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Autore: suzako    04/03/2006    5 recensioni
"...E anche noi, come questo sole che sanguina, morire e risorgeremo, come l'immortale fenice. Per sempre" [STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Chang, Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Untitled Document L’ospedale San Mungo era forse quasi più affollato di quanto Harry ricordasse, ma dato che molto tempo era passato dall’ultima volta che vi aveva messo piede, non poté fare a meno di guardarsi continuamente intorno, ignorando le solite occhiate che riceveva. Si avvicinò allo sportello informazioni con Ron, dietro a una giovane e disperata strega, la cui pelle sembrava non volerne sapere di mantenere la stessa colorazione per più di dieci secondi: mentre parlava era di un bel verde accesso, non che questa la consolasse molto, mentre chiedeva con voce flebile dove poteva essere curata.

<< Primo piano, porta in fondo. >> - fu la secca risposta dell’addetta, mentre la ragazza se ne andava brontolando sugli effetti di una pozione cambiacolore.

Ron si fece avanti schiarendosi la voce.

<< Stiamo cercando… Hermione Granger, sa per caso dove…? >>

<< Mi faccia controllare… Gangee, Gierufthky, Graingyr… Granger, sì… Quarto piano, prima porta a sinistra. Del reparto si occupa Mayer Illander, il prossimo. >>, rispose prontamente la strega, tutto d’un fiato, senza guardarli negli occhi.

Salendo, videro di sfuggita il ritratto di Dylis Derwent, ammiccante e coi lunghi boccoli d’argento che gli ricadevano compostamente sulle spalle.
Il corridoio era di un bianco accecante, con poche immagini appese alle pareti, rappresentanti paesaggi dai colori sbiaditi, con le fronde degli alberi mosse dal vento.
I Guaritori camminavano a passo svelto per i corridoi, con le uniformi verde acido che parevano più macchie sfocate che essere umani, mentre sfrecciavano fra le varie stanze. Un leggero odore di disinfettante aleggiava nell’ambiente.

Stavano andando a trovarla, dopo quella volta. E Harry non poté fare a meno di chiedersi quale reazione avrebbe avuto...

“Starà dormendo?”

<< Oh, Harry, credo sia questo… >>, incominciò Ron

“E’ già due giorni che è qui al San Mungo, e noi non eravamo ancora venuti. Forse è arrabbiata.”

<< No, aspetta… >>

“Cosa dirà quando ci vedrà arrivare?”

<< Ecco, ci siamo! Forza, entriamo? >>

“Però… Dopo tutto quello che è successo… Adesso…”

<< Harry? Harry, tutto bene? >>

“Ma cosa devo fare? Cioè, dovrò dirle qualcosa di particolare? Erano mesi che non la vedevo…”

<< Terra-chiama-Harry, ci sei!? >>

<< Che? Cosa? >>

<< … >>

<< Ah, è qui… Perché non me lo hai detto, Ron?! >>, disse brusco Harry, tirando in avanti la maniglia, per entrare nella stanza. Ron, dietro di lui, borbottò qualcosa di incomprensibile come ‘ci è o ci fa’, ma non indaghiamo oltre.


