Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Leslie and Lalla    13/06/2011    2 recensioni
[Attenzione: può essere letta anche senza aver letto Drawing a Song 1 e 2]
Lei è Evelyn Evans, ventisei anni da compiere, laureata da poco in psicologia, insicura su tutto ma decisa a conoscere i suoi genitori biologici prima di sposare il fidanzato Danny. Ha come l'impressione che la sua vita non sia il cammino sorprendente fatto di scelte inaspettate di cui le parlano i libri, anche se vorrebbe tanto che fosse così.
L'altra è Viola Dumas, ventisei anni appena compiuti, il suo obiettivo è diventare un medico brillante, decisa e risoluta, sa quello che vuole dalla sua vita e non si concede distrazioni, soprattutto per pensare alla sua infanzia, che tutto quello che vorrebbe fare è dimenticare.
Ma cosa succederebbe se sulla strada di Evelyn si presentasse un affascinante, trasgressivo e giramondo musicista che la immerge del tutto nella bolla di sapone fatta di divertimento, arte e voglia di esprimere se stesso tramite una canzone in cui sembra che viva lui?
E a Viola, invece, cosa succederebbe se una mattina si svegliasse accanto ad un uomo completamente sconosciuto? E se quell'uomo fosse proprio l'ultima persona con cui sarebbe dovuta andare a letto?
[Scritta a quattro mani]
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'All of Drawing a Song and Sequels'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A









4. Long time no see!




Domenica 29 maggio

Viola's Pov.

«Che ore sono?» sbadiglia Dalila accanto a me, richiudendo la cartella clinica che ha in mano.
«Uhm, l'ultima volta che ho controllato erano le sette» rispondo io, cercando di non perdere la concentrazione.
«Dio, è domenica! Domenica, Viola... come fai ad essere così presa dal lavoro?»
Annoto gli ultimi dati sulla tabella che ho davanti e mi scosto una ciocca di capelli dalla fronte.
«Finito!» annuncio, soddisfatta, contemplando la pila di cartelle che ho finito di controllare. «Stavi dicendo qualcosa?» chiedo poi a Dalila, voltandomi verso di lei con un sorriso.
Lei solleva le sopracciglia. «Ti odio, lo sai?»
«Che esagerata» sbuffo, poi allungo le braccia verso l'alto per distendere le spalle.
«Non mi farò mai più convincere da te a farmi mettere di turno di domenica... Domenica! Una mia amica mi aveva invitato ad una festa, questa sera, ha detto che vuole presentarmi un uomo troppo bello per essere vero, e io cosa faccio? Le do buca per passare sei ore in questo cavolo di posto... ti rendi conto che non è successo niente in sei ore? Nemmeno un paziente!» geme e posa la fronte sulla superficie del tavolo. «Odio essere una specializzanda»
Faccio un sorriso comprensiva. So che è dura, mi sento come lei si sente adesso cinque giorni su sette, ma amo il mio lavoro. Amo l'idea di poter diventare un medico a tutti gli effetti un giorno, e cinquanta ore a settimana sono solo il prezzo da pagare per il successo.
«Hai ancora tempo per la festa, al massimo arrivi tardi, non sarà mica la fine del mondo, no?» osservo, pratica, raccogliendo le mie cose.
«Mh, hai ragione... ti unisci a me?»
Mi viene fuori un verso strano, tra una risata e uno sbuffo.
«Credimi, ne ho abbastanza di feste... almeno fino all'anno prossimo» sbotto, chinandomi per raccogliere la matita che è scivolata giù dal tavolo.
«Uh-oh... è successo qualcosa che non so?» chiede Dalila, divertita.
«Niente di che, davvero, sto cercando di dimenticarmene» sospiro.
«Aah! Non puoi lasciarmi così!» protesta lei.
Faccio un sorriso maligno. «Mi dispiace, cara, ma ora devo proprio andare... voglio fare un salto per vedere come se la passa Fiona prima di tornare a casa» annuncio, caricandomi la borsa in spalla.
«Ti piace davvero quella ragazzina, uh?» osserva.
