4. Long
time no see!
Domenica 29 maggio
Viola's Pov.
«Che ore sono?» sbadiglia Dalila accanto a me,
richiudendo la cartella clinica che ha in mano.
«Uhm, l'ultima volta che ho controllato erano le
sette» rispondo io, cercando di non perdere la concentrazione.
«Dio, è domenica!
Domenica, Viola...
come fai ad essere così presa dal lavoro?»
Annoto gli ultimi dati sulla tabella che ho davanti e mi scosto una
ciocca di capelli dalla fronte.
«Finito!» annuncio, soddisfatta, contemplando la
pila di cartelle che ho finito di controllare. «Stavi dicendo
qualcosa?» chiedo poi a Dalila, voltandomi verso di lei con
un sorriso.
Lei solleva le sopracciglia. «Ti odio, lo sai?»
«Che esagerata» sbuffo, poi allungo le braccia
verso l'alto per distendere le spalle.
«Non mi farò mai più convincere da te a
farmi mettere di turno di domenica... Domenica! Una mia amica mi aveva
invitato ad una festa, questa sera, ha detto che vuole presentarmi un
uomo troppo bello per essere vero, e io cosa faccio? Le do buca per
passare sei ore in questo cavolo di posto... ti rendi conto che non
è successo niente in sei ore? Nemmeno un
paziente!» geme e posa la fronte sulla superficie del tavolo.
«Odio essere una specializzanda»
Faccio un sorriso comprensiva. So che è dura, mi sento come
lei si sente adesso cinque giorni su sette, ma amo il mio lavoro. Amo
l'idea di poter diventare un medico a tutti gli effetti un giorno, e
cinquanta ore a settimana sono solo il prezzo da pagare per il successo.
«Hai ancora tempo per la festa, al massimo arrivi tardi, non
sarà mica la fine del mondo, no?» osservo,
pratica, raccogliendo le mie cose.
«Mh, hai ragione... ti unisci a me?»
Mi viene fuori un verso strano, tra una risata e uno sbuffo.
«Credimi, ne ho abbastanza di feste... almeno fino all'anno
prossimo» sbotto, chinandomi per raccogliere la matita che
è scivolata giù dal tavolo.
«Uh-oh... è successo qualcosa che non
so?» chiede Dalila, divertita.
«Niente di che, davvero, sto cercando di
dimenticarmene» sospiro.
«Aah! Non puoi lasciarmi così!» protesta
lei.
Faccio un sorriso maligno. «Mi dispiace, cara, ma ora devo
proprio andare... voglio fare un salto per vedere come se la passa
Fiona prima di tornare a casa» annuncio, caricandomi la borsa
in spalla.
«Ti piace davvero quella ragazzina, uh?» osserva.
Mi stringo nelle spalle, poi la saluto ed esco, dirigendomi verso la
stanza di Fiona Riva. Sì, mi sento particolarmente attaccata
a lei, anche se non saprei dire bene perché. Ha sedici anni
ed è incinta, e a causa di un distaccamento parziale della
placenta la fanno restare qui sotto osservazione, anche
perché ormai manca poco al termine della gravidanza. I suoi
genitori l'hanno cacciata di casa e a prendersi cura di lei
è la zia materna... ogni tanto passa anche il padre del
bambino. Un ragazzo sui diciotto anni, uno stronzo, secondo me. Lei lo
ha mollato ma lui continua a gironzolarle intorno, interessato al
bambino. Si vede che ci tiene a loro, ma probabilmente è
troppo orgoglioso per ammetterlo. I suoi genitori non sanno nemmeno che
ha messo incinta una ragazza, ovviamente. Fiona ha deciso di dare il
bambino in adozione, ma non ho ancora conosciuto la coppia che ha
scelto. Brave persone, è quello che si limita a dire lei
quando glielo chiedo. Forse sono troppo attaccata al caso, è
quello che mi dicono sempre gli altri medici, ma qualcosa mi lega a
questa ragazza.
Busso alla porta leggermente esitante, poi entro senza aspettare una
risposta. Fiona si volta verso di me e mi sorride.
«Viola!» esclama, felice di vedermi.