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Hermione era rimasta in stato di shock per un giorno, dopo il cosiddetto ‘incidente’ a Casa Potter, fissando il soffitto bianchissimo della stanza fino a farsi male agli occhi. Erano successe troppe cose in una volta, e il solo pensarci le dava un senso di nausea e confusione che non poteva controllare. Come quella sera. Le cose le erano sfuggite di mano, aveva perso la lucidità e la capacità di giudizio: si era ritrovata sola, indifesa, inutile, contro uno stupido molliccio e un ex-galeotto completamente pazzo. Avrebbe chiesto le dimissioni come Auror, era l’unica soluzione plausibile che le permetteva allo stesso tempo di salvare qualcosa del suo orgoglio. Inammissibile. Si era comportata in maniera inammissibile, non se lo sarebbe perdonata.
Perché la verità era che aveva messo a repentaglio la vita di Ron, oltre che quella di Harry e Cho Chang. Non avrebbe dovuto.
E poi… era sbagliato. Come poteva essere possibile perdere il controllo per una sola persona? In maniera così totale, senza possibilità di appello. Le era bastato… vedere…
Ma perché bastava il ricordo a farle così male? Possibile che…
No, assolutamente. Aveva tutto sotto controllo.
Eppure, l’unica spiegazione possibile…
Sì, l’unica.
Era sdraiata sul letto.
Se chiudeva gli occhi, quell’immagine bruciava ancora nitida.
Morto. Un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca, gli occhi sbarrati e vacui, gli occhiali rotti e piegati sul volto. La posizione delle braccia, così innaturale e rigida. Tutto esprimeva dolore e ansia. Non era possibile. Non era possibile. Non era…
E’ solo un ricordo. Non è vero. Apri gli occhi.
E’ solo un ricordo. Apri gli occhi.
Hermione, apri gli occhi…

<< Ehi, Herm, stai dormendo? >>, la voce di Ron le giunse come un eco lontano, ma fu sufficiente a farla alzare di scatto.

<< Oh! Ron, Harry! Ciao… >>, tentò di sorridere, ma a giudicare dalla loro espressione, doveva aver fatto una smorfia più simile a un mal di denti.

<< ma… Stai piangendo? >>, chiese Ron stupito, guardandola preoccupato

Hermione impallidì, e si tocco una guancia con la mano: aveva il volto bagnato, e ancora segnato dai solchi che le lacrime, versate inavvertitamente, le avevano lasciato.

<< Io… Io sono solo un po’ stanca. >>, balbettò, cercando di ricomporsi.

Harry, che fino a quel momento aveva fissato con grande interesse il pavimento dell’ospedale, volse gli occhi verso la ragazza, con una nota di panico nello sguardo. Non sapeva cosa dire, quella situazione era decisamente imbarazzante e...
Perché lei piangeva? Perché dopo quella notte, non faceva altro che pensare a lei?
Si sentiva in colpa, e la sua espressione sofferente non contribuiva a farlo sentire meglio.

Hermione deglutì a fatica e strinse i pugni intorno alle lenzuola, asciugandosi con un gesto rapido le guance umide, e evitando accuratamente di incontrare lo sguardo di Ron, tantomeno di Harry.
Cosa avrebbero pensato di lei? Che era una debole? Che era una stupida sentimentale con qualche problema mentale…?
La verità non la sapeva neanche lei. Era appena tornato tutto come un tempo, e non voleva rovinare nuovamente la situazione a causa dei… dei suoi stupidi sentimenti.
Già, stupidi. Non era la verità, e appunto perché sentiva che non c’era nulla di sciocco o superficiale, che era così spaventata… Non poteva rinunciare a Harry, non voleva ferire Ron…
Possibile fosse così doloroso? Possibile non ci fosse una via d’uscita…?

Anche Ron si accorse che c’era qualcosa che non andava. “Sì, questa è la mia solita sensibilità da cucchiaino da tè”, pensò amareggiato. Eppure, non aveva saputo trattenere il suo stupore… era tutto così strano… Certo, ai tempi di Hogwarts avventure di quel tipo era praticamente l’ordinario per loro, e vedere che questa volta qualcosa sembrava aver lasciato il segno più del solito… Lo turbava.
Poi, sapeva benissimo quel che sarebbe successo, tra i suoi due migliori amici: non voleva, e non poteva, far nulla per evitarlo. Si erano appena ritrovati e…

E in quel momento, la vide.
Fu un lampo, un’istantanea di lucidi capelli neri e veli azzurri, udì quella voce dolce e un po’ acuta che aveva imparato a riconoscere dalle altre… E ne fu certo: per un attimo, i loro occhi si incontrarono. Solo un istante, e Cho Chang sparì dalla sua visuale, oltrepassando la porta aperta del reparto.

