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L’ospedale San Mungo
era forse quasi più affollato di quanto Harry ricordasse, ma dato che molto
tempo era passato dall’ultima volta che vi aveva messo piede, non poté
fare a meno di guardarsi continuamente intorno, ignorando le solite occhiate che
riceveva. Si avvicinò allo sportello informazioni con Ron, dietro a una
giovane e disperata strega, la cui pelle sembrava non volerne sapere di mantenere
la stessa colorazione per più di dieci secondi: mentre parlava era di un
bel verde accesso, non che questa la consolasse molto, mentre chiedeva con voce
flebile dove poteva essere curata.
<< Primo piano, porta in fondo. >> - fu la secca
risposta dell’addetta, mentre la ragazza se ne andava brontolando sugli
effetti di una pozione cambiacolore.
Ron si fece avanti schiarendosi la voce.
<< Stiamo cercando… Hermione Granger, sa per caso
dove…? >>
<< Mi faccia controllare… Gangee, Gierufthky, Graingyr…
Granger, sì… Quarto piano, prima porta a sinistra. Del reparto
si occupa Mayer Illander, il prossimo. >>, rispose prontamente la strega,
tutto d’un fiato, senza guardarli negli occhi.
Salendo, videro di sfuggita il ritratto di Dylis Derwent, ammiccante
e coi lunghi boccoli d’argento che gli ricadevano compostamente sulle
spalle.
Il corridoio era di un bianco accecante, con poche immagini appese alle pareti,
rappresentanti paesaggi dai colori sbiaditi, con le fronde degli alberi mosse
dal vento.
I Guaritori camminavano a passo svelto per i corridoi, con le uniformi verde
acido che parevano più macchie sfocate che essere umani, mentre sfrecciavano
fra le varie stanze. Un leggero odore di disinfettante aleggiava nell’ambiente.
Stavano andando a trovarla, dopo quella volta. E Harry non poté
fare a meno di chiedersi quale reazione avrebbe avuto...
“Starà dormendo?”
<< Oh, Harry, credo sia questo… >>, incominciò
Ron
“E’ già due giorni che è qui al
San Mungo, e noi non eravamo ancora venuti. Forse è arrabbiata.”
<< No, aspetta… >>
“Cosa dirà quando ci vedrà arrivare?”
<< Ecco, ci siamo! Forza, entriamo? >>
“Però… Dopo tutto quello che è
successo… Adesso…”
<< Harry? Harry, tutto bene? >>
“Ma cosa devo fare? Cioè, dovrò dirle
qualcosa di particolare? Erano mesi che non la vedevo…”
<< Terra-chiama-Harry, ci sei!? >>
<< Che? Cosa? >>
<< … >>
<< Ah, è qui… Perché non me lo hai
detto, Ron?! >>, disse brusco Harry, tirando in avanti la maniglia, per
entrare nella stanza. Ron, dietro di lui, borbottò qualcosa di incomprensibile
come ‘ci è o ci fa’, ma non indaghiamo oltre.
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Hermione era rimasta in
stato di shock per un giorno, dopo il cosiddetto ‘incidente’ a Casa
Potter, fissando il soffitto bianchissimo della stanza fino a farsi male agli
occhi. Erano successe troppe cose in una volta, e il solo pensarci le dava un
senso di nausea e confusione che non poteva controllare. Come quella sera. Le
cose le erano sfuggite di mano, aveva perso la lucidità e la capacità
di giudizio: si era ritrovata sola, indifesa, inutile, contro uno stupido molliccio
e un ex-galeotto completamente pazzo. Avrebbe chiesto le dimissioni come Auror,
era l’unica soluzione plausibile che le permetteva allo stesso tempo di
salvare qualcosa del suo orgoglio. Inammissibile. Si era comportata in maniera
inammissibile, non se lo sarebbe perdonata.
Perché la verità era che aveva messo a repentaglio la vita di
Ron, oltre che quella di Harry e Cho Chang. Non avrebbe dovuto.