Ha smesso di darmi del Lei quasi subito e gliene sono grata, ci sono
troppe persone che mi danno dei Lei da quando sono un medico e ancora
sembra strano. Mi fa sentire vecchia.
«Ehi, come stai oggi?»
«Tutto okay, al solito... tu?»
«Sto bene anche io» le assicuro, e per un orribile
momento momento mi ritrovo a chiedermi quanto sia effettivamente vero.
Mentre salgo le scale sento il cellulare vibrare nella mia tasca.
Esausta lo tiro fuori e sgrano gli occhi. Ci sono tipo sei messaggi non
letti, tutti di Maria. Mi passo una mano tra i capelli, chiedendomi
cosa mai possa essere successo adesso.
Infilo la chiave nella serratura e apro la porta. Faccio a malapena in
tempo ad entrare che sento qualcuno afferrarmi per il braccio e
chiudere la porta alle mie spalle.
«Ma che...?» esclamo, leggermente irritata.
Maria posa entrambe le mani sulle mie spalle e mi guarda con aria
drammatica.
«Okay, ho una notizia buona e una cattiva»
annuncia, sussurrando come se sia di cruciale importanza che nessuno
per nulla al mondo senta quello che mi sta per dire.
Dio, cos'è quell'espressione da stratega impazzito? Ammetto
che mi spaventa.
«Quella buona, è che ho trovato il tuo
Leo»
Vorrei ribattere sulla categoria della notizia, ma la voce mi manca un
momento. Oh cielo, e adesso? Cosa gli dico, cosa mi invento? Come
diavolo ha fatto a trovarlo per davvero?
«Quella cattiva...»
Non fa in tempo a finire la frase, qualcuno apre la porta del
soggiorno, rimasta socchiusa alle sue spalle, e ci raggiunge in
corridoio. Senza quasi rendermene conto mi ritrovo a fissare il volto
dell'ultima e allo stesso tempo della prima persona che mi sarei mai
aspettata di trovare in casa mia senza preavviso. Un viso talmente
familiare da farmi quasi male.
«MILES!» urlo, con voce acuta, ancora incredula.
«MOOOSS!» fa lei di rimando.
Strilliamo entrambe, eccitate, e un attimo dopo ho mollato a terra il
casco e la borsa e sono corsa ad abbracciare la mia migliore amica. No,
odio questo termine riferito a lei, lei è molto
più di questo. È mia sorella... sì,
è mia sorella. E non solo per il patto di sangue che abbiamo
fatto in terza media, con lei condivido così tanto, posso
solo definirla una sorella. Siamo cresciute insieme, cavolo, mi sembra
anche giusto!
«Miles» mormoro contro la sua spalla, commossa.
«Cristo, quanto tempo» fa lei, stringendomi un po'
più forte.
«Sei stata tu ad andartene» le ricordo, in finto
tono accusatorio.
«Oh, non lo farò mai più, te lo
giuro» ride lei.
Mi scosto per poterla guardare meglio. È sempre la stessa,
infondo: occhi castani, zigomi alti, pelle chiarissima, capelli rossi,
forse portati leggermente più corti. Indossa una maglietta
rossa semplicissima assieme ad un paio di jeans neri.
Camilla Bianco è la mia più vecchia e cara amica.
Abbiamo fatto tutto insieme, dai buchi alle orecchie ai viaggi
all'estero, dalle elementari all'università. Abbiamo
condiviso trucchi, vestiti, amici, camere dal letto, perfino ragazzi...
quando eravamo all'università ci piaceva definirci l'una
l'anima gemella dell'altra, perché pensavamo in simbiosi, ci
piacevano praticamente le stesse cose e allo stesso tempo eravamo
persone completamente diverse. Una sera, dopo essere stata mollata dal
suo ragazzo, Camilla si era arrampicata sul mio balcone e si era
intrufolata nella mia stanza e nel mio letto. L'avevo abbracciata per
ore, incurante del sonno che perdevo, e all'alba lei aveva finalmente
parlato, e le prime parole che erano uscite dalla sua bocca erano state
“Vì, non avrò mai bisogno di un uomo
finché ci sarai tu. Sei tu la mia anima gemella”.