Improvvisamente, la stanza divenne calda, troppo calda. Doveva uscire… Doveva… Parlarle, anche solo per un minuto, solo per guardarla negli occhi.

<< Io, beh, io vado… Ci vediamo dopo, ciao! >>, balbettata qualche scusa a stento, Ron corse fuori, verso il corridoio, apparentemente senza motivo.

Harry e Hermione lo guardarono sparire alquanto allibiti.

<< Ma… cosa…? >>, parlò per prima Harry, decisamente contrariato.

<< Non chiederlo a me. Magari si è sentito male… >>, borbottò Hermione

<< Beh almeno è nel posto adatto, no? >>, rispose il ragazzo, riuscendo a strapparle un mezzo sorriso. Poi calò di nuovo il silenzio, solo molto più imbarazzato di prima.

Dopo cinque minuti buoni che Hermione fissava la stessa pagina della gazzetta seduta sul letto, e Harry osservava un punto imprecisato fuori dalla finestra, aggrottando le sopracciglia, capirono entrambi che non aveva senso agire in quel modo.

<< ehm… >>, esordirono contemporaneamente.

<< oh, scusa! Beh, che c’è? >>, disse Hermione con una risatina nervosa.

Harry inspirò profondamente, e parlò. << Io… Insomma, dopo quella sera… Tu… Noi… Come dire… >>, incominciò decisamente in panico.

La ragazza lo fissò imperscrutabile qualche secondo, per poi dire con voce piatta: << Mi stai chiedendo se stiamo insieme? >>

<< … Se lo dici così mi sembra di capire che l’idea non ti và molto. Forse sono io che ti ho fraintesto. Sarà stato lo shock del momento, oppure… >>, mormorò gelido, cambiando improvvisamente espressione.

Hermione si sentì avvampare, e si vergognò immensamente per quel che aveva detto. Le parole le erano uscite spontanee, non si era resa conto del tono duro e quasi accusatorio che aveva usato. Ma perché dovevano sempre, inevitabilmente, farsi del male? Sospirò tristemente, e abbassò lo sguardo, confusa.

<< Mi dispiace… Non lo so, davvero. >>

<< Cosa vuol dire che non lo sai? >>, chiese Harry

Hermione sapeva cosa dire. Il cuore incominciò a batterle a mille, arrossì ancora di più se possibile ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo del ragazzo. Poi prese un profondo respiro, e…

<< Voglio dire, che quello che ancora non so… - pausa – Tu mi ami, Harry? >>

Lui la guardò allibito per poco più di un secondo, decisamente preso alla sprovvista, impallidendo e arretrando di qualche passo. Lei lo guardava fisso, con gli occhi lucidi, i capelli disordinatamente raccolti e si mordeva nervosamente le labbra, senza distogliere lo sguardo.

“Decisamente, quel che si dice una situazione non facile…”

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Ron si catapultò in corridoio, e la vide allontanarsi verso la balconata, seguita da un’altra ragazza che aveva i capelli del suo stesso colore, solo più corti.
Lui rimase paralizzato un momento, indeciso sul da farsi: poi l’impulsività ebbe la meglio, e strillò a pieni polmoni:

<< Cho! A-Aspetta! >>, la chiamò senza pensare.

Lei si voltò di scatto, decisamente sorpresa. Anche la sorella lo squadrava sospettosa, con le sopracciglia aggrottate. Ora che la vedeva in viso Ron poté notare quanto fosse pallida, e che due ombre scure le si erano formate sotto gli occhi. Tuttavia non disse nulla, e il ragazzo si sentì decisamente imbarazzato, quasi si pentì della sua avventatezza; molti nel quieto corridoio adesso lo guardava interessati, sicuramente decisi a godersi la scena.

<< Ah… Ehm, io vorrei parlarti. >>, disse con voce incerta, avvicinandosi lentamente a lei, quasi avesse paura potesse scappare.

Chie guardò di soppiato la sorella, che ricambiò lo sguardo, decisamente perplessa. Poi si rivolse a Ron, con una voce stranamente flebile.