Mi stringo nelle spalle, poi la saluto ed esco, dirigendomi verso la stanza di Fiona Riva. Sì, mi sento particolarmente attaccata a lei, anche se non saprei dire bene perché. Ha sedici anni ed è incinta, e a causa di un distaccamento parziale della placenta la fanno restare qui sotto osservazione, anche perché ormai manca poco al termine della gravidanza. I suoi genitori l'hanno cacciata di casa e a prendersi cura di lei è la zia materna... ogni tanto passa anche il padre del bambino. Un ragazzo sui diciotto anni, uno stronzo, secondo me. Lei lo ha mollato ma lui continua a gironzolarle intorno, interessato al bambino. Si vede che ci tiene a loro, ma probabilmente è troppo orgoglioso per ammetterlo. I suoi genitori non sanno nemmeno che ha messo incinta una ragazza, ovviamente. Fiona ha deciso di dare il bambino in adozione, ma non ho ancora conosciuto la coppia che ha scelto. Brave persone, è quello che si limita a dire lei quando glielo chiedo. Forse sono troppo attaccata al caso, è quello che mi dicono sempre gli altri medici, ma qualcosa mi lega a questa ragazza.
Busso alla porta leggermente esitante, poi entro senza aspettare una risposta. Fiona si volta verso di me e mi sorride.
«Viola!» esclama, felice di vedermi.
Ha smesso di darmi del Lei quasi subito e gliene sono grata, ci sono troppe persone che mi danno dei Lei da quando sono un medico e ancora sembra strano. Mi fa sentire vecchia.
«Ehi, come stai oggi?»
«Tutto okay, al solito... tu?»
«Sto bene anche io» le assicuro, e per un orribile momento momento mi ritrovo a chiedermi quanto sia effettivamente vero.


Mentre salgo le scale sento il cellulare vibrare nella mia tasca. Esausta lo tiro fuori e sgrano gli occhi. Ci sono tipo sei messaggi non letti, tutti di Maria. Mi passo una mano tra i capelli, chiedendomi cosa mai possa essere successo adesso.
Infilo la chiave nella serratura e apro la porta. Faccio a malapena in tempo ad entrare che sento qualcuno afferrarmi per il braccio e chiudere la porta alle mie spalle.
«Ma che...?» esclamo, leggermente irritata.
Maria posa entrambe le mani sulle mie spalle e mi guarda con aria drammatica.
«Okay, ho una notizia buona e una cattiva» annuncia, sussurrando come se sia di cruciale importanza che nessuno per nulla al mondo senta quello che mi sta per dire.
Dio, cos'è quell'espressione da stratega impazzito? Ammetto che mi spaventa.
«Quella buona, è che ho trovato il tuo Leo»
Vorrei ribattere sulla categoria della notizia, ma la voce mi manca un momento. Oh cielo, e adesso? Cosa gli dico, cosa mi invento? Come diavolo ha fatto a trovarlo per davvero?
«Quella cattiva...»
Non fa in tempo a finire la frase, qualcuno apre la porta del soggiorno, rimasta socchiusa alle sue spalle, e ci raggiunge in corridoio. Senza quasi rendermene conto mi ritrovo a fissare il volto dell'ultima e allo stesso tempo della prima persona che mi sarei mai aspettata di trovare in casa mia senza preavviso. Un viso talmente familiare da farmi quasi male.
«MILES!» urlo, con voce acuta, ancora incredula.
«MOOOSS!» fa lei di rimando.
Strilliamo entrambe, eccitate, e un attimo dopo ho mollato a terra il casco e la borsa e sono corsa ad abbracciare la mia migliore amica. No, odio questo termine riferito a lei, lei è molto più di questo. È mia sorella... sì, è mia sorella. E non solo per il patto di sangue che abbiamo fatto in terza media, con lei condivido così tanto, posso solo definirla una sorella. Siamo cresciute insieme, cavolo, mi sembra anche giusto!
«Miles» mormoro contro la sua spalla, commossa.
«Cristo, quanto tempo» fa lei, stringendomi un po' più forte.
«Sei stata tu ad andartene» le ricordo, in finto tono accusatorio.
«Oh, non lo farò mai più, te lo giuro» ride lei.
Mi scosto per poterla guardare meglio. È sempre la stessa, infondo: occhi castani, zigomi alti, pelle chiarissima, capelli rossi, forse portati leggermente più corti. Indossa una maglietta rossa semplicissima assieme ad un paio di jeans neri.