Subito dopo ci eravamo guardate, per un attimo entrambe avevamo
analizzato il significato di quella frase, poi eravamo scoppiate a
ridere come due sceme, nello stesso preciso istante. Avevamo continuato
a definirci così, però, perché
sapevamo che se davvero esistevano, le anime gemelle, noi lo eravamo
l'una dell'altra. Camilla, da quanto tempo non la vedo? Almeno un anno,
da quando è partita per l'Inghilterra per diventare
un'attrice. Abbiamo continuato a scriverci, sì, ma non era
la stessa cosa... ma ora è qui, è qui davanti a
me. Non ci posso credere.
«Voi due... vi conoscete?» chiede Maria,
leggermente allucinata.
Mi volto verso di lei.
«Stai scherzando? Abbiamo passato ogni giorno della nostra
vita assieme fino a compiere venticinque anni!» esclama
Camilla, poi si volta a guardarmi, divertita. «Cavoli,
pensavo di essermi liberata di te!» scherza.
Scoppio a ridere. «Ti piacerebbe, ammettilo!»
Maria ha una strana espressione, una specie di miscuglio tra sorpresa e
puro terrore. La guardo perplessa, lei si limita a stringere le labbra
e spostare lo sguardo su qualcosa al di là della mia spalla.
Mi volto, confusa, e per poco non tiro un altro strillo. È
qui! Leo dell'altra notte! Se possibile ancora più
maledettamente affascinante, nonostante l'espressione alquanto confusa
sul viso. Mi riconosce e accenna un sorriso, che però si
incrina appena non appena vede il braccio di Camilla ancora attorno
alle mie spalle. Ma aspetta, cosa diavolo ci fa lui qui?
«Oh, Viola, quasi dimenticavo!» esclama questa,
lasciandomi andare e raggiungendolo, «lui è
Leonardo, il mio fidanzato».
In un momento il mio mondo cade a pezzi. Letteralmente, mi sembra
perfino di udire i cocci di ciò che ne rimane frantumarsi
sul pavimento. Il bello è che non sono nemmeno sicura di
aver elaborato completamente il senso della sua frase. Lui, Leo, no,
Leonardo... fidanzato. Il suo fidanzato. Oh merda. Ho voglia di
strillarlo, ma riesco miracolosamente a trattenermi. Mi mordo forte il
labbro inferiore e faccio un sorriso tirato.
«Piacere di conoscerti, Leo» squittisco,
porgendogli la mano destra.
Lui annuisce appena, a sua volta probabilmente cercando di capire
quello che è appena successo.
«Piacere mio, Viola.»
Il modo in cui scandisce il mio nome ha qualcosa di strano,
è come se volesse dirmi qualcosa pronunciandolo. Beh, non
sono troppo brava con queste cose, quindi forse è meglio
ignorarlo e basta.
C'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo.
Più che sbagliato... si tratta di un enorme errore cosmico.
Sono andata a letto con il fidanzato della mia migliore amica. Ubriaca,
e senza sapere che lo fosse, ma comunque, l'ho fatto. E adesso, in
questo istante, ho fatto finta che non sia successo, perciò
se davvero il fatto di non aver avuto idea di chi fosse quando ci ho
dormito insieme è abbastanza per
“scagionarmi”, me lo sono appena giocata.
«Viola, tutto bene?»
Mi conosce troppo bene. Sono davvero,
davvero fregata.
«Sì, sono solo sorpresa» mento,
sforzandomi di continuare a sorridere, «uhm, cosa... cosa ci
fate qui?»
In realtà lo so benissimo, Maria sarà riuscita a
contattare Leo e lo avrà invitato qui nella speranza di
farci rincontrare e innamorare a prima vista... o meglio a seconda
vista. Lui però si è portato dietro anche la sua
ragazza, Camilla, ignara di tutto. E ora eccoci qua, in questa triste e
imbarazzante situazione.
«Li ho invitati io!» si intromette Maria, facendo
qualche passo avanti fino a trovarsi al mio fianco, «Leo
è un amico di Alessandro, hai presente? Il nuovo ragazzo di
Sofia»
Ho un vago ricordo di un uomo alto e dalle spalle larghe. Annuisco,
invitandola a continuare.