<< Oh, sì, non c’è problema… >>, mormorò senza guardarlo negli occhi.

<< Allora io vado. Non ti preoccupare, Cho, ti aspetto nella Sala da Tè… Arrivederci… >>, e la ragazza, salutando Ron con freddezza se ne andò a passo svelto, lasciandoli soli.

Cho continuava a non guardarlo, stringendosi nel sottile golfino bianco che la copriva insieme a una veste da camera azzurro chiaro, molto leggera. Lei sembrava sofferente, fragile e triste.
Stava per chiederle se avesse freddo, quando lei a sorpresa disse, sempre a voce molto debole:

<< Mh… Che ne dici di andare sulla balconata? Così possiamo parlare. >>, e a passi incerti avanzò nel corridoio.

Ron era confuso e un po’ agitato, non sapeva nemmeno perché si era messo a urlare in quel modo in corridoio, e effettivamente non aveva nulla da dirle…

“Eccetto che è bellissima… Che mi piace… Oh, No, no. Non posso mica fare la figura del maniaco, e poi che stronzate sono?”

Incominciò a lambiccarsi il cervello cercando una scusa plausibile per le sue azioni impulsive… In fondo, voleva solo sapere come stava… Cioè, forse non era un grande argomento di conversazione… Ma quando l’aveva vista, là fuori, che gli sfuggiva dalla vista, che scivolava via silenziosamente, aveva sentito una strana stretta nello stomaco. Era un’occasione. Probabilmente non ne avrebbe avute altre per parlare, per… Anche solo per vederla sorridere appena, muoversi in maniera così eterea, così aggraziata…
E nel bel mezzo delle sue intelligentissime riflessioni, Ron fu distratto proprio dalla figura di Cho, che camminava silenziosamente al suo fianco, guardando dritto davanti a sé. La luce le arrivava sul volto facendole brillare gli occhi in maniera innaturale, sembravano quasi lucidi di pianto. La pelle bianca, anche troppo, addirittura sulle guance e sulle labbra sottili non c’era traccia di colore. Sembrava stare davvero male, e lui sentì una strana ansia mista ad agitazione: voleva proteggerla, voleva farla sentire bene…
Non sapeva spiegarsi bene come poteva essere potuto succedere… Lei era sempre stata così bella, e lui non se ne era accorto… Di Hermione lo aveva sempre affascinato l’intelligenza, la gentilezza, e ai suoi occhi aveva ancora quella bellezza che la rendeva diversa da qualsiasi canone, anche se non molti sembravano accorgersene.
Cho era diversa, e questo era lampante: la sua grazie era evidente, gli occhi grigi, a mandorla, la pelle serica che contrastava coi capelli scuri, lisci e lucenti. Il corpo minuto ma attraente, quel modo particolare di muoversi…
Che fosse solo attrazione fisica?
Quell’improvviso pensiero congelò la mente di Ron.

“Solo attrazione fisica… Ma non può essere… Eppure…”

Improvvisamente, voleva scappare. Lontano. Andare via, non dovere affrontare imbarazzi e vergogna.. Aveva dato abbastanza. Non voleva…
Ma era troppo tardi, aveva raggiunto il balcone e Cho con un gesto stanco cercò di aprire la porta che dava sull’esterno, senza successo però. Ron senza pensare mise la mano sulla maniglia per aprirla con la forza, senza accorgersi di averla messa proprio su quella di Cho, che la ritrasse senza mostrare segni di fastidio o imbarazzo. Dato che neanche con la sua ‘forza-bruta’ riuscì ad aprirla, la cose più logica da fare era usare la bacchetta, e con un semplice incantesimo alohmora la porta si aprì di scatto. Probabilmente era solo una precauzione per i pazienti…

Nel vedergli estrarre la bacchetta, Cho fece una strano sorriso, quasi fosse rammaricata.

