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Savin' me
<< Hey
ragazzi… qualcuno sa perché siamo qui?
>>
domandò Geoff sorridendo, per nulla preoccupato.
<< Veramente
no. Mi è arrivato un messaggio di Chris,
diceva di trovarci tutti qui… >> rispose
Tyler. Qualcuno esclamò “Sì,
è
arrivato anche a me!” che scatenò un brusio
generale di assensi.
Nessuno voleva riprendere
a lavorare; la pausa era durata
troppo poco, un’altra stagione come le altre li avrebbe
definitivamente
distrutti.
Però Chris non
si era presentato e ora si ritrovavano tutti
in quel vecchio locale a riempire Chef di domande, il quale rispondeva,
scuotendo le spalle, che ne sapeva meno di loro.
<<
Conoscendo Chris, sarà uno dei suoi soliti
giochetti. Aspettiamolo, starà preparando
un’entrata trionfale >>
osservò pigramente Noah, per poi tornare al suo libro.
Tutti annuirono: i ragazzi
iniziarono a chiacchierare
tranquillamente e a bere i cocktail che gli assistenti –
sicuramente stagisti
sottopagati – offrivano loro, fiduciosi in una repentina
svolta interessante
della serata che però non avvenne.
Passarono
all’incirca venti minuti ma Chris non sembrava
aver intenzione di mostrarsi.
Heather si sedette su uno
sgabello e accavallò le gambe;
tamburellava le dita sul bancone con impazienza, sbuffando di tanto in
tanto.
Si stava annoiando
terribilmente, e le chiacchiere di Sierra
di certo non la aiutavano a svagarsi tuttavia le ascoltò
diligentemente;
interrompere Sierra mentre parlava del suo
Cody poteva essere davvero molto pericoloso.
<< Hey,
Heather. >> Gwen corse verso di lei,
seguita da Duncan; gli occhi le brillavano di curiosità.
<< Mi hanno
dato questo… io non so che cosa sia, tu lo
riconosci? >> era un semplice foglietto di carta piegato
in quattro, su
cui erano stati scritti il suo nome e quello di Gwen.
Heather assunse
un’espressione accigliata.
<<
L’hai già aperto? >> le
domandò, scrutando
quel foglietto come se potesse prendere vita all’improvviso e
trasformarsi in
un mutante.
<< No,
volevo leggerlo con te >> rispose la
gotica, posando il pezzo di carta sul bancone.
Proprio in quel momento
passò un assistente dall’aria
anonima, che distribuì dei drink.
L’asiatica
ignorò il bicchiere e dispiegò il biglietto, poi
lesse velocemente in silenzio; la sua espressione si fece sempre
più
corrucciata e cupa, ma decise di rileggerlo ad alta voce a Gwen.
<< Non ha
alcun senso >> esordì << Ma te
lo leggo comunque. C’è scritto: “Lascerete questa vita
alle vostre spalle; vale
la pena salvarvi?” >>.
Gwen scosse la testa
<< Non ne comprendo il
significato. >>.
Heather dondolò
le gambe indolenzite << Uno scherzo di
pessimo gusto. >> disse, bevendo qualche sorso del suo
drink, imitata da
Gwen; entrambe tossirono e sputarono la bevanda.
<<
È amaro! >> esclamò Heather,
disgustata, e
l’altra convenne con lei.
Abbandonarono il cocktail
e rimasero in silenzio per un po’;
Gwen si appoggiò al bancone di legno con la schiena,
cercando di trovare un
significato al biglietto.
Dopo diversi minuti le due
ragazze iniziarono a sentirsi
strane: Heather non faceva che passare le mani sulla gola e alla base
del
collo, sentendo un improvviso disagio, e Gwen continuava a strofinarsi
il viso
con espressione preoccupata.
Il respiro si fece sempre
più incalzante, il petto iniziava
a risentire dei primi, flebili spasmi.
Gwen cercò di
ignorare la strana sensazione… eppure c’era
qualcosa. Lo percepiva sotto la pelle, scorreva nelle vene, la
corrodeva
dall’interno; era qualcosa d’invisibile, di
spaventoso… e lei non poteva
fermarlo.
Fu un momento: in un
sobbalzo prese il cuore e lo tenne
stretto nella sua morsa dolorosa; poco dopo anche i polmoni sembrarono
riempirsi di ghiaccio.
Il respiro divenne
affannoso, la vista iniziò ad
annebbiarsi; con un ultimo spasimo Gwen voltò la testa e si
accorse che anche
Heather ansimava violentemente, spaventata quanto lei.
