Al Moulin Rouge
terza
parte:
Premetto
che sono consapevole del mostruoso ritardo con cui aggiorno
e
davvero chiedo scusa anche se immagino che serva a poco.
Purtroppo
ho avuto vari problemi personali e sono riuscita solo adesso
a
trovare il tempo per continuare questo capitolo iniziato mesi fa.
Spero
che abbiate ancora la voglia di leggerlo e magari
di
lasciarmi un commento. Ho nuovamente allungato anche questa
storia
che doveva concludersi in due capitoli e invece non è ancora
finita.
L'epilogo
lo sposto al prossimo aggiornamento altrimenti
veniva
fuori una roba davvero troppo lunga e pesante.
Vi
auguro una buona lettura e ci risentiamo in fondo alla pagina.
-
Mi chiamo Arthur Kirkland, sono nato ventitre anni fa nella periferia
di Londra, quinto di sei fratelli. Quando avevo circa undici anni mia
madre è morta di parto, era una donna molto debole e
l'ennesima
gravidanza aveva irrimediabilmente compromesso la sua salute
già
precaria. Da quel momento mio padre decise di dedicarsi più
allo
scotch che ai suoi figli, così nel giro di pochissimo tempo
la
nostra famiglia si è sfaldata: i miei fratelli, poco tempo
dopo,
appena ne hanno avuto le forze, sono scappati di casa. Di tre non ho
più avuto notizie, ma so per certo che uno è
morto in una rissa,
gli hanno sparato o almeno dovrebbe essere così, non ci ho
capito
molto e il tipo che mi è venuto a riferire la cosa aveva di
meglio
da fare che spiegarmi l'accaduto in maniera dettagliata. Io invece
restai lì dove ero nato ancora per parecchi anni, non potevo
abbandonare Peter. Ho lavorato facendo l'apprendista in varie
botteghe, mio fratello mi seguiva ovunque anche perchè avevo
paura a
lasciarlo solo in casa con mio padre, credo che l'aclol non faccia un
bell'effetto su nessuno.- alzò lo sguardo sul suo
interlocutore e
smise per alcuni interminabili secondi di giocare con l'orlo della
logora camicia azzurro sporco che usava come pigiama. Francis era
lì
di fronte a lui che lo fissava attento esortandolo con gli occhi a
continuare il suo racconto. Non lo avrebbe giudicato, di questo
Arthur ne era sicuro, ma aveva comunque paura di mettersi a nudo
davanti a qualcuno, odiava la pietà ed era fin troppo
spaventato
dalla compassione. Da molto tempo aveva dimenticato cosa comporta
l'essere innamorati e il fatto che il francese gli avesse rivelato i
suoi sentimenti non lo aveva toccato più di tanto. Francis
era
sicuramente diverso da tutti i suoi altri innumerevoli amanti, ma da
quando aveva cominciato quel genere di attività gli erano
state
raccontate fin troppe bugie. Molti gli dichiaravano amore ubriacati
dall'orgasmo con cui lo avevano sporcato appena pochi minuti prima,
promettevano sogni e offrivano speranze per poi ritrattare tutto
alcuni attimi dopo mentre erano obbligati a mettere mano al
portafogli per saldare il conto a una puttana che non concede sconti.
Arthur
sospirò conservando quel fragile silenzio ancora per qualche
altro
secondo, ogni parola gli costava un grande sacrificio, ma nuovamente
per amore di suo fratello era disposto a disfarsi di quella
dignità
che fingeva ancora di possedere. Chiuse gli occhi e dopo aver inalato
un eccessivo quantitativo d'aria, cominciò di nuovo a
parlare usando
sempre un tono incolore, piatto, sforzandosi di estraniarsi da quel
racconto, illudendosi che la storia che stava narrando non
riguardasse la sua vita.
-
Poi un giorno successe qualcosa di – fece una breve pausa
rendendosi conto di non riuscire a trovare l'aggettivo adatto per
descrivere quel particolare momento. - assurdo. Stavo tornando a casa
dal lavoro quando improvvisamente incontrai un ragazzo .. - Arthur
interruppe ancora una volta il discorso abbassando lo sguardo sulle
proprie gambe, cercando di mascherare l'insolita sfumatura rossastra
che stava diventando ben visibile sulle sue guance.