Uscirono alla luce del crepuscolo. Faceva fresco, e non c’era nessuno sulla piccola terrazza, con vista sullo squallido quartiere di Londra dove stava l’ospedale.

Cho era ancora davanti a lui, il vento gli scompigliava un po’ i capelli e le faceva alzare leggermente i bordi della veste. Poi disse in un soffio:

<< Sai, mi hanno tolto la bacchetta. Potrebbero anche spezzarmela. >>

Ron si bloccò guardandola allibito. Lei ricambiava il suo sguardo tranquillamente, le labbra piegate in un sorriso appena accennato, un sorriso che lasciava freddi gli occhi.

<< Ma…perché? >>, chiese con un filo di voce

Cho scrollò appena la testa, e si girò dall’altra parte. Ora gli dava le spalle.

<< Immagino che starete bene, adesso. Senza… altri problemi. >>

<< Io… non lo so, se starò bene. >>, disse Ron, confuso.

<< E perché non dovresti? >>, domandò voltandosi all’improvviso: il suo volto era una maschera impassibile.

<< Beh, non è… >>, incominciò il ragazzo, indeciso

<< Ti faccio pena, non è così? >>

<< Eh? >>

<< Smettila, mi dai sui NERVI! >>, gridò con voce acuta, camminando a passo deciso verso la porta.

Ma Ron fu più veloce, e la prese per un braccio, facendola sussultare. Lo guardò freddamente, e, recuperata la calma, disse:

<< Lasciami andare. Vattene, non voglio… >>

<< Solo perché non state più insieme non vuol dire che puoi darmi ordini e fare l’isterica. Non credo ti faccia sentire meglio. >>

<< E se invece così fosse? >>

Lui la guardò un attimo, lasciò la presa e si mise una mano sotto il mento, roteando gli occhi in una perfetta e finta indecisione.

<< Beh, in quel caso fallo quanto vuoi. E’ sempre un piacere farsi spaccare i timpani da una bella ragazza. Ginny ne ha sempre ampiamente approfittato. Beh, meno male che adesso ha Zabini per sfogarsi, in qualcosa si è reso utile, alla fine… >>

Cho lo guardò inarcando un sopracciglio, come indecisa se ridere o urlargli in faccia.

<< Perché… ti affanni tanto, con me? Perché sei qui? >>, chiese infine

Lui si rifece serio, e abbassò appena lo sguardo.

<< Chissà… Forse sono qui per scoprirlo. >>

<< Mh… Molto enigmatico. >>

Passarono così i minuti, in silenzio. Il sole incominciava a tramontare sulla sporca periferia londinese, e il sole era un piccolo disco arancione, che oscurava gli occhi e faceva sanguinare il cuore. Un tramonto è sempre un segno, di un inizio e una fine, di un racconto che termina ma non muore. Il sole è del colore delle piume dell’immortale fenice, perché se ogni volta sprofonda lasciando il posto all’oscurità più fitta, perché anche se ogni volta muore, come lei risorge. E tutte le volte che il sole tramonta, sorgerà di nuovo. E noi saremo lì, e sarà la nostra rinascita.
Per sempre.

Il vento si stava alzando, la luce più debole mandava bagliori rossastri, che si confondevano nella sua pelle ambrata, che facevano sembrare ancora più vivi quei capelli rossi, ulteriormente spettinati dalla brezza.

Alla fine, inspirando profondamente, lui parlò.

<< Allora… Adesso cosa farai? >>, domando nervosamente.

Lei si voltò con lentezza, con un’espressione quasi serena dipinta in volto.

<< Andrò via. Lontano. >>, disse con le mani attaccate alla ringhiera. Guardando oltre il cielo.

<< Per quanto tempo? >>

<< Non lo so… - sorrise a testa bassa - Forse un mese, forse di più… Forse voglio dimenticare, o ricordare per sempre…Chissà. >>

<< Ti aspetterò. >>, replicò lui fermo.

<< Ora dici così, ma io sono capricciosa… Potrei farti aspettare per sempre. >>

<< Aspetterò per sempre. >>, disse con un impercettibile sorriso.

