Capitolo XL
Ore 9.00 –
Mosca, Appartamento di William
Irina si mosse
appena, gli occhi fissi al soffitto, il respiro regolare, la coperta che gli
arrivava sotto il busto. Riusciva a sentire i battiti regolari del suo cuore, il
suono del suo fiato che si diffondeva lento nella stanza. I rumori delle auto
di sotto le arrivavano come attutiti alle orecchie, ma riusciva a percepire
benissimo la presenza che incombeva al suo fianco, silenziosa quanto lei.
<< Dovevamo
aspettarcelo >> disse all’improvviso William, << Dovevamo
immaginare che ci fosse una trappola… Buinov si vuole
vendicare per il fatto che gli ho voltato le spalle.
Dovevo pensare che avrebbe cercato di farmi fuori… >>.
<< Non voleva
te, voleva me >> ribatté Irina, << Hanno
seguito la mia auto, quando siamo scappati… >>.
William rimase in
silenzio un momento, poi disse: << Perché? >>.
Irina sospirò, per
un momento sopraffatta dalla stanchezza, continuando a guardare il soffitto.
C’erano tante risposte a quella domanda, ma tutte troppo difficili da dare.
<< Le ipotesi
sono solo due >> rispose lentamente, << O Buinov
mi voleva di nuovo come ostaggio, oppure mi voleva uccidere perché sono
diventata un personaggio troppo scomodo per i suoi
piani. Propendo per la seconda, visto che ci hanno
sparato addosso… >>.
William sembrò
divertito dalle sue parole.
<< Per la
prima volta l’obiettivo non ero io >> disse, quasi la cosa lo facesse
ridere, << Ma hanno sbagliato bersaglio: la
prossima volta che le nostre strade si incroceranno, lo ucciderò come avrei
dovuto fare appena ci siamo incontrati… >>.
Calò il silenzio, e
Irina sentì la mano di William sfiorare la sua, in un gesto che le stava
diventando familiare ogni giorno di più, e che gli ricordava come non mai Xander.
Lo Scorpione non
aveva ancora toccato l’argomento, dopo la sera prima, ma lei era convinta che
nella sua testa stesse elaborando qualcosa. Qualcosa di molto pericoloso.
Nell’esatto istante
in cui l’aveva colpita, Irina aveva creduto di essersi sbagliata su di lui, che
effettivamente non sarebbe cambiato mai, che quella sorta di “alchimia” forzata
che si era formata tra loro due fosse stata solo una cosa temporanea… Poi aveva
sentito la sua voce, dietro la porta chiusa che si era messa davanti per
proteggersi, aveva sentito le sue parole, e aveva capito che William stava
davvero facendo lo sforzo di cambiare, cambiare solo
per lei.
Per tutti gli
altri, per tutti quelli che l’avevano temuto, che lo temevano
ancora e che l’avrebbero temuto in futuro, lui sarebbe stato sempre lo
stesso: spietato, crudele, e gelido. Lo Scorpione, e basta. Quello che aveva
creato la Black List e che
aveva messo nel sacco centinaia di volte la polizia.
Ma per lei, per lei
stava davvero cercando di cambiare. Con fatica, cadendo e ricadendo nei soliti
errori, ma stava cercando di essere sé stesso, con
Fenice. Stava cercando di darle quello che lui aveva sempre preteso per se
dagli altri. Lo aveva visto nei suoi occhi, quando aveva aperto la porta e
aveva sfidato il destino.
“Se ci sarà un dopo, prometto di aiutarti, William. Prometto che non ti lascerò da solo ad affrontare te stesso”.
Perché qualunque
cosa andava bene, pur di non pensare a Xander. Xander che aveva creduto lontano, che aveva creduto sconfitto, che aveva creduto già parte di un’altra
vita. E che invece come un fantasma si era ripresentato di fronte a lei, con
una scia di ricordi e di emozioni.
E poi c’era
Dimitri, Dimitri che rimaneva sempre al suo fianco, anche se non lo vedeva;
Dimitri che la lasciava crescere, che la lasciava
scegliere, che con le sue poche parole sapeva sempre cosa dire. Dimitri che
l’aveva sempre detestata ma che alla fine era venuto a letto con lei, che
l’aveva trattata da donna e non da oggetto, da adulta e non da ragazzina.
“E tu chi vuoi dei tre, Irina?”.
Le scappò una
smorfia, mentre si poneva quella domanda, inaspettata anche per se stessa.
“Voglio qualcuno che ancora non esiste”.
Calò il silenzio,
così chiuse gli occhi per cercare di staccarsi un momento dalla realtà, per
trovare un momento di serenità nella sua mente confusa
e sovraccarica.
Perché Xander si faceva rivedere? Perché la scombussolava di nuovo
in quel modo? Aveva detto che se ne sarebbe andato…
Sospirò, portando
le mani alla testa. Avrebbe preferito continuare a non sapere, come era accaduto fino a quel momento, continuando la sua
missione in pace almeno da quel punto di vista.
Chissà se Dimitri
era a conoscenza della presenza di Xander…
Sicuramente di qualcosa doveva essere stato informato, ma molto probabilmente
aveva preferito tacere: aveva fatto bene, era una scelta che Irina ora
apprezzava. La scelta migliore, come tutte quelle che lui era in grado di
prendere.
<< Tutto
questo non ci voleva… >> mormorò, parlando con se stessa, <<
Passerà del tempo, prima che la Lince voglia di nuovo incontrarci… E noi non
possiamo aspettare >>.
<< Went non sarà un problema, questa volta >> disse
William, tranquillo, << Ora che so che è qui, non riuscirà a prendermi. E
se mai ci troveremo nuovamente faccia a faccia, non ci
sarà pietà da parte mia… >>.
Lo Scorpione
sembrava sapere che Xander era lì solo per lui, ma
Irina non ne era completamente sicura. In parte doveva centrare anche lei.