Camilla Bianco è la mia più vecchia e cara amica. Abbiamo fatto tutto insieme, dai buchi alle orecchie ai viaggi all'estero, dalle elementari all'università. Abbiamo condiviso trucchi, vestiti, amici, camere dal letto, perfino ragazzi... quando eravamo all'università ci piaceva definirci l'una l'anima gemella dell'altra, perché pensavamo in simbiosi, ci piacevano praticamente le stesse cose e allo stesso tempo eravamo persone completamente diverse. Una sera, dopo essere stata mollata dal suo ragazzo, Camilla si era arrampicata sul mio balcone e si era intrufolata nella mia stanza e nel mio letto. L'avevo abbracciata per ore, incurante del sonno che perdevo, e all'alba lei aveva finalmente parlato, e le prime parole che erano uscite dalla sua bocca erano state “Vì, non avrò mai bisogno di un uomo finché ci sarai tu. Sei tu la mia anima gemella”. Subito dopo ci eravamo guardate, per un attimo entrambe avevamo analizzato il significato di quella frase, poi eravamo scoppiate a ridere come due sceme, nello stesso preciso istante. Avevamo continuato a definirci così, però, perché sapevamo che se davvero esistevano, le anime gemelle, noi lo eravamo l'una dell'altra. Camilla, da quanto tempo non la vedo? Almeno un anno, da quando è partita per l'Inghilterra per diventare un'attrice. Abbiamo continuato a scriverci, sì, ma non era la stessa cosa... ma ora è qui, è qui davanti a me. Non ci posso credere.
«Voi due... vi conoscete?» chiede Maria, leggermente allucinata.
Mi volto verso di lei.
«Stai scherzando? Abbiamo passato ogni giorno della nostra vita assieme fino a compiere venticinque anni!» esclama Camilla, poi si volta a guardarmi, divertita. «Cavoli, pensavo di essermi liberata di te!» scherza.
Scoppio a ridere. «Ti piacerebbe, ammettilo!»
Maria ha una strana espressione, una specie di miscuglio tra sorpresa e puro terrore. La guardo perplessa, lei si limita a stringere le labbra e spostare lo sguardo su qualcosa al di là della mia spalla. Mi volto, confusa, e per poco non tiro un altro strillo. È qui! Leo dell'altra notte! Se possibile ancora più maledettamente affascinante, nonostante l'espressione alquanto confusa sul viso. Mi riconosce e accenna un sorriso, che però si incrina appena non appena vede il braccio di Camilla ancora attorno alle mie spalle. Ma aspetta, cosa diavolo ci fa lui qui?
«Oh, Viola, quasi dimenticavo!» esclama questa, lasciandomi andare e raggiungendolo, «lui è Leonardo, il mio fidanzato».
In un momento il mio mondo cade a pezzi. Letteralmente, mi sembra perfino di udire i cocci di ciò che ne rimane frantumarsi sul pavimento. Il bello è che non sono nemmeno sicura di aver elaborato completamente il senso della sua frase. Lui, Leo, no, Leonardo... fidanzato. Il suo fidanzato. Oh merda. Ho voglia di strillarlo, ma riesco miracolosamente a trattenermi. Mi mordo forte il labbro inferiore e faccio un sorriso tirato.
«Piacere di conoscerti, Leo» squittisco, porgendogli la mano destra.
Lui annuisce appena, a sua volta probabilmente cercando di capire quello che è appena successo.
«Piacere mio, Viola.»
Il modo in cui scandisce il mio nome ha qualcosa di strano, è come se volesse dirmi qualcosa pronunciandolo. Beh, non sono troppo brava con queste cose, quindi forse è meglio ignorarlo e basta.
C'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo. Più che sbagliato... si tratta di un enorme errore cosmico. Sono andata a letto con il fidanzato della mia migliore amica. Ubriaca, e senza sapere che lo fosse, ma comunque, l'ho fatto. E adesso, in questo istante, ho fatto finta che non sia successo, perciò se davvero il fatto di non aver avuto idea di chi fosse quando ci ho dormito insieme è abbastanza per “scagionarmi”, me lo sono appena giocata.
«Viola, tutto bene?»
Mi conosce troppo bene. Sono davvero, davvero fregata.