Cho si voltò, a guardarlo, quasi colpita da quelle semplici parole. E senza altro da dire, stanca di piangere, stanca di gridare, fece un lieve, accennato sorriso. E contemporaneamente, una lacrime solitario le andò a morire sulla guancia, in un gesto identico a quella sera. Ron non poté non notarlo. Ed era un ricordo, ed era un addio.
Una goccia di sangue, un ultima lacrima.

E così, con parole gridate e sussurrate, con espressioni indecifrabili e rari sorrisi… Così, e basta.

Si avvicinò a lui, e appoggiò le labbra sulla sua guancia, per un secondo fugace e interminabile, senza significato eppure importante. Poi rientrò nell’ambiente rumoroso e ordinario dell’ospedale, lasciandolo là fuori, solo a guardare quel tramonto, quel morire e vivere infinito, a piangere e ridere e chiedersi perché.


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Il sole era ancora alto nonostante l’ora tarda, ma il tramonto si annunciava imminente. Harry non ebbe molto tempo per chiedersi cosa diavolo avesse spinto Ron a precipitarsi fuori dalla stanza in quel modo; ma la sua uscita – che inizialmente gli era sembrata provvidenziale – ora lo aveva messo in una situazione spiacevole. Senza via di fuga.

“Sempre la solita storia: dov’è l’uscita di emergenza quando serve?”, si chiese disperato.

Hermione ormai era furiosa, e quando parlò di nuovo la sua voce era spezzata e fragile, in un modo che fece rabbrividire Harry.

<< Devo ripeterlo un’altra volta? >>

Lui non rispose.

<< Ho capito… Ho capito. Vattene. >>, disse lentamente, ma decisa.

<< C-cosa? >>

<< HO DETTO VATTENE! >>

<< NO! >>, gli ridò lui di rimando, a sorpresa.

L’improvvisa decisione del ragazzo lasciò Hermione di stucco, e, per la seconda o terza volta nella sua vita, senza parole.

<< Sì, va bene, vuoi che te lo dica? Vuoi che-

<< No voglio che tu ‘me lo dica’ per farmi sentire soddisfatta, voglio sapere se è così, idiota! >>, urlò, sull’orlo delle lacrime.

<< E questo cosa dovrebbe cambiare?! Cosa vuol dire? Come… Come puoi chiedermi una cosa del genere, così…! >>

<< E allora a cosa sono valse, tutte quelle parole, quella sera…? Che significato avevano? Volevi divertirti, non è così?! >>

<< Divertirmi…? Pensi che io mi sia divertito?! >>

<< Quanto mi dispiace, non è andata come credevi! Una scopata e via, ecco cosa pensavi tanto è Hermione e-

Si interruppe, rossa in volto e con gli occhi lucidi, alla vista dell’espressione sconvolta del ragazzo di fronte a lei. La fissava con insistenza, quasi incredulo, tra il disgustato e il ferito.

<< S-scusa… >>

<< Come puoi pensare che io volessi una cosa del genere? Come puoi farlo…? E’ davvero questo che sono, per te? Vuoi sapere se ti amo, così, per sfizio? Vuoi esserne sicura perché se-no-non-va-bene-che-non-siamo-più-ragazzini? >>, disse con freddezza, ignorando le sue scuse.

<< Harry, io… >>

<< No, ora basta. Volevi una risposta e l’avrai. Non sarà quella che immaginavi, ma non è su un libro di testo che l’ho imparata. Hermione, tu mi piaci. Mi piace il modo in cui sorridi, mi piace il tuo coraggio e il fatto che non ti arrendi mai. Quasi non ti sopporto quando fai la saccente, ma sei incredibile e basta. Vorrei poter stare sempre insieme a te, vorrei non averti fatto soffrire in tutto questo tempo, e vorrei poter non fartene più, mai più, ma non credo più nei miracoli. Sono stupido, forse. Forse sono solo un ragazzino immaturo, come mi chiamavi tu, e forse… Non lo so, sono molte cose e tu sei tante altre, per me. Forse ti amo. Io… >>

Non poté terminare la frase, perché una massa di capelli crespi gli oscurò completamente la vista, e le sue braccia gli si erano strette al collo con forza, facendogli quasi male. Harry non poteva vederla, ma se la immaginava con gli occhi serrati e i denti che si mordevano le labbra nel tentativo di non parlare. Le passò un braccio intorno alle spalle. Stringendola forte, rispondendo a quell’improvviso abbraccio come poteva.