<< E’ anche
qui per me >> disse lei, a voce bassa, << Sono una pilota
clandestina che aiuta un ex carcerato e che ormai ha definitivamente smesso di
tentare di avere una vita normale. Vuole arrestare anche me. E molto
probabilmente vendicarsi per quello che c’è stato… >>.
La voce le morì in gola,
ma non le venne da piangere. Forse era ora di smettere di fare la bambina, di
stare male per qualcosa che aveva voluto anche lei… Si erano lasciati, ed era
giusto così. Se non c’era più amore, era inutile andare avanti.
Ma l’amore c’era, e
lei lo sapeva.
Si alzò di scatto,
accorgendosi solo in quel momento che William si stava sporgendo verso di lei,
e gli andò a sbattere addosso.
<< Scusa
>> disse, mentre lui inarcava un sopracciglio, perplesso, << E’
che… Ti dispiace se esco a fare quattro passi? >> e voce bassissima,
aggiunse, << Da sola? >>.
Pensò che William
si sarebbe arrabbiato, insospettito, o che avesse una reazione poco gentile.
Invece la guardò prima un po’ stupito, poi si fece da parte per lasciarla
andare.
<< Se è
quello che vuoi… Ma stai attenta >> disse.
Irina annuì, e
mezz’ora dopo usciva di casa, le chiavi della Punto in
mano e tanta voglia di silenzio. Faceva freddo, il cielo era grigio, e
stringendosi nel giubbotto raggiunse l’auto, sperando che William non la
seguisse di nascosto, insospettito dal suo comportamento. Aveva voglia di stare
da sola a pensare un po’, a mettere in ordine i suoi sentimenti, o forse più
semplicemente per cercare di dimenticare per un momento la sua missione e i
suoi doveri.
Si sedette al
volante della Punto, e un attimo dopo filava lenta per le strade di Mosca,
cercando un posto dove stare in santa pace. Guardò più volte nello specchietto
retrovisore, senza mai vedere William da nessuna parte.
Scelse un piccolo
bar dall’aria dimessa, senza fronzoli e insegne vistose.
Lasciò la macchina non
troppo lontano, tanto non aveva paura di essere vista, ed entrò,
lanciandosi uno sguardo intorno, per intuire se avesse fatto la scelta giusta.
Capì subito che non
aveva sbagliato: la barista era una signora dall’aria simpatica e bonaria, e ai
tavolini di legno era seduta gente perfettamente normale che beveva un caffè,
un the o una cioccolata. C’erano anche due signore con una bambina intenta a
sporcarsi il vestitino con lo zucchero a velo di un piccolo dolcetto. Le venne
un tuffo al cuore, ricordando Yana, ma prese un
respiro profondo e si andò a sedere in un angolo, assaporando quel momento di
solitudine.
C’era tanta, troppa confusione nella sua testa. Non era così
che aveva immaginato andassero le cose…
“Non ci pensare…”.
Sapeva come era fatto Xander: il suo
istinto lo portava sempre a difendere i più deboli, e il suo orgoglio ad
accettare tutte le sfide. Era stato uno stimolo irresistibile per lui quello di
dover di nuovo catturare William e nel frattempo controllare lei…
Sbuffò.
Ecco ciò che non
accettava più di Xander: quel suo modo di
considerarla sempre in pericolo, non in grado di cavarsela da sola. Sì, forse
era vero, per certi aspetti si cacciava sempre nei guai, ma non le era stata mai
data la possibilità di uscirne da sola. Appena aveva dimostrato di esserne
capace, aveva messo in crisi Xander…
Scosse il capo.
Per il momento,
anche se era lì, non voleva incontrarlo. Faceva già abbastanza male sapere che
non se ne era andato, alla fine. E in ogni caso, non avevano più
molto da dirsi, visto come si erano lasciati.
Ordinò un caffè e
uno di quei dolcetti che aveva visto mangiare alla bambina di prima, e rimase a
guardare la gente che si muoveva nel locale. Erano tutti tranquilli, ridevano e
scherzavano, completamente presi dalla loro semplice esistenza, senza pensieri
di sorta. Vivevano quella vita normale che lei alla fine aveva rifiutato.
Ad un certo punto
sentì il campanellino della porta di ingresso trillare, e comparve Dimitri, gli
occhi di ghiaccio che si scrutarono intorno, trovandola al primo colpo, come
dotati di un radar. Lo trovò più carino di quanto ricordasse, o forse lei che
non lo aveva mai notato.
Si chiese cosa ci
facesse lì, e come avesse fatto a trovarla, ma il russo l’aveva già raggiunta e
si era seduto al tavolo senza dire niente, come se si fossero dati appuntamento.
<< Che fai
qui? >> soffiò Irina, sorpresa.
<< Immagino
tu abbia qualche domanda… >> rispose lui, evasivo come al
solito.
Irina gettò
un’occhiata fuori, sperando di non vedere comparire nessun’altro,
che fosse Xander o William. Uno non lo voleva vedere
perché non era pronta a sorbirsi l’ennesima ramanzina; l’altro perché non
voleva mandare a monte la missione.
<< Come
facevi a sapere che ero qui? >> chiese.
Dimitri incrociò le
braccia e si lasciò andare a un sorrisetto.
<< Stazionavo sotto il tuo appartamento da stamattina alle sei
>> rispose, quasi fosse divertito dalla cosa, << E se stai per
chiedermi di Challagher… No, non ti ha seguito. Ho aspettato
prima di uscire allo scoperto. Sembra fidarsi davvero di te >>.
Irina aprì la bocca
per dire qualcosa, ma non le venne niente, così la
richiuse, sentendosi ridicola. Doveva ammetterlo, vedere Dimitri le faceva
piacere: era l’unica persona in quel momento che continuava a non deluderla.
