Note
LOL!
Da quanto tempo non aggiornavo questa fanfic? Ammettiamo pure che me
ne sono bellamente dimenticata, ecco, 'ché la sincerità vince
sempre... sopratutto quando si ha a che fare con un mentalista ed un
lettore delle microespressioni, contemporaneamente per giunta! :P
Scherzi
a parte... devo reingranare o non finirò più tutte le long che
stanno ad ammuffire nel pc, per cui ho pensato di darmi una smossa
con questa, visto che avevo quasi tutto il capitolo pronto.
Prima
di lasciarvi alla lettura, ho una richiesta da farvi: AAA: cercasi
disperatamente proverbi, aforismi, detti popolari, adagi, piccole
poesie, brevi citazioni et simili, contenenti “rosso” o suoi
derivati, nello stile del proverbio scritto qua sotto.
CAPITOLO
1
Chi
vuol vedere il diavolo vero,
metta
insieme il rosso e il nero.
~
Emily Lightman ~
Uno
scambio di “ciao”, poi Foster se ne va e io resto qui, da sola,
con quest'uomo sconosciuto. Adesso in salotto c'è un silenzio
imbarazzato. Cioè, imbarazzato per me, forse, ma non per lui. Lo
osservo perplessa mentre si guarda intorno con aria curiosa, tocca i
soprammobili, studia le foto.
Mi
ficco le mani in tasca, a disagio: – Papà arriva tra poco. –
L'avrà
già informato Gillian, ma sentivo lo stesso il bisogno di dirglielo,
se non altro per rompere il ghiaccio.
– Vuoi
un the? – mi fa lui con un sorriso.
Batto
le palpebre, confusa. Un the? Lui sta offrendo a me un the, in
casa mia?
Scrollo
le spalle: – Ok. –
Mi
segue in cucina e poco dopo siamo seduti al tavolo, davanti a due
tazze fumanti.
– Lo
prendi all'inglese. – noto.
– Il
vero the si prende così. – commenta lui inzuppando la bustina
nella brodaglia che si è preparato.
Faccio
una smorfia: – Io mi riempirei di bolle. –
– Intolleranza
al lattosio? –
Prendo
una sorsata del mio limpido the e annuisco.
– Non
è bello scoprirlo alla festa per i tuoi sette anni. – spiego,
rabbrividendo al ricordo.
– Tutti
gli amici che ti vedono gonfia come una rana... – racconta pacato,
come se l'avesse vissuto lui – e poi passare la nottata al pronto
soccorso con i tuoi che litigano, dandosi la colpa a vicenda... –
Sgrano
gli occhi, stupita da quel perfetto riassunto.
– No,
non deve essere bello. – conclude con un sorrisetto.
Ha
l'aria di chi si sta scusando. Solo per avermi riportato alla mente
un compleanno andato male? Ne ho passati di peggiori.
– Così...
tu sei un mentalista. – butto lì.
Mi
lancia uno sguardo a metà tra il divertito e lo stupito.
– Di
solito mi chiamano “sensitivo.” –
Alzo
le sopracciglia e scuoto la testa: – I sensitivi non esistono. –
Lui
sorride ancora – sembra che non sappia fare altro. È affascinante,
eh, per carità, ma è bizzarro per me. Quando vivi con un tizio che
sorride a stento e quando lo fa sembra che voglia sbranarti, è
strano beccarsi tutti questi sorrisi pacifici.
Ma
lui non è quel tipo a cui hanno ammazzato la famiglia? Non è per
questo che è qui a Washington, perché lo stesso serial killer ha
ucciso qualcuno anche qui?
– Papà
mi ha raccontato quello che ti è successo. – gli dico, saettando
lo sguardo da lui alla tazza che tengo stretta in mano.
Non
so perché gliel'ho detto: adesso sembrerà che voglia farmi gli
affari suoi. La sua espressione serena non muta, abbassa solo lo
sguardo e non risponde.
– Mi
dispiace. – mi sento dire stupidamente.