Quando si staccarono, lei lo guardò negli occhi.

<< Sei uno stupido. >>, sentenziò.

<< Tu non lo sei mai… >>, rispose sorridendogli.

<< Sono saccente e… un’insopportabile so-tutto-io. >>

<< E’ vero. Che sai tutto, intendo. >>

<< Comunque, scusa… >>, mormorò abbassando improvvisamente gli occhi

<< No, non basta… >>

<< C-cosa?! >>

<< Non so se posso perdonarti… >>, disse Harry, serissimo.

<< Ma… >>

<< Beh, se proprio vuoi, potrei concederti la grazia… Ma a una condizione. >>

<< A patto che non sia niente di troppo strano… Mh, cioè? >>

<< Baciami. >>

Hermione lo guardò con un cipiglio imbronciato per qualche secondo, le mani sui fianchi e quegli occhi nocciola intenso puntati su di lui.

<< Beh, se bastava così poco… >>, disse infine.

E il bacio fu.
Non puro e casto, non selvaggio e travolgente: gesti lenti, sicuri, di chi aspetta quel momento da tanto e teme che senza trattenere l’impeto, la felicità scivolo via con leggerezza.
Quando si staccarono, dopo interminabili minuti, Harry la guardò trattenendo a stento un largo sorriso.

<< Sai una cosa, Herm? >>

<< No, cosa? >>

<< Anche senza parlare sai essere molto eloquente. >>

<< …. >>

… E adesso, come una canzone lenta, come degli accordi di pianoforte che sfumano nella tempesta, lasciamo che il tempo passi, che le voci e gli echi si spengano…
Riuscite a sentire?
Il tintinnare dei sorrisi sinceri, gli squarci delle bugie, i momenti felici e le lacrime che cadono incessantemente. Lo scorrere della vita e il fluire del tempo.
Il pianto di un bambino. Vociare indistinto. Mormorii eccitati. Nervosismo. Giorni dal cielo terso. Inverni lunghi e solitari.
Riuscite a vedere?
Potete visualizzare, come istantanee sfocate dal vecchio stampo, frammenti di esistenza?
Un cielo rosso sangue, la neve dalle finestre della Tana, una città distrutta, un sorriso stanco. Momenti trascorsi insieme, periodi di separazione. Volti contratti dalla rabbia, distesi dalla felicità, sconvolti dal dolore e rossi di vergogna.
Ed è solo un periodo, un profumo che in aria si spande, per poi sparire veloce com’era arrivato.
E’ il futuro che attende oltre quella porta, appostato dietro uno scaffale del ghirigoro, fra le tubature marce e le soffitte cadenti.
Sono gli attimi fuggenti che decidono del destino, le occasioni che ci si presentano: arrivano, e spariscono con uno sbuffo argenteo.

Ma non è una fine, è solo una storia che termina.
E allora ritiriamoci, questo spettacolo, ormai è finito. Lasciamo che le nostre marionette giochino in libertà, facciamoli innalzare nei cieli più profondi, senza limiti di tempo e spazio, senza le nostre pesanti catene.

E ho finito di raccontare, questo momento andrà avanti, resterò qui.
La strada è ancora lunga, e alla fine, la vita è una scomessa.

E per chi ha vinto, per chi non vuol più giocare, e chi non l’ha mai fatto, chi c’ha provato troppe volte e ha perso…

Scacco Matto.

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

  
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