«Sì, sono solo sorpresa» mento, sforzandomi di continuare a sorridere, «uhm, cosa... cosa ci fate qui?»
In realtà lo so benissimo, Maria sarà riuscita a contattare Leo e lo avrà invitato qui nella speranza di farci rincontrare e innamorare a prima vista... o meglio a seconda vista. Lui però si è portato dietro anche la sua ragazza, Camilla, ignara di tutto. E ora eccoci qua, in questa triste e imbarazzante situazione.
«Li ho invitati io!» si intromette Maria, facendo qualche passo avanti fino a trovarsi al mio fianco, «Leo è un amico di Alessandro, hai presente? Il nuovo ragazzo di Sofia»
Ho un vago ricordo di un uomo alto e dalle spalle larghe. Annuisco, invitandola a continuare.
«Ho saputo che erano appena arrivati in città e, sai come sono, ho pensato di offrir loro un caffè... a quanto pare il mondo è piccolo»
Davvero, davvero piccolo.


«Abbiamo un problema» annuncio, chiudendo la porta della cucina alle mie spalle.
Leo mi guarda, leggermente divertito, e per un momento ho voglia di scaraventargli addosso una sedia. Non si rende conto della situazione in cui mi ha cacciata? Come fa a trovare tutto questo comico? Per me è un incubo.
«Puoi farmi la cortesia di toglierti quel sorrisetto dalla faccia?» gli dico, nervosa.
Lui alza le mani in segno di resa. Sembra comunque tranquillo, per nulla turbato dalla mia profonda disperazione. Mi chiedo come mai lo sia, perché l'idea di aver tradito la sua ragazza con la sua migliore amica non lo turbi nemmeno un poco.
«Dicevi?»
Scuoto appena la testa, liberandomi dei pensieri superflui.
«Camilla...» mormoro, appoggiandomi al frigo e chiudendo gli occhi un momento.
«Vi conoscete da quanto...?»
«Da quando avevamo otto anni... è stata praticamente cresciuta dalla mia famiglia» mi mordo la lingua, pentendomi subito di quello che ho appena detto, «no, scusa... non dirgli che te l'ho detto» borbotto, coprendomi il viso con entrambe le mani.
«Cam non ha avuto un'infanzia molto felice, non è così?» chiede lui, facendosi serio improvvisamente.
«Te ne ha parlato?»
Si stringe nelle spalle, «Mi ha accennato qualcosa, ma niente di dettagliato... non le piace affrontare l'argomento»
Annuisco, mordicchiandomi il labbro inferiore. In questo siamo terribilmente simili.
«Beh, se lei non ti ha detto niente non vedo perché dovrei farlo io» decido di far cadere l'argomento, non voglio pensarci in questo momento.
Lui sembra leggermente deluso. «Eri decisamente più amichevole ieri sera» commenta, ironico.
Socchiudo gli occhi. «Ero ubriaca» gli ricordo, sottolineando pesantemente la parola.
«Questo spiega molte cose»
Ecco, seconda volta che sento un commento del genere in due giorni. Dio, sono davvero così orribile? Storgo le labbra, cercando inutilmente di dimenticare quello che ha appena detto.
«Tu non lo eri?» ribatto, irritata.
«Sì, lo ero» ammette lui, quasi noncurante.
Giuro, non lo capisco, non ho assolutamente idea di cosa stia succedendo nella sua testa. Sinceramente dubito perfino sia al corrente della gravità della situazione.
«Leo!» lo richiamo, spazientita.
Lui solleva le sopracciglia, perplesso. «Viola?»
«Siamo andati a letto assieme!» probabilmente avrei fatto molta più scena gridandogli questa frase in faccia, ma sono terrorizzata all'idea che qualcun altro senta il contenuto di questa conversazione.
«Lo so» annuisce.
E...? Okay, è ufficiale, lo odio. Come si può essere così impassibili? Come si può trovare tutto questo divertente? Non gli passa nemmeno per la testa che potrei raccontare a Camilla tutto di come si sia approfittato dei miei drink di troppo per portarmi a letto? Okay, non ho nessuna prova concreta di quest'ultima affermazione, ma Dio sa quanto spero che sia andata così, dopotutto, e che non abbia davvero trovato questo individuo interessante per più di un minuto. Okay, ammetto che è interessante fisicamente. Più che interessante, è davvero, davvero carino... ma non è questo il punto, il punto è: tirargli uno schiaffo adesso sarebbe esagerato?