«Ho saputo che erano appena arrivati in città e,
sai come sono, ho pensato di offrir loro un caffè... a
quanto pare il mondo è piccolo»
Davvero, davvero piccolo.
«Abbiamo un problema» annuncio, chiudendo la porta
della cucina alle mie spalle.
Leo mi guarda, leggermente divertito, e per un momento ho voglia di
scaraventargli addosso una sedia. Non si rende conto della situazione
in cui mi ha cacciata? Come fa a trovare tutto questo comico? Per me
è un incubo.
«Puoi farmi la cortesia di toglierti quel sorrisetto dalla
faccia?» gli dico, nervosa.
Lui alza le mani in segno di resa. Sembra comunque tranquillo, per
nulla turbato dalla mia profonda disperazione. Mi chiedo come mai lo
sia, perché l'idea di aver tradito la sua ragazza con la sua
migliore amica non lo turbi nemmeno un poco.
«Dicevi?»
Scuoto appena la testa, liberandomi dei pensieri superflui.
«Camilla...» mormoro, appoggiandomi al frigo e
chiudendo gli occhi un momento.
«Vi conoscete da quanto...?»
«Da quando avevamo otto anni... è stata
praticamente cresciuta dalla mia famiglia» mi mordo la
lingua, pentendomi subito di quello che ho appena detto, «no,
scusa... non dirgli che te l'ho detto» borbotto, coprendomi
il viso con entrambe le mani.
«Cam non ha avuto un'infanzia molto felice, non è
così?» chiede lui, facendosi serio improvvisamente.
«Te ne ha parlato?»
Si stringe nelle spalle, «Mi ha accennato qualcosa, ma niente
di dettagliato... non le piace affrontare l'argomento»
Annuisco, mordicchiandomi il labbro inferiore. In questo siamo
terribilmente simili.
«Beh, se lei non ti ha detto niente non vedo
perché dovrei farlo io» decido di far cadere
l'argomento, non voglio pensarci in questo momento.
Lui sembra leggermente deluso. «Eri decisamente
più amichevole ieri sera» commenta, ironico.
Socchiudo gli occhi. «Ero ubriaca» gli ricordo,
sottolineando pesantemente la parola.
«Questo spiega molte cose»
Ecco, seconda volta che sento un commento del genere in due giorni.
Dio, sono davvero così orribile? Storgo le labbra, cercando
inutilmente di dimenticare quello che ha appena detto.
«Tu non lo eri?» ribatto, irritata.
«Sì, lo ero» ammette lui, quasi
noncurante.
Giuro, non lo capisco, non ho assolutamente idea di cosa stia
succedendo nella sua testa. Sinceramente dubito perfino sia al corrente
della gravità della situazione.
«Leo!» lo richiamo, spazientita.
Lui solleva le sopracciglia, perplesso. «Viola?»
«Siamo andati a letto assieme!» probabilmente avrei
fatto molta più scena gridandogli questa frase in faccia, ma
sono terrorizzata all'idea che qualcun altro senta il contenuto di
questa conversazione.
«Lo so» annuisce.
E...? Okay, è ufficiale, lo odio. Come si può
essere così impassibili? Come si può trovare
tutto questo divertente? Non gli passa nemmeno per la testa che potrei
raccontare a Camilla tutto di come si sia approfittato dei miei drink
di troppo per portarmi a letto? Okay, non ho nessuna prova concreta di
quest'ultima affermazione, ma Dio sa quanto spero che sia andata
così, dopotutto, e che non abbia davvero trovato questo
individuo interessante per più di un minuto. Okay, ammetto
che è interessante fisicamente. Più che
interessante, è davvero, davvero carino... ma non
è questo il punto, il punto è: tirargli uno
schiaffo adesso sarebbe esagerato?
«Lo sai, bene, e io che temevo che te ne fossi
dimenticato!» esclamo, profondamente sarcastica,
«hai una ragazza! La tua ragazza è la mia migliore
amica! Come puoi non vedere il problema? Come puoi non sentirti nemmeno
un po' in colpa?!»
«È ovvio, no? Sono un robot senza
sentimenti»
Gemo e chiudo gli occhi, «Ti prego, smettila di
scherzare»
Quando lo guardo di nuovo sta annuendo piano, serio, lo sguardo fisso
su un punto indefinito del pavimento, assorto.