-
Alfred – la voce di Francis ruppe quell'ennesima pausa
precisando
il nome del soggetto su cui verteva adesso l'intricato racconto che
Iggy gli stava a poco a poco svelando. Vista l'insolita reazione
avuta dall'inglese, doveva per forza trattarsi di Alfred e il
crescente imbarazzo manifestato dal suo interlocutore non faceva che
confermare quell'ipotesi. Per la prima volta da quando si
conoscevano, Francis vedeva Iggy imbarazzato. Mai, neppure durante
uno dei loro più focosi e perversi incontri, l'aveva visto
arrossire
o scomporsi. Era sempre sicuro e deciso, con una strana arroganza che
continuava a brillare in quegli spettacolari occhi verdi accompagnata
da uno smisurato orgoglio che non abbandonava mai il suo sguardo
neppure nel momento in cui si sottometteva a qualcuno. Arthur era una
persona estremamente fredda e razionale, difficilmente si concedeva
il lusso di lasciarsi guidare dalle emozioni e vederlo in quello
stato lo portava a provare una folle gelosia nei confronti di quello
che, ancora per il momento, non era altro che un nome.
Arthur
annuì all'unica parola pronunciata dal francese e
cercò di radunare
tutto il coraggio che ancora aveva in corpo, parlare di Alfred era
come riaprire una ferita che fatica a cicatrizzarsi, un dolore sempre
presente che non si riesce a dimenticare nonostante innumerevoli
sforzi. Quel ragazzo rappresentava il momento più bello
della sua
vita e sapere di averlo perso lo distruggeva. Aveva relegato in fondo
al suo cuore tutto l'amore e la dolcezza che il viso di quel
maledetto americano riusciva a fargli provare e non aveva alcuna
intenzione di vivere di nuovo certe sensazioni per poi essere
abbandonato ancora una volta. Quasi senza accorgersene riprese il
discorso lasciato a metà evitando però di alzare
lo sguardo per
rispondere all'urgente occhiata che sentiva su di sé.
-
Sì, Alfred. Aveva qualche anno in meno di me, ma era molto
più alto
e grosso, veniva dall'America e continuava a ripetermi che odiava la
Gran Bretagna e che se non fosse stato per forza maggiore non ci
avrebbe mai messo piede. Quando ci siamo conosciuti era una rara
giornata di sole, come saprai in Inghilterra piove moltissimo, ma
quel giorno il cielo era di un azzurro intenso e nonostante fossimo a
novembre la temperatura era piuttosto gradevole. Mi chiese quale
fosse la strada più breve per raggiungere la stazione,
doveva
assolutamente andare in Francia perchè, a suo avviso, quello
era
l'unico posto in cui il suo talento avrebbe mai potuto essere capito
ed apprezzato. Diceva di essere un artista, un pittore nato, ma a me
i suoi quadri hanno sempre fatto davvero schifo; non sai quante volte
criticavo i suoi orrendi lavori e lui fingeva di offendersi .. era un
tipo molto allegro e solare. Comunque Peter non aveva per niente
voglia di tornare a casa quel pomeriggio e neppure io, forse
è per
questo che cedetti alle lagnose suppliche di mio fratello.
Accompagnammo Alfred in stazione, da lì avrebbe preso un
treno che
lo avrebbe portato nel sud dell'Inghilterra dove, con un po' di
fortuna, avrebbe trovato un battello con cui arrivare in Francia in
meno di un giorno. Ci avviammo al binario e Peter insistette
perchè
aspettassimo che arrivasse il treno, nuovamente diedi retta a mio
fratello e rimanemmo con lui un'altra mezz'ora. Parlammo di tutto e
di niente in quel brevissimo lasso di tempo, lui ci raccontò
dei
suoi sogni e dei suoi irrealizzabili progetti, mi fece un paio di
domande alle quali risposi nella maniera più evasiva
possibile
mentre Peter continuava a correre per la stazione esplorando
dall'interno quell'edificio che aveva sempre visto da fuori. In
quell'occasione mi sentii davvero felice, quasi come se tutti i
pensieri e le preoccupazioni della mia vita si fossero
improvvisamente dissolti.
Ci pensò il fastidioso fischio della
locomotiva a riportarmi alla realtà; il treno era a pochi
metri
dalla stazione e annunciava il suo arrivo emettendo quel fastidioso
rumore acuto. Richiamai Peter vicino a me e stranamente, anche se era
parecchio impegnato a rimirare quella macchina sbuffante, mi
ubbidì.