E
non capisco se mi sto dispiacendo per la sua famiglia o per aver
aperto il discorso – forse entrambe le cose. Qualcosa mi dice a lui
non frega più di tanto.
– Grazie
Emily. –
Alzo
gli occhi su di lui e mi stupisco di vedergli uno sguardo
riconoscente. Non ci conosciamo nemmeno, e io gli ho solo detto “mi
dispiace”: cos'ha da essere riconoscente?
– Ehi!
–
Mi
volto verso papà con aria colpevole. Non l'ho nemmeno sentito aprire
la porta.
– Cosa
sei, un ninja? – gli chiedo accigliata, mentre mi da un bacio sulla
testa.
Si
scosta appena e mi scruta: – Tutto bene? –
Mi
stringo nelle spalle, senza sapere cosa rispondere.
– Stavamo
facendo una chiacchierata. – sento dire a Jane.
Ci
voltiamo verso di lui e finalmente quel cavernicolo di mio padre si
ricorda delle buone maniere.
– Lightman.
–
– Jane.
–
Li
vedo stringersi la mano e studiarsi attentamente. L'uno con il ghigno
che conosco fin troppo bene, l'altro con il sorriso che sto già
imparato a conoscere.
Papà
guarda la sua tazza: – Lo prendi all'inglese. –
– Ne
vuoi anche tu? – fa l'altro indicando il bollitore.
Ok,
è venuto il momento di lasciarli a giocare da soli. Mi alzo e vado a
posare la tazza nel lavello.
– Grazie
per il the. – dico rivolta a Jane.
Papà
inclina la testa e mi osserva curioso.
Strozzo
una risatina: – Non fate tardi. –
~
Gillian Foster ~
Mentre
guardo le mie ospiti muoversi per le stanze, mi chiedo se in casa mia
ci sia mai stata tutta questa gente. E stiamo parlando di solo tre
persone, me compresa. Forse l'effetto è strano perché siamo tre
donne: questa situazione ha un vago sapore da college.
– Non
ti invaderemo la casa per molto. – dice Van Pelt – Appena si
libera una camera andiamo in hotel. –
– Oh,
neanche per idea. – rispondo tirando fuori le coperte dall'armadio
– Sarà divertente... sarà come un lungo pigiama party. –
Le
vedo sorridere timide.
– Mi
spiace solo costringervi a dividere la camera, ma l'appartamento è
piccolo. – aggiungo mentre facciamo insieme il letto.
– Ah,
io per sette anni ho diviso la stanza con tre fratelli. – commenta
Lisbon.
Sta
sorridendo, ma non devo sforzarmi per sentire la sua tristezza.
– Avete
appetito? Non ho niente di pronto, ma possiamo ordinare qualcosa da
asporto. –
– Solo
se possiamo offrire noi. – si affretta a dire Van Pelt.
Mezzora
dopo siamo in soggiorno, circondate da scatolette di cibo cinese.
– Da
quanto tempo lavorate con Jane? –
– Tre
anni, ormai, no? – fa Van Pelt lanciando un'occhiata a Lisbon –
Ma lui era nella squadra prima che arrivassi io. –
La
piccola del gruppo. Non tanto innocente come sembra, ma abbastanza da
mantenere il ruolo che le hanno affibbiato.
– Non
molto prima. – commenta Lisbon – Jane è stato assunto tre anni e
mezzo fa. –
Sta
parlando in terza persona, si tiene distaccata.
– Non
è sempre facile con lui. – commenta Van Pelt, beccandosi
un'occhiataccia da Lisbon – Ma nessuno conosce meglio Red John. –
Questo
lo sapevamo. È un aspetto che Cal non vede l'ora di approfondire, e
a dire il vero anche io.
– Da
quanto lavorate insieme tu e Lightman? – mi chiede Lisbon, nel
palese tentativo di cambiare discorso.
– Nove
anni. –
Nove
anni. Quando lo dico stento a crederci.