«È molto semplice, Viola» dice, dopo
essersi accorto che la mia attenzione è di nuovo su di lui.
«La scorsa notte, la notte che ho passato con te, non ero
affatto il ragazzo di Cam»
Per un attimo cade il silenzio più assoluto, mentre il lo
guardo con l'espressione di qualcuno che è appena stato
schiaffeggiato e non è ancora passato dallo stato di
sorpresa a quello di rabbia, elaborando la cosa.
«Non stavate insieme?» chiedo finalmente, con un
tono stupidamente scettico.
«Ci eravamo lasciati tre giorni prima...» spiega
lui, annuendo.
«Che?»
«...e siamo tornati assieme ieri sera»
Se non avessi giurato a me stessa di non bere mai più in
tutto il resto della mia vita in questo momento avrei già
preso la bottiglia di vino che c'è in frigo e l'avrei
svuotata. Solo l'alcol può aiutare a rendere queste
situazioni meno assurde.
«Quindi, visto che non stavate assieme la notte in cui noi
due siamo andati a letto insieme, non conta come tradimento?»
chiedo, sempre scettica.
«Così è come la vedo»
Non ci vuole un genio per capire che probabilmente è una
scusa che si è costruito da solo, ieri mattina, quando si
è reso conto di aver passato la notte con una completa
sconosciuta. Qualcosa però mi dice che non lo ammetterebbe
mai, che gli piace questa sua immagine di uomo che ha tutto sotto
controllo, che non si lascia prendere dal panico. Al contrario di me,
insomma.
«Allora è vero, sei uno stronzo»
Vedo la sua espressione cambiare all'improvviso, e godo segretamente di
quell'aria di smarrimento che non riesce a nascondere per qualcosa come
cinque secondi. Sono riuscita a scalfirlo, finalmente.
«Scusa?»
«Se credi davvero che quello che hai fatto sia assolutamente
innocente e sei davvero innamorato di Camilla, perché
diavolo hai fatto finta di non conoscermi quando mi hai vista, mezz'ora
fa?!» chiedo, arrabbiata.
Stringe le labbra, a corto di parole: un altro punto a mio favore.
Trattengo un sorriso trionfante. In fondo non ci vuole tanto per capire
come funziona la sua testa, adesso ce l'ho in pugno.
«Benissimo, dato che ora ti sei reso conto che siamo sulla
stessa barca, dobbiamo decidere cosa fare»
Mi guarda perplesso. «Non è ovvio? Ce ne
dimentichiamo... è stato l'errore di una notte e in ogni
caso non c'è possibilità che si ripeta,
giusto?» osserva.
«Oh, puoi contarci» commento.
Lui sembra leggermente offeso da questa affermazione.
«Cos'è, non ti è piaciuto?
Perché da dove stavo io ti posso assicurare che davi tutta
un'altra impressione» ribatte.
Lo guardo malissimo, come osa?
«Dio, non mi ricordo nemmeno come sia successo, come vuoi che
mi ricordi delle tue prestazioni?»
«Allora fidati della mia parola. Ti è piaciuto.
Entrambe le volte»
«Ti diverti a rigirare il coltello della piaga, eh?»
Sorride, senza rispondere, io scuoto piano la testa, mormorando un
“incredibile” piuttosto seccato.
«Allora? Siamo d'accordo?» chiede lui, impaziente,
dopo una pausa di qualche secondo.
Sospiro. Odio questa situazione, l'ho già detto? Come posso
accettare di nascondere una cosa del genere alla mia migliore amica?
Perché non riesco semplicemente a mandare a quel paese
questo individuo e andare a dirle tutto? Forse si arrabbierà
con me, ma realizzerà che sono innocente, no? E anche se non
lo farà saprà la verità. Si merita la
verità.
«Leo, mi dispiace, non...»
«Oh, ti prego!» si alza in piedi di scatto,
arrabbiato, io lo guardo impotente.
«Non posso farle questo...» mormoro.
Improvvisamente sento le sue mani calde sulle mie spalle e sussulto.