Scambiare quattro chiacchere con lui senza sentirsi giudicata era un bel cambiamento.
<< State tutti bene? >> domandò lei, fissando la tazzina del
caffè vuota, tanto per accertarsi che fosse tutto ok.
<< Sì, stiamo
benissimo >> rispose Dimitri, quasi sarcastico, << Fammi le domande
che ti premono… Non abbiamo tutto il giorno >>. Le rivolse un’occhiata
eloquente, come se sapesse che non era quello che voleva sapere.
Irina sospirò.
<< Da quanto
è qui, Xander? >> chiese.
<<
Esattamente da quando lo sei tu >> rispose il russo, << Appena ha
saputo che Challagher era fuggito ed era sulle tue
tracce ha deciso di rimanere… >>.
Irina scosse il
capo.
<< Non mi
stupisce… >> borbottò, << Perché è venuto da te? >>.
Dimitri fece una
strana faccia.
<< Non è
venuto da me >> ribatté, quasi seccato, << Nessuno gli aveva detto
che Challagher era qui… Sono stato io a dirglielo,
appena prima che prendesse l’aereo per Los Angeles… Subito dopo che tu avevi
messo in atto il suo piano idiota >>.
Irina rimase
impietrita, fissando gli occhi grigi del russo che la scrutavano quasi in segno
di sfida. Dimitri che collaborava con Xander? Lo
detestava, perché farlo?
<< Ah…
>> disse lentamente, << E… E perché? >>.
<< Avevo
bisogno di una mano… O meglio, tu avevi bisogno di
aiuto >> rispose Dimitri, << E comunque, era giusto che sapesse
>>.
Irina lo guardò, e
si accorse che c’era una certa tensione nel tono di Dimitri. Era come se fosse
arrabbiato, divertito e scocciato al tempo stesso. Per lui doveva essere stata
dura collaborare con Xander, ma non capiva comunque
perché lo avesse avvertito… Poteva fare da solo, no?
<< Forse
invece era meglio che non glielo dicessi >> borbottò lei, senza nessuna
accusa nella voce, << Forse era meglio che non sapesse nulla… >>.
Dimitri la fissò a
sua volta.
<< Non sai
quanto mi costa dirtelo, ma non è qui per te >> disse, quasi ringhiando,
<< E’ qui solo per Challagher. Detesto il modo
di fare di Went, ma devo dire qual è la verità, e la verità è che lui vuole solo catturare di nuovo lo Scorpione…
Tu non c’entri >>.
Irina storse il
naso, senza capire.
<< Gli ho
chiesto io di collaborare >> aggiunse Dimitri, sempre più seccato,
<< Lui cercava di prendere Went, e io continuavo a tenere d’occhio te. Ha accettato. E tanto,
in ogni caso, abbiamo interesse entrambi a riportarti
a casa >>.
Irina guardò
Dimitri, cercando di capire se quell’ultima frase nascondesse o meno qualche altro significato. Il russo sembrava una
statua di pietra, in quel momento, la mascella contratta e le braccia
incrociate. Sembrava tutto fuorché contento di stare lì.
<< Ti ha
mandato lui a dirmi questo? >> chiese lei, riferendosi a Xander.
Dimitri fece una
faccia infastidita.
<< Secondo te
io sono il tipo che si fa usare come messaggero da uno sbirro dell’F.B.I.? >> ribattè,
<< No, non sapeva nemmeno che venivo sotto casa tua >>.
Irina continuava a
non capire.
<< Allora
perché mi hai seguito fin qui? >>.
<< Sapevo che
avevi delle domande >> rispose Dimitri, freddamente, << E dopo quello che è successo ieri, c’erano delle cose che andavano
chiarite >>.
<< Allora
c’era Xander a inseguire William… >> constatò Irina, poi ricordò di aver dato l’ordine di
lasciare andare lo Scorpione… << E Xander l’ha
fatto fuggire? >>.
Il russo si
produsse in un’altra smorfia.
<<
Evidentemente… >> disse solo.
Non voleva dire
niente, ma Xander aveva pur sempre seguito un suo
ordine… Irina sentì di esserne profondamente stupita.
<< Sapeva che
sono stata io a chiedere di lasciarlo andare? >>.
<< Sì, lo
sapeva >>.
Irina si lasciò
scappare un piccolo sorriso: doveva essere costato molto a Xander…
<< Non riesco
a riconoscere più nessuno, da qualche tempo a questa parte… >> mormorò
alla fine, quasi a se stessa.
William non si
comportava più da William, Xander non si comportava
più da Xander… E nemmeno lei era più la solita Irina.
Alzò lo sguardo su Dimitri, l’unico che le era sembrato un imprescindibile
punto fisso, ma capì che nemmeno lui era più lo stesso… E allora si ricordò
quello che era successo tra loro, la promessa che aveva fatto prima di gettarsi
a capo fitto nella sua missione disperata… E capì che Dimitri stava giocando
contro se stesso, che lo stava facendo apposta a metterla in confusione con Xander, mostrandoglielo pentito…
<< Perché
stai facendo tutto questo, Dimitri? >> domandò Irina.
Lui fece un mezzo
sorrisetto.
<< Tutto
questo cosa? >> ribatté.
<< Lo sai
>> rispose lei, poi arrossì di colpo, << Tutto questo è…
controproducente nei tuoi confronti. A meno che io non
abbia capito male… >>. Non poté farci niente, ma le tornò in mente quella
notte durante la Mosca-Cherepova…
Dimitri incrociò di
nuovo le braccia, quasi divertito.
<< Chi ti
dice che sia controproducente? >> disse, << Lo sarebbe se tu fossi
stupida, ma non lo sei. E nessuno di noi ha capito male… Tranne Went, che sta diventando insopportabile >>.
Irina non comprese
bene la sua risposta: c’erano troppe cose tutte insieme.
