Capitolo
IV
Il risveglio del Mito
Buio. Fondo, eterno,
incolmabile buio. Né terra, né cielo stellato,
né monti o alberi, né ruvide
rocce. Non v’era nulla in quel luogo. Solo lieve
nell’aria si ode un lento
frusciar di stoffe e legni che ritmicamente battevano. Curve figure di
donne
dalle scure vesti si stagliavano in quell’infinito abisso. I
volti coperti da
veli, sedevano su scranni invisibili. Delle loro fattezze nulla si
mostrava, né
il minimo lembo di pelle era scoperto; solo le mani emergevano dalla
coltre di
pieghe. E come fra loro erano diverse! Se la prima, che a sinistra
stava
assisa, possedeva mani piccole e delicate come di bambina, la seconda
robuste
mani candide e buone di una madre, l’ultima a destra,
rattrappite e grinzose le
dita simili a rametti ritorti mostrava, così cadaveriche che
impossibile quasi
pareva che la vita potesse animarle ancora.
Molti erano i loro nomi, da
altri attribuiti e mai da loro. Figlie di Moros il Titano, antiche
più del
mondo e degli dei stessi, al di sopra di Zeus esse operavano. Da quando
il
tempo era sorto, esse incessantemente dedicavano la loro vita
all’opera somma,
la più grande delle narrazioni, il più bello di
tutti gli arazzi, la vita
stessa, esse cucivano e scucivano i fili del destino di uomini e Dei.
Veloci le dita nel dipanare i
fili dal fuso, svelte mani misuravano e tramavano, rapide lame
recidevano. Così
la vita degli uomini nasce, cresce e decade. Così ogni cosa
di questo mondo. Le
figlie del fato imparziali, che non udivano né preghiere
né suppliche, non temevano
minacce, sapevano prima di tutti gli esseri ciò che doveva
accadere.
Là, nella tenebra fonda esse
lavoravano incessantemente, senza sosta, incuranti di tutto. Per
l’eternità.
E Cloto, dalle mani di
bambina, parlò con foce acuta e fievole, quasi un bisbiglio.
-Quale luce è quella luce? Già
spunta il giorno? Che cosa scorgo alla fine?-.
Lachesi, la madre misuratrice,
rispose col righello in una mano e la spola nell’altra.
–Non è il giorno che
spunta, il sole non ha motivo di sorgere ancora. Vedo fiamme intorno
alla
cuspide dell’Olimpo-.
-È il principio di una fine, e
la fine di un principio- rispose con roca voce la terza, Atropo la
terribile.
Con colpo secco e rumore metallico recise il filo di una vita umana.
–Su
sorelle, cantiamo e filiamo-.
Ed in coro le loro voci si
levano nella vastità non più silenziosa.
-Vada come vada, noi cantiamo
legando stretti i fili di questa vita. Tutto possiede inizio e termine,
nulla
si salva dal Padre divoratore-.
E intervenne Cloto. -Da quando
Gea spodestò Urano, il Tempo scorre per tutti gli uomini
meno che per gli dei.
I Beati non conoscono morte né sofferenza, non temono nulla
se non i propri
pari, e Zeus nessuno teme, poiché nessuno è pari
a lui.
Padre di divina stirpe egli
domina da lunghissimi anni innumerevoli.
Potere
e Forza siedono al suo fianco, Vittoria
ne precede il passo. Egli è Re di tutte le cose. Con la
destra impugna la
Folgore gloriosa, arma ciclopica. Con essa spodestò il
padre; con essa impone
il suo dominio.
Quando il Forte ascese al
trono, della prole sua divina fu orgoglioso e di loro subito si
ricordò
ricompensandoli con mille e mille doni. Ma dei tristi mortali, essi non
tenne
di conto, tosto volle annientarli. Ma un Saggio, Colui che lontano
vede, si
oppose al volere del Divino, e con l’inganno salvò
da rovina gli uomini-
cedette poi il filo alla sorella. –Non vedo, non vedo oltre
sorella. Canta tu,
fila adesso-.
Lachesi, con rapida mano
afferrò il filo, veloce lo misurò.
-Il Savio incatenato resta,
per il suo vile peccato- iniziò a cantare. -Chi inganna il
Padre non ha scampo.
Terribile è la sua vendetta. Violento è e padrone
del giusto.
Gli uomini fioriscono e
dominano la terra, dimentichi del cielo, dimentichi degli dei.
Insozzano la
loro memoria, insultano ed uccidono i loro fedeli. Si macchiano
d’orridi
peccati. Sputano sul sacrificio compiuto dal Portatore di Fuoco.
Attirano su di
se la collera del cielo. Ambiscono al trono e all’Olimpo. Ma
la punizione non
attenderà oltre. Il Sommo Signore, furente, è
pronto a riparare al danno.