Volevo sbrigarmi ad uscire dalla stazione, per qualche assurda
ragione non volevo vedere Alfred partire, non l'avrei sopportato.
Iniziai a sentire distintamente una morsa alla bocca dello stomaco e
l'ansia non faceva altro che aumentare, presto cominciai a respirare
in maniera irregolare mentre stringevo convulsamente la mano di mio
fratello. Improvvisamente sentii le mani di Alfred appoggiarsi sulle
mie spalle e, ancora prima che riuscissi a registrare questo
contatto, lui si avvicinò a me e mi baciò.
Sentire le sue labbra
sulle mie mi rilasso incredibilmente, fu un contatto dannatamente
intimo e imbarazzante. Non so con precisione quanto sia durato,
l'unica cosa che mi ricordo è che dopo quell'inaspettato
bacio,
Alfred mi tirò a sé e mi tenne stretto per
qualche secondo. Rimasi
immobile a respirare il profumo che il suo corpo emanava felice di
trovarmi in quella situazione tanto da dimenticarmi di ogni cosa
attorno a noi, tranne di mio fratello a cui tenevo ancora la mano. -
Sospirò girando appena la testa verso una piccola
finestrella dai
vetri appannati, fuori ormai aveva iniziato a piovere già da
diverso
tempo. Si prese qualche altro attimo di calma poi si decise a
rivolgere finalmente lo sguardo al suo interlocutore. Francis non
aveva mutato ne posizione ne espressione, continuava a fissarlo con
interesse anche se la sua aria serafica non riusciva a mascherare del
tutto il fastidio che la gelosia gli stava provocando. Arthur rimase
ancora in silenzio iniziando a giocherellare con alcune briciole
rimaste sul piccolo tavolo, doveva trovare la calma necessaria per
continuare il suo difficile racconto, la parte peggiore doveva ancora
arrivare. Francis vedendo Iggy nuovamente turbato decise di violare
il tassativo divieto d'intimità che il più
piccolo esigeva fuori
dal letto; con un unico rapido movimento appoggio la sua mano calda
su quella decisamente più piccola e fredda dell'inglese.
Intrappolò
fra le sue dita quelle dell'altro cercando di trasmettere al suo
interlocutore un senso di tranquillità.
-
Non ti ho chiesto di fermarti e non hai nulla di cui vergognarti, ti
prego continua ... Arthur. - L'inglese trasalì sentendo il
suo nome
pronunciato per la prima volta dalla calda voce di Francis; sorrise
appena, divertito dall'accento eccessivamente morbido con cui il
più
grande aveva pronunciato il suo nome. Alzò poi lo sguardo
ringraziando l'altro del gesto con una muta cortesia, un ennesimo
sospiro fu il preludio al continuo della vicenda.
-
Mentre mi teneva abbracciato si avvicinò al mio orecchio e
con lo
stesso tono allegro con cui avevamo parlato fino a quel momento mi
sussurrò solo poche parole. Mi chiese di andare con lui, di
partire
con lo stesso treno che avevo appena visto arrivare, di seguirlo in
un viaggio che non avevo mai programmato di fare. Dopo quell'assurda
richiesta allentò la presa e pochi secondi dopo il mio
sguardo
sconvolto si specchiava nei sui sinceri occhi azzurri. Visto che non
accennavo a dare risposta aggiunse anche che per il biglietto avrebbe
provveduto lui e che Peter era incluso nell'offerta. Io continuavo a
fissarlo a bocca aperta, incapace di pensare o fare una qualsiasi
cosa razionale, Peter invece, nel sentire l'idea di Alfred,
iniziò a
tirarmi per la manica supplicandomi di accettare. Non avremmo
lasciato niente a casa, solo un mare di debiti di mio padre da
saldare e le tante, troppe botte che ci dava regolarmente. Dato che
anche i nostri fratelli l'avevano fatto perchè io e lui non
potevamo
scappare lontano lontano da quella vita e cominciarne una migliore.
