Capitolo 3
Amici
“Calmati
Obito! Dobbiamo restare lucidi!”
Una
schiena, a pochissimi passi dal crepaccio.
“Se
scendiamo ora, moriremo tutti e tre. Dobbiamo raggiungere il rifugio e
chiedere aiuto!”
Uno
sguardo furioso. Due iridi nere traboccanti di rabbia.
“Come
puoi chiedermi di abbandonarla laggiù? Come?”
Un
silenzio imbarazzante, scandito solo dalla pioggia.
“Non
sappiamo nemmeno se è ancora viva…”
Angoscia,
mista a preoccupazione…
“Dobbiamo
essere razionali. La tua emotività non potrà che
peggiorare le cose, non essere sciocco.”
Una
calma irritante.
“Se
ci calassimo laggiù adesso, potremmo non riuscire a
risalire. Senza contare la possibilità d’essere
travolti da una frana.”
Una
mano, stretta a pugno.
“Raggiungendo
il rifugio avremo maggiori…”
Il
colletto della giacca improvvisamente stretto con forza.
“Sei
solo un vigliacco. Uno sporco codardo! Come puoi abbandonare Rin?
Proprio tu, che sei il suo eroe!”
Rabbia
e sdegno, in quegli occhi fissi su di lui.
“E’
quello che dobbiamo fare se vogliamo avere qualche speranza.”
Di
nuovo la calma, che alimenta l’ira.
“Al
diavolo tu e la tua razionalità Kakashi! Io vado a
salvare Rin!”
L’uomo si
svegliò di soprassalto; la fronte bagnata e il fiato corto.
Si guardò attorno per qualche istante, quasi cercasse
conforto, incapace di realizzare subito dove si trovasse.
Ansimò, mettendosi a sedere.
Erano quindici anni che quel sogno lo tormentava. Con
l’avvicinarsi di quella data diveniva sempre più
frequente. Ed ogni volta portava con sé con gli stessi
effetti.
Kakashi si passò la mano sul volto, indugiando con le dita
sulla cicatrice. Cercò di respirare con maggior
profondità, incamerando più aria possibile,
mentre il cuore tornava lentamente a battere in modo regolare.
Allungò la mano verso il bicchiere d’acqua
appoggiato sul comodino, conscio che, anche bevendo, non sarebbe stato
in grado di sciogliere quel groppo in gola.
Una luce calda illuminava parzialmente la semplice stanza, penetrando
dall’infisso socchiuso. Kakashi si massaggiò le
tempie, tentando inutilmente di scacciare il pesante cerchio alla testa
che lo infastidiva, evidente postumo della serata precedente. La sua
attenzione si spostò poi sulla radiosveglia: i led rossi
confermarono che il sole era sorto da un bel po’.
L’uomo si lascio ricadere svogliatamente sul letto,
sospirando pesantemente. Non si sarebbe alzato, non ne aveva la minima
voglia. Restò così, la mano destra sulla fronte e
l’altra lungo il fianco, immobile fissando il candido
soffitto. A tenergli compagnia solo qualche sporadico cinguettio
proveniente da fuori.
Kakashi rimase immobile per un po’, lo sguardo fisso e vuoto
allo stesso tempo.
In quella totale assenza di rumore riusciva ancora ad avvertire il
rumore della pioggia, accompagnato dal fragore dei tuoni. Ricordava
ogni particolare di quell’escursione:
dall’entusiasmo di Rin, alla discussione con Obito poco prima
della partenza; dai sorrisi, ai battibecchi; dalla gioia alle lacrime.
Aveva custodito ogni dettaglio, ogni minimo dettaglio. Nulla era
sbiadito nonostante il tempo trascorso. Poteva sentire distintamente
quelle fredde gocce battergli sulla fronte accaldata, scendere lungo il
viso ed impregnargli i vestiti. Poteva avvertirlo ancora, quel freddo
sotto le unghie. Già, esattamente come l’odore
della terra bagnata, inzuppata d’acqua come i loro abiti.
Come dimenticare le sue mani coperte di fango, abrasioni e tagli,
incapaci di provare dolore, e tese nel disperato tentativo di scavare
il più rapidamente possibile per rimediare al più
grande errore della sua vita.
S’era tormentato per giorni, mesi, anni, obbligandosi a
ripercorrere quegli attimi istante per istante, come se quel dolore che
gli straziava il petto, impedendogli di respirare, fosse
l’unico modo per tentare di espiare la sua colpa.
