosa, non
c'è verso di fargli cambiare idea -.
- Se fosse stato un maschio ci avrebbe trovati del tutto impreparati.
Non hai mai voluto saperne di pensare a un nome! - Eliza era appoggiata
contro il cuscino, visibilmente stravolta, mentre Rod si stava
rimirando il viso della bambina alla soffice luce dei lampioni che
entrava dalla finestra.
La stanza era ormai avvolta nella penombra, ma nessuno dei due aveva
ancora voglia di accendere una lampada.
- Non mi serviva pensarci. Lo sapevo già – rispose
tranquillamente Rod, chiedendosi come facesse un neonato a respirare
con un naso così piccolo.
- E avresti deciso senza consultarmi? Si può sapere come
avresti
chiamato nostro figlio? - malgrado la domanda, Eliza non aveva nemmeno
la forza di accigliarsi. Sentiva gli occhi sempre più
pesanti, e
cercare di mettere a fuoco l'ombra del marito e della figlia contro la
finestra andava facendosi sempre più difficile.
Rod sorrise, di un sorriso paterno che, anche nella penombra, a Eliza
sembrò piuttosto un sogghigno.
- Che domande. Elias, ovviamente -.
- Dite, non trovate che mi somigli? -.
Ed e Al si scambiarono un'occhiata perplessa, senza commentare
alcunché.
- Zio... è bionda
– si azzardò a contraddirlo Win.
- Ma guarda il viso! Lo sguardo! È proprio il mio ritratto!
-
ribatté Rod, spostando leggermente la piccola come a
fargliela
vedere da un'altra angolazione.
Ed stava osservando quella scena ad occhi sgranati, quando
udì
il commento di Al che si era chinato a sussurrargli qualcosa:
- Perché si sta comportando come Hughes? -.
- Chissà... forse è una caratteristica di tutti i
neopadri – ipotizzò lui, anche se poco convinto.
- Ma guardatela! - Rod mise loro la bambina sotto il naso, e per un
folle istante a Ed sembrò che la piccola lo stesse guardando
con
uno sguardo che conosceva. Lo sguardo di un certo colonnello, sul viso
di una bambina nata appena il giorno prima.
La piccola Alba aveva ereditato i suoi occhi, su questo Rod aveva
ragione.
- Guarda gli zii, Alba: lo zio Ed e lo zio Al... - continuò
lui, in tono cantilenante.
“Diavolo, è impazzito”, pensò
Ed, rendendosi
conto con uno sguardo che lo stesso pensiero aveva attraversato la
mente di tutti i presenti. Persino di Eliza.
Però la bambina era carina per davvero, con quegli occhi
allungati e scuri come la pece, tanto pallida che le si vedevano le
venuzze azzurre scorrere lungo i polsi. Un organismo perfetto; un
cerchio completo in cui scorreva l'energia.
Il cerchio completo si rese conto in quel momento di avere fame, e lo
comunicò a tutti con una prova generale delle corde vocali,
perfettamente funzionanti.
- È meglio che andiamo – rise Al –
Suppongo ci stia sbattendo fuori di qui, senza tanti complimenti -.
Percorrendo i due isolati che li separavano dal loro alloggio, non
parlarono per un po', godendosi la brezza ancora eccezionalmente mite.
Erano gli ultimi languori dell'estate che stava morendo, e loro non
avevano ancora la minima idea di dove andare a recuperare la famosa
bomba che stavano cercando.
- Aveva un buon profumo... - fece d'un tratto Al, mentre passavano
sotto un lampione – Sapeva di latte -.
- Vorrai dire che puzzava
di latte! - lo corresse Ed, con una smorfia.
- Andiamo, fratellone. Non è gentile, lo sai -.
Dopo qualche altro minuto di silenzio, Ed ridacchiò fra
sé. Al gli lanciò un'occhiata interrogativa,
chiedendogli
senza parlare cosa ci fosse di tanto divertente.