E poi… era sbagliato. Come poteva essere possibile perdere il controllo
per una sola persona? In maniera così totale, senza possibilità
di appello. Le era bastato… vedere…
Ma perché bastava il ricordo a farle così male? Possibile che…
No, assolutamente. Aveva tutto sotto controllo.
Eppure, l’unica spiegazione possibile…
Sì, l’unica.
Era sdraiata sul letto.
Se chiudeva gli occhi, quell’immagine bruciava ancora nitida.
Morto. Un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca, gli occhi sbarrati
e vacui, gli occhiali rotti e piegati sul volto. La posizione delle braccia,
così innaturale e rigida. Tutto esprimeva dolore e ansia. Non era possibile.
Non era possibile. Non era…
E’ solo un ricordo. Non è vero. Apri gli occhi.
E’ solo un ricordo. Apri gli occhi.
Hermione, apri gli occhi…
<< Ehi, Herm, stai
dormendo? >>, la voce di Ron le giunse come un eco lontano, ma fu sufficiente
a farla alzare di scatto.
<< Oh! Ron, Harry!
Ciao… >>, tentò di sorridere, ma a giudicare dalla loro espressione,
doveva aver fatto una smorfia più simile a un mal di denti.
<< ma… Stai
piangendo? >>, chiese Ron stupito, guardandola preoccupato
Hermione impallidì,
e si tocco una guancia con la mano: aveva il volto bagnato, e ancora segnato
dai solchi che le lacrime, versate inavvertitamente, le avevano lasciato.
<< Io… Io sono
solo un po’ stanca. >>, balbettò, cercando di ricomporsi.
Harry, che fino a quel
momento aveva fissato con grande interesse il pavimento dell’ospedale,
volse gli occhi verso la ragazza, con una nota di panico nello sguardo. Non
sapeva cosa dire, quella situazione era decisamente imbarazzante e...
Perché lei piangeva? Perché dopo quella notte, non faceva altro
che pensare a lei?
Si sentiva in colpa, e la sua espressione sofferente non contribuiva a farlo
sentire meglio.
Hermione deglutì
a fatica e strinse i pugni intorno alle lenzuola, asciugandosi con un gesto
rapido le guance umide, e evitando accuratamente di incontrare lo sguardo di
Ron, tantomeno di Harry.
Cosa avrebbero pensato di lei? Che era una debole? Che era una stupida sentimentale
con qualche problema mentale…?
La verità non la sapeva neanche lei. Era appena tornato tutto come un
tempo, e non voleva rovinare nuovamente la situazione a causa dei… dei
suoi stupidi sentimenti.
Già, stupidi. Non era la verità, e appunto perché sentiva
che non c’era nulla di sciocco o superficiale, che era così spaventata…
Non poteva rinunciare a Harry, non voleva ferire Ron…
Possibile fosse così doloroso? Possibile non ci fosse una via d’uscita…?
Anche Ron si accorse che
c’era qualcosa che non andava. “Sì, questa è la
mia solita sensibilità da cucchiaino da tè”, pensò
amareggiato. Eppure, non aveva saputo trattenere il suo stupore… era tutto
così strano… Certo, ai tempi di Hogwarts avventure di quel tipo
era praticamente l’ordinario per loro, e vedere che questa volta qualcosa
sembrava aver lasciato il segno più del solito… Lo turbava.
Poi, sapeva benissimo quel che sarebbe successo, tra i suoi due migliori amici:
non voleva, e non poteva, far nulla per evitarlo. Si erano appena ritrovati
e…
E in quel momento, la vide.
Fu un lampo, un’istantanea di lucidi capelli neri e veli azzurri, udì
quella voce dolce e un po’ acuta che aveva imparato a riconoscere dalle
altre… E ne fu certo: per un attimo, i loro occhi si incontrarono. Solo
un istante, e Cho Chang sparì dalla sua visuale, oltrepassando la porta
aperta del reparto.
Improvvisamente, la stanza
divenne calda, troppo calda. Doveva uscire… Doveva… Parlarle, anche
solo per un minuto, solo per guardarla negli occhi.