«Amo Camilla, la amo con tutto me stesso» sussurra,
guardandomi intensamente negli occhi, tanto intensamente da farmi
rabbrividire. «Non l'avrei mai, mai tradita se lei non mi
avesse fatto soffrire così tanto, e non hai idea di quanto
sono felice di essere tornato insieme a lei. Non portarmela via. Ti
prego»
Stringo le labbra e abbasso lo sguardo, senza riuscire a sostenere il
suo. Sembra sincero, davvero sincero, ma questo non toglie come tenere
il segreto mi fa sentire. Lui mi scrolla appena, per ritrovare la mia
attenzione.
«Ti giuro, Viola, che non farò mai nulla che
farà soffrire te o Camilla in qualsiasi modo. Ho fatto un
casino, ma ho troppa paura di perderla, e mi dispiace... davvero, mi
dispiace. Credimi, ti chiedo solo questo, fidati di me e ti
dimostrerò di poter essere quello giusto per lei»
Qualcosa nella mia testa mi dice che non è a me che deve
fare questi discorsi, ma a lei, dopo averle confessato tutto. Eppure
conosco Camilla, come a quanto pare la conosce lei, e so che non lo
ascolterebbe mai. È uno dei suoi difetti, il rifiuto di
concederti l'opportunità di spiegare. Righi dritto e sei a
posto, fai un errore e non avrai più la sua fiducia, nessuna
via di mezzo, nessun modo di redimersi.
«Non la tradirai più?» chiedo, con voce
flebile.
«Mai più» conferma lui, deciso.
Sospiro, rendendomi conto di avere le mani legate.
«D'accordo allora...» mi arrendo.
Lui sembra rilassarsi appena, mi lascia andare e mi porge la mano
destra. Esito un attimo, poi la prendo e la stringo.
«Grazie» mormora lui.
Devo mordermi la lingua per non mandarlo a quel paese.
Guardo l'acqua scorrere assorta, mentre mi chiedo per l'ennesima volta
se abbia fatto la cosa giusta. So che non è così,
e so anche che per quanto cerchi di convincermi che sto mentendo alla
mia migliore amica perché davvero credo in Leo, in
realtà lo faccio perché ho paura che si arrabbi
con me. Sospiro e mi passo una mano tra i capelli, ignorando il fatto
che sia bagnata. Ormai ho la sensazione di non poter più
tornare indietro. Il danno è fatto. Maledizione.
«Ehi, ti serve aiuto?»
Mi volto e sorrido automaticamente, vedendo Camilla. «Magari,
grazie»
Annuendo lei mi raggiunge davanti al lavandino. «Dammi
istruzioni, capo» esclama.
Scoppio a ridere. «Uhm, vediamo... finisci di lavare questi
pomodori e poi tagliali a cubetti»
«Uh, sei davvero sicura di volermi affidare un arnese tanto
pericoloso?» scherza, guardando il coltello già
pronto sul ripiano accanto al tagliere.
Scuoto la testa, fingendomi esasperata, poi rido di nuovo.
«Beh, è l'unico lavoro che posso affidarti senza
rischiare che ci avveleni tutti» ribatto.
Lei sogghigna. «Tanto so che adori la mia cucina»
«Ceeerto, come puoi non adorare qualcosa che è
dolce, salato, bruciato e crudo allo stesso tempo?» ricordo,
sarcastica.
«Oh mio Dio, mi ricordo! Dublino, quarta liceo...»
«Ultima sera, i nostri ospiti ci hanno chiesto di cucinare
qualcosa di italiano...»
«E tu continuavi a ripetere che era meglio tenersi sul
semplice e fare degli spaghetti al pomodoro...»
«Ma tu “Noo, è troooppo scontato! Molto
meglio fare...” cos'è che era?»
«Agnello alle olive!»
Siamo entrambe piegate in due dalle risate, tanto che per un momento
nessuna riesce ad aggiungere nulla, e il bello è che
più ci immaginiamo la scena più ci viene da
ridere.
«Non mi scorderò mai la faccia di Mr O'Donnel
quando tutto convinto si è messo in bocca tutta la
fetta!» Riprendo, non appena riesco a trovare abbastanza
fiato per parlare.