Le parole di mio fratello mi portarono a confermare una scelta che
avevo comunque già preso nel momento stesso in cui Alfred mi
aveva
offerto quello spiraglio di libertà. Mi ricordo che feci
solo un
breve segno di assenso con la testa e ancora prima che riuscissi a
mettere la mano nella tasca in cui tenevo i pochi soldi che mi
avevano dato quella mattina come paga, Alfred era già
sfrecciato
verso la biglietteria.- Fece un profondo respiro, come per voler
digerire le notizie appena svelate, fissò nuovamente Francis
che lo
ascoltava con rispettoso silenzio. Restarono immobili ancora qualche
attimo, con le dita intrecciate, fermi a guardarsi negli occhi. Il
primo a rompere quell'irreale stato di tranquillità fu
nuovamente il
francese che non potè evitare di mettere a voce i suoi
pensieri.
-
Pensa che, a giudicare dai tuoi modi, ho sempre creduto che tu
venissi da una famiglia se non nobile, almeno benestante. E invece ..
- venne interrotto dal suo interlocutore che si sentì in
dovere di
terminare per lui la frase che il più grande aveva
cominciato. - e
invece sono figlio di un povero puttaniere, ubriacone e violento,
strano che sia diventato una prostituta a mia volta. - Arthur
concluse stizzito la frase pronunciando quelle parole con un tono
particolarmente tagliente. Francis chiuse gli occhi emettendo un
lieve sospiro, non aveva intenzione ne di dire, ne di sottendere una
cosa simile, ma aveva anche voluto fare una constatazione quando fin
dal principio Arthur gli aveva espressamente vietato di farlo.
-
Non intendevo dire una cosa del genere Iggy e tu lo sai bene. Io non
.. - nuovamente venne interrotto dalla voce irritata del più
piccolo
che, sciolto l'intreccio delle loro mani, lo stava adesso guardando
con la solita aria di sfida. Era piuttosto arrabbiato, sapeva che
Francis diceva la verità, ma era stato chiaro fin
dall'inizio: non
avrebbe tollerato interruzioni.
-
Io non ti avevo espressamente vietato di non interrompermi con .. con
.. - lasciò la frase incompleta, prendendo coscienza forse
per la
prima volta di quanto in realtà avesse un carattere
suscettibile. Si
stava attaccando a un niente per creare un precario pretesto al fine
di poter litigare con lui, con lo stesso ragazzo che era venuto a
casa sua per chiedergli come stava, per aiutarlo. La stessa persona
che aveva pagato la medicina per suo fratello e che stava chiedendo
in cambio solo la verità su di lui. Francis si era esposto
più
volte per lui, aveva spesso perdonato e capito i suoi innumerevoli
ritardi, le sue assenza ingiustificate e spesso pagava gli assurdi
prezzi che Arthur gli imponeva accontentandosi anche solo di qualche
bacio.
Doveva
calmarsi. Capire che nessuno lo stava attaccando, dopo quello che
aveva passato era diventato difficile fidarsi degli altri, ma per
quel francese così strano avrebbe potuto fare un'eccezione,
doveva
trovare il coraggio di farlo.
Abbassò
lo sguardo e, continuando a tenere il capo chino in una sorta di muta
scusa, cercò nuovamente la mano che il più grande
aveva ancora
appoggiata sulla misera superficie del piccolo tavolo.
Appoggiò le
proprie dita su quelle di Francis e rimase sorpreso, per la seconda
volta, dalla rapidità con cui il suo interlocutore gliele
afferrò
stringendolo ancora in quel soffice contatto.
-
Ti chiedo scusa, non avrei dovuto interrompere. - Fece una breve
pausa accarezzando con il pollice il dorso della mano dell'altro. -
Te la senti di continuare ? Prometto che questa volta
resterò muto
come una tomba. - Arthur alzò finalmente lo sguardo e dopo
aver
emesso un sottile brontolio decise di ricominciare a parlare, avrebbe
fatto presto, da adesso in poi si sarebbe risparmiato tutti gli
inutili dettagli, certi ricordi non avrebbero fatto altro che
infliggergli nuove ferite. Avrebbe finito il discorso in poche frasi
senza fronzoli o nulla di simile e, cosa più importante, non
avrebbe
pianto, neppure una minima, singola lacrima. E come tutte le cose che
si prefissava di fare, non riuscì a portare a termine
neppure una di
queste intenzioni.