«Lo sai, bene, e io che temevo che te ne fossi dimenticato!» esclamo, profondamente sarcastica, «hai una ragazza! La tua ragazza è la mia migliore amica! Come puoi non vedere il problema? Come puoi non sentirti nemmeno un po' in colpa?!»
«È ovvio, no? Sono un robot senza sentimenti»
Gemo e chiudo gli occhi, «Ti prego, smettila di scherzare»
Quando lo guardo di nuovo sta annuendo piano, serio, lo sguardo fisso su un punto indefinito del pavimento, assorto.
«È molto semplice, Viola» dice, dopo essersi accorto che la mia attenzione è di nuovo su di lui. «La scorsa notte, la notte che ho passato con te, non ero affatto il ragazzo di Cam»
Per un attimo cade il silenzio più assoluto, mentre il lo guardo con l'espressione di qualcuno che è appena stato schiaffeggiato e non è ancora passato dallo stato di sorpresa a quello di rabbia, elaborando la cosa.
«Non stavate insieme?» chiedo finalmente, con un tono stupidamente scettico.
«Ci eravamo lasciati tre giorni prima...» spiega lui, annuendo.
«Che?»
«...e siamo tornati assieme ieri sera»
Se non avessi giurato a me stessa di non bere mai più in tutto il resto della mia vita in questo momento avrei già preso la bottiglia di vino che c'è in frigo e l'avrei svuotata. Solo l'alcol può aiutare a rendere queste situazioni meno assurde.
«Quindi, visto che non stavate assieme la notte in cui noi due siamo andati a letto insieme, non conta come tradimento?» chiedo, sempre scettica.
«Così è come la vedo»
Non ci vuole un genio per capire che probabilmente è una scusa che si è costruito da solo, ieri mattina, quando si è reso conto di aver passato la notte con una completa sconosciuta. Qualcosa però mi dice che non lo ammetterebbe mai, che gli piace questa sua immagine di uomo che ha tutto sotto controllo, che non si lascia prendere dal panico. Al contrario di me, insomma.
«Allora è vero, sei uno stronzo»
Vedo la sua espressione cambiare all'improvviso, e godo segretamente di quell'aria di smarrimento che non riesce a nascondere per qualcosa come cinque secondi. Sono riuscita a scalfirlo, finalmente.
«Scusa?»
«Se credi davvero che quello che hai fatto sia assolutamente innocente e sei davvero innamorato di Camilla, perché diavolo hai fatto finta di non conoscermi quando mi hai vista, mezz'ora fa?!» chiedo, arrabbiata.
Stringe le labbra, a corto di parole: un altro punto a mio favore. Trattengo un sorriso trionfante. In fondo non ci vuole tanto per capire come funziona la sua testa, adesso ce l'ho in pugno.
«Benissimo, dato che ora ti sei reso conto che siamo sulla stessa barca, dobbiamo decidere cosa fare»
Mi guarda perplesso. «Non è ovvio? Ce ne dimentichiamo... è stato l'errore di una notte e in ogni caso non c'è possibilità che si ripeta, giusto?» osserva.
«Oh, puoi contarci» commento.
Lui sembra leggermente offeso da questa affermazione.
«Cos'è, non ti è piaciuto? Perché da dove stavo io ti posso assicurare che davi tutta un'altra impressione» ribatte.
Lo guardo malissimo, come osa?
«Dio, non mi ricordo nemmeno come sia successo, come vuoi che mi ricordi delle tue prestazioni?»
«Allora fidati della mia parola. Ti è piaciuto. Entrambe le volte»
«Ti diverti a rigirare il coltello della piaga, eh?»
Sorride, senza rispondere, io scuoto piano la testa, mormorando un “incredibile” piuttosto seccato.
«Allora? Siamo d'accordo?» chiede lui, impaziente, dopo una pausa di qualche secondo.
Sospiro. Odio questa situazione, l'ho già detto? Come posso accettare di nascondere una cosa del genere alla mia migliore amica? Perché non riesco semplicemente a mandare a quel paese questo individuo e andare a dirle tutto? Forse si arrabbierà con me, ma realizzerà che sono innocente, no? E anche se non lo farà saprà la verità. Si merita la verità.