<< Stai
lavorando con lui? >> domandò.
Dimitri fece una
mezza risata.
<< Lavorando…
Viviamo nello stesso appartamento da quando l’ho informato del tuo piano
>> rispose, << Ho fatto uno sforzo enorme per non tirargli un pugno
in faccia i primi giorni, ma devo ammettere che è migliorato… Non è più
l’invasato che faceva scenate di gelosia >>.
Irina guardò
attentamente il russo per capire cosa gli stesse
passando per la testa: convivere a stretto contatto con Xander?
Si detestavano a vicenda, dovevano aver davvero cambiato mentalità per non
scannarsi…
Poi però capì che
tutto quello che Dimitri aveva fatto, lo aveva fatto
per lei. Aveva informato Xander perché credeva fosse
la mossa migliore, e aveva accettato anche di ospitarlo nel suo appartamento
perché pensava di aver maggiori possibilità di aiutarla…
Doveva essergli
grata, e lei lo era, ma qualcosa strideva dentro di lei, qualcosa che gli
diceva che forse, nonostante la promessa che gli avesse fatto, forse non poteva
ricambiare quell’interesse… O forse sì?
Ora che Xander era tornato, e che sembrava anche essere cambiato,
non poteva fare a meno di pensare a lui…
<< Vuoi
incontrarlo? >> domandò all’improvviso Dimitri.
Irina spalancò gli
occhi, poi abbassò lo sguardo.
<< No, non
adesso… >> mormorò.
Dimitri diventò
serio.
<< Bè, nemmeno lui, se per questo… >> disse.
<< Allora
perché me lo hai chiesto? >>.
<< Era una
domanda… Non ho detto niente a Went di quello che è
successo durante la Mosca-Cherepova, ma immagino lui
voglia chiedertelo… >>.
C’era una vaga nota
divertita nella voce di Dimitri, ma Irina non capì
perché fosse rimasto zitto su quel punto: se voleva fare un dispetto a Xander, sarebbe stato l’ideale raccontargli come erano
andate le cose… In fondo, tutti sapevano che lui era andato a letto con Nina, e
fargli patire la stessa cosa che aveva patito lei poteva essere un’idea
allettante…
Irina scosse il
capo: la situazione era ridicola, e se ne rendeva conto.
Forse doveva
parlare con Xander, e molto probabilmente anche con
Dimitri. Doveva chiarire la situazione, anche perché non sapeva cosa si fossero
detti quei due…
<< Dimitri,
io non voglio prendere in giro nessuno >> iniziò, << L’arrivo di Xander non significa
niente, per il momento. Solo che… >>.
Il russo le lanciò
un’occhiata di ghiaccio.
<< Non c’è
niente da chiarire tra noi >> ringhiò, come se non volesse parlare della
cosa, << Io ho tutto ben chiaro… Sei tu quella che ha due alternative di fronte: ti alzi e vieni qui da me, oppure
rimani lì, standomi ben lontana >>.
Più che un invito
sembrava una minaccia, ma Irina rimase colpita di più
dall’irruenza con cui aveva parlato, senza tanti preamboli come era solito
fare, che dal contenuto della sua frase… E si chiese cosa stesse provando lui
in quel momento. Se, in qualche luogo profondo del suo cuore, stesse soffrendo
per lei e per la sua indecisione…
In fondo, aveva
scelto di venire a letto con lei. Era stato lui a cominciare, e lei sapeva che
quel russo dal cuore di ghiaccio in realtà non era freddo come appariva, né che
non fosse in grado di provare dei sentimenti. Aveva conosciuto parti di lui che
non aveva immaginato esistessero, e non avrebbe mai negato per ne era stata
attratta…
Afferrò il tavolo,
e per un momento fu davvero tentata di raggiungerlo, ma qualcosa le gridò di
stare ferma, perché stava già mentendo troppo sui suoi sentimenti… Stava già
giocando troppo con la pazienza altrui, e soprattutto stava mentendo troppo a sé stessa.
Si guardarono in
faccia per un momento, poi sul volto di Dimitri si dipinse un sorrisetto, e
scosse il capo, come per scacciare un pensiero. Non sembrava deluso né
arrabbiato: era come se si fosse aspettato la sua
reazione.
<< Non metto
fretta a nessuno, Fenice >> disse, << Ti lascio alle tue scelte… Ci
sentiamo >>.
Si alzò e se ne
andò più tranquillo di quando lei potesse tollerare, e uscì dal locale. Irina
rimase a guardare la porta dalla quale era uscito, per poi passarsi una mano
tra i capelli, sospirando.
Era sempre più
irrimediabilmente nei guai.
Ore 12.00 –
Appartamento di William
Lo Scorpione sputò la
boccata di fumo nell’aria della cucina deserta, la musica soffusa dello stereo
che gli arrivava alle orecchie, il bicchiere della birra già mezzo vuoto. Stava
semisdraiato sulla sedia, le gambe allungate sotto il
tavolo, gli occhi rivolti contro la parete dove l’orologio ticchettava
insistentemente.
Irina era uscita
già da un po’; non sapeva dov’era né cosa stesse facendo, ma ciò che gli
importava solo era che tornasse.
Tutto andava male,
eppure non riusciva a essere incazzato con il mondo. I suoi piani con la Lince
non erano nemmeno decollati, era ricercato dalla polizia e da Went, ma non gli importava. Ora ogni che passava, capiva
sempre più che ciò che aveva in quel momento era meglio di quello che aveva
avuto in passato…
Quella
attesa
palesemente tranquilla e rassegnata lo dimostrava: aspettava, aspettava senza
sapere che cosa.
“Forse le mie priorità possono cambiare… Forse posso anche aspettare un po’ più del dovuto…”.