Per
quasi un'ora Arthur parlò incessantemente infarcendo di ogni
più
piccolo dettaglio ogni momento che ricordava di quel periodo, Francis
ascoltava attento beandosi nel sapere che, almeno per un breve lasso
di tempo, Iggy era stato felice. Da quel racconto imparò
molte cose
sul conto del più piccolo specialmente in merito al suo
carattere
mutevole e alle sue strane abitudini da inglese. Arthur riprese a
narrargli del lungo, ma divertente viaggio in treno fino a Dover, la
burrascosa traversata della Manica in cui l'inglese aveva vomitato
anche l'anima. Il tanto sospirato sbarco a Parigi, l'affitto di una
sgangherata camera di un albergo in cui passare solo il tempo
necessario per la ricerca della loro futura casa. In quella squallida
stanzetta, la sera stessa del loro arrivo, Arthur e Alfred fecero
l'amore per la prima volta, scambiandosi la reciproca promessa di
stare sempre insieme. In meno di un mese erano riusciti a trovare un
minuscolo loculo in cui vivere e avevano acquistato la consapevolezza
di non aver rimasto neppure un soldo in tasca. Arthur si
trovò un
lavoro mentre Peter aiutava Alfred nella creazione dei suoi
improbabili quadri. Ben presto però i pennelli, i colori e
le tele
iniziarono a scarseggiare e visto che l'americano non era riuscito a
vendere nessuna delle sue fantastiche opere, decise di imitare il
compagno e cercare a sua volta un impiego di gran lunga più
proficuo, con la convinzione che un giorno sarebbe riuscito a
diventare famoso e che non era la sua arte a fare schifo, come
sosteneva Arthur e gran parte del popolo parigino, ma era la massa
che era troppo stupida per cogliere la magnificenza delle sue
creazioni. Il loro mondo però, per quanto per Arthur fosse
perfetto,
era irrimediabilmente fragile e sebbene avesse sviluppato un
fortissimo amore nei confronti di Alfred, i suoi sentimenti non
poterono in alcun modo impedire che quell'idillio finisse. Ben presto
si resero conto che le spese superavano di gran lunga i guadagni e il
dover badare a Peter rappresentava una sorta d'impedimento in quanto
l'americano aveva tassativamente vietato al bambino di trovarsi un
lavoro. Il compito del piccolo era studiare e diventare qualcuno di
ricco e famoso così avrebbe potuto fare la bella vita e
tutti e tre
sarebbero stati invitati nei più eleganti salotti di Parigi.
Nel
sentire quelle stupide storie irrealizzabili Arthur finiva sempre per
l'innervosirsi, troppo stanco dai massacranti turni di lavoro che gli
venivano retribuiti con una vera miseria di salario. Non voleva che
Alfred riempisse la testa di suo fratello di inutili sogni, sapeva
che difficilmente il loro tenore di vita avrebbe potuto cambiare
così
radicalmente. Il più piccolo a quelle parole metteva su una
sorta di
broncio polemizzando che non c'era nulla di sbagliato nell'immaginare
qualcosa di assurdo, visto che non potevano fare altro che sognare,
almeno che sognassero in grande. L'esuberanza e l'allegria
dell'americano riuscivano sempre a calmare e a mettere di buon umore
Arthur e ancora prima che si rendesse conto di non essere
più
arrabbiato, era già impegnato a rotolare fra le coperte
insieme al
suo ragazzo.
Questa
vita, povera ma felice, durò poco meno di un anno.
Improvvisamente
Arthur vide sgretolarsi il suo piccolo mondo, tutti i suoi sogni e le
sue fragili speranze andarono in fumo e a nulla valsero i suoi
innumerevoli sforzi per cambiare le cose. Stava combattendo contro un
nemico molto più forte di lui e nonostante tutto il suo
amore e la
sua disperazione non potè fare nulla per cambiare le cose.
-
Non ci misi molto a capire che le cose stavano cambiando, ma nel
preciso istante in cui acquistai la consapevolezza di quello che ci
stava accadendo io, ecco .. non avrei mai pensato che .. -
Arthur
bloccò improvvisamente il suo racconto. Si accorse della
presenza di
grosse e calde lacrime che gli rigavano le guance, il problema
è che
non si era neppure accorto di aver iniziato a piangere. Strinse
convulsamente la mano di Francis incapace di continuare a parlare, le
troppe emozioni che lo avevano investito durante quel pomeriggio
erano troppo da sopportare. Il francese vedendolo così in
difficoltà
si azzardo a prendere nuovamente la parola, aveva dedotto un paio di
cose da quel preciso resoconto della vita di Iggy e si sentiva
abbastanza competente da azzardare un'ipotesi sul seguito.