«Leo, mi dispiace, non...»
«Oh, ti prego!» si alza in piedi di scatto, arrabbiato, io lo guardo impotente.
«Non posso farle questo...» mormoro.
Improvvisamente sento le sue mani calde sulle mie spalle e sussulto.
«Amo Camilla, la amo con tutto me stesso» sussurra, guardandomi intensamente negli occhi, tanto intensamente da farmi rabbrividire. «Non l'avrei mai, mai tradita se lei non mi avesse fatto soffrire così tanto, e non hai idea di quanto sono felice di essere tornato insieme a lei. Non portarmela via. Ti prego»
Stringo le labbra e abbasso lo sguardo, senza riuscire a sostenere il suo. Sembra sincero, davvero sincero, ma questo non toglie come tenere il segreto mi fa sentire. Lui mi scrolla appena, per ritrovare la mia attenzione.
«Ti giuro, Viola, che non farò mai nulla che farà soffrire te o Camilla in qualsiasi modo. Ho fatto un casino, ma ho troppa paura di perderla, e mi dispiace... davvero, mi dispiace. Credimi, ti chiedo solo questo, fidati di me e ti dimostrerò di poter essere quello giusto per lei»
Qualcosa nella mia testa mi dice che non è a me che deve fare questi discorsi, ma a lei, dopo averle confessato tutto. Eppure conosco Camilla, come a quanto pare la conosce lei, e so che non lo ascolterebbe mai. È uno dei suoi difetti, il rifiuto di concederti l'opportunità di spiegare. Righi dritto e sei a posto, fai un errore e non avrai più la sua fiducia, nessuna via di mezzo, nessun modo di redimersi.
«Non la tradirai più?» chiedo, con voce flebile.
«Mai più» conferma lui, deciso.
Sospiro, rendendomi conto di avere le mani legate.
«D'accordo allora...» mi arrendo.
Lui sembra rilassarsi appena, mi lascia andare e mi porge la mano destra. Esito un attimo, poi la prendo e la stringo.
«Grazie» mormora lui.
Devo mordermi la lingua per non mandarlo a quel paese.


Guardo l'acqua scorrere assorta, mentre mi chiedo per l'ennesima volta se abbia fatto la cosa giusta. So che non è così, e so anche che per quanto cerchi di convincermi che sto mentendo alla mia migliore amica perché davvero credo in Leo, in realtà lo faccio perché ho paura che si arrabbi con me. Sospiro e mi passo una mano tra i capelli, ignorando il fatto che sia bagnata. Ormai ho la sensazione di non poter più tornare indietro. Il danno è fatto. Maledizione.
«Ehi, ti serve aiuto?»
Mi volto e sorrido automaticamente, vedendo Camilla. «Magari, grazie»
Annuendo lei mi raggiunge davanti al lavandino. «Dammi istruzioni, capo» esclama.
Scoppio a ridere. «Uhm, vediamo... finisci di lavare questi pomodori e poi tagliali a cubetti»
«Uh, sei davvero sicura di volermi affidare un arnese tanto pericoloso?» scherza, guardando il coltello già pronto sul ripiano accanto al tagliere.
Scuoto la testa, fingendomi esasperata, poi rido di nuovo. «Beh, è l'unico lavoro che posso affidarti senza rischiare che ci avveleni tutti» ribatto.
Lei sogghigna. «Tanto so che adori la mia cucina»
«Ceeerto, come puoi non adorare qualcosa che è dolce, salato, bruciato e crudo allo stesso tempo?» ricordo, sarcastica.
«Oh mio Dio, mi ricordo! Dublino, quarta liceo...»
«Ultima sera, i nostri ospiti ci hanno chiesto di cucinare qualcosa di italiano...»
«E tu continuavi a ripetere che era meglio tenersi sul semplice e fare degli spaghetti al pomodoro...»
«Ma tu “Noo, è troooppo scontato! Molto meglio fare...” cos'è che era?»
«Agnello alle olive!»
Siamo entrambe piegate in due dalle risate, tanto che per un momento nessuna riesce ad aggiungere nulla, e il bello è che più ci immaginiamo la scena più ci viene da ridere.