Perché era stato lui a voler proseguire nonostante il
temporale che li sorprese. Lui, che non s’era accorto di quel
dannato tratto di sentiero scavato dalla siccità e poi eroso
dall’abbondante pioggia. Lui, che aveva lasciato Rin sola al
suo destino, cercando di raggiungere il rifugio in cerca
d’aiuto. Lui, che aveva abbandonato Obito sul ciglio di quel
crepaccio. Lui, che gli aveva voltato le spalle mentre
l’amico preparava corde e imbragatura. Lui, che una
volta tornato indietro, nel tentativo di rimediare al suo stupido
errore, s’era quasi cavato un occhio scivolando mentre si
calava verso di loro. E sempre lui, che, lasciandosi sorprendere
dall’improvvisa frana, aveva obbligato il suo più
caro amico a mettere in gioco la sua stessa vita per salvarlo.
Perché Obito era morto per lui. Lui, che li aveva
abbandonati entrambi.
Non esistevano giustificazioni. Nessuna possibile scusa.
Solo un imperdonabile, enorme sbaglio.
Così grande da essere costato una vita.
L’improvviso trillo del cellulare lo riportò alla
realtà, evitandogli di sprofondare ancor di più
nei ricordi. Kakashi ne fu sollevato ma pensò
comunque di lasciarlo suonare, restando dov’era, sicuro che
fosse la classica telefonata di uno dei suoi compagni di serata
desiderosi di sincerarsi delle sue condizioni fisiche e mentali.
Si girò di fianco, afferrando il cuscino e poggiandoselo
sopra la testa, nel tentativo di attenuare quel rumore molesto. Non
appena lo scocciatore s’arrese, Kakashi si liberò
del guanciale lasciandolo cadere a terra, riportando poi lo sguardo
verso il soffitto. Forse sarebbe riuscito a riprendere il
sonno…
La pace invece, durò poco. Il telefono riprese a suonare
incessantemente solo alcuni istanti più tardi. Arrendendosi
all’insistenza di quegli squilli, si alzò
svogliatamente raggiungendo la scrivania sul lato opposto della stanza,
afferrando l’apparecchio abbandonato lì la sera
precedente.
“Pronto…” Difficile mascherare il tono
leggermente seccato.
“Alla buon ora, Kakashi!” La voce chiara e vivace
di Tenzo lo destò del tutto. “Si può
sapere che ci fai ancora a letto? E’ una splendida
giornata.”
“Non ero a letto” biascicò lasciandosi
sfuggire un mezzo sbadiglio.
“Certo…” Tenzo fece una breve pausa
giusto per sottolineare quanto credesse all’affermazione
dell’amico. “E perché non hai risposto
prima allora?”
“Semplice, ero impegnato. Stavo bagnando le
piante”. O meglio, temevo che fossi tu e non avevo voglia di
rispondere.
“Kakashi…” Un nuovo attimo di silenzio.
“Tu non hai piante…”.
Le sue scuse erano pessime, una più assurda
dell’altra, ma solitamente Tenzo fingeva di crederci. Kakashi
lo sapeva bene, ormai quel ragazzo era un libro aperto per lui. Per
questo conosceva già il motivo che l’aveva spinto
a chiamarlo in quel caldo pomeriggio. S’immaginò
così Anko, in piedi accanto al collega, intenta ad
incenerirlo con lo sguardo perché colpevole
d’abbandono domenicale nei confronti della propria ragazza,
preferendole quattro chiacchiere e una birra in compagnia di un amico.
“Ti aspetto da me tra mezzora, ho un progetto da farti
vedere”. La comunicazione s’interruppe prima che
potesse replicare.
Mentre riappoggiava il cellulare sulla scrivania, Kakashi sorrise
divertito; anche le scuse di Tenzo non erano un granché.
Dovette ammettere però che stava diventando davvero scaltro;
ormai lo conosceva così bene da sapere che, se
l’avesse lasciato parlare, avrebbe in qualche modo declinato
l’invito.
Guardò l’orologio da polso. Mezzora…
Sarebbe certamente arrivato in ritardo e necessitava di una scusa
credibile, quella dell’anziana vicina bisognosa
d’aiuto non avrebbe retto nuovamente.
Il centro, in quel caldo primo pomeriggio, era stranamente affollato.
Una lieve brezza soffiava dal lago, incapace però di
sciogliere la calura. Ad attirare la gente nonostante
l’elevata temperatura, un’apertura straordinaria
con orario continuato dei negozi più in. Cosa che Ino non si
sarebbe mai lasciata sfuggire.
Camminava da una vetrina all’altra da ore, trascinando con
sé una Sakura ormai spazientita.
Scarpe, borse, accessori vari e vestiti…
un’infinità di vestiti. La giovane Yamanaka aveva
già fatto impazzire la maggior parte delle commesse del
paese.