-
Alfred ti ha lasciato per qualcun altro giusto? - chiese il francese
sicuro di essere molto vicino alla verità. Il sonoro ceffone
che gli
arrivò sulla guancia meno di un secondo dopo gli fece
intuire che
probabilmente doveva rivedere le sue certezze. Realizzò di
essere
stato colpito solo qualche secondo dopo l'accaduto, quando un dolore
forte e pulsante iniziò ad irradiarsi dalla zona lesa. Forse
anche
questa volta avrebbe fatto meglio a restare in silenzio.
-
Stupido cretino di un francese ottuso e completamente privo di un
qualsiasi senso logico. Come puoi solo pensare che Alfred avrebbe mai
potuto tradirmi. - Era in piedi di fronte a lui, la sua esigua figura
era completamente tesa dalla rabbia e dallo sforzo inutile di
trattenere le lacrime. Aveva ritratto immediatamente la mano con cui
lo aveva colpito e adesso le sue dita stavano tormentando ancora una
volta quel logoro indumento slavato che copriva il suo corpo.
Cercò
inutilmente di calmarsi, di darsi un qualche contegno, ma l'unica
cosa che realizzò è che se avesse aperto la bocca
avrebbe
cominciato ad urlare imprecando contro tutto e tutti, implorando un
Dio muto a cui non credeva di ridargli quello che aveva deciso di
togliergli.
Vedendolo
in quella condizione, Francis rimase letteralmente interdetto. Una
reazione così forte proprio non se la sarebbe mai aspettata
e, per
la seconda volta nel giro di pochi minuti, si accorse di essere stato
stupido e invadente. Si era permesso di prendersi troppe
libertà e
quello schiaffo ne era la prova. Avvicinarsi ad Arthur adesso sarebbe
stato totalmente inutile, l'unica cosa che poteva fare era sperare
nel proverbiale autocontrollo dell'altro. Decise di restare in
silenzio, di non muoversi dalla sua posizione mentre continuava ad
osservare il più piccolo tremare leggermente nel disperato
tentativo
di mettere a tacere quelle emozioni che aveva tenuto così a
lungo
nascoste. Forse, per la prima volta da quando si conoscevano, lo
vedeva vivo, lo vedeva in preda a qualcosa che la sua freddezza non
riusciva a mascherare e benché morisse dalla voglia di
farlo, il
francese soffocò l'istinto di alzarsi e stringere fra le sue
braccia
il gracile corpo dell'inglese.
Passarono
lenti ancora un paio di minuti, Arthur riuscì a darsi un
contegno
solo dopo essersi massacrato il labbro inferiore con gli incisivi
riaprendo il taglio che vi era sopra. Dopo qualche respiro lungo e
profondo trovò la forza di alzare lo sguardo per puntarlo in
quello
cristallino di Francis. La dolcezza che vide riflessa negli occhi
chiari dell'uomo lo convinse a sedersi nuovamente e a cercare di
finire quello che avevano cominciato. Doveva farcela forse ora
più
per sé stesso che per il suo interlocutore, non aveva mai
parlato
con nessuno di Alfred e di tutto quello che avevano vissuto insieme
ed era davvero giunto il momento di farlo.
Chiuse
gli occhi, un ultimo respiro e avrebbe finalmente concluso con quel
suo assurdo racconto. Li riaprì di scatto sentendo la
presenza della
mano del francese sulla propria accompagnata dalla calda voce di
Francis.
-
Non volevo essere così insensibile. Ti prometto che non mi
permetterò più di fare errori così
leggeri, ti chiedo scusa,
Arthur. - La sua voce era sempre calda e dolce e il suo nome
pronunciato da lui aveva tutt'un altro effetto. Strinse quasi di
riflesso la mano del ragazzo più grande e, anche se con un
tono un
po' incerto, continuò la sua improbabile favola.