<< Io, beh, io vado…
Ci vediamo dopo, ciao! >>, balbettata qualche scusa a stento, Ron corse
fuori, verso il corridoio, apparentemente senza motivo.
Harry e Hermione lo guardarono
sparire alquanto allibiti.
<< Ma… cosa…?
>>, parlò per prima Harry, decisamente contrariato.
<< Non chiederlo
a me. Magari si è sentito male… >>, borbottò Hermione
<< Beh almeno è
nel posto adatto, no? >>, rispose il ragazzo, riuscendo a strapparle un
mezzo sorriso. Poi calò di nuovo il silenzio, solo molto più imbarazzato
di prima.
Dopo cinque minuti buoni
che Hermione fissava la stessa pagina della gazzetta seduta sul letto, e Harry
osservava un punto imprecisato fuori dalla finestra, aggrottando le sopracciglia,
capirono entrambi che non aveva senso agire in quel modo.
<< ehm… >>,
esordirono contemporaneamente.
<< oh, scusa! Beh,
che c’è? >>, disse Hermione con una risatina nervosa.
Harry inspirò profondamente,
e parlò. << Io… Insomma, dopo quella sera… Tu…
Noi… Come dire… >>, incominciò decisamente in panico.
La ragazza lo fissò
imperscrutabile qualche secondo, per poi dire con voce piatta: << Mi stai
chiedendo se stiamo insieme? >>
<< … Se lo
dici così mi sembra di capire che l’idea non ti và molto.
Forse sono io che ti ho fraintesto. Sarà stato lo shock del momento,
oppure… >>, mormorò gelido, cambiando improvvisamente espressione.
Hermione si sentì
avvampare, e si vergognò immensamente per quel che aveva detto. Le parole
le erano uscite spontanee, non si era resa conto del tono duro e quasi accusatorio
che aveva usato. Ma perché dovevano sempre, inevitabilmente, farsi del
male? Sospirò tristemente, e abbassò lo sguardo, confusa.
<< Mi dispiace…
Non lo so, davvero. >>
<< Cosa vuol dire
che non lo sai? >>, chiese Harry
Hermione sapeva cosa dire.
Il cuore incominciò a batterle a mille, arrossì ancora di più
se possibile ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo del ragazzo.
Poi prese un profondo respiro, e…
<< Voglio dire, che
quello che ancora non so… - pausa – Tu mi ami, Harry? >>
Lui la guardò allibito
per poco più di un secondo, decisamente preso alla sprovvista, impallidendo
e arretrando di qualche passo. Lei lo guardava fisso, con gli occhi lucidi,
i capelli disordinatamente raccolti e si mordeva nervosamente le labbra, senza
distogliere lo sguardo.
“Decisamente,
quel che si dice una situazione non facile…”
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Ron si catapultò in corridoio, e la vide allontanarsi verso la balconata,
seguita da un’altra ragazza che aveva i capelli del suo stesso colore,
solo più corti.
Lui rimase paralizzato un momento, indeciso sul da farsi: poi l’impulsività
ebbe la meglio, e strillò a pieni polmoni:
<< Cho! A-Aspetta!
>>, la chiamò senza pensare.
Lei si voltò di
scatto, decisamente sorpresa. Anche la sorella lo squadrava sospettosa, con
le sopracciglia aggrottate. Ora che la vedeva in viso Ron poté notare
quanto fosse pallida, e che due ombre scure le si erano formate sotto gli occhi.
Tuttavia non disse nulla, e il ragazzo si sentì decisamente imbarazzato,
quasi si pentì della sua avventatezza; molti nel quieto corridoio adesso
lo guardava interessati, sicuramente decisi a godersi la scena.
<< Ah… Ehm,
io vorrei parlarti. >>, disse con voce incerta, avvicinandosi lentamente
a lei, quasi avesse paura potesse scappare.
Chie guardò di soppiato
la sorella, che ricambiò lo sguardo, decisamente perplessa. Poi si rivolse
a Ron, con una voce stranamente flebile.
<< Oh, sì,
non c’è problema… >>, mormorò senza guardarlo
negli occhi.