Guardò il soffitto,
la sigaretta tra le labbra, e sorrise, da solo, in quella cucina misera e
povera; sorrise, come uno stupido, sorrise sapendo che
Irina lo aveva cambiato, che lo stava cambiando… Che con lei si era rammollito,
che lei sarebbe stata l’unica persona al mondo che non avrebbe mai potuto
uccidere…
E proprio per quello,
sentiva che era disposto a tutto per non perderla mai più, non ora che non
poteva più vivere senza di lei. Era disposto a tutto, ad aspettare, a
tollerare, a uccidere.
Appoggiò la pistola
sul tavolo, la sigaretta che fumava ancora, e fece un altro sorriso.
“Se sei qui per lei, Went,
morirai. Se sei qui per riprendertela, questa volta non ci riuscirai. Lei è
mia. E’ mia perché vuole esserlo. E tu non potrai fare altro
che accettarlo”.
Ore 13.00 –
Mosca
Irina ingranò la prima
e partì lentamente, uscendo dal parcheggio del centro commerciale che aveva
visitato qualche settimana prima con Yana e nel quale
era tornata per passare ancora qualche momento da sola, diretta a casa, la
mente ancora piena di pensieri ma il cuore un po’ più leggero.
Aveva capito che
alla fine non poteva fare altro che aspettare, aspettare
che i suoi sentimenti si rimettessero a posto da soli. Prima
o poi il suo cuore le avrebbe indicato la strada giusta, e lei l’avrebbe
seguita. Fino ad allora, avrebbe atteso senza
impazienza, sperando di non far soffrire troppo chi le voleva bene.
Si fermò al
semaforo, picchiettando con le dita sul volante, sapendo di dover tornare a
casa: aveva messo fin troppo alla prova la pazienza di William, e non voleva
rischiare di farlo arrabbiare.
Qualcosa però
attirò la sua attenzione: c’era una grossa auto scura, nascosta da quella ferma
dietro di lei. La vedeva dallo specchietto retrovisore, ma ne sentiva
soprattutto il rumore: un sordo rombo molto simile a quello delle auto da corsa
a cui era abituata. Non riusciva a capire che modello
fosse, ma qualcosa le disse che doveva essere una del giro.
Partì lentamente,
diretta verso la periferia di Mosca, finché qualche isolato dopo l’auto che le
faceva da schermo cambiò strada e lei poté vedere di chi si trattava.
Era una Honda Accord modificata, con un vistoso
alettone sul portellone posteriore e i vetri oscurati. Non ricordò di averla
mai vista da quelle parti, ma doveva aspettarsi di incontrare altri piloti
clandestini, visto il giro che frequentava.
Dopo un paio di isolati, però, si accorse che l’auto sembrava seguirla…
Non poteva certo fare proprio la sua stessa strada, e non per un tratto così
lungo.
Iniziò a provare un
po’ di nervosismo. Premette leggermente più a fondo l’acceleratore, sfilando a
passo sostenuto lungo la via poco trafficata, e la Accord le rimase dietro, non troppo vicina da rappresentare
una minaccia, ma nemmeno troppo lontana per non destare qualche sospetto.
“Potrebbe anche essere una coincidenza…”.
Decise di fare una
prova.
Inserì la freccia
per svoltare a sinistra all’incrocio e si mise sulla corsia giusta, rallentando
appena. Rimase a fissare lo specchietto, e la Honda
fece lo stesso: le si mise in coda, l’indicatore sinistro che lampeggiava…
Un secondo, e Irina
scartò di lato, svoltando a destra. Con una sgommata, la Accord la seguì nel vicolo in cui si era infilata, e lei
ebbe la conferma definitiva che la stava seguendo.
Chi fosse non lo
sapeva, ma aprì lo sportello del portaoggetti e tirò fuori la pistola,
togliendo rapidamente la sicura. Il tempo di abbassare lo sguardo un momento, e
la Honda sembrava essersi avvicinata.
Con i vetri oscurati non riusciva a capire chi fosse, quindi poteva trattarsi
anche di qualcuno che conosceva… Però un leggero solletico allo stomaco le
diceva che sicuramente in quella macchina non c’era né Dimitri, né Xander né nessuno che potesse essere considerato suo amico.
Svoltò a destra,
sapendo di imboccare una sopraelevata che l’avrebbe portata dalla parte opposta
di dove doveva andare. Accelerò, mentre la Accord continuava a seguirla a breve distanza.
Non voleva correre
il rischio di essere messa in trappola, così decise di seminarla. Affondò il
piede sul pedale, e schizzò in avanti, gettandosi tra le utilitarie che
procedevano lente…
Con un ruggito, la Honda le rimase incollata. Seguì la sua traiettoria,
scansando le altre macchine, e Irina cercò una via di fuga.
Vide la lancetta
del tachimetro schizzare in alto, il rumore del motore farsi più forte, la
stretta sul volante più salda… Lo avrebbe seminato con una mossa delle sue,
filando via alla prima occasione…
Vide il cartello
che indicava l’uscita per la zona nord della città, ma si spostò a sinistra per
dare l’idea che aveva intenzione di proseguire diritto… La Honda
le rimase dietro, senza accennare a speronarla, ma continuando a starle
appiccicata…
“Chiunque tu sia, ora ti frego”.
Fece appena in tempo
a spostare lo sguardo, che alla sua destra comparve un’altra auto, una grossa
Infiniti G37 rossa che la costrinse a spostarsi di lato, bloccandole la via di
fuga…
<< Al
diavolo! >>.
Irina sentì la
tensione salire, e comprese che quello era un vero e proprio agguato. Fu
costretta a proseguire diritto, cercando di defilarsi tra il traffico,
ma davanti aveva delle utilitarie troppo lente e di fianco la Honda e la
Infiniti la tallonavano senza lasciarla scappare…
Poi, un grosso Suv Chevrolet apparve alla sua sinistra, e lei riuscì a
vedere la faccia di chi la stava inseguendo: era un tizio che non aveva davvero
mai visto, gli occhiali da sole a mascherargli il volto, una anonima
barba nera a contornargli la bocca.