-
Facevamo dei turni massacranti ma i soldi non bastavano mai, Alfred
faceva un'infinità di lavori diversi e non gli ci volle
molto per
crollare. Era un ragazzo grande e forte ma aveva appena vent'anni e
nelle condizioni in cui vivevamo il suo fisico non avrebbe mai potuto
reggere a lungo. Non ci volle molto infatti perchè si
ammalasse. -
Si bloccò di colpo, ingurgitando una spropositata
quantità d'aria
del tutto inutile, doveva soffocare il pesante nodo che stava
tornando a opprimergli la gola. Sentì le mani di Francis
appoggiarsi
sulle sue spalle ancora prima di aver realizzato che l'uomo si era
alzato e che adesso lo stava abbracciando, con pochi passi aveva
annullato le distanze fra loro aggirando quel logoro tavolo. Arthur
appoggiò la testa contro il petto del francese e
seguì il consiglio
che il suo interlocutore gli aveva appena finito di sussurrare;
chiuse gli occhi lasciandosi cullare da quella inaspettata presenza e
per l'ultima volta riprese il discorso.
-
Mi resi conto che Alfred stava male solo quando non c'era
già più
niente da fare, mi aveva nascosto di essersi ammalato mascherando i
sintomi di qualcosa di ben più grave dietro una banale
influenza. Mi
sono fidato delle sue parole finchè non l'ho visto tossire
sangue.
Gli feci un'inutile sfuriata urlandogli che era un emerito coglione,
corsi a chiamare il dottore che hai visto poco fa e per la prima
volta in vita mia ebbi a che fare con la tisi.- Un lungo quanto
inutile sospiro gli diedero la forza per pronunciare lo scontato
epilogo. - Alfred morì di tisi appena una decina di giorni
dopo,
tutti i mie sforzi per comprargli le medicine non servirono a nulla,
la malattia era già ad uno stadio troppo avanzato e lui era
troppo
debole per poterla combattere e io .. io non ho saputo fare altro che
stare lì a tenergli la mano pregandolo di non morire, di non
lasciarmi di nuovo solo. Inutile dire che ne le mie lacrime e ne le
mie preghiere servirono a qualcosa. Alfred morì mentre lo
tenevo
stretto a me, mi sussurrò che mi amava e che dovevo
impegnarmi a
migliorare un po' il mio brutto carattere, mi ha chiesto di
perdonarlo se potevo e poi .. ha detto che era tanto stanco e che
voleva dormire un po'. Io ho annuito conscio che quella era l'ultima
cosa che ci saremmo mai detti, gli risposi con un sussurro incrinato
che lui era tutta la mia vita e l'ho visto sorridere appena prima di
... - Grosse lacrime rigavano le sue guance mentre numerose pause
intervallavano l'atto finale del suo racconto, Francis continuava a
stringerlo a sé cercando di dargli un conforto piuttosto
inutile in
quelle situazioni. - L'ho tenuto stretto a me per molto tempo, ho
continuato a baciare le sue labbra che diventavano sempre
più
fredde. Non avevo nessuna intenzione di separarmi da lui e dopo la
sua morte sono caduto in uno strano stato d'inedia. Andavo avanti per
inerzia e credo che solo la presenza di mio fratello mi abbia
impedito di fare qualche stupida sciocchezza. Il problema è
che
adesso si è ammalato anche lui e io, per la seconda volta,
non sono
in grado di combattere quella stupida malattia che sembra .. - Arthur
non riuscì a terminare la frase perchè le sue
labbra furono coperte
da quelle di Francis. Ogni parola in quel momento sarebbe stata
totalmente inutile era meglio far sentire la propria presenza in
maniera meno scontata e più fisica. Il francese si accorse
di aver
fatto la cosa giusta nel momento stesso i cui sentì il
più piccolo
che ricambiava il bacio.
Dopo
quel bacio così inaspettato entrambi ritornarono alle
precedenti
posizioni, si ritrovarono ben presto seduti l'uno di fronte all'altro
con le mani unite in una morbida stretta. Arthur aveva smesso di
piangere solo da pochi secondi e adesso stava cercando di scacciare
via quell'ondata di tristezza che lo aveva avvolto, doveva chiudere
ancora una volta tutti quei sentimenti in fondo al suo cuore, erano
troppo preziosi e purtroppo al momento non poteva fare altro che
tenerli sottochiave. Sentì Francis schiarirsi la voce, ma al
contrario di quello che si aspettava, questa volta restò in
silenzio. Sicuramente aveva mille domande da fargli, fortunatamente
però aveva trovato il buon senso di trattenersi, almeno
questa
volta. Decise di prendere la parola ancora una volta e dopo un lungo
secondo d'incertezza alzò il viso.
