V
V
Aprii gli occhi quando l’alba aveva appena cominciato a tingere
il cielo di rosa. Elanor dormiva sul mio petto, come ogni notte. Diceva
di volermi difendere almeno i brutti sogni. E lo faceva davvero: da
quando ero diventato un Mangiamorte, le mie notti erano sempre
trascorse quiete e serene, anche dopo orribili battaglie. Era lei a
soffrire di incubi spaventosi. E quella notte io mi ero trasformato in
qualcosa di peggio.
Scostai una ciocca che le ricadeva sul collo, mettendo in mostra uno
dei lividi che punteggiavano la sua pelle. Conoscevo bene la sua
fragilità, eppure questo non aveva impedito che mi comportassi
da idiota. Strinsi le palpebre, sperando che quel gesto potesse
cancellare gli aloni bluastri dalla mia mente e dal suo corpo.
Era tutta colpa di Black. Sua, del suo essere un inutile codardo e un
viscido approfittatore. Un Purosangue indegno, come suo fratello. Dopo
tutto, qualcosa doveva accomunarli. Avrei dovuto ucciderlo, là,
sul viale d’ingresso. O meglio ancora, durante il duello,
facendolo passare per una vendetta di quell’Auror. Per una volta
quegli schifosi traditori avrebbero potuto risultare essere utili e io
mi ero lasciato sfuggire l’occasione. Ero stato uno stupido. Chi
avrebbe mai potuto accusarmi della sua morte, con quella gentaglia nei
paraggi? Un incantesimo fortunato, un lampo di rimbalzo, e mi sarei
liberato di quell’essere noioso ed irritante. Lo avremmo onorato
per qualche tempo quale il più giovane dei nostri caduti, per
poi sostituirlo con nomi e gesta maggiormente degne di nota.
A quell’idea, un lieve compiacimento mi distese le labbra.
Con delicatezza, feci scivolare la mia sposa fra le lenzuola tiepide.
La visita inattesa aveva scombussolato le nostre abitudini ed aveva
bisogno di riposare ancora.
Mi alzai e mi vestii in fretta, cercando di non fare rumore, ma mentre mi avviavo alla porta, udii la sua voce.
«Sii un degno anfitrione, mio buon signore» mi redarguì dolcemente.
Le rivolsi un lieve cenno del capo, lasciando trasparire quanto pesasse ciò che mi chiedeva.
Black non era nella stanza che gli avevamo concesso di occupare. Doveva
essersene andato da un pezzo, perché gli elfi di casa avevano
già provveduto a rifare il letto. Ospite in casa mia, servito e
riverito come un sovrano d’altri tempi e altrettanto maleducato.
Tuttavia, ero pronto ad esultare per quell’insperata liberazione,
quando l’abbaiare dei nostri levrieri mi richiamò ad una
delle finestre. Digrignai i denti, presagendo la sua vista.
«Merlino, fa’ che si sia buttato di sotto e sia finito
infilzato sulla bacchetta di François d’Argentan»
sperai, pregustando l’immagine del fagotto sanguinolento che
pendeva straziato sul braccio di pietra del grande stregone del
Trecento.
Mi doleva rendere partecipe un illustre antenato di una simile vicenda,
tanta grandezza non poteva essere piegata ad inconsapevole arma di
vendetta.
Presi un profondo respiro, ripetendomi di restare calmo, a prescindere
dallo scenario che si sarebbe presentato oltre il davanzale.
Le mie speranze furono disattese: Black era sulla terrazza, avvolto
nella sua consueta aria tronfia e saccente, quella di chi ha la
verità in tasca. Ed era vivo.
Lo detestavo per questo, per la sua ossessiva ricerca della
verità. La inseguiva caparbiamente e finiva sempre col trovarla,
la stanava con l’ostinazione di un segugio. E una volta che ne
entrava in possesso, conservava gelosamente la propria conquista,
nascondendola a chi era stato incapace di giungervi.
A me non interessava la verità. Non quella a parole, per lo
meno. Le parole erano troppo facili da manipolare, travisare, rigirare
con abile retorica. Erano false e traditrici. Per me contavano i fatti,
espressione tangibile della realtà. La verità di Black si
sfaldava nel vento, la mia era salda e monolitica. Non avevo il tempo
di chiedermi se le promesse ricevute da Lord Voldemort per bocca di
Rodolphus corrispondessero ad una qualche forma di astratta
verità. Non m’importava se anziché un incantesimo
da guaritore dei tempi antichi avrebbe usato un distillato noto a lui
solo. Ciò che mi stava a cuore era vedere la mia dolce Elanor
risanata dalla sua debolezza, dalla sua fragilità. Era per
questo che il mio braccio non falliva, che la mia magia non veniva
meno: perché ad un’azione ne corrispondesse
un’altra, in uno scambio concreto ed equivalente. Ma era un pia
illusione, pretendere che quel marmocchio capisse che si potesse
combattere per un motivo diverso dalla propria gloria personale.