«E non voleva sputare perché gli sembrava
scortese, così si è allargato il colletto della
camicia, è diventato tutto rosso e mi ha fatto un mezzo
sorriso troppo impegnato a non far vedere che aveva un sapore
orribile» continua lei.
«E tu ti sei chinata verso di me tutta preoccupata e mi hai
chiesto “Oddio, ho fatto qualcosa di
sbagliato?”»
«Certo che sei stata ben stronza però, eh!
Cioè, non hai nemmeno provato a sconsigliarmi di fare
qualcosa di più semplice, hai fatto la tua pasta e poi sei
andata ad annunciare che avevamo deciso di dividerci i compiti e che tu
ti eri incaricata del primo!» esclama, fingendosi offesa,
«nemmeno dividere l'imbarazzo con la tua amica
d'infanzia!»
«Come non ho provato? Sono stata due ore a dirti che era una
cattiva idea, eri tu che non mi ascoltavi!» ribatto, senza
smettere di ridere.
«Dio, non respiro» ansima lei, mentre io cerco di
asciugare le lacrime senza sbavare troppo il trucco.
«Bei tempi» mormoro, dopo un po'.
Lei sorride e annuisce, poi si passa una mano sugli occhi e si volta
per togliere i pomodori dal lavandino e chiudere l'acqua. So quello che
sta pensando, sto pensando la stessa cosa, accade spesso. Uso uno degli
elastici che ho al polso per legarmi i capelli e accendo il fuoco sotto
la pentola piena d'acqua.
«Allora, per che piatto sto dando il mio prezioso
contributo?» chiede lei dopo qualche minuto di silenzio.
«Visto che è tardi ho deciso di fare una pasta.
Pomodoro e mozzarella» spiego, prendendo una confezione di
quest'ultima dal frigo e spostandomi davanti al lavandino per aprirla.
Tolgo il liquido in eccesso, poi prendo un altro tagliere e un coltello
e la taglio velocemente a cubetti, che poi verso nella terrina che ho
preparato prima. Dopo essermi sciacquata le mani, mi volto verso
Camilla e la osservo per un po'.
«Perché hai tagliato i ponti, Miles?»
chiedo, dopo qualche esitazione.
La vedo irrigidirsi appena, ma so che si aspettava la domanda.
«Non ho tagliato i ponti» ribatte, continuando a
darmi le spalle.
«Hai smesso di richiamarmi, di rispondere alle mie mail...
capisco che fossi impegnata, ma davvero fino a questo punto? E sei in
Italia da quanto?»
«Da un po'...» fa lei, vaga.
«Miles» la prego, spazientita.
«Tre mesi» ammette finalmente.
Tre mesi sono nulla in confronto alla vita che abbiamo passato insieme,
ma sento una piccola fitta al petto comunque. Durante tutto questo
tempo mi sono sempre detta che l'Inghilterra era lontana e le chiamate
costavano e gli impegni erano molti, sapevo che alla fine erano scuse,
scuse che inventavo con me stessa per non dover pensare che una delle
persone alle quali tengo più al mondo sembrava quasi volermi
tagliare fuori dalla sua vita. Ma in Italia? Cosa l'ha trattenuta dal
chiamarmi?
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiedo, esitante.
«Moss, ti prego...»
«Vorrei solo...»
«Non hai fatto
niente
di sbagliato, okay? Hai fatto tutto maledettamente giusto!»
esclama, lasciando andare di scatto il coltello e portandosi entrambe
le mani al volto.
Sussulto, colta alla sprovvista. «Cosa vuoi dire?»
«La tua vita... sei... perfetta!» sussurra, come se
stesse dicendo qualcosa di terribilmente ovvio.
«Perfetta?» chiedo io, scettica.
«Sì, cazzo! Ragazzi perfetti, voti perfetti...
tutti ti adorano! Stai diventando quello che hai sempre voluto essere e
ti sta venendo bene!» elenca, nello stesso tono di prima.
«Vuoi sapere perché ho smesso di richiamarti? Per
quello che mi hai detto poco prima che partissi!»
«Sii straordinaria» ricordo, poi mi mordo il labbro
inferiore, la sensazione di cominciare a capire cosa ha intenzione di
dire.