“Hai almeno una vaga idea di quello che vuoi
comprare?” chiese la giovane Haruno davanti
all’ennesima parata di manichini, mentre il suo sguardo
vagava alla disperata ricerca di una comoda, libera panchina dove
sedersi e lasciare i pacchi che l’amica le aveva affibbiato.
Non le era mai piaciuto fare il facchino e allo shopping avrebbe di
gran lunga preferito un tuffo in piscina e un po’ di sole ma,
nonostante sapesse che sarebbe finita così, non le andava di
rinunciare ad un po’ di compagnia.
“Certo che no!“ replicò
l’interessata intenta ad osservare un leggero abitino color
pesca “Ci sono un sacco di cose carine, come posso
scegliere?”
“Scegli e basta, non è così
difficile!” si limitò rispondere Sakura alzando lo
sguardo al cielo terso, nella vana speranza che la ragazza cogliesse il
suo suggerimento.
“Non fare la guastafeste! E poi anche tu dovresti comprarti
qualcosa di nuovo, non credi?” Lo sguardo divertito che Ino
le rivolse le permisero di intuire esattamente dove l’amica
stesse andando a parare. Riportò così
l’attenzione sulla sua aguzzina, inarcando un sopraciglio.
“Sapevo di non doverne parlare con te! E poi non mi serve un
abito da sera per sistemare il conto della lavanderia.”
“Ne sei sicura?” Un sorriso ancora
più ampio si disegnò sul volto della giovane.
L’interesse di Ino per i pettegolezzi era risaputo; nulla le
sfuggiva, soprattutto quando si trattava di appuntamenti vari e nuove
coppie all’orizzonte. Più che
un’aspirante futura dottoressa, sembrava un rotocalco di
cronaca rosa vivente. Sakura, dal canto suo, credeva d’averci
fatto il callo, ma non poté nascondere una leggera
irritazione di fronte a tanta curiosità.
“Non fare quella faccia…” riprese la
bionda notando la sua espressione infastidita
“…è solo che credo ti farà
bene uscire con qualcuno invece di startene in casa a deprimerti per
quei due.”
“Non esco con nessuno! Come te lo devo dire? Ha solo
insistito per pagare…”
“Certo, certo” Ino la interruppe, avvicinandosi
più del dovuto prima di proseguire “ma
magari… chi lo può dire, no? E poi Kakashi
è davvero un bel uomo… anche se, in effetti,
è un po’ troppo vecchio per
te…”
Sakura osservava in silenzio l’amica intenta a farneticare
qualcosa su una sua improbabile relazione con il loro ex sensei.
Parlava e parlava, senza sosta. Avrebbe voluto strangolarla. O meglio,
la vocina dentro la sua testa glielo stava caldamente consigliando.
Perché Ino non era mai stata in grado di capire
quand’era il momento di smettere e, a volte, le maniere forti
erano l’unico modo per farla tacere.
“Sei insopportabile!” sbottò ormai al
limite della sopportazione, lasciando a terra le borse colorate e
scrollandosi da dosso il braccio che la ragazza le aveva poggiato
attorno alle spalle. “Possibile che tu debba vedere relazioni
ovunque e fra chiunque?” continuò voltandosi verso
l’unica panchina libera adocchiata poco prima, incamminandosi
decisa prima che Ino potesse replicare in qualche modo.
“Ehi, dai… aspettami! Che ho detto di
male?”.
Sakura la ignorò completamente, continuando dritta per la
sua strada.
“Lo dicevo per te, perché hai bisogno di distrarti
un po’!”
E come darle torto. In cuor suo Sakura sapeva quanto Ino avesse
ragione; non poteva certamente restare perennemente chiusa in casa
rimuginando sui problemi di quei due.
Già, quei due…
Sasuke e Naruto.
Naruto e Sasuke.
Loro, sempre loro nei suoi pensieri. E quella volta non si trattava di
una futile sciocchezza come quelle che possono capitare fra i banchi di
scuola. Sasuke s’era messo davvero nei casini e,
sinceramente, non credeva che la sola testardaggine di Naruto avrebbe
potuto aiutarlo ad uscirne.
Raggiunta la panchina, Sakura si lasciò quasi cadere su di
essa. Era stanca, non poteva negarlo. Quella situazione la stava
sfiancando, ed essere lasciata all’oscuro dei particolari la
logorava più di ogni altra cosa. Si sentiva inutile. Inutile
ed esclusa.