«Hai finito di piangerti addosso, Black?» domandai quando fui alle sue spalle.
Annuì lentamente, continuando a grattare il capo di uno dei nostri levrieri.
Non parlammo per parecchio tempo. Potrei dire d’aver contato la
varietà delle sfumature del cielo, man mano che il sole ne
prendeva possesso.
Elanor ci raggiunse per la colazione.
«Graziosa sciarpa, Lady Lestrange» disse lui, baciandole la mano.
Avvampai di collera, riuscendo a stento a dominarmi.
Elanor fece un leggero inchino, sfiorando la fascia di seta che le cingeva il collo.
«Grazie, Regulus» rispose gentilmente. «Temo che
questa notte uno degli elfi domestici abbia lasciato aperta una
finestra e il mio collo disapprova questa mancanza».
Mia moglie era troppo garbata per accusare Black d’essere la
causa primaria del dolore che l’affliggeva. Da autentica
nobildonna, sapeva mantenere il più stretto riserbo sugli errori
del consorte, anche di fronte a chi li aveva indotti.
«Sono certo che vostro marito saprà punire il colpevole
come si conviene, il suo senso di giustizia è noto nel mondo
magico. Dico bene?» fece ingenuamente lui, voltandosi verso di me.
«Benissimo» ringhiai.
Dovetti ribadire a me stesso che non si trattava di un invito a porre
fine alla sua vana esistenza in quello stesso istante. Erano solo
banali convenevoli, atti a lusingare nella maniera più bieca i
padroni di casa.
«Sapete, Lestrange? Ho ripensato a quel che avete detto e devo
ammettere che avete ragione» esordì ad un tratto, mentre
versava del tè con misurata noncuranza. «Sono stato
davvero uno sconsiderato».
Lo guardai appena, facendogli segno di proseguire.
«Suvvia Regulus, non essere tanto duro con te stesso» tentò di rassicurarlo Elanor.
Black sorseggiò il tè, meditando qualche istante per enfatizzare quanto gli frullava in testa.
«No, Milady. Ho desiderato entrare nei Mangiamorte per capriccio,
per sentirmi degno del mio nome e delle aspettative dei miei genitori.
Volevo fossero orgogliosi di me e delle mie scelte» ammise.
«Non doveva essere questo il mio obbiettivo. Avevo scelto di
adattarmi ai pensieri degli altri, di annullare il mio io per
assecondare un’immagine che non mi apparteneva. Bisogna che siano
le nostre azioni a forgiare l’idea che gli altri hanno di noi,
non viceversa».
Che razza di discorsi, tipici di chi era privo di spina dorsale.
Sperava forse di trascinarmi dalla sua parte, parlando a quel modo?
Sbagliava di grosso. La mia opinione su di lui restava pessima e
peggiorava ad ogni sillaba.
«Ma ora so perché sono entrato a far parte delle schiere
di Lord Voldemort. Finalmente ho capito» annunciò,
battendo la mano aperta sul tavolo.
Feci una smorfia, indignato dall’improvvisa alterigia. La sera
prima frignava e si disperava, ora faceva il baldanzoso. Non credevo
alla sua sceneggiata, eppure aveva una luce indecifrabile nello sguardo
che non mi piacque affatto. Era diverso da quello dello sbruffone che
per due anni aveva partecipato alle nostre riunioni alzando la voce,
lontano dal pedante ruffiano che tentava di accaparrarsi il posto alla
sinistra di Lord Voldemort. Sembrava deciso, fiero, forte. E nonostante
tutto, impaurito. Credeva di non darlo a vedere, nascondendosi dietro
ai modi affettati e leziosi che gli erano propri, ma con me cascava
male. Io lo conoscevo, l’avevo visto tante volte agli incontri ed
alle feste. Dissimulava abilmente il fatto che ancora se la stava
facendo sotto. Parole vuote le sue, usate per convincersi di avere
delle chance.
«Farò il mio dovere e andrò fino in fondo, in un
modo o nell’altro. Costi quel che costi» concluse, levando
la tazza in un brindisi.
Non risposi. Mi limitai a terminare la colazione, forzando lo stomaco ad accogliere quanto masticavo con rabbia.
Erano solo i vaneggiamenti di un ragazzino viziato. Indovinavo cosa si
celasse dietro a quelle parole: il desiderio di potere, di avere un
nome, un peso nella vicenda. Avrebbe fatto come Lucius, scegliendo di
mandare avanti altri a sporcarsi le mani. Era troppo per bene per
abbassarsi a togliere di mezzo qualcuno con la propria bacchetta.