<< Allora io vado.
Non ti preoccupare, Cho, ti aspetto nella Sala da Tè… Arrivederci…
>>, e la ragazza, salutando Ron con freddezza se ne andò a passo
svelto, lasciandoli soli.
Cho continuava a non guardarlo,
stringendosi nel sottile golfino bianco che la copriva insieme a una veste da
camera azzurro chiaro, molto leggera. Lei sembrava sofferente, fragile e triste.
Stava per chiederle se avesse freddo, quando lei a sorpresa disse, sempre a
voce molto debole:
<< Mh… Che
ne dici di andare sulla balconata? Così possiamo parlare. >>, e
a passi incerti avanzò nel corridoio.
Ron era confuso e un po’
agitato, non sapeva nemmeno perché si era messo a urlare in quel modo
in corridoio, e effettivamente non aveva nulla da dirle…
“Eccetto che
è bellissima… Che mi piace… Oh, No, no. Non posso mica fare
la figura del maniaco, e poi che stronzate sono?”
Incominciò a lambiccarsi
il cervello cercando una scusa plausibile per le sue azioni impulsive…
In fondo, voleva solo sapere come stava… Cioè, forse non era un
grande argomento di conversazione… Ma quando l’aveva vista, là
fuori, che gli sfuggiva dalla vista, che scivolava via silenziosamente, aveva
sentito una strana stretta nello stomaco. Era un’occasione. Probabilmente
non ne avrebbe avute altre per parlare, per… Anche solo per vederla sorridere
appena, muoversi in maniera così eterea, così aggraziata…
E nel bel mezzo delle sue intelligentissime riflessioni, Ron fu distratto proprio
dalla figura di Cho, che camminava silenziosamente al suo fianco, guardando
dritto davanti a sé. La luce le arrivava sul volto facendole brillare
gli occhi in maniera innaturale, sembravano quasi lucidi di pianto. La pelle
bianca, anche troppo, addirittura sulle guance e sulle labbra sottili non c’era
traccia di colore. Sembrava stare davvero male, e lui sentì una strana
ansia mista ad agitazione: voleva proteggerla, voleva farla sentire bene…
Non sapeva spiegarsi bene come poteva essere potuto succedere… Lei era
sempre stata così bella, e lui non se ne era accorto… Di Hermione
lo aveva sempre affascinato l’intelligenza, la gentilezza, e ai suoi occhi
aveva ancora quella bellezza che la rendeva diversa da qualsiasi canone, anche
se non molti sembravano accorgersene.
Cho era diversa, e questo era lampante: la sua grazie era evidente, gli occhi
grigi, a mandorla, la pelle serica che contrastava coi capelli scuri, lisci
e lucenti. Il corpo minuto ma attraente, quel modo particolare di muoversi…
Che fosse solo attrazione fisica?
Quell’improvviso pensiero congelò la mente di Ron.
“Solo attrazione
fisica… Ma non può essere… Eppure…”
Improvvisamente, voleva
scappare. Lontano. Andare via, non dovere affrontare imbarazzi e vergogna..
Aveva dato abbastanza. Non voleva…
Ma era troppo tardi, aveva raggiunto il balcone e Cho con un gesto stanco cercò
di aprire la porta che dava sull’esterno, senza successo però.
Ron senza pensare mise la mano sulla maniglia per aprirla con la forza, senza
accorgersi di averla messa proprio su quella di Cho, che la ritrasse senza mostrare
segni di fastidio o imbarazzo. Dato che neanche con la sua ‘forza-bruta’
riuscì ad aprirla, la cose più logica da fare era usare la bacchetta,
e con un semplice incantesimo alohmora la porta si aprì di scatto. Probabilmente
era solo una precauzione per i pazienti…
Nel vedergli estrarre la
bacchetta, Cho fece una strano sorriso, quasi fosse rammaricata.
Uscirono alla luce del
crepuscolo. Faceva fresco, e non c’era nessuno sulla piccola terrazza,
con vista sullo squallido quartiere di Londra dove stava l’ospedale.