Aveva una pistola
in mano, e le fece cenno di spostarsi verso la corsia di destra, forse per
condurla fuori.
Irina non aveva
altra scelta, anche perché quel Suv poteva sbatterla
fuori fin troppo facilmente, così si spostò lentamente di lato, senza capire
cosa volessero da lei. Intanto il suo cuore iniziava a battere sempre più
forte…
Il Suv le bloccò la strada, e lei capì di dover imboccare
l’uscita: scese la rampa, la Honda che le stava
davanti, e un attimo dopo veniva condotta in un vicolo buio e isolato. La Infiniti si fermò dietro di lei, bloccandole la strada.
Irina guardò dallo
specchietto retrovisore, cercando di contare quanti fossero: sei uomini adulti,
tutti armati di almeno una pistola. Sei uomini dalle facce completamente nuove,
che non gli ricordavano nessuno. Che volevano da lei?
Cercò rapidamente
il cellulare, ma sentì battere contro il vetro: il tizio di prima le fece cenno
di scendere, gli occhiali da sole che gli nascondevano ancora lo sguardo.
Irina esitò. Forse
era meglio ingranare la marcia e farsi strada a forza,
rischiando anche di distruggere la macchina e farsi sparare addosso… Erano
troppi per lei, non poteva certo affrontarli con una sola pistola…
E qualcosa le
diceva che non dovevano avere buone intenzioni, chiunque fossero
e qualunque cosa avessero in mente.
“Me ne devo andare di qui…”.
Prima di avere il
tempo di capire quello che stava per fare, Irina ingranò la
retro e spinse la Infiniti, facendola schizzare indietro insieme ai pezzi di
vetro dei fari e dei paraurti. La lamiera si accartocciò mentre speronava la
G37 facendo surriscaldare il motore, aprendosi la strada oltre il buco in cui
l’avevano intrappolata…
I russi gridarono,
ma lei continuò la sua fuga. Uscì dal vicolo, il vetro posteriore della Punto
crepato in più punti, sperando di riuscire a scappare prima che avessero il
tempo di seguirla…
Cercò di fare
inversione, ma sentì il rumore dei proiettili irrompere nell’aria, e qualcosa
bucò il cofano della macchina… Affondò il piede sull’acceleratore, ma uno
scoppio sordo la costrinse a inchiodare…
Sentì qualcosa
soffiare, come uno spiffero di vento insistente…
Gomme bucate.
Imprecò, mentre
sentiva i cerchioni rotolare sull’asfalto, le gomme completamente a terra… Un
attimo dopo, una scia di scintille si alzò dai lati del cofano, mentre la lega
di metallo strideva sul cemento sempre più lenta…
Poi la Punto fu
costretta a fermarsi, definitivamente sconfitta, e Irina ebbe un attimo di
panico. Improvvisamente si rese conto che era davvero in trappola, che persino
la sua auto l’aveva abbandonata…
Rimase immobile a
fissare lo specchietto retrovisore, la carcassa della Infiniti
con il muso schiacciato che campeggiava al centro della strada, le crepe nel
vetro della Punto a fare da sfondo… I russi la stavano raggiungendo a piedi, e
avevano l’aria di essere molto arrabbiati…
“Ma che diavolo ho fatto?”.
In un attimo capì
di aver sbagliato tutto, che avrebbe dovuto chiamare subito aiuto, che non
avrebbe dovuto lasciarsi condurre in trappola, e che non avrebbe dovuto fare
quella stupida mossa per cercare di fuggire…
Doveva prendere la pistola, lo sapeva, e cercare almeno di
difendersi in quell’ultimo frangente, ma non riusciva a sbloccarsi: era come se
il suo corpo non rispondesse più ai comandi del suo cervello.
Il tizio con la
barba si affiancò alla Punto e le fece cenno di scendere. Irina aprì lentamente
la porta, ma un altro russo la spalancò di colpo senza lasciarle il tempo di
uscire e la afferrò, sbattendola violentemente sulla fiancata dell’auto,
strappandole di mano la sua arma e puntandole la pistola alla tempia.
Irina sentì il
cuore accelerare a ritmi forsennati, ma l’uomo con la barba gridò qualcosa, e
l’altro russo non le sparò, continuando però a tenerla stretta, senza lasciarle
una possibilità di fuga.
<< Non ti
faremo del male >> disse il tizio barbuto, in uno stentatissimo inglese,
che chiaramente faceva fatica a parlare, << Solo la macchina… >>.
Irina cercò di
divincolarsi, ma il russo la tenne stretta. Lo sguardo le cadde sugli altri
uomini che in quel momento la guardavano in cagnesco, e uno di loro accarezzava
con aria famelica un coltello affilato… Nonostante la paura, cercò di
ricordarsi che era una pilota clandestina, e che non era la prima volta che
finiva in situazioni del genere…
<< Chi vi
manda? >> ringhiò.
<< E’ segreto
>> rispose il russo, trafficando per prendere le chiavi dell’auto dal
cruscotto della Punto, << Ma è avvertimento, questo. Auto troppo strana per passare inosservata >>. Batté sul tetto della
macchina, sorridendo malignamente.
Qualcuno ridacchiò
mentre lei cercava per l’ennesima volta di liberarsi.
<< Che ci
volete fare con la mia macchina? >> chiese, sentendosi sempre più
schiacciata contro il vetro crepato dell’auto.
<< Niente.
Ottima da vendere >> rispose il russo, poi fece un cenno con la testa ai
suoi compagni.
Irina venne trascinata a bordo della strada, ed ebbe finalmente la
visione completa della scena.