Credeva d’essere cresciuta abbastanza da non dover
più essere protetta da Naruto. Si sentiva abbastanza matura
e forte da poter aiutare Sasuke, qualunque fosse stato il suo problema,
senza doversi appoggiare ad altri. Pensava anche di averlo dimostrato
in qualche modo.
Eppure… eppure nulla era cambiato. Anche quella volta
l’avevano lasciata in disparte.
Ormai erano trascorsi giorni dall’ultima telefonata di
Naruto, e lei passava le sue giornate osservando in continuazione il
cellulare, attendendo una chiamata o, quanto meno, uno stupido
messaggio. Anche in quel preciso istante, senza rendersene conto,
l’aveva tolto dalla borsetta.
Nessun messaggio, nessuna chiamata.
Forse avrebbe dovuto dar retta a Ino. Forse chiamare Kakashi non le
avrebbe fatto male. Uscire per un caffè non era di certo un
reato, e non significava nemmeno non preoccuparsi per gli amici. Non
aveva motivo per sentirsi in colpa.
In colpa per cosa poi, non lo sapeva nemmeno lei. D’altronde
restare ad osservare il display del telefono come un’idiota
non avrebbe comunque risolto i problemi di Sasuke.
Invece un caffè e una chiacchierata le sarebbero certamente
servite a distrarsi. Kakashi poi, non era uno sconosciuto. Magari
parlarne con lui l’avrebbe aiutata. In fondo le era stato
vicino altre volte in passato, con lui aveva sempre potuto parlare
liberamente. L’aveva sommerso più volte con i suoi
problemi adolescenziali e Kakashi l’aveva sempre ascoltata,
risollevandola a modo suo. Perché, nonostante fosse un uomo
di poche parole, quel suo tono pacato e quell’imperturbabile
tranquillità con cui riusciva sempre ad affrontare i
problemi, avevano sempre avuto lo strano potere di riuscire a farla
star meglio.
Sakura alzò lo sguardo dal display ormai oscurato,
spostandolo verso il lago.
Sì, se ne era finalmente convinta, l’avrebbe
chiamato.
La casa di Tenzo restava fuori dal centro, in periferia. Nonostante
lavorasse da poco, era riuscito a sistemarsi veramente bene, almeno
secondo Kakashi. Aveva trovato un appartamento appena ristrutturato, in
una graziosa casetta indipendente su due piani e con un piccolo
giardino ben curato. Niente a che vedere con il suo bilocale in quel
grigio condominio del centro.
Davanti al cancello in ferro battuto, Kakashi suonò il
campanello ripetutamente, ad intervalli regolari, quasi a voler
pareggiare i conti per l’insistenza dell’amico al
telefono.
Per sua sfortuna però, invece di Tenzo, sul balcone
uscì Anko.
“Ne hai per molto, Kakashi?” Impossibile non notare
il suo tono irritato.
Quella donna era sempre stata intrattabile, a suo avviso. Non sapeva
spiegarsi come Tenzo riuscisse a sopportarla da più di un
anno.
“Non credevo ci fossi anche tu in casa…
“ si giustificò, incurvando le labbra in un lieve
sorriso.
“Non preoccuparti, sto uscendo.” Replicò
la donna prima di sparire all’interno
dell’abitazione.
Kakashi entrò nel giardino, percorrendo il viottolo
d’ingresso e incrociando Anko sul portone principale. Un
saluto veloce, un semplice gesto della mano, per poi salire le scale
fino al secondo piano dove, dalla porta semiaperta, la voce di Tenzo lo
invitò ad entrare. Dedusse che, probabilmente, era di sopra,
nella piccola mansarda adibita a studio. Da bravo stacanovista qual era
si portava il lavoro anche a casa.
L’ingresso era semplice, piccolo e ordinato. Kakashi lo
oltrepassò trovandosi nell’ampio soggiorno. I
mobili, rigorosamente in legno massello, erano in stile classico,
disposti ad arte come solo un buon progettista d’interni come
Tenzo sapeva fare. Alla sua sinistra, l’ampia portafinestra
in vetro rendeva l’ambiente molto luminoso. Come in ogni
stanza di quella casa poi, il pavimento era in parquet chiaro
d’ottima qualità. Anche quel particolare era
dovuto alla fissazione che il giovane architetto aveva per il legno.
Chissà poi da dove gli veniva. Kakashi sorrise ricordandosi
quando la prima volta che Tenzo lo invitò, mentre
l’amico mostrava orgoglioso il suo lavoro, gli aveva chiesto
scherzosamente se pure il frigorifero e il materasso fossero in legno
massello attirando su di sé lo sguardo perplesso e
contrariato del collega.