Cho era ancora davanti
a lui, il vento gli scompigliava un po’ i capelli e le faceva alzare leggermente
i bordi della veste. Poi disse in un soffio:
<< Sai, mi hanno
tolto la bacchetta. Potrebbero anche spezzarmela. >>
Ron si bloccò guardandola
allibito. Lei ricambiava il suo sguardo tranquillamente, le labbra piegate in
un sorriso appena accennato, un sorriso che lasciava freddi gli occhi.
<< Ma…perché?
>>, chiese con un filo di voce
Cho scrollò appena
la testa, e si girò dall’altra parte. Ora gli dava le spalle.
<< Immagino che starete
bene, adesso. Senza… altri problemi. >>
<< Io… non
lo so, se starò bene. >>, disse Ron, confuso.
<< E perché
non dovresti? >>, domandò voltandosi all’improvviso: il suo
volto era una maschera impassibile.
<< Beh, non è…
>>, incominciò il ragazzo, indeciso
<< Ti faccio pena,
non è così? >>
<< Eh? >>
<< Smettila, mi dai
sui NERVI! >>, gridò con voce acuta, camminando a passo deciso
verso la porta.
Ma Ron fu più veloce,
e la prese per un braccio, facendola sussultare. Lo guardò freddamente,
e, recuperata la calma, disse:
<< Lasciami andare.
Vattene, non voglio… >>
<< Solo perché
non state più insieme non vuol dire che puoi darmi ordini e fare l’isterica.
Non credo ti faccia sentire meglio. >>
<< E se invece così
fosse? >>
Lui la guardò un
attimo, lasciò la presa e si mise una mano sotto il mento, roteando gli
occhi in una perfetta e finta indecisione.
<< Beh, in quel caso
fallo quanto vuoi. E’ sempre un piacere farsi spaccare i timpani da una
bella ragazza. Ginny ne ha sempre ampiamente approfittato. Beh, meno male che
adesso ha Zabini per sfogarsi, in qualcosa si è reso utile, alla fine…
>>
Cho lo guardò inarcando
un sopracciglio, come indecisa se ridere o urlargli in faccia.
<< Perché…
ti affanni tanto, con me? Perché sei qui? >>, chiese infine
Lui si rifece serio, e
abbassò appena lo sguardo.
<< Chissà…
Forse sono qui per scoprirlo. >>
<< Mh… Molto
enigmatico. >>
Passarono così i
minuti, in silenzio. Il sole incominciava a tramontare sulla sporca periferia
londinese, e il sole era un piccolo disco arancione, che oscurava gli occhi
e faceva sanguinare il cuore. Un tramonto è sempre un segno, di un inizio
e una fine, di un racconto che termina ma non muore. Il sole è del colore
delle piume dell’immortale fenice, perché se ogni volta sprofonda
lasciando il posto all’oscurità più fitta, perché
anche se ogni volta muore, come lei risorge. E tutte le volte che il sole tramonta,
sorgerà di nuovo. E noi saremo lì, e sarà la nostra rinascita.
Per sempre.
Il vento si stava alzando,
la luce più debole mandava bagliori rossastri, che si confondevano nella
sua pelle ambrata, che facevano sembrare ancora più vivi quei capelli
rossi, ulteriormente spettinati dalla brezza.
Alla fine, inspirando profondamente,
lui parlò.
<< Allora…
Adesso cosa farai? >>, domando nervosamente.
Lei si voltò con
lentezza, con un’espressione quasi serena dipinta in volto.
<< Andrò via.
Lontano. >>, disse con le mani attaccate alla ringhiera. Guardando oltre
il cielo.
<< Per quanto tempo?
>>
<< Non lo so…
- sorrise a testa bassa - Forse un mese, forse di più… Forse voglio
dimenticare, o ricordare per sempre…Chissà. >>
<< Ti aspetterò.
>>, replicò lui fermo.
<< Ora dici così,
ma io sono capricciosa… Potrei farti aspettare per sempre. >>
<< Aspetterò
per sempre. >>, disse con un impercettibile sorriso.