– Nemmeno
con lui è facile. – commento sorridendo tra me – Non lo è mai.
–
Van
Pelt alza le sopracciglia: – Ci sarà da divertirsi allora. –
Schietta
e gentile, a tratti ingenua – esattamente ciò che richiede il suo
ruolo – ma continuo a pensare che non sia del tutto limpida: ha un
lato che non riesco a decifrare. Lisbon, invece, nel suo volersi
tenere a distanza a tutti i costi, è molto più chiara di lei.
Più
tardi, mentre sono in bagno, le sento parlare nella loro stanza.
– Spero
che questa storia finisca presto. –
– Non
abbiamo nemmeno iniziato e già vuoi andare via? –
– Voglio
solo evitare casini. –
– Lo
sai che con Jane è impossibile. –
– Non
è solo Jane. –
– Ti
preoccupa Lightman? –
– L'hai
visto durante la videoconferenza. –
Esco
dal bagno con un sospiro. Perché quel giorno non sono rimasta in
ufficio? Ah, già, avevo quel caso da seguire...
Dovrò
tenerli d'occhio quei due. Ho fiducia in Cal, ma quando ci si mette è
in grado di trasformare le situazioni più semplici in un delirio. E
questa non è certo una situazione semplice.
Mentre
mi infilo a letto mi cade l'occhio sul cellulare. Sono solo le
undici: potrei fargli un colpo di telefono. Niente di che, solo per
assicurarmi che vada tutto bene.
Sbuffo
tra me e mi rigiro nelle coperte: è adulto, che si arrangi!
Due
minuti dopo sto facendo il numero di casa sua. Risponde Emily.
– Ciao
Gill. Stanno parlando. – mi fa tranquilla.
– Tutto
a posto quindi. – mi rilasso – Come ti sembra? –
– Schizzato.
– commenta – Andrà alla grande con papà. –
Rido:
– Grazie Em. Buonanotte. –
Riaggancio
e spengo la luce. Non sono sicura se andrà “alla grande” con Cal
– è troppo presto per dirlo – ma di certo non ci sarà da
annoiarsi.
~
Eli Loker ~
Ci
sono parecchie cose alle quali non ho mai creduto.
Negli
UFO, nelle bistecche di soia, nell'effetto riposante del weekend,
nella pubblicità, nell'alcol come mezzo consolatorio, nell'amore,
nell'omeopatia, nei venditori televisivi. Oh, e nelle persone,
tutte, in generale.
Il
problema si pone quando, dopo un pallosissimo weekend passato a
guardare apaticamente le televendite in tv, ti ritrovi con il frigo
vuoto eccettuata una tristissima fetta di soia lasciata lì dal tuo
unico amico vegan e, dopo, quando esci nella speranza di trovare un
po' di vita fuori dal tuo piccolo mondo, ti imbatti nell'“allettante”
cartellone pubblicitario di un club per single.
Lo
scovi, entri, ti siedi al bancone e ordini un Martini. E mentre
l'alcol, distrutta la labile barriera della soia, viene metabolizzato
dal tuo corpo, ti si avvicina una creatura che di certo non è di
questo mondo.
– E
tu da dove sei caduta? Da una stella? –
Oh,
Eli... questo non è da te. Sei decisamente messo male.
La
vedo schernirsi, un po' imbarazzata e un po' divertita.
– Sono
un po' grande per te. – mi fa notare.
Eppure
sorride ammiccante. E non si schioda da qui. E io sarò anche brillo
e vagamente disperato, ma non mi sono laureato in scienze delle
merendine.
– Ho
un debole per le MILF. – dichiaro fiero – Cosa vuoi da bere? –
Sinceramente
mi aspettavo uno schiaffo, o almeno di essere mollato lì. Quando
ride e ordina un Cosmpolitan, non riesco a trattenermi.
– Credo
di essermi innamorato! –
E
vaffanculo! Cosa manca, l'omeopatia? Be', stanotte credo anche
nell'omeopatia.
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