Sentì un tuffo al
cuore quando si accorse di come era ridotta la Punto:
non capiva come quei russi potessero pensare che fosse ottima da vendere. Era
distrutta: addosso portava ancora i segni della Mosca-Cherepova,
delle gare che aveva fatto e della sparatoria con Vladimir… E a tutto quello si
erano andati a sommare i danni che lei le aveva procurato cercando di scappare.
Della sua Punto, della sua “Belva”, non rimaneva altro che una
auto vecchia, dai vetri spaccati, i paraurti cadenti e le ruote bucate.
Un rottame che le era stato fedele fino alla fine,
nonostante fosse stato maltrattato più del dovuto. E che ora l’abbandonava,
allo stremo delle forze.
“Che cosa ho fatto?” si domandò di nuovo.
Le venne da
piangere, ma ricacciò indietro le lacrime, dandosi dell’idiota: aveva
trascurato tutti, persino la sua auto. E la sua auto ora le stava dando la
lezione che meritava.
Non
potè fare niente, tenuta stretta dal russo e con la
pistola puntata alla tempia. Guardò il gruppo di uomini affaccendarsi
intorno alla Punto, mentre un grosso camion sbucava dall’angolo della strada
deserta e si fermava proprio davanti a loro.
In pochi attimi,
l’auto venne caricata sopra, mentre sull’asfalto
rimanevano le schegge dei fari e i pezzi di lamiera della carrozzeria. La Punto
sparì, ingoiata dal furgone, senza poter opporre resistenza. E Irina sentì le
lacrime scendere, dimentica del pericolo che lei stessa correva, dimentica di
tutto, perché ciò che le stavano portando via era un pezzo della sua anima… Pezzo che in quell’ultimo periodo aveva dimenticato.
Sentì che la
costringevano a sedersi a terra, ma lei continuò a fissare il camion
all’interno del quale giaceva la sua Punto, e si chiese solo vagamente se
volessero ucciderla.
<< Ricorda:
avvertimento >> disse il russo con la barba scura, << Devi andare
via da Mosca >>
I russi risalirono
velocemente sulle loro auto e sgommarono via, portandosi dietro tutto, anche il suo cellulare. Sparirono in un attimo dietro
l’angolo, il rombo dei motori che svaniva in lontananza, gli occhi di Irina che
rimanevano incollati al punto dove poco prima c’era la Punto…
E allora scoppiò a
piangere, fregandosene di essere stata appena abbandonata senza niente, da sola
e al freddo. Non gli importava di niente, tranne che le avevano appena portato
via la cosa che aveva di più caro al mondo… Tranne che capiva di aver
sbagliato, ancora e per l’ennesima volta, e niente poteva farla tornare indietro.
Perché accettare
quella missione era stato il suo ultimo passo falso.
Ore 14.30 –
Appartamento di William
Il cellulare
squillò proprio mentre William era affacciato alla finestra, a scrutare la
strada in attesa che Irina tornasse. Era troppo tempo che stava fuori, e
iniziava a innervosirsi…
Sul display vide
brillare un numero sconosciuto, e si chiese chi potesse essere… Magari la
Lince?
<< William?
>>.
La voce era quella di Irina, bassa ma inconfondibile, e lui si sentì
vagamente irritato. Se telefonava significava che
ancora non sarebbe tornata a casa…
<< Da dove
chiami? >> chiese.
<< Da un bar
>> rispose Irina, << Mi hanno rubato la
macchina… Mi puoi venire a prendere? >>.
William rimase di sasso.
<< Cosa?
>>.
<< Mi hanno
rubato la Punto >> ripetè Irina, e per un
attimo gli sembrò che stesse per piangere, << Non so
chi fossero… >>.
Nella mente di
William passarono una serie di pensieri a una velocità impressionante: rabbia,
fastidio, irritazione e poi un vago, vaghissimo senso di paura. Paura non per
lui, ma per Irina.
Gli si dipinse
davanti l’immagine di un agguato, di tutti i pericoli
che comportava, di una banda di russi che aveva in mano Irina, sola e indifesa…
Avrebbe potuto morire, se ne rese conto. Avrebbero potuto ammazzarla…
<< Come stai?
>> abbaiò, quasi arrabbiato.
<< Bene…
>> rispose Irina a bassa voce, << Non… >>.
<< Dove sei
che vengo a prenderti? >> domandò secco lui.
Irina gli comunicò
rapidamente la via del locale dove si trovava, mentre
lui afferrava le chiavi della Bugatti e iniziava a scendere le scale.
<< Aspettami
lì. Arrivo >>.
Chiuse il telefono
e raggiunse l’auto in pochi secondi, la rabbia che gli ribolliva nelle vene.
Impostò il navigatore premendo sullo schermo con foga, poi schiacciò
l’acceleratore e partì in direzione di Mosca Nord.
Mentre guidava
schivando le auto normali che gli intralciavano la strada, provava
un sentimento che aveva sempre imparato a tenere a bada, ma che questa volta
era troppo potente per essere mascherato.
Aveva paura.
Aveva una
fottutissima paura di perdere Irina, di aver corso il rischio di vederla
ammazzata per una stupida auto…
Senza di lei le
cose non sarebbero mai state le stesse… Senza Irina la
sua esistenza non avrebbe avuto senso… Non più, ora che lei faceva
completamente parte della sua vita…
L’aveva tradito,
sì, ma era tornata da lui.
Trovò subito il bar dove lo aspettava Irina. Non parcheggiò nemmeno: lasciò
la Bugatti in doppia fila, senza preoccuparsi di chiuderla, e spalancò la porta
del locale come una furia, attirando lo sguardo spaventato dei presenti.
Irina era seduta a
un tavolino, da sola, a sorseggiare qualcosa di caldo da una tazza, gli occhi
bassi. Stava bene, non sembrava essere ferita o riportare segni di percosse;
forse era solo un po’ infreddolita, a giudicare dalle guance rosse e da come
stringeva la tazza.