Cho si voltò, a
guardarlo, quasi colpita da quelle semplici parole. E senza altro da dire, stanca
di piangere, stanca di gridare, fece un lieve, accennato sorriso. E contemporaneamente,
una lacrime solitario le andò a morire sulla guancia, in un gesto identico
a quella sera. Ron non poté non notarlo. Ed era un ricordo, ed era un
addio.
Una goccia di sangue, un ultima lacrima.
E così, con parole
gridate e sussurrate, con espressioni indecifrabili e rari sorrisi… Così,
e basta.
Si avvicinò a lui,
e appoggiò le labbra sulla sua guancia, per un secondo fugace e interminabile,
senza significato eppure importante. Poi rientrò nell’ambiente
rumoroso e ordinario dell’ospedale, lasciandolo là fuori, solo
a guardare quel tramonto, quel morire e vivere infinito, a piangere e ridere
e chiedersi perché.
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Il sole era ancora alto nonostante l’ora tarda, ma il tramonto si annunciava
imminente. Harry non ebbe molto tempo per chiedersi cosa diavolo avesse spinto
Ron a precipitarsi fuori dalla stanza in quel modo; ma la sua uscita –
che inizialmente gli era sembrata provvidenziale – ora lo aveva messo
in una situazione spiacevole. Senza via di fuga.
“Sempre la solita
storia: dov’è l’uscita di emergenza quando serve?”,
si chiese disperato.
Hermione ormai era furiosa,
e quando parlò di nuovo la sua voce era spezzata e fragile, in un modo
che fece rabbrividire Harry.
<< Devo ripeterlo
un’altra volta? >>
Lui non rispose.
<< Ho capito…
Ho capito. Vattene. >>, disse lentamente, ma decisa.
<< C-cosa? >>
<< HO DETTO VATTENE!
>>
<< NO! >>,
gli ridò lui di rimando, a sorpresa.
L’improvvisa decisione
del ragazzo lasciò Hermione di stucco, e, per la seconda o terza volta
nella sua vita, senza parole.
<< Sì, va
bene, vuoi che te lo dica? Vuoi che-
<< No voglio che
tu ‘me lo dica’ per farmi sentire soddisfatta, voglio sapere se
è così, idiota! >>, urlò, sull’orlo delle lacrime.
<< E questo cosa
dovrebbe cambiare?! Cosa vuol dire? Come… Come puoi chiedermi una cosa
del genere, così…! >>
<< E allora a cosa
sono valse, tutte quelle parole, quella sera…? Che significato avevano?
Volevi divertirti, non è così?! >>
<< Divertirmi…?
Pensi che io mi sia divertito?! >>
<< Quanto mi dispiace,
non è andata come credevi! Una scopata e via, ecco cosa pensavi tanto
è Hermione e-
Si interruppe, rossa in
volto e con gli occhi lucidi, alla vista dell’espressione sconvolta del
ragazzo di fronte a lei. La fissava con insistenza, quasi incredulo, tra il
disgustato e il ferito.
<< S-scusa…
>>
<< Come puoi pensare
che io volessi una cosa del genere? Come puoi farlo…? E’ davvero
questo che sono, per te? Vuoi sapere se ti amo, così, per sfizio? Vuoi
esserne sicura perché se-no-non-va-bene-che-non-siamo-più-ragazzini?
>>, disse con freddezza, ignorando le sue scuse.
<< Harry, io…
>>
<< No, ora basta.
Volevi una risposta e l’avrai. Non sarà quella che immaginavi,
ma non è su un libro di testo che l’ho imparata. Hermione, tu mi
piaci. Mi piace il modo in cui sorridi, mi piace il tuo coraggio e il fatto
che non ti arrendi mai. Quasi non ti sopporto quando fai la saccente, ma sei
incredibile e basta. Vorrei poter stare sempre insieme a te, vorrei non averti
fatto soffrire in tutto questo tempo, e vorrei poter non fartene più,
mai più, ma non credo più nei miracoli. Sono stupido, forse. Forse
sono solo un ragazzino immaturo, come mi chiamavi tu, e forse… Non lo
so, sono molte cose e tu sei tante altre, per me. Forse ti amo. Io… >>
Non poté terminare
la frase, perché una massa di capelli crespi gli oscurò completamente
la vista, e le sue braccia gli si erano strette al collo con forza, facendogli
quasi male. Harry non poteva vederla, ma se la immaginava con gli occhi serrati
e i denti che si mordevano le labbra nel tentativo di non parlare. Le passò
un braccio intorno alle spalle. Stringendola forte, rispondendo a quell’improvviso
abbraccio come poteva.