-
Io .. so che nessuno potrà mai ridarmi Alfred e questo lo
capisco
anche se non riesco ad accettarlo. Ma .. insomma non possono
prendersi anche mio fratello, è una cosa insensata e
totalmente
priva di logica. Spesso la notte, le poche volte che la passo da
solo, mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi rifiutato la sua
proposta di venire in Francia, probabilmente Alfred sarebbe ancora
vivo e Peter non si sarebbe ammalato e quindi mi rendo conto che
è
tutta colpa mia e che .. - Non riuscì a terminare la frase
perchè
sentì la grande mano di Francis sbattere contro la sua
guancia; gli
aveva dato uno schiaffo o per meglio dire, glielo aveva restituito.
Quel gesto lasciò interdetto Arthur che, dopo aver sgranato
gli
occhi, rimase immobile per qualche secondo. Si portò lento
una mano
alla guancia appena colpita, appoggiò le dita sulla
superficie
leggermente arrossata e iniziò pian piano a realizzare
quello che
era successo. Certo Francis non gli aveva fatto male, aveva usato ben
poca forza, ma era l'intensità del gesto che lo aveva
sconvolto
specie perchè fino a due secondi prima si stavano baciando.
La
risposta alle sue domande non tardò ad arrivare e
direttamente dalla
fonte di ogni suo dubbio.
-
Sei uno stupido Arthur. - Il suo tono era fermo e serio. - Se davvero
tieni tanto a quello che c'è stato fra te ed Alfred non
dovresti
permetterti di fare certi pensieri. Facendo così sei tu che
non
porti rispetto per quello che avete vissuto e non puoi sapere come
sarebbero andate le cose altrimenti. L'unica cosa che ti deve
interessare è che un uomo ha deciso di dividere parte della
sua vita
con te, vi siete amati e purtroppo l'hai perso. Ha visto qualcosa di
tanto speciale in te da chiederti subito di scappare con lui, ti ha
dedicato tutto quello che aveva, non mancargli di rispetto facendo
certi pensieri così cretini.- Non aspettò nessun
tipo di risposta,
si alzò dalla sedia per potersi sporgere verso l'inglese e,
per la
terza volta quel giorno, catturò le sue labbra coinvolgendo
entrambi
nell'ennesimo bacio che nulla aveva a che fare con il sesso o con
quelli che si erano scambiati nei loro precedenti incontri.
Restarono
insieme tutto il pomeriggio, accoccolati sul divano. Francis ebbe il
permesso di fare tutte le mille domande che lo avevano assillato fino
a quel momento e Arthur si impegnò a soddisfare tutte le sue
curiosità. Gli raccontò di come avesse preso la
decisione di fare
la puttana, di come i soldi non bastassero a prescindere per le
medicine di Peter e del suo desiderio di tornare a casa, in
Inghilterra. Francis continuò a tenerlo stretto a
sè e rimase in
silenzio anche dopo che l'inglese ebbe smesso di parlare, sentire le
sue parole gli aveva fatto maturare un'assurda idea, doveva solo
trovare il modo giusto di esporla al suo interlocutore; quello che
era successo quel giorno fra di loro gli aveva dato la forza per
nutrire quella fievole speranza che lo aveva portato fino a lui.
Decise di prendere la cosa un po' alla larga, troppo spaventato dalla
possibilità di ricevere una risposta negativa, ma allo
stesso tempo
bisognoso di dare consistenza a quella proposta. Si concesse ancora
qualche altro secondo di silenzio poi, cercando di non alterare con
l'agitazione il suo solito tono di voce, spezzò ancora una
volta il
silenzio che li avvolgeva.
-
Ascolta Arthur, che ne diresti di vendere questo appartamentino e
venire a vivere con me? - chiese il francese tutto d'un fiato non
riuscendo però a staccare lo sguardo da quello del
più piccolo che
ora lo fissava con un'espressione decisamente sconvolta.
Fine
terzo capitolo
Voglio
ringraziare specialmente le mie care amiche
che
in questo periodo mi sono mancate da matti *-*
Grazie
mille ragazze, voi sapete chi siete e questo
capitolo
lo dedico tutto a voi per ringraziarvi di tutto quello
che
fate sempre per me <3
Voglio
anche ringraziare tutti voi
che avete
recensito, risponderò in privato a tutti!
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