“Sono di sopra.” La voce di Tenzo dalla mansarda lo
invitò a salire. Kakashi raggiunse la scala a chiocciola
sulla destra del soggiorno e salì. Ad attenderlo al piano
superiore, l’amico impegnato al tecnigrafo.
“Te l’hanno mai detto che non si dovrebbe mai
uscire con le ex degli amici?” punzecchiò
scherzosamente l’architetto intento a terminare la sua
tavola.
“Beh… forse non dovresti lasciarti dietro una
schiera di ex.” Rispose lui mentre tracciava
l’ennesima linea. “Oppure, più
semplicemente, non dovresti presentarle ai tuoi amici”.
L’Hatake sorrise divertito, prendendo una sedia e
accomodandosi accanto all’uomo. La battuta sempre pronta era
una delle caratteristiche che apprezzava di più in Tenzo.
“Dammi un secondo e sono da te…”.
Kakashi lo osservava destreggiarsi fra rette e curve, mentre cercava di
terminare la pianta di quella che ipotizzò essere
un’abitazione. Tenzo era davvero un tipo molto scrupoloso nel
suo lavoro, attento ad ogni minimo particolare. Da come stava curando
quella tavola, sicuramente doveva trattarsi di un progetto importante.
“Sai… visto così non sembri proprio il
tizio che quasi tutte le sere se ne sta stravaccato sulla sedia di un
pub, ubriaco o semi ubriaco, a litigare con le scritte sul
tavolo” puntualizzò, attirando
l’attenzione dell’amico. “Un giorno mi
spiegherai come fai a riprenderti così in fretta.”
Le labbra di Tenzo disegnarono un sorriso sornione.
“A differenza di te, sono ancora giovane. E
poi… il caffè di Anko fa miracoli.”
Disse alzandosi e spostandosi verso la scala prima di proseguire
“Che ne dici di una birra in terrazza? Così
facciamo due chiacchiere. O forse, per te è meglio una
camomilla?”.
Kakashi lo osservò sparire di sotto prima di replicare “Una birra andrà benissimo…” E
pensare che una volta l’aveva pure baciato quel dannato
seccatore. Non aveva mai saputo se anche il diretto interessato si
ricordasse o meno di quel minuscolo particolare. Magari, la mattina
dopo, il caffè di Anko era stato in grado di cancellare
anche quello, insieme alla sbronza. Uno stupidissimo errore
di gioventù dovuto alla classica sbronza post-esame, lo
definì, rimasto solo ad osservare il punto in cui la
figura di Tenzo era scomparsa.
La brezza fresca che soffiò dal lago le solletico il
voltò. Sakura alzò di nuovo gli occhi al cielo terso
prima di sobbalzare sorpresa.
“Allora? Sei ancora arrabbiata?” Il viso sorridente
di Ino e un cono fiordilatte e fragola apparvero improvvisamente a
pochi centimetri dal suo volto facendola trasalire.
Sciolse così l’espressione corrucciata in un
leggero sorriso, afferrando il gelato che la ragazza le stava porgendo.
Doveva riconoscere che l’amica sapeva come farsi perdonare.
“Per stavolta passi, ma…” Fece una breve
pausa, incurvando nuovamente un sopraciglio.
Ino, leggermente preoccupata, la invitò a proseguire
“Ma?”.
“Ma Kakashi non è vecchio”.
Sakura sorrise di nuovo. Un sorriso sincero, divertito, che Ino non
vedeva sul suo volto da diverse settimane. Per questo si
sentì sollevata; perché nonostante la loro
rivalità in amore, e non solo, fosse palese, Ino considerava
Sakura come una sorella. Non riusciva più a sopportare
passivamente quella situazione. Vederla restare in casa per giorni ad
aspettare la telefonata di Naruto le faceva ribollire il sangue.
Sicuramente un caffè con Kakashi non avrebbe cambiato le
cose, ma era pur sempre qualcosa. Un inizio, un punto di svolta per
uscire da quello stato di rassegnazione che non s’addiceva
minimamente al carattere forte di Sakura. O almeno
così lo vedeva lei.
“Lo sapevo! Allora ti sei decisa. Lo chiamerai,
vero?”
Sakura sospirò arrendendosi.
“Sì, lo chiamerò.”
Continua...
Disclaimers:
Naruto ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non
c’è lucro.
Mi rendo conto che la cosa sta andando un po' per le lunghe e spero mi
perdonerete.
Ci mancava giusto questa strana idea del bacio fra Kakashi e Tenzo ,
tutta colpa di Urd, delle ragazze dell'Urd
café e di skype XD
Grazie, come sempre, ad Aya88 per il betaggio^^
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