- Spero che adesso non sarai geloso – fece Ed, rispondendo
alla sua tacita domanda.
- Mh? Chi, io? E perché? - chiese Al, guardandolo sorpreso.
- Beh... - Ed sorrise sibillino, alzando lo sguardo verso il cielo
ormai scuro e stellato di quella dolce giornata settembrina. Non capiva
perché si sentisse d'un tratto tanto bene: era tutto merito
di
quella bambina? – Non sei più l'unico
“Al” in
circolazione, ormai -.
Scusate il ritardo di
questo
capitolo, ma ho aspettato un minimo di ispirazione decente, che
è arrivata un po' per gradi.
Sapete che la parola
“chimica” deriva da “alchimia”?
L'ho scoperto
poco tempo fa, ma in fondo si tratta in entrambi i casi di una scienza
che cerca di svelare i misteri della natura e delle relazioni fra gli
elementi. Ma guarda un po'! ^^
Se amate le storie
ambientate oltre
il Portale, vi consiglio di leggere assolutamente “.cosmo”
di Elos. Una perla di fic, forse l'unica- non lo so, non ho mai letto
tutte quelle che ci sono nel fandom- sull'incontro tra Edward e Alfons
Heiderich. Io stavo per mettermi a piangere, sul serio.
Ora, prima dell'ultimo
capitolo in
teoria avverranno un po' di cose... e in mezzo ci saranno
altre
storie- credo, se avrete voglia di leggerle. Ma intanto lancio una
piccola sfida al vostro spirito di osservazione: avete notato qualcosa
di particolare nella ripartizione dei capitoli? In special modo nei
titoli? Avanti, è facile! ^^
Comunque sia, il seguito
di questo
capitolo sarà da ritrovarsi in un'altra storia: “Hausmärchen-
Fiabe del
focolare”. Vi avverto che ci sarà un
certo scarto
temporale, anche lì.
Ah, tutto questo tedesco
è
stato quasi profetico: a settembre- guarda caso- partirò per
un
anno di Erasmus in Germania... anche se io non vado a Berlino, ma un
salto conto di farcelo. ^^
Rispondendo alle
recensioni:
MusaTalia:
oh, studi filosofia? Bello, bello: dimmi un po' di teorie sul tempo,
che poi vado a studiarmele. ^^ Tra l'altro, in questo periodo mi sono
fissata con il manga/anime “Pandora Hearts”, dove
tempo e
orologi hanno un ruolo che definire fondamentale è poco.
Spero che questo
capitolo non ti abbia deluso, e grazie come sempre per il commento
così accurato!
CioccoMenta:
innanzitutto, bel nick. Mi hai fatto subito venire voglia del mio
gelato preferito. ^^ Poi ti ringrazio per avermi fatto sapere cosa
pensi della storia: sono molto contenta che ti piaccia, visto che
è prima RoyAi effettiva che scrivo. ^^
Shatzy:
ma scherzi? Innanzitutto, come hai visto, nemmeno io sono esattamente
in orario con la pubblicazione di questo capitolo... e poi le storie
non scappano: uno le legge quando vuole. O quando può.
ù_ù
Sai, quando scrivo certe
scene o
certe battute ti penso sempre, quindi hai un certo ruolo anche
nell'esistenza stessa di certi momenti. XD Anch'io sono per il
romantico “particolare”, e mi sono scervellata non
poco per
la storia di Rod e Liza.
Sono contenta che ti sia
immaginata
Edmund così bene: anch'io tendo a
“vedermi” le scene
nella mente, quando scrivo, come se fossero effettive puntate
dell'anime. Mi aiuta molto a descrivere espressioni e atteggiamenti,
per non parlare dei dialoghi.
Comunque, come hai
visto, ci hai
azzeccato ancora una volta: è finalmente arrivato il
bambino-
anzi, la bambina. Commenti? ^^
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