Quando lo sentì
andare verso di lei, Irina alzò gli occhi, e William si accorse che se il suo
fisico stava bene, non si poteva dire altrettanto della sua anima. Gli occhi
erano pieni di un’immensa tristezza che lui non aveva mai visto, dell’evidente
segno della sconfitta che era tanto tempo che non scorgeva nelle sue iridi
scure.
<< Che
diavolo è successo? >> domandò lui, gli occhi
che non si staccavano dal suo volto, stranamente distaccato anche se dentro
ribolliva.
Irina scosse il
capo.
<< Qualcuno
mi ha mandato un avvertimento >> rispose lei, alzandosi, << Per
favore, andiamo a casa. Parliamone dopo >>.
Gli rivolse
un’occhiata, e per quanto William volesse sapere esattamente come
erano andate le cose, non riuscì a rifiutare. Annuì, un improvviso ed
enorme sollievo addosso mentre la guardava tirarsi in piedi, stanca e provata,
ma viva. Ebbe la tentazione di toccarla, di sfiorare il suo braccio, ma
qualcosa lo trattenne.
<< Mettiti la
mia giacca >> disse all’improvviso.
Gliela porse e
Irina la prese con cautela, quasi non fosse certa di quello che stava facendo.
Lui andò a pagare quello che aveva consumato, poi la raggiunse e salirono in
macchina.
Improvvisamente,
William si rese conto di non sapere che cosa dire. Al di là
di chiedergli cosa era successo, non sapeva come comportarsi. O forse lo
sapeva, ma gli veniva difficile. Era talmente sollevato di vederla viva che
tutto gli sembrava superfluo. Persino sapere perché le avevano rubato l’auto.
<< Stai bene?
>> domandò nuovamente.
Irina si lasciò
andare sul sedile, fissando il tetto dell’auto.
<< Sì, sto
bene… >> esalò, << Hanno preso solo la mia macchina… >>.
Poi William capì,
perché ricordò qualcosa che in qualche modo lo riportò nuovamente indietro nel
tempo.
Irina amava la sua
auto quasi quanto amava sé stessa. Quella Punto, che
lui aveva sempre in qualche modo detestato, era per Fenice la cosa più importante
che avesse ottenuto dalle corse clandestine. Era la macchina che l’aveva fatta
arrivare al terzo posto della Black List; era la macchina che le aveva consentito di pagare i
debiti di suo fratello; era la macchina che l’aveva resa libera.
Toglierle la Punto
era come portarle via un pezzo del cuore.
E lui lo aveva
fatto, in passato.
Trovò paradossale
la situazione, ma ora odiava a morte chi aveva fatto esattamente ciò che aveva fatto lui.
Capì l’ennesimo
errore che nel passato aveva fatto con lei; errore che nessuno poteva
cancellare.
<< E adesso
io come faccio? >> disse improvvisamente Irina, la voce bassa e stentata,
<< Come faccio? Almeno la macchina… >>.
William fermò la
Bugatti e guardò Irina in volto, per vedere che era distrutta, che sembrava
aver perso ogni voglia di vivere… Forse voleva piangere, o forse era talmente
sconvolta da non riuscire a farlo.
La Punto era pur
sempre un’auto, un oggetto, ma William sapeva che
dirle che poteva averne un’altra, magari migliore, magari più bella, non
sarebbe servito a niente. Irina rivoleva la sua, di Punto, quella che aveva
comprato quattro anni prima e con la quale aveva vinto tutte le sfide che le si erano parate davanti… Non poteva corromperla, ormai lo
aveva imparato.
<< Li
conoscevi? >> domandò.
Irina scosse il
capo, una lacrima che le rigava la guancia.
<< Non li
avevo mai visti… >>.
William parcheggiò
l’auto davanti a casa, e Irina scese prima di lasciargli il tempo di formulare
qualche altra domanda. Salirono di sopra senza dire nulla, con la ragazza che
continuava a tenere lo sguardo basso.
Una volta in casa,
William non riuscì più a trattenersi: la afferrò per i fianchi e la costrinse a
guardarlo in faccia.
<< Irina, mi
hai fatto preoccupare davvero >> le soffiò sulle labbra, serio.
Irina rimase
distaccata, quasi fredda, mentre lui la guardava insistentemente e lei
continuava invece a rivolgere gli occhi altrove.
<< Will…
>> disse piano, poi scoppiò a piangere, e gli avvolse le braccia intorno
al collo, singhiozzando.
Lo Scorpione rimase
di sasso di fronte a quello slancio, a quell’esplicita ricerca di affetto da
parte di Irina. E capì che se lei era arrivata a comportarsi così, qualcosa
doveva essere davvero cambiato.
La strinse a sé,
nel primo vero abbraccio della loro vita, e rimase a pensare che ora davvero
tutto passava in secondo piano.
Che lui e Irina
sarebbero rimasti insieme, al di là di tutto.
Anche al di là della Black List.
Spazio Autrice
Come sempre vi
chiedo scusa, ma davvero in questo periodo sono sommersa di cose da fare. Per
questo vi dico già che per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po’, come
del resto per questo: devo scrivere la relazione di laurea, cosa che mi porterà
via un bel po’ di tempo. Cercherò di andare avanti comunque, ma non aspettatevi
niente per un mesetto. Se poi riuscirò a scrivere qualcosa
prima, naturalmente aggiornerò immediatamente.
Per il resto, non
so quanti cap mancano alla fine, ma per non rovinare
il finale non dico niente riguardo alle sorti dei personaggi… Meglio il “no comment”.
Ora, vi ringrazio
come sempre per il fatto che continuate a seguirmi
nonostante i miei clamorosi e fastidiosi ritardi: grazie a tutti voi.