Lurido ipocrita, suo padre gli aveva insegnato a dovere. Il motto di
Orion Black era “sfrutta la situazione e godine il
profitto”, tutti lo conoscevano. Mio padre invece mi aveva
insegnato l’autentico valore del proprio operato, a prescindere
dal rischio di insozzarsi le mani di persona. Era lo scotto che si
doveva accettare di pagare per ottenere ciò che si desiderava.
Regulus Black non era in grado di guardare in faccia una vita che si
spezzava. Era incapace di rimanere impassibile di fronte al dolore,
almeno quanto era incapace di ignorare un’occasione per mettersi
in mostra. Ed ero pronto a giurare che, in quel suo ego alla costante
ricerca di conferme, si annidassero immagini di gloriosi trionfi in
nome l’Oscuro Signore, ottenuti con incantesimi altrui.
O almeno, così ho sempre creduto.
Questa storia ha partecipato al "Il mio miglior nemico/La mia miglior nemica contest" indetto da Maeve_ e Mizar19, classificandosi prima. Ringrazio tantissimo i giudici, di cui riporto il giudizio qui sotto.
Prima classificata
Autore: ely_79
Titolo: Paura e onore
Giudizio di Mizar19
- Grammatica, lessico e sintassi: 9.5/10
- Stile: 10/10
- Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
- Originalità: 15/15
- Punti bonus: 5/5
- Giudizio personale: 4.5/5
Totale: 54
Be’, come puoi evincere senza problemi dalla posizione in
classifica, la tua storia è non solo ben architettata a livello
strutturale e propriamente di svolgimento, ma anche corretta a livello
grammaticale (ho segnato solo due virgole in croce, dunque nessun
problema).Lo stile è adeguato, scorrevole, non sembra nemmeno
una fanfiction ma pare proprio di star leggendo un vero e proprio
libro! Dunque ti faccio i miei complimenti, hai maturato un ottimo
stile. I personaggi sono caratterizzati così bene che mi pareva
di vederli muovere e parlare qui davanti a me: l’idea di
raccontare la vicenda dello sfortunato ultimogenito Black attraverso
gli occhi di Rabastan Lestrange (e qua dovrei dare un’occhiata
alla tua storia principale perché qualcosa non mi torna, come
l’eterea figura della moglie su cui mi piacerebbe sapere qualcosa
in più) è davvero originale, come potrai constatare anche
dal punteggio assegnatoti! Uno dei passaggi che più ho
apprezzato e mi ha colpito è stato l’omicidio di Calvin
Edwards: il modo in cui Regulus rimane sconcertato di fronte alla
crudeltà e all’efferatezza quando l’unica colpa
è non avere il sangue puro (o aver osato contaminarlo).
Significativa e molto espressionistica la scena del ritorno, quando
Regulus avverte la maschera sudata contro il viso, non riesce a
trattenerla, nemmeno nel mantello. Pare quasi una prefigurazione del
personaggio stesso. Un generale non ho molto da dire, se non che
è tutto perfetto e che ti sei pienamente meritata il primo
posto!
Giudizio di Maeve_
Grammatica, lessico e sintassi: 9.5/10
Stile: 10/10
Originalità: 15/15
Caratterizzazione: 10/10
Punti bonus: 5
Gradimento personale: 5/5
Totale: 54.5/55
E’ davvero necessario che io commenti questi punteggi? Le uniche
imperfezioni che posso farti notare riguardano la grammatica: non ho
condiviso alcune scelte sulla punteggiatura e ho rilevato un errore di
battitura in questa frase “[...]sarebbe bastano poco per far
capire...” sicuramente volevi scrivere “bastato”. Sul
resto non saprei davvero da dove partire: è un capolavoro dalla
prima parola all’ultima. Hai uno stile ricco e personale,
coinvolgente ed elaborato: è stato un colpo di genio
l’idea di descrivere la prima missione di Regulus da Mangiamorte,
ma ancor più lo è stato il narrarla tramite gli occhi di
Rabastan Lestrange. Hai caratterizzato divinamente questo personaggio,
a mio parere davvero complicato: hai tratteggiato con eleganza tutte le
sfumature del suo carattere, riuscendo addirittura a far emergere
sentimenti quali il senso di colpa verso Eleanor, un personaggio anche
questo davvero singolare e ben approfondito. Il tuo Regulus mi ha
davvero colpita: è fragile e al tempo stesso borioso e
arrogante, ed è come se nel suo animo si possano già
intravedere le crepe della famiglia Black. Non sei caduta in alcun
cliché, riuscendo sempre a mantenere una certa coerenza lungo
tutto l’asse narrativo. Non posso che farti i miei complimenti!
Questa storia va dritta dritta tra le mie preferite!
Punteggio totale: 54.25/55
|