Capitolo 25- Prisoner
Eccomi qui anche stasera. Scusate
l'ora tarda, ma sto per uscire, e ci ho messo un po' a prepararmi.
Dico che sono un po' delusa. Nessuna
recensione per il capitolo scorso. Ma dove siete finiti tutti?
Vi ricordo che mancano alla
pubblicazione ancora tre capitoli escluso questo, e non avete più molto tempo
per commentare.
Vi ricordo l'indirizzo del mio sito
http://pottercontest.altervista.org
Bye a tutti, a domani.
Capitolo 25- Prisoner
La verità era che James Potter era il più
furbo degli Auror, ma era ugualmente vero che nessun Auror poteva competere con
Lord Voldemort.
E Lord Voldemort in persona si scomodò ad
andare a Goldrick’s Hollow, nella grande casa che i signori Potter avevano
regalato al figlio James quando aveva finito Hogwarts, con il massimo dei voti
al M.A.G.O.
James non si era quasi accorto di aver
davanti Voldemort. Si era semplicemente accasciato senza difendersi, quando lui
lo aveva schiantato.
Si era risvegliato poche ore dopo, in una
fredda, umida e buia cella, illuminata solo dalla fioca luce di una candela.
Davanti a lui si trovava una persona che
conosceva bene: Lily.
Ma non era la stessa Lily che aveva
lasciato più di cinque anni prima. Era pallida come la morte, e non c’era luce
nei suoi occhi; non c’erano sentimenti.
Lei non disse nulla, e anche James rimase
in silenzio. Lei si limitò ad avvicinarsi, con un ghigno stampato in volto, e
gli graffiò la guancia con le unghie. Poi lo lasciò sul gelido pavimento della
cella, solo, incatenato.
Il giorno dopo Lily si ripresentò nella
prigione, e questa volta parlò: “Ciao, James. Sorpreso di vedermi qui?”.
“Non più di tanto, se devo essere
sincero”.
“Sii pure sincero, tanto non ti cambierà
nulla il non esserlo. Non uscirai comunque di qui”.
“Sospettavo anche questo”.
“Ma prima di ucciderti, voglio divertirmi
un po’ con te”.
“Ne sono lusingato. Io mi sono sempre
divertito molto con te. E sai cosa intendo”.
“Fossi in te non farei lo spiritoso.
Crucio”.
James fu attraversato da una scarica di
dolore che lo trafisse da parte a parte. Ma non urlò, e cercò di evitare di
muoversi.
Lily lo guardava compiaciuta. Fermò
l’incantesimo: “Per adesso basta. La vendetta è un piatto che va consumato
freddo. A domani, James”.
E se ne andò. Ogni mattina tornava,
sottoponeva James alla maledizione cruciatus, ridendo crudelmente, e se ne
andava. Questa cosa andò avanti per diversi giorni, fino a che James non le
disse: “Sto cominciando a chiedermi cosa vuoi da me”.
“Ancora non l’hai capito? Voglio
divertirmi vedendoti soffrire e poi ucciderti”.
“E perché non l’hai ancora fatto? Si
direbbe che tu tenga a me, e per questo non riesci a farlo”.
“Io non tengo a nessuno, James Potter,
tantomeno a te”.
“Non c’è bisogno di arrabbiarsi. Però
quando ti arrabbi diventi ancora più bella”.
“Crucio”.
E ancora, per la milionesima volta in quei
giorni James fu investito da una scarica di dolore. Ma non gli importava. Voleva
andare fino in fondo. Voleva farla arrabbiare, voleva indagare la sua anima:
“Vedi. Continui a torturarmi, ma non hai il coraggio di uccidermi. E sai perché?
Perché sono l’unica persona che ti tiene ancora legata al passato. Tu amavi quel
passato, nonostante tutto. Sai che i tuoi genitori sono morti di dolore, e tua
sorella non vuole più sentir parlare di magia?”.
“Si, so tutto. Crucio”.
Di nuovo James si trovò disteso a terra
dolorante: “Hai visto, Lily. Mi ha messo a tacere perché non vuoi sentirti dire
la verità. Tu non sei una Mangiamorte, Lily. Perché lo sei diventata?”.
“Lo vuoi proprio sapere? Lo sono diventata
per colpa tua. Tu mi hai fatto conoscere l’odio, grazie alla tua saccenza, e
alla tua rabbia nei miei confronti. Sei contento di saperlo?”.
Lily uscì di corsa dalla cella, e non
smise di correre, non guardando nemmeno dove andava.
Si scontrò infatti con Voldemort in
persona: “Oh, Merlino! Perdonatemi, mio signore, non accadrà mai più una cosa
del genere”.
“Sei scusata, Lily. Venivi dalla cella di
James Potter?”.
“Proprio così”.
“Non mi piace questa situazione. Sei
strana da quando lui si trova qui. Vorrei che venisse ucciso al più presto.
Domani”.
“Sarà fatto, mio signore”.
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