«Già, straordinaria. Credevo davvero di poterlo
essere, ma non è durato nemmeno tre giorni. A quanto pare
faccio schifo come attrice, non ho una voce abbastanza potente o una
personalità abbastanza forte... sono arrivata lì
solo per vedere tutti i miei sogni infrangersi» scoppia a
piangere così, davanti ai miei occhi, e io corro ad
abbracciarla senza nemmeno pensarci.
«Non essere sciocca» le mormoro, mentre lei si
abbandona ai singhiozzi contro la mia spalla. «Lo sai che non
è così... hai un talento immenso, Miles, e Dio,
chiunque dica che non hai una personalità abbastanza forte
semplicemente non ti conosce davvero» le afferro le spalle e
la spingo appena indietro per poterla guardare negli occhi.
«Io so chi sei» dico, seria, scostandole i capelli
dal viso, «e so che se pensi davvero anche solo per un minuto
che io sia meglio di te ti sbagli di grosso»
Lei si fa sfuggire un altro singhiozzo, ma le sue labbra si sono
piegate in un mezzo sorriso.
«Sta' zitta» mugugna.
Sorrido anche io. «Tu sta' zitta»
Lei ride e mi abbraccia di nuovo, e io la stringo forte. Sento di nuovo
una fitta al petto, mentre i sensi di colpa mi assalgono.
«Resta qui» le propongo, dopo un attimo di silenzio.
«C-cosa?» chiede lei, disorientata, la voce ancora
rotta dalle lacrime.
«Non ha senso che restiate in un hotel schifoso, io qui ho
una stanza in più»
«Non posso permettermi di pagarti l'affitto»
protesta.
Le do una pacca scherzosa sulla testa. «Sei mia sorella,
scema, non mi devi pagare l'affitto» le ricordo.
Lei scioglie l'abbraccio e si asciuga gli occhi alla meno peggio con le
mani.
«Non sarà per sempre. Ti giuro che non appena
troverò un lavoro contribuirò alle spese della
casa, e non appena avrò abbastanza soldi mi
cercherò un mio appartamento...»
Sorrido. «Ogni cosa al suo tempo»
I suoi occhi si fanno umidi di nuovo, ma questa volta so che non
è per la tristezza. Ci abbracciamo una terza volta, ridendo.
No, Miles, non sei nemmeno lontanamente meglio di me.
*** Spazio Autrici ***
What up, my peeps? ;D
Dunque, Mr Leo è il fidanzato della BFF di Viola! Alzi la
mano chi lo aveva capito! (Secondo me nessuno asd) Allora? Che ne dite?
Sono cattiva? Forse solo un pochino ;) Mi servono le vostre
opinioniiii, perciò recensite pliiiiis **
Siamo a buon punto con la stesura (annuisce) io al capitolo 8 mentre la
mia socia al 7 (che sarà mooolto lungo :DD) e personalmente
sto già programmando un po' di drama.
Sìsì, non sono cambiata di una virgola u.u
Comunque, nel prossimo capitolo avrete un grosso indizio sul passato di
Viola (per chi di voi non stia già sospettando qualcosa) di
cui però non ho intenzione di rivelare assolutamente niente
almeno fino al capitolo 8, perciò siate pazienti e
recensite, perché senza opinioni mi viene il blocco dello
scrittore e non riesco più a scrivere due righe senza
qualche complesso di inferiorità. Perciò,
perfavore, recensiteci! (A coloro che hanno cliccato su "ultimo
capitolo" e stanno sbirciando di cosa si tratta) non serve aver letto
ds e ds2! Potete anche leggerli dopo, ma dateci un motivo per
continuare a pubblicare! Riempite di gioia le nostre piccole vite *^*
(sono d'accordissimo su tutto quello che ha appena detto la mia socia,
e l'ho già scritto nello scorso capitolo x) NdLalla)
Okay, credo di essere stata abbastanza chiara xD
Altro? Ohsì, le fooooto dei personaggini nuovi!
Dalila
Camilla
Finito! Sono stata breve? Non lo so, ma direi di aver detto tutto
quello che c'era da dire. Tanto se ho dimenticato qualcosa lo
aggiungerà la Lalla (mhm, secondo me no :) NdLalla)
Okayokay, ciao!! ^O^
xo, Leslie and Lalla