Le gambe di Gwen ormai
tremavano, le forze le iniziarono a
venir meno… le mani di Duncan furono le ultime cose che
sentì: il buio dei
sensi la inghiottì subito dopo.
Heather sapeva bene di
essere in un sogno: l’aria era troppo
tranquilla - non spirava vento e le foglie erano congelate sui rami
– non si
sentiva il vociare dei bambini o il gridare preoccupato delle madri.
Era tutto troppo
calmo.
Eppure lei si sentiva
così serena, così sicura in quel nido
tiepido e confortante: era il suo sogno, non sarebbe potuto accaderle
niente di
brutto.
Una risata ruppe
l’atmosfera ovattata e scaraventò la
ragazza in una stanza bianca.
Heather cercò
una via d’uscita, una finestra, una porta… ma
fu una ricerca vana; il bianco era così intenso da
accecarla, e i suoi occhi feriti
distinguevano a fatica il pavimento dai muri.
Si rannicchiò
in un angolo, schiacciata da tutta quella
luce; una risata familiare la fece sussultare all’improvviso,
ma non vide
nessuno.
“Così
va meglio?” domandò dolcemente l’uomo,
comparendo
davanti ai suoi occhi. Lei annuì, spaventata.
“Ah, Heather,
questa luce ti fa male?” non provò neanche a
nascondere la malignità nella sua voce “Sai, non
è così forte.”
Non era un tono
canzonatorio; sembrava volerle far prendere
consapevolezza di qualcosa con la forza.
“Che cosa
è successo?” balbettò infine
l’asiatica cercando
di guardarlo negli occhi, senza però riuscire nel suo
intento: il bagliore che
lo circondava la costrinse ad abbassare di nuovo lo sguardo.
“Sei
morta” le rispose semplicemente; nessun ‘mi
dispiace’,
nessun tatto o rispetto per la sua paura.
Quella verità
nuda e cruda la terrorizzò.
“Non
è vero!” negò debolmente; ma dentro di
sé sapeva che lui non le
aveva mentito.
“Invece ti ho
già convinta, mia piccola Heather.” –
sorrise
“Sai, avvelenarti è stato fin troppo
facile.”
Non voleva ascoltare i
dettagli della sua morte: in quel
momento cercava solo un modo per uscire da quella stanza infernale.
“Fammi
uscire!” pigolò, odiando quel tono così
penoso con
cui gli si rivolgeva.
“Ma certo, mia
cara”.
La riportò nel
parco, ma ora la flebile luce del sole le
faceva male come una fiamma viva sulla sua pelle.
Strillò di
dolore, cercò riparo da quei raggi che le
procuravano una rovente sofferenza, si coprì gli occhi con
le mani: tutto
questo sembrò divertire l’uomo, che
ridacchiò e la riportò subito nella stanza
bianca.
“Hai visto, mia
cara Heather?” sospirò teatrale, ma nella
voce c’erano ancora i rimasugli di una risata sadica
“Ti sto proteggendo”.
Heather
boccheggiò, ancora sconvolta per l’angoscia e il
terribile dolore.
“Perché
mi è successo tutto questo?” mormorò
infine, con una
voce flebile che lui udì
perfettamente.
Gli sfuggì
un’altra risata.
“Ah, questo non
lo so… svegliati, così potrai spiegarmelo
tu.”.
Il nero la travolse di
nuovo, ma stavolta Heather sapeva che
il suo sonno sarebbe durato poco.
Note
dell'autrice.
Ehm...
salve gente ^^'' sono io! Stavolta con una long....
Vi
rivelo una cosa: sono piuttosto scettica. Sì,
perché io ho il difetto di essere alquanto incostante e
questa cosa *indica schifata la fanfiction* è assurdamente
lunga e complicata da sviluppare. Non so come andrà a finire
o se devo andare avanti, perché non mi convince
granché: per ora ho già scritto qualche capitolo,
più o meno sei, ma sono ancora indietro. Terribilimente
indietro.
Boh,
non lo so... ditemi voi.
La citazione del bigliettino è una frase un po' riadattata
che ho preso da una canzone, "Savin' me" dei Nickelback, che mi ha
fatto da colonna sonora per la stesura della fanfiction.
Per
i primi capitoli la storia sarà incentrata su Heather e
Gwen, che però passeranno il testimone a quasi tutti gli
altri personaggi.
Spero di
non avervi annoiato... al prossimo capitolo (forse) :D
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