Quando si staccarono, lei
lo guardò negli occhi.
<< Sei uno stupido.
>>, sentenziò.
<< Tu non lo sei
mai… >>, rispose sorridendogli.
<< Sono saccente
e… un’insopportabile so-tutto-io. >>
<< E’ vero.
Che sai tutto, intendo. >>
<< Comunque, scusa…
>>, mormorò abbassando improvvisamente gli occhi
<< No, non basta…
>>
<< C-cosa?! >>
<< Non so se posso
perdonarti… >>, disse Harry, serissimo.
<< Ma… >>
<< Beh, se proprio
vuoi, potrei concederti la grazia… Ma a una condizione. >>
<< A patto che non
sia niente di troppo strano… Mh, cioè? >>
<< Baciami. >>
Hermione lo guardò
con un cipiglio imbronciato per qualche secondo, le mani sui fianchi e quegli
occhi nocciola intenso puntati su di lui.
<< Beh, se bastava
così poco… >>, disse infine.
E il bacio fu.
Non puro e casto, non selvaggio e travolgente: gesti lenti, sicuri, di chi aspetta
quel momento da tanto e teme che senza trattenere l’impeto, la felicità
scivolo via con leggerezza.
Quando si staccarono, dopo interminabili minuti, Harry la guardò trattenendo
a stento un largo sorriso.
<< Sai una cosa,
Herm? >>
<< No, cosa? >>
<< Anche senza parlare
sai essere molto eloquente. >>
<< …. >>
… E adesso, come
una canzone lenta, come degli accordi di pianoforte che sfumano nella tempesta,
lasciamo che il tempo passi, che le voci e gli echi si spengano…
Riuscite a sentire?
Il tintinnare dei sorrisi sinceri, gli squarci delle bugie, i momenti felici
e le lacrime che cadono incessantemente. Lo scorrere della vita e il fluire
del tempo.
Il pianto di un bambino. Vociare indistinto. Mormorii eccitati. Nervosismo.
Giorni dal cielo terso. Inverni lunghi e solitari.
Riuscite a vedere?
Potete visualizzare, come istantanee sfocate dal vecchio stampo, frammenti di
esistenza?
Un cielo rosso sangue, la neve dalle finestre della Tana, una città distrutta,
un sorriso stanco. Momenti trascorsi insieme, periodi di separazione. Volti
contratti dalla rabbia, distesi dalla felicità, sconvolti dal dolore
e rossi di vergogna.
Ed è solo un periodo, un profumo che in aria si spande, per poi sparire
veloce com’era arrivato.
E’ il futuro che attende oltre quella porta, appostato dietro uno scaffale
del ghirigoro, fra le tubature marce e le soffitte cadenti.
Sono gli attimi fuggenti che decidono del destino, le occasioni che ci si presentano:
arrivano, e spariscono con uno sbuffo argenteo.
Ma non è una fine,
è solo una storia che termina.
E allora ritiriamoci, questo spettacolo, ormai è finito. Lasciamo che
le nostre marionette giochino in libertà, facciamoli innalzare nei cieli
più profondi, senza limiti di tempo e spazio, senza le nostre pesanti
catene.
E ho finito di raccontare,
questo momento andrà avanti, resterò qui.
La strada è ancora lunga, e alla fine, la vita è una scomessa.
E per chi ha vinto, per
chi non vuol più giocare, e chi non l’ha mai fatto, chi c’ha
provato troppe volte e ha perso…
Scacco Matto.
FINE
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