Purificherà la razza degli uomini col fuoco della folgore e
la potenza del
tuono. Le porte dell’Ade si spalancano.
L’Oscurità avanza. Il male è
già desto…
ma ecco, la visione a me scompare. Ora non vedo più nulla. A
te, Atropo, amata
sorella, tocca continuare il canto-.
Il filo scorse e giunge nelle
mani ruvide e secche di Atropo, colei che recide. Lei lo
afferrò con dita
tremanti e malferme.
-La fine giunge per tutti. Per
gli uomini e per gli dei. Arriverà il giorno in cui il tempo
scorrerà avverso
ai Santissimi, e il Forte dalla folgore gloriosa,
precipiterà con vergogna dal
cielo. A nulla varranno le sue proteste. La Madre piange misera le
sfortune dei
propri piccoli. Non passerà nulla impunito per lei. Come per
il padre, così per
il figlio. Non si fugge al destino. Il Fato domina su tutte le
creature. Non si
fugge al destino-.
D’un colpo fermo e crudele, la
Terribile recise il filo. Uccise una vita. Non ne provò
compassione.
In coro ripresero il canto.
-Il tempo scorre. Il tempo
scorre. Il tempo scorre. Inesorabile muove, come il fiume alla foce.
Nulla si
salva, nulla si cela alla sua vista, nulla lo vince. Anche gli Dei
piegheranno
innanzi a lui…-.
D’un tratto si fermarono,
osservando il filo, sorprese. Il loro lavoro millenario
s’arrestò per la prima
volta. Il filo era terminato. Non v’era più lana
nel fuso.
-Finito!- disse Cloto.
-Finito- sussurrò Lachesi.
-Finito…- imitò Atropo.
–Finito l’eterno sapere. Al mondo annunziamo
più nulla. Giù, alla Madre!-.
Le tre Sorelle s’alzarono dai
loro seggi svanendo nell’ombra, dissolvendosi come un
miraggio.
Tutto tornò silenzioso e
vuoto.
***
Stava su una rupe, sopra di
lui il cielo era nuvoloso come di pioggia, ma le nubi erano rosse di
fuoco. Sotto
si lui, una grande e polverosa piana, un deserto roccioso, e ivi mille
e mille
guerrieri combattevano in gran massa una guerra sconosciuta. Urla e
clangore di
spande si spandevano nel vento violento mentre il sangue arrossava la
polvere.
Al suo fianco delle persone; una ragazza dalla pelle scura e una lunga
treccia,
arco in pugno e freccia incoccata, un ragazzo, alto e bello, dei
lineamenti
forti e un accenno di barba e poi un terzo ragazzo della sua medesima
età o
forse più piccolo, dai capelli biondi e il viso magro,
portava tondi occhiali e
sembrava spaventato. Fissavano tutti la piana sottostante con paura e
apprensione.
Dov’era? Che stava accadendo?
Chi erano quei tizzi?
Cercò allora di parlare, di
rivolgere ai giovani al suo fianco le domande che affollavano la sua
mente, ma
le labbra non si mossero, incollate fra loro non si aprivano, non gli
permettevano di parlare. Doveva tacere. Tacere e guardare quella
sanguinosa e
terribile battaglia, mentre in cielo una tempesta di fulmini scoppiava
fra le
nuvole.
D’un tratto, la voce calma
della sorella lo chiamò ed egli, girando lo sguardo lontano
dalla guerra la
vide, ammantata di luce bianca, i capelli sciolti. Una tunica le
fasciava il
corpo, scura come il corvo. Gli occhi erano spenti.
-Sorella- la chiamò stupito il
ragazzo –che ci fai qui? Che accade? Chi sono quelli?-
Ma la fanciulla non rispose,
non se ne curò minimamente. Disse invece, con voce lontana e
possente, non più
sua. –Preparati Aleksandros… Salvatore degli
uomini… Il tuo tempo si compie
ora... Nessuno può sottrarsi alla volontà degli
Dei…-
E fu allora che, con un forte
fracasso, Alek si svegliò mentre il sole, rapido, sorgeva ad
est, tingendo di
rosso il mondo.
Free
Talk:
Alla fine ho deciso che, per
farmi perdonare il ritardo della settimana scorsa,
pubblicherò anche il quarto
capitolo, appena ultimato. Spero che possiate apprezzarlo e che, la
narrazione,
da qui in poi, possa farsi (per voi e per me) ancor più
emozionante o quanti
meno intrigante. per chiarimenti o altro, non vi basta che chiedere.
P.S. il dialogo delle tre sorelle Moire, l'ho scritto traendo
ispirazione da una delle opere liriche che più adoro:
L'anello dei Nibelunghi di Wagner. Questo pezzo in particolare si
ispira all'overture del quarto e conclusivo capitolo della saga "il
crepuscolo degli dei".
Grazie a tutti.
Silencio