«Non mi scorderò mai la faccia di Mr O'Donnel quando tutto convinto si è messo in bocca tutta la fetta!» Riprendo, non appena riesco a trovare abbastanza fiato per parlare.
«E non voleva sputare perché gli sembrava scortese, così si è allargato il colletto della camicia, è diventato tutto rosso e mi ha fatto un mezzo sorriso troppo impegnato a non far vedere che aveva un sapore orribile» continua lei.
«E tu ti sei chinata verso di me tutta preoccupata e mi hai chiesto “Oddio, ho fatto qualcosa di sbagliato?”»
«Certo che sei stata ben stronza però, eh! Cioè, non hai nemmeno provato a sconsigliarmi di fare qualcosa di più semplice, hai fatto la tua pasta e poi sei andata ad annunciare che avevamo deciso di dividerci i compiti e che tu ti eri incaricata del primo!» esclama, fingendosi offesa, «nemmeno dividere l'imbarazzo con la tua amica d'infanzia!»
«Come non ho provato? Sono stata due ore a dirti che era una cattiva idea, eri tu che non mi ascoltavi!» ribatto, senza smettere di ridere.
«Dio, non respiro» ansima lei, mentre io cerco di asciugare le lacrime senza sbavare troppo il trucco.
«Bei tempi» mormoro, dopo un po'.
Lei sorride e annuisce, poi si passa una mano sugli occhi e si volta per togliere i pomodori dal lavandino e chiudere l'acqua. So quello che sta pensando, sto pensando la stessa cosa, accade spesso. Uso uno degli elastici che ho al polso per legarmi i capelli e accendo il fuoco sotto la pentola piena d'acqua.
«Allora, per che piatto sto dando il mio prezioso contributo?» chiede lei dopo qualche minuto di silenzio.
«Visto che è tardi ho deciso di fare una pasta. Pomodoro e mozzarella» spiego, prendendo una confezione di quest'ultima dal frigo e spostandomi davanti al lavandino per aprirla.
Tolgo il liquido in eccesso, poi prendo un altro tagliere e un coltello e la taglio velocemente a cubetti, che poi verso nella terrina che ho preparato prima. Dopo essermi sciacquata le mani, mi volto verso Camilla e la osservo per un po'.
«Perché hai tagliato i ponti, Miles?» chiedo, dopo qualche esitazione.
La vedo irrigidirsi appena, ma so che si aspettava la domanda.
«Non ho tagliato i ponti» ribatte, continuando a darmi le spalle.
«Hai smesso di richiamarmi, di rispondere alle mie mail... capisco che fossi impegnata, ma davvero fino a questo punto? E sei in Italia da quanto?»
«Da un po'...» fa lei, vaga.
«Miles» la prego, spazientita.
«Tre mesi» ammette finalmente.
Tre mesi sono nulla in confronto alla vita che abbiamo passato insieme, ma sento una piccola fitta al petto comunque. Durante tutto questo tempo mi sono sempre detta che l'Inghilterra era lontana e le chiamate costavano e gli impegni erano molti, sapevo che alla fine erano scuse, scuse che inventavo con me stessa per non dover pensare che una delle persone alle quali tengo più al mondo sembrava quasi volermi tagliare fuori dalla sua vita. Ma in Italia? Cosa l'ha trattenuta dal chiamarmi?
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiedo, esitante.
«Moss, ti prego...»
«Vorrei solo...»
«Non hai fatto niente di sbagliato, okay? Hai fatto tutto maledettamente giusto!» esclama, lasciando andare di scatto il coltello e portandosi entrambe le mani al volto.
Sussulto, colta alla sprovvista. «Cosa vuoi dire?»
«La tua vita... sei... perfetta!» sussurra, come se stesse dicendo qualcosa di terribilmente ovvio.
«Perfetta?» chiedo io, scettica.
«Sì, cazzo! Ragazzi perfetti, voti perfetti... tutti ti adorano! Stai diventando quello che hai sempre voluto essere e ti sta venendo bene!» elenca, nello stesso tono di prima. «Vuoi sapere perché ho smesso di richiamarti? Per quello che mi hai detto poco prima che partissi!»
«Sii straordinaria» ricordo, poi mi mordo il labbro inferiore, la sensazione di cominciare a capire cosa ha intenzione di dire.
«Già, straordinaria. Credevo davvero di poterlo essere, ma non è durato nemmeno tre giorni. A quanto pare faccio schifo come attrice, non ho una voce abbastanza potente o una personalità abbastanza forte... sono arrivata lì solo per vedere tutti i miei sogni infrangersi» scoppia a piangere così, davanti ai miei occhi, e io corro ad abbracciarla senza nemmeno pensarci.
«Non essere sciocca» le mormoro, mentre lei si abbandona ai singhiozzi contro la mia spalla. «Lo sai che non è così... hai un talento immenso, Miles, e Dio, chiunque dica che non hai una personalità abbastanza forte semplicemente non ti conosce davvero» le afferro le spalle e la spingo appena indietro per poterla guardare negli occhi. «Io so chi sei» dico, seria, scostandole i capelli dal viso, «e so che se pensi davvero anche solo per un minuto che io sia meglio di te ti sbagli di grosso»
Lei si fa sfuggire un altro singhiozzo, ma le sue labbra si sono piegate in un mezzo sorriso.
«Sta' zitta» mugugna.
Sorrido anche io. «Tu sta' zitta»
Lei ride e mi abbraccia di nuovo, e io la stringo forte. Sento di nuovo una fitta al petto, mentre i sensi di colpa mi assalgono.
«Resta qui» le propongo, dopo un attimo di silenzio.
«C-cosa?» chiede lei, disorientata, la voce ancora rotta dalle lacrime.
«Non ha senso che restiate in un hotel schifoso, io qui ho una stanza in più»
«Non posso permettermi di pagarti l'affitto» protesta.
Le do una pacca scherzosa sulla testa. «Sei mia sorella, scema, non mi devi pagare l'affitto» le ricordo.
Lei scioglie l'abbraccio e si asciuga gli occhi alla meno peggio con le mani.
«Non sarà per sempre. Ti giuro che non appena troverò un lavoro contribuirò alle spese della casa, e non appena avrò abbastanza soldi mi cercherò un mio appartamento...»
Sorrido. «Ogni cosa al suo tempo»
I suoi occhi si fanno umidi di nuovo, ma questa volta so che non è per la tristezza. Ci abbracciamo una terza volta, ridendo.
No, Miles, non sei nemmeno lontanamente meglio di me.













*** Spazio Autrici ***

What up, my peeps? ;D

Dunque, Mr Leo è il fidanzato della BFF di Viola! Alzi la mano chi lo aveva capito! (Secondo me nessuno asd) Allora? Che ne dite? Sono cattiva? Forse solo un pochino ;) Mi servono le vostre opinioniiii, perciò recensite pliiiiis **

Siamo a buon punto con la stesura (annuisce) io al capitolo 8 mentre la mia socia al 7 (che sarà mooolto lungo :DD) e personalmente sto già programmando un po' di drama. Sìsì, non sono cambiata di una virgola u.u Comunque, nel prossimo capitolo avrete un grosso indizio sul passato di Viola (per chi di voi non stia già sospettando qualcosa) di cui però non ho intenzione di rivelare assolutamente niente almeno fino al capitolo 8, perciò siate pazienti e recensite, perché senza opinioni mi viene il blocco dello scrittore e non riesco più a scrivere due righe senza qualche complesso di inferiorità. Perciò, perfavore, recensiteci! (A coloro che hanno cliccato su "ultimo capitolo" e stanno sbirciando di cosa si tratta) non serve aver letto ds e ds2! Potete anche leggerli dopo, ma dateci un motivo per continuare a pubblicare! Riempite di gioia le nostre piccole vite *^* (sono d'accordissimo su tutto quello che ha appena detto la mia socia, e l'ho già scritto nello scorso capitolo x) NdLalla)
Okay, credo di essere stata abbastanza chiara xD

Altro? Ohsì, le fooooto dei personaggini nuovi!
Dalila
Camilla

Finito! Sono stata breve? Non lo so, ma direi di aver detto tutto quello che c'era da dire. Tanto se ho dimenticato qualcosa lo aggiungerà la Lalla (mhm, secondo me no :) NdLalla)

Okayokay, ciao!! ^O^
xo, Leslie and Lalla
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Leslie and Lalla